Incostituzionale il divieto di prevalenza dell'attenuante del concorso anomalo sulla recidiva reiterata

Paolo Pittaro
19 Aprile 2021

È costituzionalmente illegittimo l'art. 69, comma 4, c.p., come sostituito dall'art. 3 l. n. 251/2005, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 116, comma 2, c.p. sulla recidiva di cui all'art. 99, comma 4, c.p...
La massima

È costituzionalmente illegittimo l'art. 69, comma 4, c.p., come sostituito dall'art. 3 l. n. 251/2005, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 116, comma 2, c.p. sulla recidiva di cui all'art. 99, comma 4, c.p.

Il caso

Due persone in concorso fra loro sottraevano dagli scaffali di un supermercato alcuni generi alimentari per un valore complessivo di euro 8,77. Una volta giunti alle casse, la prima delle due usava violenza contro la direttrice del negozio intervenuta per bloccarla all'uscita, spintonandola violentemente e strattonandola per un braccio e fuggendo all'esterno dell'esercizio commerciale, seguita dal compagno. Ambedue venivano, poi, bloccati dagli agenti della polizia di Stato che li trovava in possesso della merce appena sottratta ed intenti a consumarla.

Il fatto è assodato ed incontrovertibile, così come, in ipotesi, la sua qualificazione giuridica: trattasi di rapina c.d. impropria che, ai sensi dell'art. 628, comma 2, c.p. prevede la medesima pena del primo comma (reclusione da quattro a dieci anni e la multa da 827 a 2500 euro) per chi “adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l'impunità”.

Questa fattispecie, tuttavia, è riferibile solo rispetto all'autrice materiale della violenza, mentre il quadro giuridico del correo si presenta più complesso.

Il quadro giuridico

Secondo i giudici di merito, nei confronti del predetto compagno deve applicarsi l'art. 116 c.p., in forza del quale, nell'ipotesi di un reato diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, anche questi ne risponde, se l'evento è conseguenza della sua azione od omissione. Tuttavia, ai sensi del secondo comma, se il reato commesso è più grave di quello voluto, la pena è diminuita riguardo a chi volle il reato meno grave: ed è il caso dell'imputato in discorso, cui sarebbe applicabile siffatta circostanza attenuante ad effetto generico (diminuzione fino ad un terzo, ex art. 65 c.p.).

Peraltro, dai certificati penali risultavano i molteplici precedenti dello stesso, per cui gli veniva contestata e doveva applicarsi in concreto la recidiva reiterata (specifica, infraquinquennale e dopo l'esecuzione della pena), di cui all'art. 99, comma 4, c.p., tenuto conto dell'inefficacia dissuasiva delle varie condanne e come la presente, ulteriore ricaduta nel reato fosse effettivo sintomo di una sua maggiore pericolosità e colpevolezza.

Tuttavia, l'art. 69, comma 4, c.p. prevede il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti in determinati casi, fra i quali proprio quello previsto dall'art. 99, comma 4, c.p.: come dire che l'attenuante del concorso c.d. atipico (art. 116, comma 2, c.p.) non può ritenersi prevalente sulla aggravante della recidiva reiterata (art. 99, comma 4, c.p.).

L'eccezione di illegittimità costituzionale

Il Tribunale di Firenze ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, comma 3, Cost., questione di illegittimità costituzionale, dell'art. 69, comma 4. c.p., nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 116, comma 2, c.p. sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all'art. 99, comma 4, c.p. La violazione dell'art. 3 Cost. sarebbe dovuta ad una manifesta irragionevolezza, in quanto, impedendo l'applicazione dell'attenuante, finirebbe per imporre al concorrente anomalo il trattamento sanzionatorio per il reato più grave da lui non voluto. Inoltre, la percezione di una pena sproporzionata intesa come ingiusta da parte del condannato vanificherebbe la funzione rieducativa di cui all'art. 27, comma 3, Cost.

Inoltre, la medesima questione in illegittimità costituzionale viene sollevata sempre in relazione a tale divieto di prevalenza in riferimento alla sussistenza di altre circostanze attenuanti, come quella relativa al danno patrimoniale di modesta entità (art. 62, n. 4, c.p.) e le circostanze attenuanti generiche (art. 62-bis c.p.). In tal caso, la pena applicabile in presenza o in assenza di tale divieto porrebbe una irragionevole divaricazione in contrasto con l'art. 3 Cost., finendo, peraltro, con l'incidenza della recidiva, ad attribuire un peso eccessivo al passato giudiziale della persona rispetto alla gravità del fatto commesso, in violazione dell'art. 25, comma 2, Cost., ed impedendo, mediante l'applicazione delle circostanze attenuanti, l'adeguazione al caso di specie, nella finalità del principio rieducativo previsto dall'art. 27, comma 3, Cost.

