Funzione dell'assegno divorzile e autosufficienza del coniuge richiedente l'assegno
08 Febbraio 2021
Massima
Non sussiste il diritto del coniuge di percepire un assegno divorzile a carico dell'altro, ove il richiedente sia in grado di provvedere in modo autonomo al proprio sostentamento, circostanza da valutare sulla base della documentazione prodotta in giudizio nonché del tenore di vita della parte, anche ove difforme dalle risultanze delle dichiarazioni dei redditi. Il caso
Tizio propone ricorso per lo scioglimento del matrimonio dinanzi al Tribunale di Roma nei confronti della moglie Caia. Caia, nel costituirsi in giudizio, chiede in via riconvenzionale la corresponsione a suo favore di un assegno divorzile, deducendo la sperequazione reddituale tra i coniugi. Il Tribunale di Roma, dopo avere ricostruito induttivamente il reddito dei coniugi e ritenuto non determinante la condizione di formale disoccupazione della moglie, ha rigettato la domanda di Caia di percepire un contributo a carico del marito ritenendo che la stessa fosse in grado di provvedere in modo autonomo al proprio sostentamento. La questione
Quando il coniuge che richiede la corresponsione a suo favore di un assegno divorzile è dotato di mezzi adeguati alla luce della sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 18287/2018? Le soluzioni giuridiche
Il Tribunale di Roma nel decidere la domanda di Caia di percepire un assegno divorzile a carico del marito ha richiamato i passaggi motivazionali della sentenza delle Sezioni Unite n. 18287/2018, che ha fatto chiarezza sulla funzione dell'assegno divorzile e sui parametri ai quali ancorare il diritto del coniuge richiedente di percepirlo. Il Tribunale capitolino, in particolare, ha richiamato la funzione necessariamente composita dell'assegno divorzile e la centralità che assumono nel giudizio comparativo delle condizioni reddituali dei coniugi le scelte condivise circa i ruoli assunti all'interno della famiglia. I giudici di merito hanno quindi ricostruito la situazione economico reddituale delle parti per valutare se Caia avessemezzi adeguatio fossein grado di procurarseli e se sussistesse uno squilibrio economico, patrimoniale e reddituale tra i coniugi. All'esito di tale disamina il Tribunale ha accertato induttivamente che la condizione economico reddituale di entrambe le parti era sottostimata rispetto a quella risultante dalle dichiarazioni fiscali. Tizio, pur avendo dedotto un peggioramento della propria condizione rispetto al tempo della separazione – precisamente la nascita di due nuove figlie e la diminuzione dello stipendio mensile percepito – possedeva il 30% delle quote della società presso cui era impiegato, le cui restanti quote erano della nuova compagna e della sorella di questa – e sosteneva oneri locativi incompatibili con i redditi dichiarati fiscalmente. Caia, sebbene formalmente disoccupata e priva di redditi propri, era socia al 50% di una società immobiliare proprietaria di diversi immobili potenzialmente produttivi di reddito, che gestiva un ampio comprensorio ricettivo in Umbria, ed era altresì proprietaria di un immobile concesso in comodato d'uso gratuito alla madre. La titolarità di quote sociali e il tenore di vita sostenuto dalla parte hanno condotto i giudici di merito a ritenere sottostimato il reddito formalmente dichiarato da Caia e a concludere che la stessa fosse in grado di provvedere autonomamente al proprio sostentamento, con conseguente rigetto della sua domanda di percepire un assegno divorzile a carico del marito. Osservazioni
La pronuncia in commento si inserisce nel solco della giurisprudenza successiva alla pronuncia delle Sezioni Unite n. 18287/2018 che, come noto, ha fatto chiarezza sulla funzione dell'assegno divorzile. Le Sezioni Unite, valorizzando il tenore letterale dell'art. 5 l. 898/1970, hanno avvertito la necessità di superare la funzione meramente assistenziale dell'assegno, privilegiata dalla giurisprudenza a far data dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 11490/1990, a favore di una funzione composita, sia assistenziale che compensativa-perequativa e risarcitoria. Più nello specifico, le Sezioni Unite hanno affermato che, ove il giudice di merito rilevi uno squilibrio reddituale tra i coniugi, la mancanza di mezzi adeguati in capo al coniuge economicamente più debole non dovrà essere valutata tenendo conto della sola condizione del richiedente l'assegno – come sostenevano i fautori della funzione assistenziale del contributo - bensì comparativamente, tenendo conto della condizione di entrambi i coniugi, da valutarsi non solo sulla base delle condizioni economiche delle parti ma anche del contributo dato da ciascuno alla formazione del patrimonio comune e dell'altra parte e delle potenzialità