Assenso al riconoscimento da parte del figlio quattordicenne: esercizio di atto personalissimo

12 Marzo 2021

Il riconoscimento del figlio di età inferiore ai quattordici anni non può avvenire senza il consenso dell'altro genitore che ha già effettuato il riconoscimento, il quale però non può rifiutarlo se il riconoscimento risponde all'interesse del figlio stesso. In caso di rifiuto o omesso consenso, pertanto, il genitore che vuole riconoscere il figlio può ricorrere al Tribunale...
Massima

Il riconoscimento tardivo del figlio minore che ha compiuto quattordici anni esula sia dal controllo del genitore che per primo ha effettuato riconoscimento, sia dal potere di intervento dell'autorità giudiziaria. In tal caso il genitore può procedere autonomamente al riconoscimento, ma tale atto non produce effetto alcuno in mancanza dell'assenso del figlio, atto negoziale personalissimo, che non deve necessariamente essere contestuale al riconoscimento.

Il caso

Un uomo con una storia personale di tossicodipendenza e disagio mentale, dopo un lungo percorso di riabilitazione, chiede di riconoscere e frequentare il figlio nato nel 2006 da una relazione che si è bruscamente interrotta. La madre non presta il consenso e il padre biologico si rivolge allora al Tribunale ordinario di Milano, competente secondo quanto disposto dall'art. 38 disp. att. c.c. come riformato dalla legge n. 219/2012, per ottenere una sentenza che tenga luogo del consenso della madre. Quest' ultima si costituisce opponendosi, ricordando la condotta violenta dell'uomo che voleva costringerla ad abortire, la sua tossicodipendenza, i precedenti penali; afferma di essere in grado di provvedere da sola al mantenimento del minore e che quest'ultimo vive serenamente, trovando figure di rifermento nella famiglia materna. Nelle more del giudizio il minore compie quattordici anni, ed il Tribunale, preso atto di ciò, dichiara la cessazione della materia del contendere.

La questione

La causa petendi della domanda giudiziale è qualificata dai commi 2 e 4 dell'art. 250 c.c. a mente del quale il riconoscimento del figlio di età inferiore ai quattordici anni non può avvenire senza il consenso dell'altro genitore che ha già effettuato il riconoscimento, il quale però non può rifiutarlo se il riconoscimento risponde all'interesse del figlio stesso. In caso di rifiuto o omesso consenso, pertanto, il genitore che vuole riconoscere il figlio può ricorrere al Tribunale, che valuta l'interesse del minore assunta ogni opportuna informazione e ascoltato il minore stesso se ha compiuto dodici anni o comunque è capace di discernimento, e quindi emette -se la verifica è positiva- sentenza che tiene luogo del consenso mancante.

Quid iuris però del processo instaurato quando il figlio non aveva ancora compiuto quattordici anni?

Le soluzioni giuridiche

Premesso che compito del Tribunale è accertare se il riconoscimento sia per il minore un beneficio effettivo, o diversamente se gli arreca pregiudizio, avuto riguardo sia alle ragioni addotte dall'altro genitore per negare il proprio consenso, sia alle esigenze morali e materiali del minore, considerate l'età, la sua condizione attuale e quella in cui potrebbe versare in seguito al secondo riconoscimento ; (Cass. civ. sez. I, 16 novembre 2005, n. 23074; Cass. civ., sez. I, 03 febbraio 2011, n. 2645; Trib. Genova sez. IV, 13 luglio 2017). In questa valutazione, da farsi in concreto, del miglior interesse del minore, un ruolo centrale assume l'ascolto del figlio di età superiore ai dodici anni o comunque capace di discernimento (Cass. civ., sez. I, 27 marzo 2017, n.7762).

Il diritto del genitore biologico a riconoscere il figlio pertanto, sebbene diritto di rango primario, tutelato dall'art. 30 della Costituzione (Cass. civ., sez. I, 16 novembre 2005, n. 23074; Trib. Vicenza sez. II, 08 novembre 2019, n.2292) e anche dall'art. 8 CEDU (Corte EDU sez. IV, 12 ottobre 2020, n. 32495) non è assoluto, ma è controbilanciato dal diritto del minore a non vedere compromesso il proprio sviluppo psico-fisico (Trib. Monza, 18 dicembre 2019, n.2787) di cui è garante in primo luogo il genitore che ha la responsabilità genitoriale, avendo già riconosciuto il figlio.

