La notificazione all'ente ed il conflitto d'interesse del legale rappresentante imputato nel procedimento

Fabrizio Sardella
14 Aprile 2021

Il processo all'ente ha sollevato, sin dall'introduzione della responsabilità amministrativa degli enti nel 2001, diversi dubbi e preoccupazioni, a partire dalle modalità di comunicazione degli atti processuali alla persona giuridica; sia con riguardo alla disciplina generale delle notificazioni, sia rispetto alla notificazione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari alla persona giuridica...
Premessa

Il processo all'ente ha sollevato, sin dall'introduzione della responsabilità amministrativa degli enti nel 2001, diversi dubbi e preoccupazioni, a partire dalle modalità di comunicazione degli atti processuali alla persona giuridica; sia con riguardo alla disciplina generale delle notificazioni, regolata dall'art. 43 del d.lgs. n. 231/2001, sia, più specificamente, rispetto alla notificazione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari alla persona giuridica.

Il mancato richiamo diretto dell'art. 415-bis c.p.p. all'interno del d.lgs. n. 231/2001 ha suscitato, infatti, preoccupazioni con riguardo all'effettivo presidio delle prerogative della persona giuridica soggetta ad un procedimento penale, nella fase immediatamente successiva alla conclusione delle indagini preliminari.

Eppure, il decreto stesso suggerisce chiaramente la parificazione tra l'esercizio del diritto di difesa per la persona fisica e per quella giuridica: suggerimento pienamente accolto dalla dottrina. Nondimeno, l'art. 416 c.p.p. prevede la nullità della richiesta di rinvio a giudizio che non sia preceduta dalla corretta notificazione dell'avviso ex art. 415-bis c.p.p.

Approcciandosi alla disciplina delle notifiche processuali nei confronti dell'ente, nell'ambito di un procedimento penale a suo carico per l'accertamento di una eventuale responsabilità da reato dello stesso, è fondamentale tenere ben presente un presupposto, immancabilmente radicato nei principi costituzionali che regolamentano il processo penale nella sua interezza: l'ordinamento riconosce alla difesa penale dell'ente le medesime facoltà ed i medesimi strumenti che sono conferiti alla difesa della persona fisica. Tale principio è incardinato, all'interno del d.lgs. n. 231/2001, negli artt. 34 e 35, che stabiliscono l'applicabilità all'ente delle norme previste dal codice di procedura penale, nonché delle disposizioni processuali relative all'imputato, in quanto compatibili.

È alla luce di questo importante assunto che bisogna guardare alle varie norme processuali, nell'ottica della loro applicazione in sede di procedimento penale a carico della persona giuridica. Ciò, evidentemente, anche laddove vengano in questione problematiche afferenti alla notificazione.

Inquadramento normativo

Vagliato il contenuto degli artt. 34 e 35 d.lgs. n. 231/2001, che attuano un'estensione generale alla normativa del codice di procedura penale al procedimento a carico dell'ente, occorre concentrare l'attenzione sulle altre disposizioni rilevanti.

In particolare, l'art. 43 d.lgs. n. 231/2001 prevede, con riguardo alle notificazioni all'ente, che per la prima notificazione si debbano osservare le disposizioni dell'art.154, comma 3, c.p.p., il quale rimanda alle modalità stabilite dal codice civile. Pertanto, le notificazioni alla persona giuridica vanno eseguite presso la sede, mediante consegna di copia dell'atto al rappresentante od alla persona incaricata di ricevere le notificazioni.

La controversa disposizione delineata al comma secondo dell'art. 43 stabilisce che la notifica possa essere utilmente eseguita tramite la consegna al legale rappresentante dell'ente, anche qualora quest'ultimo sia imputato nel medesimo procedimento. La questione sarà approfondita successivamente nel corso della presente analisi.

L'art. 43, comma 3, d.lgs. n. 231/2001 prevede che qualora l'ente abbia eletto domicilio nella propria dichiarazione di costituzione ex art. 39 o in altre comunicazioni all'autorità giudiziaria, le notificazioni dovranno avvenire ai sensi dell'art. 161 c.p.p., ossia presso il domicilio eletto.

Infine, il comma quarto prevede che, qualora non sia possibile eseguire la notificazione secondo le modalità sopra indicate, l'autorità dovrà disporre nuove ricerche e, qualora le stesse dovessero avere un esito negativo, il Giudice, su richiesta del Pubblico Ministero dovrà disporre la sospensione del procedimento.

L'approccio giurisprudenziale classico

La giurisprudenza ha mantenuto un orientamento costante rispetto alla problematica in analisi.

