Repêchage: non sussiste alcun onere di collaborazione a carico del lavoratore

La Redazione
08 Marzo 2021

La Corte di cassazione ha accolto il ricorso di un lavoratore poiché, in tema di repêchage, non spetta a quest'ultimo l'onere di allegare l'esistenza di posti di lavoro nei quali poter essere ricollocato. L'onere probatorio in ordine alla sussistenza di questi presupposti è a carico del datore di lavoro.

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di un lavoratore poiché, in tema di repêchage, non spetta a quest'ultimo l'onere di allegare l'esistenza di posti di lavoro nei quali poter essere ricollocato. L'onere probatorio in ordine alla sussistenza di questi presupposti è a carico del datore di lavoro.

Il Tribunale di Catania rigettava l'impugnativa di licenziamento di un lavoratore nei confronti di una S.r.l., escludendo che fosse stata provata la cessazione del rapporto di lavoro e negando che ci fosse diversità tra le ragioni addotte nella comunicazione di recesso e quelle palesate nella memoria difensiva a giustificazione dello stesso. Esso inoltre accertava che la società aveva subito una riduzione delle vendite e del fatturato da cui era sorta la necessità di ridurre i dipendenti. Per ciò che attiene all'obbligo di repêchage, il Tribunale sottolineava che il ricorrente non aveva allegato l'esistenza di posti di lavoro nei quali poteva essere ricollocato.

La Corte d'Appello rigettava il gravame.

Il lavoratore ricorre quindi in Cassazione lamentando, tra i vari motivi, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 3 e 5 l. n. 604/66 e 2697 c.c., laddove la Corte di merito ha ritenuto che, quanto all'onere di repêchage, solo nel caso in cui il lavoratore abbia indicato l'esistenza di posti in cui essere utilmente ricollocato sussiste, a carico del datore di lavoro, l'onere di provare l'impossibilità di adibire il dipendente da licenziare ad altre mansioni.

Il motivo è fondato. La Corte infatti ha precedentemente chiarito che, in materia di repêchage, non sussiste alcun onere di collaborazione da parte del lavoratore, gravando esclusivamente sul datore di lavoro, posto che l'art. 3 della l. n. 604/1966 richiede: «a) la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il dipendente, senza che sia necessaria la soppressione di tutte le mansioni in precedenza attribuite allo stesso; b) la riferibilità della soppressione a progetti o scelte editoriali – insindacabili dal giudice quanto ai profili di congruità e opportunità, purché effettivi e non simulati – diretti ad incidere sulla struttura e sull'organizzazione dell'impresa, ovvero sui suoi processi produttivi, compresi quelli finalizzati ad una migliore efficienza ovvero ad incremento di redditività; c) l'impossibilità di reimpiego del lavoratore in mansioni diverse, elemento che, inespresso a livello normativo, trova giustificazione sia nella tutela costituzionale del lavoro che nel carattere necessariamente effettivo e non pretestuoso della scelta datoriale, che non può essere condizionata da finalità espulsive legate alla persona del lavoratore. L'onere probatorio in ordine alla sussistenza di questi presupposti è a carico del datore di lavoro, che può assolverlo anche mediante ricorso a presunzioni, restando escluso che sul lavoratore incomba un onere di allegazione dei posti assegnabili».

Per questi motivi la Corte accoglie questo motivo di ricorso, rigetta gli altri e cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese processuali, alla Corte d'Appello di Catania in diversa composizione.

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