Come nota il Collegio milanese, il d.P.R.3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento dello stato civile) prevede all'art 45 che la dichiarazione (tardiva) di riconoscimento del figlio nato fuori del matrimonio che non ha compiuto i quattordici anni non può neppure essere ricevuta dall'ufficiale dello stato civile in mancanza del consenso del genitore che lo ha riconosciuto per primo o della sentenza che tiene luogo del consenso mancante.

Il padre pertanto, a fronte del mancato consenso della madre non ha avuto altra scelta che adire il Tribunale che, in questo caso, ha nominato al minore un curatore speciale e -anche su richiesta di quest'ultimo- ha avviato indagini socio ambientali, in particolare per verificare la condizione di tossicodipendenza del padre. La nomina del curatore è una scelta di opportunità, perché il minore, per quanto rappresenti un autonomo centro di imputazione di interessi in questa procedura, non è però parte processuale necessaria e quindi la nomina di un curatore speciale è riservata al prudente apprezzamento del giudice sull'esistenza di un concreto conflitto di interessi con il genitore che ha già riconosciuto il minore (Cass. civ. sez. I, 09 gennaio 2020, n. 275; Corte Cost., 11 marzo 2011, n. 83)

Nel procedimento così avviato, il minore raggiunge l'età (ridotta da sedici a quattordici anni dalla riforma operata dalla l. n. 219/2012) in cui diviene per legge necessario il suo assenso: sia il consenso del primo genitore che l'assenso del figlio sono condizioni di efficacia del riconoscimento, ma, mentre il rifiuto del primo genitore è superabile tramite un intervento giudiziario, il rifiuto o anche il non assenso del figlio è un ostacolo che neppure l'autorità giudiziaria può rimuovere.

Quando il minore raggiunge l'età di quattordici anni la procedura di riconoscimento è semplificata: il genitore biologico che intende riconoscerlo può presentarsi innanzi all'ufficiale di stato civile per effettuare il riconoscimento, il quale dovrà riceversi la dichiarazione, che però non avrà effetto fintanto che il figlio non ha prestato il suo assenso. L'art. 45 del Regolamento di stato civile, infatti, al primo comma vieta all'ufficiale di riceversi la dichiarazione del genitore che voglia riconoscere il figlio di età inferiore ai quattrodici anni in difetto di consenso dell'altro o di sentenza che tiene luogo del consenso, ma al comma secondo prevede testualmente che: «Se il figlio ha compiuto i quattordici anni, il riconoscimento è ricevuto dall'ufficiale dello stato civile ma non produce effetto senza l'assenso di cui al secondo comma dell'articolo 250 c.c. e di ciò si fa menzione nell'atto di riconoscimento. Se l'assenso è manifestato successivamente, di esso è fatta annotazione nell'atto di riconoscimento iscritto».

Il padre biologico non ha dunque più bisogno né del consenso della madre né del provvedimento giudiziale per rendere la sua dichiarazione all'ufficiale di stato civile: potrà compiere l'atto, ma non può con la sola sua volontà determinarne gli effetti, poiché manca il necessario elemento costitutivo dell'efficacia del riconoscimento e cioè l'assenso, diritto personalissimo del figlio stesso e quindi non coercibile e non fungibile. Ciò sembra peraltro confermare la bontà della tesi di dottrina che iscrive il riconoscimento di figli alla categoria del negozio di accertamento, avente causa nella rimozione dell'incertezza di una situazione giuridica, espressione del diritto soggettivo del genitore, ma dal quale discendono effetti ex lege precostituiti che prescindono dalla volontà del dichiarante di assumere i poteri e doveri conseguenti allo status genitoriale (cfr. Stefanelli, La filiazione: Gradi di accertamento e titoli costitutivi, in Trattato di diritto civile, II Ed., Milano 2018, pag. 256 e ss)