Una importante pronuncia di merito ha infatti essenzialmente cristallizzato il principio sopra descritto: il Tribunale di Torino, con la sentenza dell'11 giugno 2004, ha riconosciuto l'espressa volontà del legislatore di operare una vera e propria “parificazione tra l'imputato o la persona sottoposta ad indagini (giusta l'estensione operata dall'art. 61 c.p.p. all'indagato) e l'Ente”. Quale conseguenza della piena condivisione del sistema di garanzie processuali, la giurisprudenza deriva l'indefettibilità della notificazione dell'avviso ex 415-bis all'ente, pena l'emersione della nullità assoluta della richiesta di rinvio a giudizio di cui all'art. 416 c.p.p. o dell'invito a presentarsi per l'interrogatorio ai sensi dell'art. 375 c.p.p.

Non residua, quindi, alcun dubbio sul fatto che l'autorità giudiziaria debba necessariamente provvedere alla notificazione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari nei confronti dell'ente sottoposto a procedimento penale. La giurisprudenza si è trovata, tuttavia, dinnanzi ad una questione annosa da risolvere: la legittimità costituzionale dell'art. 43, comma 2, d.lgs. n. 231/2001.

Il Tribunale di Salerno, infatti, con ordinanza del 20 ottobre 2010, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale di tale disposizione, per violazione degli artt. 3, 24, 76, 111 e 117,comma 1, Cost.

Il vaglio di costituzionalità dell'art. 43, comma 2, d.lgs. n. 231/2001 e l'evoluzione giurisprudenziale

Le doglianze mosse dal Tribunale di Salerno nei confronti della legittimità costituzionale dell'art. 43, comma 2, trovano fondamento nella necessità di garantire la gestione separata delle posizioni processuali dell'ente, in quanto persona giuridica portatrice di una responsabilità propria ed autonoma (art. 8 d.lgs. n. 231/2001), e del suo rappresentante legale, ove quest'ultimo sia imputato nel medesimo procedimento penale. Il rischio, come evidenzia il Tribunale di Salerno, è naturalmente quello che l'eventuale conflitto di interesse possa tradursi nella mancata fruizione, da parte dell'ente, delle proprie prerogative processuali. Ciò potrebbe avvenire, ad esempio, qualora la notifica diretta all'ente dovesse pervenire nelle mani dello stesso imputato legale rappresentante, (potenzialmente portatore di un interesse contrapposto) il quale, con inerzia - anche - ispirata da mala fede, potrebbe compromettere la costituzione in giudizio dell'ente stesso, così privando di concreta efficacia la notifica dell'atto e purgando le prerogative difensive dell'ente. Il Tribunale rimettente ha infatti evidenziato che: “allorquando la notificazione all'ente, cui è attribuito l'illecito amministrativo, è eseguita a mani del legale rappresentante, che sia al contempo imputato nel procedimento per speculari fattispecie criminose penali a lui ascritte, l'inerzia della società è difficilmente valutabile come libera scelta della stessa, apparendo in tal caso arduo stabilire se la decisione della mancata costituzione in giudizio sia da ascriversi agli organi all'uopo deputati a siffatta valutazione o a un difetto di informazione da parte dell'imputato/legale rappresentante che ebbe a ricevere l'atto e che versa in conflitto di interessi alla stregua del disposto di cui all'art. 39, comma 1, d.lgs. n. 231/2001, il quale ricollega l'ipotesi eccettuativa in essa contemplata alla mera posizione di imputato”.

Tale riflessione trova valore nella previsione dell'art. 39, che profila una situazione di incompatibilità ex lege tra il ruolo di rappresentante processuale dell'ente che intenda costituirsi in giudizio, e la posizione di rappresentante legale che risulti imputato nel medesimo procedimento. In tali casi, infatti, è necessario che la società provveda ad individuare e nominare un rappresentate processuale ad hoc, proprio per evitare conflitti di interessi nella gestione dell'attività autodifensiva e della difesa tecnica dell'ente.

Il nucleo della questione risiede, quindi, nella necessità di garantire la conoscenza dell'avvenuta notifica in capo all'ente, preservando l'autonomia dell'ente da eventuali ingerenze da parte di terzi nella sua sfera privata, a maggior ragione se tali terzi siano potenzialmente controinteressati (Cass. pen., sez. VI, 28 ottobre 2009, n. 41398, ha inteso attribuire tale ratio all'art. 39).

