L'estinzione del processo esecutivo travolge il giudizio di divisione del bene pignorato?

08 Marzo 2021

La sospensione del giudizio di divisione endo-esecutiva in caso di estinzione del processo esecutivo non è necessaria ex art. 295 c.p.c., laddove la pronuncia di estinzione sia stata impugnata, ben potendo il giudice della cognizione valutare se l'esito della causa pregiudiziale sia o meno ritenuto convincente e disporre quindi la sospensione ex art. 337, comma 2, c.p.c.
Massima

Il giudizio di divisione del bene pignorato instaurato nell'ambito dell'espropriazione di beni indivisi, sebbene strumentale alla liquidazione del compendio immobiliare, costituisce una parentesi di cognizione ed in quanto tale resta autonomo, perché soggettivamente ed oggettivamente distinto dal processo esecutivo, tanto da non poterne essere considerato né una continuazione, né una fase.

Pur permanendo una correlazione funzionale del giudizio di divisione endo-esecutiva al processo esecutivo, risulta corretta l'esclusione dell'applicazione degli effetti di cui all'art. 336 c.p.c., non potendosi reputare che quanto disposto nell'ambito del giudizio di divisione resti immediatamente travolto per effetto delle vicende del processo esecutivo.

Ne consegue che, ove il giudizio di esecuzione venga dichiarato estinto e la relativa pronuncia sia stata impugnata è possibile disporre la sospensione del giudizio di divisione ex art. 337, comma 2, c.p.c. in attesa del passaggio in giudicato di tale pronuncia.

Il caso

La decisione in esame trae origine dalla seguente vicenda: a seguito di sentenza di revoca ex art. 2901 c.c. della vendita di una quota indivisa, la società creditrice notificava atto di pignoramento della quota indivisa. Il G.E., con ordinanza, disponeva di procedere alla divisione del bene in comunione, per cui veniva instaurato il giudizio di divisione endo-esecutivo.

Il Tribunale dichiarava con sentenza la non comoda divisibilità del bene disponendone la vendita. La decisione veniva confermata in appello. Avverso la sentenza di appello veniva proposto ricorso per Cassazione, che veniva rigettato, per cui la sentenza passava in giudicato.

Nel corso del giudizio di divisione veniva disposta la vendita del bene pignorato con la successiva aggiudicazione ed emissione del decreto di trasferimento.

Uno dei comproprietari deduceva che il giudizio di esecuzione, sospeso ex lege, doveva essere riassunto dopo la sentenza della Corte di appello, che aveva confermato la sentenza del Tribunale circa la non comoda divisibilità del bene. Pertanto, depositava innanzi al G.E. istanza di estinzione del giudizio per la mancata riassunzione nel termine di cui all'art. 627 c.p.c.

Il G.E. rigettava l'istanza con ordinanza, avverso la quale veniva proposto reclamo. Il Tribunale rigettava il reclamo con sentenza, avverso la quale veniva proposto appello e la Corte di appello accoglieva l'appello, dichiarando l'estinzione del processo esecutivo ed ordinando la cancellazione della trascrizione del pignoramento e della citazione per divisione dell'immobile.

Avverso la sentenza di appello la curatela del fallimento proponeva ricorso per Cassazione. In pendenza del giudizio di Cassazione uno dei comproprietari chiedeva al giudice della divisione di adottare tutti i provvedimenti opportuni e conseguenti a seguito della dichiarazione di estinzione del giudizio di esecuzione.

Il G.E., attesi lo stato della procedura di vendita e l'obiettiva controvertibilità delle questioni giuridiche sollevate innanzi alla Corte di cassazione, aventi in particolare la questione se la vendita disposta nel processo di divisione endo-esecutiva debba essere effettuata dal giudice della cognizione ovvero dal giudice dell'esecuzione, letto l'art. 337, comma 2, c.p.c., sospendeva il processo di divisione sino al passaggio in giudicato della sentenza della Corte d'appello, che aveva dichiarato l'estinzione del giudizio.

Avverso l'ordinanza veniva proposto regolamento necessario di competenza deducendo:

1) la nullità dell'ordinanza per la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 337, comma 2, c.p.c. o comunque la manifesta ingiustizia dell'ordinanza, essendo stata disposta la sospensione sulla base di un potere discrezionale del quale il giudice era privo;

2) la nullità del provvedimento impugnato per violazione e/o falsa applicazione dell'art. 337 c.p.c. e/o comunque manifesta ingiustizia per difetto di motivazione (apparente) giacché il Tribunale, ai fini dell'esercizio del potere discrezionale, non aveva motivato in maniera esplicita le ragioni per le quali non aveva inteso riconoscere l'autorità della sentenza emessa nella causa pregiudiziale.