La soluzione giuridica offerta dal Tribunale di Milano è in linea con la giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo la quale al compimento del quattordicesimo anno di età, il minore (anche se nato o concepito prima dell'entrata in vigore della l. n. 219 del 2012) diviene titolare di un autonomo potere di incidere sul diritto del genitore al riconoscimento, configurando il suo assenso quale elemento costitutivo dell'efficacia del riconoscimento. Pertanto nel giudizio promosso dal genitore che intenda riconoscere il figlio, pur in mancanza del consenso dell'altro genitore che ha effettuato per primo il riconoscimento, deve dichiararsi la cessazione della materia del contendere al sopravvenuto compimento del quattordicesimo anno di età del figlio (Cass. civ. sez. I, 13 gennaio 2017, n. 781; Cass. civ. sez. I, 03 gennaio 2003, n.14)

Il tribunale milanese rileva che l'assenso del figlio ultraquattrodicenne non trasforma il riconoscimento in un atto bilaterale, rimanendo il riconoscimento un atto esclusivo del genitore. L'assenso integra l'atto del genitore sul piano degli effetti e si pone come condizione di efficacia del riconoscimento ed è un atto negoziale che il minore compie nel proprio esclusivo interesse e dunque atto personalissimo, non sindacabile mediante ricorso all'autorità giudiziaria. L'esercizio di questo diritto esula sia dal controllo del genitore che per primo ha effettuato riconoscimento, sia dal potere di intervento dell'autorità giudiziaria. Tanto che, nota ancora il giudice milanese, l'eventuale assenso del figlio supera l'eventuale rifiuto di consenso opposto dal genitore prima di quel momento e sarebbe idoneo a superare anche il rigetto con sentenza dell'autorità giudiziaria della domanda volta ad ottenere una sentenza sostitutiva del consenso negato dall'altro genitore.

Da ciò consegue che il processo di cui si discute, instaurato ex art 250 c.c. dal genitore biologico che intende riconoscere il figlio nonostante il rifiuto dell'altro genitore, deve concludersi con una dichiarazione di cessazione della materia del contendere.

Nulla più impedisce al padre biologico di rendere la sua dichiarazione all'ufficiale di stato civile, ma la produzione degli effetti è rimessa alla volontà del minore.

Osservazioni

La Corte costituzionale, ancor prima della riforma della filiazione operata dalla legge 219/2012, ha affermato che il minore, nella vicenda sostanziale e processuale di riconoscimento tardivo, costituisce un centro autonomo di imputazione giuridica, essendo implicati nel procedimento suoi rilevanti diritti e interessi, in primo luogo quello all'accertamento del rapporto genitoriale con tutte le implicazioni connesse (Corte cost., 11 marzo 2011, n.83). Pertanto, posto che nel procedimento di riconoscimento tardivo vengono in rilievo, oltre i diritti del genitore biologico, anche i diritti del figlio, è necessario che la legge preveda come possono essere esercitati questi diritti dal minorenne, che è soggetto privo di capacità di agire.

Sul punto l'art 250 c.c.si muove su due livelli:

-per il minore che ha compiuto dodici anni o comunque ritenuto capace di discernimento prevede il diritto all'ascolto (Cass. civ. sez. I, 06/11/2019, n.28521),diritto peraltro già riconosciuto in via generale dall'art 315-bis c.c. comma 3, in conformità alle Convenzioni internazionali di protezione dell'infanzia (art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, del 20.11.1989);

-per il minore che ha compiuto quattordici anni prevede il libero esercizio del diritto personalissimo di conferire (o negare) effetti al riconoscimento tardivo.

Si tratta di un diritto che per legge viene esercitato direttamente dal minore senza alcun apporto o controllo esterno, il che dimostra come esercizio di diritti personalissimi e capacità di agire non sono poi così interdipendenti come si potrebbe pensare. È infatti assodato che il soggetto capace di agire può liberamente esercitare i suoi diritti personalissimi, ma non è altrettanto vero l'inverso e cioè che chi è privo della capacità agire non possa esercitare i diritti personalissimi nella misura in cui lo consente la sua capacità di discernimento.