Il Tribunale rimettente ha, quindi, evidenziato che il sistema di notificazione basato sul criterio della immedesimazione organica, prefigurata dall'art. 43, comma 2, d.lgs. n. 231/2001 sarebbe foriera di gravi violazioni del diritto dell'imputato a “difendersi conoscendo” come tutelato dagli artt. 3, 24 e 11 Cost., nonché art. 6 CEDU. Da cui la irragionevolezza e contrarietà di tale norma a detti principi costituzionali. L'ordinanza del Tribunale di Salerno ha altresì evidenziato profili di incompatibilità con l'art. 111 Cost., in relazione al diritto all'adeguata informazione riconosciuto in capo all'imputato. Parimenti inficiata sarebbe anche la parità delle parti e la regolarità del contradditorio. Ad avviso del rimettente, infatti, l'incompatibilità delineata dall'art. 39 d.lgs. n. 231/2001 sarebbe assoluta ed insanabile. La scelta del legislatore viene quindi tacciata di essere “di comodo”, orientata ad agevolare gli adempimenti relativi alla notifica secondo una “logica efficientistica”, sacrificando però in tal modo le garanzie processuali e l'effettiva produzione di effetti della notificazione, con conseguente compromissione del diritto di difesa.

Per quanto attiene, poi, all'ipotizzata violazione dell'art. 117 Cost., la negazione del diritto all'informazione ed alla conoscenza degli atti del procedimento, traduce immancabilmente in una violazione del giusto processo, anche considerando l'orientamento della Corte di Strasburgo, che in materia ha specificato che il “diritto a difendersi, conoscendo”, tempestivamente, deve tradursi, a cascata, in un “difendersi agendo”, personalmente e mediante l'assistenza di un difensore di fiducia.

Il giudice a quo ha anche suggerito, quale possibile soluzione alternativa, l'applicazione dell'art. 78, comma 2, c.p.c., norma che prevede la nomina di un curatore speciale in caso di conflitto di interesse in capo al legale rappresentante, con conseguente eliminazione della disposizione di cui all'art. 43, comma 2, d.lgs. n. 231/.

In conclusione, ha quindi richiesto la declaratoria di incostituzionalità dell'art. 43, comma 2, d.lgs. n. 231/2001.

La Corte Costituzionale ha risolto ogni dubbio con la sentenza di rigetto n. 249/2011: la Consulta, infatti, ha ritenuto inammissibile la questione sotto vari profili, di seguito meglio esposti.

Anzitutto, la Corte ha chiarito che il rimettente avrebbe preso le mosse da un presupposto del tutto errato: ad avviso della Consulta, infatti, i profili di incompatibilità del legale rappresentante di cui all'art. 39 d.lgs. n. 231/2001 non sarebbero passibili di automatica trasmissione alla disciplina della notificazione. Ciò in quanto si vengono a sovrapporre due situazioni diverse tra loro, quella inerente alla rappresentanza dell'ente in giudizio e quella relativa alla ricezione di atti processuali diretti all'ente, che devono essere, invece, trattate separatamente. Il meccanismo di cui all'art. 39 è sufficiente, di per sé, a garantire che l'ente eserciti autonomamente le proprie facoltà e strategie difensive. Parimenti, la ratio sottesa a tale incompatibilità non può essere rinvenuta nel contesto della notificazione. Evidenzia la Corte che la norma muove dal presupposto che il legale rappresentante, in virtù del rapporto di fedeltà che lo lega all'ente, porterà a conoscenza di ogni soggetto coinvolto le informazioni contenute nell'atto notificato. Sicché, la finalità conoscitiva “non è necessariamente pregiudicata dall'eventuale divaricazione degli interessi da far valere nel procedimento”, dovendosi circoscrivere una eventuale condotta infedele del rappresentante legale meramente a casi eccezionali e patologici.

In tali particolari situazioni, l'Autorità giudiziaria disporrebbe, in ogni caso, degli opportuni strumenti per ovviare al conflitto d'interesse eventualmente rilevato. Strumenti quali, ad esempio, la nomina di un curatore speciale ad hoc, previsto dall'articolo 78, comma 2, c.p.c., e che prevede la consegna diretta degli atti al curatore stesso.

La Consulta aggiunge una ulteriore riflessione, considerando che, in ogni caso, la sola rimozione del secondo comma dell'art. 43 d.lgs. n. 231/2001, in caso di ipotetico contrasto con la Costituzione, non si rivelerebbe sufficiente. Infatti, anche dall'applicazione del comma primo deriverebbe la regola secondo cui la notifica sarebbe da effettuarsi secondo i dettami dell'art. 145 c.p.c., ed avrebbe quale destinatario sempre il rappresentante legale in condizione di conflitto d'interesse con l'ente.