La questione

Ci si chiede se il giudice dell'esecuzione sia tenuto a sospendere il giudizio ai sensi dell'art. 295 c.p.c., ovvero possa decidere di sospendere il giudizio di divisione ex art. 337, comma 2 , c.p.c. in attesa del passaggio in giudicato della sentenza di appello che ha dichiarato l'estinzione del processo esecutivo e, quindi, se il giudizio di divisione sia una fase del processo esecutivo, destinato, dunque, ad essere travolto in caso di estinzione del processo esecutivo o rappresenti, invece, una parentesi cognitiva autonoma, in grado di sopravvivere almeno sino a quando l'estinzione del processo esecutivo non risulti dichiarata con sentenza ormai passata in giudicato.

Le soluzioni giuridiche

La sesta sezione della Cassazione, con la sentenza in commento, ha rigettato il ricorso ritenendo i motivi dedotti infondati.

In merito al primo motivo di ricorso la Corte ha ribadito che la divisone endo-esecutiva, sebbene strumentale alla liquidazione del compendio immobiliare pignorato per quota indivisa, non costituisce una fase dell'espropriazione, ma resta una parentesi cognitiva autonoma, oggettivamente e soggettivamente distinta dalla procedura espropriativa che ne ha cagionato l'introduzione.

Pertanto, è da escludersi: 1) che la vendita disposta in sede di divisione sia un atto esecutivo direttamente ricollegabile alla procedura esecutiva di cui è stata dichiarata l'estinzione, ancorché con sentenza non ancora passata in cosa giudicata; 2) il venir meno in maniera automatica del processo di divisione, destinato, quindi, a sopravvivere almeno sino a quando l'estinzione del processo esecutivo non risulti dichiarata con sentenza ormai passata in giudicato.

Ne discende che la sospensione del giudizio di divisione ben poteva essere disposta ai sensi dell'art. 337, comma 2, c.p.c. e non già ex art. 295 c.p.c., essendo già intervenuta una pronuncia, nel caso di specie di appello, nella causa pregiudiziale.

Osservazioni

La Corte affronta il rapporto tra l'espropriazione di beni indivisi ed il giudizio di divisione. Nel caso in esame il giudice dell'esecuzione ha deciso di sospendere il giudizio di divisione ex art. 337, comma 2, c.p.c. in attesa del passaggio in giudicato della sentenza di appello che ha dichiarato l'estinzione del processo esecutivo, nel frattempo impugnata con ricorso per Cassazione.

Si è posto il dubbio dell'applicabilità di siffatta norma alla fattispecie posta all'attenzione della Corte, in quanto essa consente di disporre la sospensione quando è invocata l'autorità di una sentenza resa in un altro giudizio, mentre nel caso in esame la sentenza della Corte d'appello di cui si invocava l'efficacia in quanto avente carattere pregiudiziale era emessa nel medesimo procedimento, avendo la divisione carattere endo-esecutivo ed essendo dunque parte dello stesso processo di esecuzione.

Discussa era altresì l'applicazione dell'art. 336, comma 2, c.p.c. al caso in questione, potendosi sostenere la tesi in virtù della quale, essendo provvisoriamente esecutiva, la sentenza era destinata a travolgere tutti gli atti esecutivi posti in essere nell'ambito del giudizio di divisione, senza dover attendere il suo passaggio in giudicato.

Chiamata a decidere su queste complesse problematiche, la Suprema Corte osserva che la divisione endo-esecutiva, sebbene strumentale alla liquidazione del compendio immobiliare pignorato per quota indivisa, non costituisce una fase dell'espropriazione, ma resta una parentesi cognitiva autonoma, oggettivamente e soggettivamente distinta dalla procedura espropriativa che ne ha cagionato l'introduzione. Da tale premessa fa discendere l'inapplicabilità dell'art. 336 c.p.c., ovvero del c.d. effetto espansivo esterno, dovendosi escludere sia che la vendita disposta in sede di divisione sia un atto esecutivo direttamente ricollegabile alla procedura esecutiva di cui è stata dichiarata l'estinzione, ancorché con sentenza non ancora passata in cosa giudicata, sia il venir meno in maniera automatica del processo di divisione, destinato, quindi, a sopravvivere almeno sino a quando l'estinzione del processo esecutivo non risulti dichiarata con sentenza ormai passata in giudicato.

Ne discende, quindi, che il giudice dell'esecuzione ha correttamente disposto la sospensione del giudizio di divisione ex art. 337, comma 2, c.p.c. e non ai sensi dell'art. 295 c.p.c., dato che la sentenza della Corte di appello, che dichiara l'estinzione della procedura esecutiva all'interno della quale è stata disposta la divisione, riveste carattere pregiudiziale rispetto a quest'ultima.