del coniuge più debole di avere adeguati redditi propri. Ove sia rilevato uno squilibrio in tali termini, occorrerà verificare se lo stesso sia frutto delle scelte condivise in costanza di matrimonio, da valutare in particolare tenendo conto della durata del vincolo. Solo in tal modo si valorizzerà il contributo dato dal coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio comune e dell'altro coniuge, anche in relazione alle potenzialità future, e, così, i principi di pari dignità dei coniugi e autodeterminazione tutelati dalla Costituzione agli artt. 2 e 29, e richiamati dalla Corte Cost. n. 11/2015. L'esame della giurisprudenza successiva alla pronuncia delle Sezioni Unite consente di osservare come non sempre la funzione composita dell'assegno divorzile trovi adeguato riconoscimento nella prassi. La funzione compensativa dell'assegno, in particolare, non viene in gioco ogni qual volta manchi uno squilibrio reddituale tra i coniugi ovvero entrambi i coniugi non abbiano adeguati mezzi propri per vivere dignitosamente, pure in presenza di un relativo squilibrio delle rispettive condizioni reddituali e patrimoniali (Cass. civ. sez. I, sent. n. 24934/2019, Cass. civ. sez. I, sent. n. 6386/2019). Portando all'estremo tali conclusioni alcune pronunce, valorizzando la funzione assistenziale dell'assegno, hanno ritenuto il coniuge richiedente il contributo economicamente autosufficiente senza nemmeno indagare l'esistenza di uno squilibrio reddituale tra le parti (Cass. civ. sez. I, sent. n. 24935/2019). La pronuncia del Tribunale di Roma in commento si inserisce in tale filone giurisprudenziale. Il Tribunale, infatti, ritenuti i redditi di entrambe le parti sottostimati - sulla scorta della tesi diffusa in giurisprudenza per cui le dichiarazioni dei redditi delle parti hanno valore solo indiziario per il giudice della separazione e del divorzio (da ultimo Cass. civ. sez. I, sent. n. 6386/2019) – ha statuito che Caia disponesse di adeguati mezzi propri, sebbene non dichiarasse alcun reddito, senza motivare espressamente circa l'inesistenza di uno squilibrio reddituale tra i coniugi. Il Tribunale sarebbe giunto a conclusioni diverse ove il tenore di vita di Tizio fosse stato più elevato di quello accertato? La risposta potrebbe essere affermativa ove si aderisca alla funzione composita dell'assegno divorzile e negativa ove si valorizzi quella assistenziale. I maggiori contrasti tra le due funzioni dell'assegno emergono ove tra le parti esista uno squilibrio reddituale e tuttavia manchi la prova che il coniuge economicamente più debole, privo dei mezzi sufficienti per provvedere al proprio sostentamento in quanto non titolare di redditi propri e privo di redditi da lavoro, abbia sacrificato opportunità di lavoro all'esterno per consumare il proprio ruolo prevalentemente all'interno della famiglia. Le Sezioni Unite con la sentenza n. 18287/2018 citata non hanno dato indicazioni al riguardo: al par. 12 hannocontemplato tale evenienza - affermando che in tali casi sembra venirein evidenza il profilostrettamente assistenziale dell'assegno -, nondimeno hanno ribaditoche anche in tali ipotesi l'inadeguatezza dei mezzi deve«essere desunta dalla valutazione del tutto equiordinata degli indicatori contenuti nella prima parte dell'art. 5, comma 6, [di guisa che] anche qui l'adeguatezza assume un contenuto prevalentemente perequativo-compensativo che non può limitarsi né a quello strettamente assistenziale, né a quello dettato dal raffronto oggettivo delle condizioni economico-patrimoniali delle parti». Alcune pronunce, valorizzando la funzione assistenziale dell'assegno, hanno incentrato il giudizio sulla sola condizione del coniuge richiedente l'assegno e riconosciuto il diritto al contributo (Cass. civ. sez. I, sent. n. 24935/2019, Cass. civ. sez. I, n.19330/2020, Cass. civ. sez. VI, n.1868 /2020) mentre altre, valorizzando la funzione compensativa, hanno escluso il diritto del coniuge privo di adeguati redditi propri di percepire un assegno in mancanza della prova che lo stesso abbia dedicato il proprio ruolo all'interno della famiglia per scelta condivisa dei coniugi (Cass. civ., sez. VI, ordin. n. 26594/2019, App. Milano, sez. famiglia, sent. n. 878/2020). La definizione dell'autosufficienza economica del richiedente l'assegno è demandata, in ultima analisi, ai giudici di merito, ai quale sarà rimesso il compito di declinare i principi enunciati dalle Sezioni Unite del 2018 tenendo conto delle specificità del caso concreto. Il concetto di autosufficienza economica, infatti, come dimostra la pronuncia del Tribunale di Roma in commento, è necessariamente relativo e comparativo.
Riferimenti
M. Dogliotti, L'assegno di divorzio tra innovazione e restaurazione, in Famiglia e diritto 11/2018, 964. |