Facendo applicazione del principio promanante dalla sentenza n. 125/2009, l'applicazione di un erroneo presupposto interpretativo comporta di per sél'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale.

Di più, la Corte ha rilevato un ulteriore profilo di inammissibilità della questione, localizzato nella erronea individuazione della norma impugnata (come da principio espresso nella sentenza della Corte Costituzionale n. 325/2010).

Infatti, evidenzia la Consulta che i conflitti descritti dal giudice a quo afferirebbero non tanto alla notifica, quanto, piuttosto, al conflitto di interessi tra l'ente ed il rappresentante legale, tale da implicare che quest'ultimo non metta gli interessati in condizione di conoscere del procedimento a carico della persona giuridica. Secondo la ricostruzione offerta dal Tribunale, quindi, occorrerebbe predisporre un sistema tale da “anticipare normativamente l'incompatibilità prevista dal primo comma dell'art. 39 al momento della notificazione”; cosicché la regola che andrebbe modificata sarebbe quella che disciplina la rappresentanza e non quella sulla notifica, che di per sé costituisce una mera derivazione.

Il tema affrontato dalla Corte Costituzionale lungi dall'essere solo processuale: ha posto in rilievo un elemento intrinseco della responsabilità degli enti, ossia l'immedesimazione organica delle persone fisiche nell'ente. A ben vedere, infatti, il problema sollevato dal Tribunale di Salerno - e che, qua e là, ritorna nei Tribunali (Tribunale di Milano, n. 5963/2018) e sino alla Corte di Cassazione (Cass. pen., sez. II, 21 novembre 2018, n. 52470) - è proprio la difficoltà dell'ente di demarcare la distanza tra la propria responsabilità e quella delle persone fisiche che lo compongono, specie quanto ai suoi rappresentanti legali. La soluzione della Consulta, sostanzialmente ribadita in tutte le successive decisioni, contempera adeguatamente le esigenze in campo: da un lato la definizione di una responsabilità specifica e propria della societas, sin dalle prime notifiche processuali, e dall'altro la frequente identificazione dell'ente con il suo rappresentante legale in conflitto d'interessi.

In conclusione

Dalle considerazioni svolte possiamo trarre che la notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari al legale rappresentante dell'ente sia legittima e sufficiente a garantire l'effettiva difesa della società nel procedimento penale.

Sempre sul piano processuale questo significa che l'avviso giunto al Legale rappresentante raggiunge il duplice scopo di informare la persona fisica e, all'un tempo, quella giuridica del procedimento penale a loro carico. Per questa ragione, salvo volersi concentrare su tuziorismi privi di importanza sostanziale, non deve necessariamente essere “duplicato” l'avviso di conclusione delle indagini: una sola comunicazione raggiunge la duplice finalità, in virtù dell'immedesimazione organica posta alla base della responsabilità degli enti ex d.lgs. n. 231/2001.

Le riflessioni contenute nella pronuncia della Consulta e confermate nella giurisprudenza successiva, ancorché mosse da una sentenza dichiarativa dell'inammissibilità della questione posta, hanno fornito precise delucidazioni in merito alle ragioni sottese alla scelta di preservare la metodologia operativa adottata dal legislatore per l'effettuazione della notifica all'ente. In primo luogo, i casi di conflitto di interesse rappresentano delle anomalie rispetto al normale decorso del rapporto tra l'ente ed il proprio rappresentante legale, anche qualora quest'ultimo sia imputato nel procedimento. In secondo luogo, anche allorché si intendesse presumere la presenza di un conflitto di interesse in capo al rappresentante legale imputato, la soluzione consisterebbe in una illogica anticipazione della nomina di un curatore speciale ad hoc, quale “presupposto del procedimento di notificazione”, identificando un diverso destinatario ancor prima della presa coscienza dell'esistenza del procedimento in capo all'ente stesso.

La previsione di cui all'art. 43, comma 2, d.lgs. n. 231/2001 è, quindi, conforme alla costituzione e risolve adeguatamente il conflitto tra gli interessi in campo, come confermato dalle sentenze successiva in risposta alle frequenti eccezioni dei difensori delle persone giuridiche con riguardo alla notifica effettuata secondo le modalità ivi previste. La giurisprudenza di legittimità si attiene alla lettera della norma ed alla lettura della Corte Costituzionale, definendone la disciplina come “unica eccezione al divieto di rappresentanza” di cui all'art. 39 d.lgs. n. 231/2001.

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