Il concorso “anomalo” e l'attenuante di cui all'art. 116 c.p.

Il c.d. concorso anomalo è disciplinato dall'art. 116 c.p., in forza del quale “qualora il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, anche questi ne risponde, se l'evento è conseguenza della sua azione od omissione”, per quanto, ai sensi del capoverso, “se il reato commesso è più grave di quello voluto, la pena è diminuita riguardo a chi volle il reato meno grave”.

Nella diffusa consapevolezza che la disposizione prevedesse un'ipotesi di responsabilità oggettiva in aperto contrasto con la personalità della responsabilità penale di cui all'art. 27, comma 1, Cost., la Consulta è intervenuta con la nota sentenza interpretativa di rigetto (Corte Cost., 31 maggio 1965, n. 42) la quale, richiamandosi anche alla Relazione sul testo definitivo del codice Rocco (pag. 71), ove si avvertiva che "chi coopera ad un'attività criminosa può e deve rappresentarsi la possibilità che il socio commetta un reato diverso da quello voluto", veniva ad affermare che la responsabilità ex art. 116 c.p., esige la sussistenza non soltanto del rapporto di causalità materiale, ma anche di un rapporto di causalità psichica, concepito nel senso che il reato diverso o più grave commesso dal concorrente debba poter rappresentarsi alla psiche dell'agente, nell'ordinario svolgersi e concatenarsi dei fatti umani, come uno sviluppo logicamente prevedibile di quello voluto, affermandosi in tal modo la necessaria presenza anche di un coefficiente di colpevolezza, in piena adesione al dettato costituzionale.

Tuttavia, la Corte concludeva affermando la opportunità di un intervento del legislatore, al fine di stabilire se la norma in questione dovesse rimanere nel nostro ordinamento e, in caso positivo, fissarne il fondamento e i limiti, con una logica coordinazione della norma stessa con tutto il sistema e con norme analoghe, ed in particolare con quella dell'art. 83 c.p.

Ed è superfluo rimarcare che tale auspicio della Corte è rimasto tale nella perdurante inerzia legislativa (cfr., fra gli altri, MACCHIA, Concorso anomalo: un tentativo (azzardato?) di ricostruzione della responsabilità per il fatto diverso da quello voluto, in Cass. pen., 2017, p. 492 s.).

Se, dunque, alla stregua di tale pronuncia doveva distinguersi se il reato diverso da quello voluto era prevedibile secondo l'ordinario svolgersi degli umani eventi, per quanto rileva nel caso che ci occupa, appare opportuno segnalare due approfondimenti da parte della dottrina e della giurisprudenza.

Innanzi tutto, la previsione dell'evento non doveva accompagnarsi con l'accettazione del rischio dello stesso, ricadendo nella fattispecie del dolo eventuale. In altri termini, la responsabilità del compartecipe per il fatto più grave rispetto a quello concordato, materialmente commesso da altro concorrente, integra il concorso ordinario ex art. 110 c.p. se il compartecipe ha previsto ed accettato il rischio di commissione del reato diverso e più grave, mentre configura il concorso anomalo ex art. 116 c.p., nel caso in cui l'agente, pur non avendo previsto il fatto più grave, avrebbe potuto rappresentarselo come sviluppo logicamente prevedibile dell'azione convenuta facendo uso, in relazione a tutte le circostanze del fatto concreto, della dovuta diligenza (Cass. pen., sez. V, 27 settembre 2019, n. 4; Cass. pen., sez. IV, 18 ottobre 2018, n. 49897; Cass. pen., sez. II, 23 settembre 2016, n. 48258). Due, pertanto, i limiti negativi del concorso anomalo: che l'evento diverso non sia voluto neppure sotto il profilo del dolo alternativo od eventuale e che l'evento più grave, concretamente realizzato, non sia conseguenza di fattori eccezionali, sopravvenuti, meramente occasionali e non ricollegabili eziologicamente alla condotta criminosa di base (Cass. pen.,sez. I, 11 settembre 2018, n. 44579).

