Congedo straordinario: il limite biennale si riferisce a ciascun familiare affetto da handicap grave
22 Gennaio 2021
Massima
Il diritto al congedo per handicap grave, di cui all'art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001, applicabile ratione temporis, secondo una interpretazione costituzionalmente orientata, ai sensi degli artt. 2, 3 e 32 Cost., deve essere inteso nel senso che il previsto limite biennale – non superabile nell'arco della vita lavorativa anche nel caso di godimento cumulativo di entrambi i genitori – si riferisca a ciascun figlio che si trovi nella prevista situazione di bisogno, in modo da non lasciarne alcuno privo della necessaria assistenza che la legge è diretta ad assicurare. Il caso
Una donna, madre di due figli entrambi portatori di handicap grave, si è rivolta al Tribunale per vedere riconosciuto il proprio diritto a fruire del congedo di cui all'art. 42 del d.lgs. n. 151 del 2001 nel limite massimo di due anni per ciascuno dei propri figli, anziché nel limite massimo di due anni per tutti i suoi figli. Contro la decisione di accoglimento della domanda avanzata dalla donna, emessa dal Tribunale in primo grado, ha proposto appello l'Inps. La Corte d'Appello di Venezia ha, però, rigettato l'impugnazione, sostenendo che l'interpretazione corretta della norma in esame fosse quella che privilegiasse il diritto dei bambini portatori di handicap ad ottenere la maggior tutela del proprio diritto allo sviluppo ed alla salute. L'Inps ha allora proposto ricorso per Cassazione, ritenendo che non fosse possibile fruire più di una volta del congedo biennale nell'arco della vita lavorativa, essendo la scelta legislativa il frutto del bilanciamento tra la tutela di situazioni familiari gravose e l'interesse alla produttività nazionale, anche in considerazione che, qualora ve ne fosse stata necessità, avrebbe potuto fruire del congedo biennale in via ulteriore l'altro genitore che non ne avesse già usufruito. La questione
Il limite di due anni previsto per il congedo volto a consentire al lavoratore di assistere i familiari affetti da handicap grave si riferisce a ciascun familiare che si trovi nella situazione di bisogno oppure deve essere inteso in senso complessivo, come limite massimo usufruibile nell'arco della vita lavorativa? Se il lavoratore ha già beneficiato del congedo biennale per prestare assistenza ad un figlio affetto da handicap grave, potrà beneficiare di un nuovo congedo biennale per assistere un altro figlio, anch'egli affetto da handicap grave? Le soluzioni giuridiche
La Corte di Cassazione, con la pronuncia in commento, non si discosta dall'orientamento ormai unanime della giurisprudenza in materia e respinge la tesi argomentativa avanzata dall'Inps, rigettando il ricorso proposto. Per la Suprema Corte non vi è alcun dubbio: il limite biennale del congedo previsto dall'art. 42 del d.lgs. 151 del 2001 deve riferirsi a ciascun figlio e non può essere inteso come un limite complessivo usufruibile nell'arco della vita lavorativa. Le ragioni che portano la Corte di Cassazione ad esprimere tale giudizio sono molteplici. Innanzitutto, specificano gli Ermellini, la formulazione vigente ratione temporis dell'art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001, che riconosceva il diritto al congedo per handicap grave ad entrambi i genitori, specificando che lo stesso congedo non potesse superare “la durata complessiva di due anni”, non autorizzava ad affermare che - sul piano letterale - la legge avesse inteso riferirsi alla durata complessiva dei possibili congedi fruibili dall'avente diritto, anche nell'ipotesi in cui i soggetti da assistere fossero più di uno. Non vi era, in sostanza, alcun riferimento chiaro ed univoco che portasse a ritenere che il limite biennale dovesse intendersi unico per l'intera vita lavorativa. Ma, l'argomentazione che, con maggior vigore, sostiene e motiva la decisione della Corte è data dall'interpretazione costituzionalmente orientata, ai sensi degli articoli 2, 3 e 32 Cost., che i giudici forniscono della norma in esame. Il limite