L'acquisizione alla nascita della capacità giuridica comporta che, a prescindere dalla consistenza del suo patrimonio, il minore diventa titolare da subito di tutti i diritti della personalità che sono riconosciuti dall'ordinamento e tra questi il diritto alla vita, alla salute, alla libertà, alla inviolabilità del domicilio, alle relazioni familiari, e quant'altro qualifica e connota la persona. Per i diritti della personalità titolarità ed esercizio tendono a coincidere, perché si esprimono soprattutto nelle scelte esistenziali e quindi non può ammettersi per il loro esercizio una sostituzione del rappresentante legale, se non con riferimento alle scelte assolutamente essenziali, ad esempio in materia di scelte sanitarie, ove però si impone comunque il dovere di ascoltare il minore capace di discernimento e in genere di tenere conto della volontà di questi in relazione alla sua età e al suo grado di maturità (art 3 legge 22 dicembre 2017, n. 219). Tuttavia, il diritto personalissimo si definisce tale proprio perché correlato a scelte individuali di libertà, che solo l'individuo può compiere: pertanto negarne o comprimerne l'esercizio equivale a negarli. Le libertà costituzionali, in ragione della loro connotazione egalitaria con finalità di promozione dell'individuo, richiedono l'attiva partecipazione della persona, anche se minore d'età, sicché non sorprende che, in un sistema ordinamentale connotato dalla valorizzazione della persona e dei suoi diritti fondamentali, il legislatore si orienti verso il progressivo ampliamento della facoltà di immediato esercizio di questi diritti anche per i minorenni o per le persone che necessitano di una misura di protezione.

La nostra legislazione conosce anche altri casi, oltre a quello di cui qui si discute, in cui il minore è ammesso all'esercizio dei diritti personalissimi senza che i genitori possano interferire con le sue scelte. Ad esempio, in tema di libertà religiosa del minore, la legislazione italiana gli riconosce una facoltà di scelta da esercitare personalmente; e precisamente l'art. 1 della legge 18 giugno 1986 n. 281 dispone che gli studenti della scuola secondaria superiore esercitano personalmente all'atto dell'iscrizione, a richiesta dell'autorità scolastica, il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica. Altrettanto dicasi per l'autonomia riconosciuta alla donna minorenne nella scelta di procreare: i genitori non possono presentare la richiesta di interruzione della gravidanza in luogo della figlia minore, poiché la legge n. 22 maggio 1978 n. 194 dispone che la richiesta sia fatta personalmente dalla donna; se la donna è minore è richiesto l'assenso dei genitori, oppure in caso di dissenso o quando vi sono seri motivi che impediscono o sconsiglino la consultazione degli esercenti la responsabilità genitoriale, gli atti vengono inviati al giudice tutelare, che, sentita la donna minore e tenuto conto della sua volontà, può autorizzarla a decidere da sola (art. 12, l. n. 194/1978). Lo stesso ascolto giudiziario del minore, del resto, è ricostruito in termini di esercizio del diritto alla partecipazione nel procedimento che lo riguarda, quale momento formale deputato a raccogliere le sue opinioni ed i suoi effettivi bisogni (Cass. civ. sez. un., 21 ottobre 2009, n.22238; Cass. civ. sez. I, 5 marzo 2014 n. 5097)

La moderna legislazione si muove quindi verso l'idea che l'esercizio dei diritti personalissimi non è legato alla acquisizione della capacità di agire, bensì alla capacità di discernimento che di volta in volta è fissata dalla legge con una presunzione legale, come nel caso dell'art. 250 c.c. oppure, in taluni casi, rimessa al prudente apprezzamento del giudice (Cass. civ. sez. I, 09 agosto 2019, n.21230; Cass. civ. sez. un., 21 ottobre 2009, n. 22238)

Riferimenti

A. Oliva, Azione di opposizione al riconoscimento del figlio e assenso del minore ultraquattordicenne in IlFamiliarista, fasc., 23 maggio 2017

I. Sforza, Opposizione al secondo riconoscimento e titolarità della responsabilità genitoriale, in Diritto di Famiglia e delle Persone (Il), fasc.1, 2016, pag. 360