I rapporti tra il giudizio di esecuzione e quello di divisione c.d. endo-esecutiva, in quanto insorto ex art. 601 c.p.c., sono stati già esaminati da questa Corte, che, con la sentenza n. 6072/2012 ha affermato che il giudizio con cui si procede alla divisione (c.d. divisione endo-esecutiva), pur costituendo una parentesi di cognizione nell'ambito del procedimento esecutivo, dal quale rimane soggettivamente ed oggettivamente distinto, tanto da non poterne essere considerato né una continuazione, né una fase, è, tuttavia, ad esso funzionalmente correlato. Ne consegue che il giudizio di divisione dei beni pignorati non può essere iniziato e, se iniziato, non può proseguire ove venga meno in capo all'attore la qualità di creditore e, con essa, la legittimazione e l'interesse ad agire, a meno che a tale deficienza - originaria o sopravvenuta - non si rimedi con una valida domanda di scioglimento della comunione formulata dal debitore convenuto, da altro creditore munito di titolo esecutivo, o, ancora, da alcuno dei litisconsorti necessari indicati nell'art. 1113, comma 3, c.c.

Tali principi sono stati poi ribaditi più di recente dalla Cass. civ., 20 agosto 2018, n. 20817, la quale sottolinea come tale giudizio di cognizione sia divenuto ormai lo sviluppo normale di ogni procedura espropriativa avente ad oggetto una mera quota, essendo stato il suo collegamento funzionale con il processo esecutivo, sottolineato dalla previsione dell'art. 181 disp. att. c.p.c., in base alla quale tale giudizio di divisione resta indiscutibilmente un ordinario giudizio di cognizione, che si svolge dinanzi al medesimo giudice dell'esecuzione, in funzione, ovviamente, di giudice istruttore civile della procedura esecutiva contestualmente sospesa in attesa della liquidazione della quota del debitore esecutato.

Pertanto, nella pronuncia in esame la Corte ribadisce che: da un lato il giudizio di divisione in esame costituisce una parentesi di cognizione, vale a dire un procedimento incidentale consistente in un vero e proprio giudizio di cognizione, nell'ambito del procedimento esecutivo, restando in quanto tale autonomo, perché soggettivamente ed oggettivamente distinto dal processo esecutivo, tanto da non poterne essere considerato né una continuazione, né una fase (cfr. Cass. civ., 24 febbraio 2011, n. 4499; Cass. civ., 10 maggio 1982, n. 2889; Cass. civ., 8 gennaio 1968, n. 44; Cass. civ., 12 ottobre 1961, n. 2096); dall'altro lato, permane una correlazione funzionale del giudizio di divisione endo-esecutiva al processo esecutivo, uno dei cui effetti è stato riconosciuto nel mantenimento, in capo al creditore esecutante, della sua legittimazione ad agire in divisione fintantoché in capo a lui permanga la qualità di creditore.

Il suo collegamento funzionale con il processo esecutivo è sottolineato dalla previsione dell'art. 181 disp. att. c.p.c, così come modificato dopo l'entrata in vigore della l. 80/2005, dal quale si evince a chiare lettere che, pur restando indiscutibilmente un ordinario giudizio di cognizione, si svolge dinanzi al medesimo giudice della procedura esecutiva immobiliare, la quale viene contestualmente sospesa in attesa della liquidazione della quota del debitore esecutato.

Infatti, mentre prima la vecchia formulazione dell'art. 181 disp. att. c.p.c. prevedeva che il G.E. non fosse sempre competente per il giudizio di divisione, in seguito alla modifica legislativa del 2005 si ritiene che il giudice dell'esecuzione sia sempre competente per la divisione con obbligo di integrazione del contraddittorio mancante a cura della parte più diligente.

Alla luce delle argomentazioni esposte, risulta corretta l'esclusione dell'applicazione alla vicenda degli effetti di cui all'art. 336 c.p.c., non potendosi reputare che quanto disposto nell'ambito del giudizio di divisione resti immediatamente travolto per effetto delle vicende del processo esecutivo.

Inoltre, anche a voler valorizzare la detta correlazione funzionale tra i due processi, deve reputarsi che, pur in presenza di una sentenza di primo grado ovvero, come nel caso di specie di appello, che abbia dichiarato l'estinzione del processo esecutivo, a cagione del quale si è posta la necessità di addivenire alla divisione, resti consentito al giudice della cognizione di poter valutare se l'esito della causa pregiudiziale sia o meno ritenuto convincente, e quindi disporre la sospensione ex art. 337, comma 2, c.p.c. (cfr. Cass. civ., sez. un., 19 giugno 2012, n. 10027; Cass. civ., sez. lav., 4 gennaio 2019, n. 80; Cass. civ., sez. VI, 9 luglio 2018, n. 17936).