biennale deve necessariamente essere inteso come limite per ciascuna persona da assistere perché l'agevolazione prevista dalla norma è diretta non tanto a garantire la presenza del lavoratore nel proprio nucleo familiare, quanto ad evitare che il bambino handicappato resti privo di assistenza e così risulti compromessa la sua tutela psico-fisica e la sua integrazione nella famiglia e nella collettività. L'individuazione del soggetto realmente beneficiario della disposizione normativa (cioè il soggetto da assistere) conduce inevitabilmente a sostenere che il limite biennale deve essere inteso singolarmente per ogni familiare e non complessivamente. Altrimenti, si rischierebbe di lasciare privo della necessaria assistenza un soggetto che ne ha bisogno solo perché colui il quale dovrebbe prestare tale assistenza non può assentarsi dal lavoro per avere già usufruito dei due anni di congedo per occuparsi di un altro familiare. Del resto, alla medesima soluzione era già pervenuta la Corte con la sentenza Cass. n. 11031/2017 (seguita anche dalle successive pronunce: cfr. Cass. Civ., sez. lavoro, sent. 19 aprile 2019 n. 11126) e medesimo principio era stato espresso con la sentenza Cass. civ., 25 febbraio 2010, n. 4623 in materia di permessi giornalieri (usufruibili nel limite di due ore al giorno per ciascun bambino). La decisione della Corte di Cassazione, infine, riceve conferma dalla stessa disposizione normativa che, oggi, nella formulazione attuale – a seguito dell'introduzione del comma 5bis all'art. 42 del d. lgs. n. 151 del 2001 ad opera del d. lgs. 18 luglio 2011, n. 119, art. 4 – prevede espressamente che “il congedo fruito ai sensi del comma 5 non può superare la durata complessiva di due anni per ciascuna persona portatrice di handicap e nell'arco della vita lavorativa…”. La suddetta specificazione normativa conferma l'interpretazione che la Corte ha dato della medesima norma nella sua formulazione precedente. Osservazioni
La disposizione normativa che prevede il congedo di cui al comma 5 dell'art. 42 del d.lgs. n. 151 del 2001 ha un unico e reale beneficiario, ossia il soggetto affetto da handicap grave, colui che ha bisogno di ricevere assistenza. La ratio della norma è proprio quella di assicurare che i familiari bisognosi di assistenza non ne rimangano privi perché il soggetto designato a prestarla non può assentarsi dal lavoro. La fattispecie esaminata dalla Corte di Cassazione è quanto mai emblematica: una madre che ha già usufruito dei due anni di congedo per assistere un figlio affetto da handicap grave, chiede di potere usufruire di altri due anni per stare vicino ad un altro figlio affetto anche lui da handicap grave. È la nostra Costituzione e, in particolare, gli articoli 2, 3 e 32, che impongono di riferire il limite biennale ad ogni situazione di bisogno e non certo all'arco della vita lavorativa. Affermare il contrario significherebbe privare della giusta rilevanza il diritto dei bambini portatori di handicap ad ottenere la tutela del proprio diritto allo sviluppo ed alla salute. Del resto, il comma 5bis dell'art. 42 del d. lgs. n. 151 del 2001, introdotto dal d. lgs. 18 luglio 2011, n. 119, ha esplicitamente chiarito che il limite di due anni va inteso relativamente ad ogni familiare disabile assistito; in altre parole, ogni familiare affetto da handicap grave ha diritto a due anni di assistenza a titolo di congedo straordinario da parte dei familiari individuati dalla legge. E, a parere di chi scrive, non potrebbe essere altrimenti poiché il diritto alla salute e a ricevere assistenza sono certamente destinati a prevalere rispetto all'interesse alla produttività nazionale. Riferimenti
F. Pisano, Congedo straordinario per l'assistenza al genitore disabile: spetta anche al figlio non convivente?, in IlFamiliarista, Giuffrè, 30 gennaio 2019; E. Lanzi, Permessi o congedi parentali, in IlFamiliarista, Giuffrè, 13 novembre 2018; F. Pisano, Anche il convivente more uxorio della persona affetta da handicap grave può fruire dei permessi retribuiti, in IlFamiliarista, Giuffrè, 21 aprile 2017. |