Ed è questo il caso in esame ove il Tribunale ha ritenuto che deve escludersi il concorso ai sensi dell'art. 110 c.p., in quanto il correo non aveva previsto ed accettato l'esito diverso del delitto di furto, neanche sotto le specie del dolo eventuale.

In secondo luogo, deve notarsi che la prevedibilità dell'evento diverso alla stregua dello svolgersi degli umani accadimenti, quale sancita dalla Consulta, deve ritenersi oramai (BASILE E., Condotta atipica e imputazione plurisoggettiva: alla ricerca del coefficiente di colpevolezza del concorrente "anomalo", in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, p. 1336 ss.) come una prevedibilità in concreto (Cass. pen., sez. V, 18 novembre 2020, n. 306; Cass. pen., sez. I, 28 febbraio 2014, n. 9770, in Dir. pen. cont., 2014, n. 3-4, p. 409 ss., con nota di BASILE F., Il concorso c.d. anomalo di persone: una nuova apertura giurisprudenziale al criterio della prevedibilità in concreto), superando alcuni iniziali arresti che si limitavano a supporre una prevedibilità in astratto (Cass. pen.,sez. I, 15 novembre 2011, n.4330; più risalenti, per tutte: Cass. pen., sez. I, 18 maggio 1994).

Peraltro, proprio in riferimento al caso in ispecie, la Suprema Corte ha costantemente affermato che, in tema di concorso anomalo, costituisce sviluppo logicamente prevedibile del programmato delitto di furto l'uso di violenza o minaccia nei confronti della parte lesa o del terzo intervenuto dopo la sottrazione della cosa, che fa progredire l'azione criminosa in rapina impropria, ascrivibile al compartecipe che non ha partecipato all'esecuzione materiale della violenza o minaccia (Cass. pen., sez. II, 3 ottobre 2018, n. 49443; Cass. pen., sez. II, 4 novembre 2016, n. 52811; Cass. pen., sez. II, 6 ottobre 2016, n. 45446; Cass. pen., sez. VI, 15 dicembre 2015, n. 15958).

Il divieto di prevalenza delle attenuanti sulla recidiva reiterata

Sia l'art. 99 c.p., disciplinante la recidiva, sia l'art. 69 c.p. in tema di concorso di circostanze eterogenee sono state modificate dapprima nel corso della stagione, per così dire, “liberale” del legislatore penale nei primi anni '70 e, successivamente, da un inasprimento della politica criminale dello stesso.

Così, la recidiva, dalla visione iniziale del Codice Rocco, è divenuta facoltativa e non più obbligatoria (art. 9 dl. n. 99/1974, convertito nella l. n. 220/1974), mentre l'art. 4 della l. n. 251/2005 (c.d. ex Cirielli), recante “Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione”, ne ha elevato di molto le pene, stabilendo poi, al quarto comma, per la recidiva reiterata (che qui ci occupa), ossia se il già recidivo commette un altro delitto non colposo, un aumento della metà nell'ipotesi del primo comma (recidiva semplice) e dei due terzi nell'ipotesi del secondo comma (recidiva aggravata).

Da suo canto, l'art. 69, che nella modifica alla più rigida disciplina originaria del 1930, introdotta dall'art. 6 del citato dl. n. 99/1974, prevedeva, nel quarto comma, che il giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui ai commi precedenti si applica anche alle circostanze inerenti alla persona del colpevole ed a qualsiasi altra circostanza per la quale la legge stabilisca una pena di specie diversa o determini la misura della pena in modo indipendente da quella originaria del reato, successivamente l'art. 3 l. n. 354/1975 ha ulteriormente innovato la disposizione affermando che la suddetta inclusione delle circostanze inerenti alla persona del colpevole va esclusa nei casi previsti proprio dall'art. 99, quarto comma, c.p. nonché dagli artt. 11 e 112, comma 1, n. 4, c.p. per cui vi è divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti.

La continua “erosione” del divieto da parte della corte costituzionale

A fronte di questo privilegio ovvero, per usare un termine oramai usuale, di “blindatura” dell'aggravante della recidiva reiterata rispetto a qualsiasi attenuante, da quasi un decennio la Corte costituzionale ne ha via via effettuato una lenta, ma costante erosione, mediante una serie di sentenze di illegittimità parziale.

Invero, il giudice delle leggi ha riconosciuto che tale deroga all'ordinaria previsione del bilanciamento rientra sì nella discrezionalità del legislatore, ma a patto che, nelle singole normative, l'esclusione della prevalenza della circostanza attenuante ivi prevista non sia irragionevole e venendo, quindi, a violare il principio della proporzionalità della pena nonché, di conseguenza, pure quello di uguaglianza e di rieducatività: tutti costituzionalmente rilevanti.