La decisione della Corte appare corretta anche per quanto concerne il motivo relativo al difetto di motivazione. La Corte sottolinea, infatti, che la decisione di sospendere è stata assunta alla luce di un'adeguata illustrazione delle ragioni giustificative.

Ai fini del legittimo esercizio del potere di sospensione discrezionale del processo ex art. 337, comma 2, c.p.c., è indispensabile un'espressa valutazione di plausibile controvertibilità della decisione di cui venga invocata l'autorità in quel processo, sulla base di un confronto tra la decisione stessa e la critica che ne è stata fatta. Ne consegue che la sospensione discrezionale è ammessa ove il giudice del secondo giudizio motivi esplicitamente le ragioni per le quali non intenda riconoscere l'autorità della prima sentenza, già intervenuta sulla questione ritenuta pregiudicante, chiarendo perché non ne condivide il merito o le ragioni giustificatrici (cfr. Cass. civ., sez. VI, 29 maggio 2019, n. 14738; Cass. civ., sez. VI., 24 maggio 2019, n. 14337; Cass. civ., sez. VI, 12 luglio 2018, n. 18494).

Nel caso di specie l'ordinanza di sospensione, oltre ad avere evidenziato l'avanzato stato della procedura di vendita, già pervenuta all'aggiudicazione dei beni, con la necessità di dover quindi salvaguardare le legittime aspettative degli aggiudicatari, ha ribadito come la soluzione della Corte d'appello, che aveva dichiarato l'estinzione del processo esecutivo, nasceva da un'interpretazione peculiare del rapporto tra gli artt. 601 e 788 c.p.c., in merito all'individuazione del giudice al quale deve essere concretamente affidata l'attività di vendita del bene dichiarato non comodamente divisibile nel giudizio endo-esecutivo, mostrando in tal modo di nutrire dubbi, anche in ragione dell'obiettiva controvertibilità della soluzione, sulla correttezza della decisione presa dalla Corte d'appello.

Ne deriva che risulta soddisfatto anche il requisito della motivazione per l'adozione del provvedimento di sospensione, dovendosi pertanto pervenire al rigetto del ricorso.

Si concorda, pertanto, con quanto recentemente ribadito dalla Suprema Corte la quale ben ha evidenziato come la correlazione funzionale esistente tra il giudizio di divisione ed il processo esecutivo all'interno del quale è disposta la divisione non comporta l'applicazione dell'effetto espansivo esterno ex art. 336, comma 2, c.p.c. in caso di estinzione del processo esecutivo. Il giudizio di divisione, infatti, non è un atto esecutivo direttamente collegabile al processo esecutivo, ma piuttosto un ordinario giudizio di cognizione, una parentesi cognitiva autonoma, destinato quindi a sopravvivere almeno fino al passaggio in giudicato della sentenza dichiarativa di estinzione del processo esecutivo.

Trattandosi di due giudizi diversi, autonomi, ma correlati, ne discende anche che il giudice del giudizio di divisione può scegliere se sospendere o meno il predetto giudizio, ex art. 337, comma 2, c.p.c., nel momento in cui la decisione che dichiara l'estinzione del processo esecutivo viene impugnata.

Riferimenti
  • Baccaglini, La Cassazione esclude in ogni caso la necessità di introdurre il giudizio di divisione endoesecutiva con atto di citazione, in Corr. Giur., 2019, 389 ss.;
  • Bove, in Balena-Bove, Le riforme più recenti del processo civile, Bari, 2006;
  • Castoro, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, 15 a ed., a cura di Giordano, Milano 2019, pp. 905 ss.;
  • Crivelli, L'espropriazione di beni indivisi, in Il pignoramento nel suo aspetto pratico a cura di De Stefano-Giordano, Milano 2020, pp. 661 ss.;
  • Di Nanni, L'espropriazione dei beni indivisi e il giudizio di divisione, REF, 2008;
  • Fontana, Custodia, in AA.VV., Le modifiche al codice di procedura civile dalla l. n. 80 del 2005, FI, 2005;
  • Lombardi R., Sull'introduzione del giudizio divisorio endoesecutivo, RDP, 2019, pp. 246 ss;
  • Lombardi R., Le connessioni tra divisione ed espropriazione forzata, REF, 2019, pp. 546 ss.;
  • Soldi, Manuale dell'esecuzione forzata, 7a ed., Padova, 2019;
  • Tota, L'espropriazione di beni indivisi, in Manuale degli ausiliari dell'esecuzione immobiliare a cura di De Stefano – Giordano, Milano 2018, pp. 805 ss.

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