Inizialmente, il riferimento di partenza era il principio di offensività, per cui la esclusione della sua minor lesione, determinata dalla prevista attenuante, conduceva all'applicazione la pena base della fattispecie, eccessivamente ed irragionevolmente sproporzionata. Così, la Corte, con la sentenza 15 novembre 2012, n. 251 (in Giur. cost., 2012, p. 4043, con nota di BERNASCONI, Giudizio di bilanciamento, circostanze cd. privilegiate e principio di proporzione: il caso della recidiva reiterata), ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 69, comma 4, c.p. nella parte in cui sanciva il divieto di prevalenza della circostanza attenuante dell'allora quinto comma (poi trasformato in una fattispecie autonoma dal dl. n. 146/2013, convertito nella l. n. 10/2014) dell'art. 73 d.P.R. n. 309/1990 (T.U. stupefacenti).

Similmente, nella medesima impostazione, le due sentenze 18 aprile 2014, n. 105 e n. 106 C. Cost. (in Giur. cost., 2014, p. 1858, con nota di BERNASCONI, L'ennesimo colpo inferto dalla Corte costituzionale alle scelte legislative in tema di comparazione delle circostanze), in riferimento, rispettivamente, all'attenuante del fatto di particolare tenuità nella ricettazione (art. 648, comma 2, c.p.) ed alla minore gravità nei reati sessuali (art. 609-quater, comma 4, c.p.).

Successivamente, la Consulta, con la sentenza 7 aprile 2016, n. 74 (in Giur. cost., 2016, p. 673, con nota di MASSARO, Recidiva reiterata e giudizio di bilanciamento: un rapporto ancora “privilegiato”?), sanciva la medesima illegittimità in riferimento all'attenuante di cui al comma 7 del cennato d.P.R. n. 309/1990, che prevedeva una diminuzione di pena per la collaborazione post delictum, valutando irragionevole che siffatta premialità, introdotta proprio stimolare la collaborazione ed il ravvedimento del reo nel complesso contesto della prevenzione e repressione in materia di stupefacenti, venisse vanificata dal pregresso comportamento del reo, di cui alla recidiva reiterata.

Ed ancora, con la sentenza 17 luglio 2017, n. 205 (in Giur. cost., 2017, p. 1789, con nota di PULITANÒ, Bilanciamento di circostanze. Problemi di legittimità costituzionale), è addivenuta alla medesima pronuncia di illegittimità in riferimento al danno patrimoniale di speciale tenuità nei delitti di bancarotta e ricorso abusivo al credito, di cui all'art. 219, comma 3, del r.d. n. 267/1942.

Fin qui, dunque, lo scrutinio insisteva su un profilo, per così dire, oggettivo, in riferimento al principio di offensività ed alla razionalità delle scelte legislative. Da ultimo, la Corte ha ampliato il piano di lettura anche dal profilo soggettivo. Con la sentenza 7 aprile 2020, n. 73 (in Riv. it. dir. proc. pen. 2020, p. 1975, con nota di PECCIOLI, La progressiva erosione della blindatura della recidiva reiterata alla luce del principio di colpevolezza: il caso del vizio di mente), ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 69, comma 4, c.p., nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 89 c.p. sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all'art. 99, comma 4, c.p.

In tale pronuncia la Consulta ha vagliato la circostanza attenuante del vizio parziale di mente non come espressione di una minore offensività del fatto rispetto agli interessi protetti dalla norma penale, né di una finalità premiale rispetto a condotte post delictum, quanto piuttosto della ridotta rimproverabilità soggettiva dell'autore, che deriva dal suo minore grado di discernimento circa il disvalore della propria condotta e dalla sua minore capacità di controllo dei propri impulsi, in ragione delle patologie o disturbi che lo affliggono.

Ne consegue che il principio di proporzionalità della pena rispetto alla gravità del reato, come costantemente affermato nelle precedenti pronunce, esige che la pena sia adeguatamente calibrata non solo al concreto contenuto di offensività del fatto di reato per gli interessi protetti, ma anche al disvalore soggettivo espresso dal fatto medesimo. E il quantum di disvalore soggettivo dipende in maniera determinante non solo dal contenuto della volontà criminosa (dolosa o colposa) e dal grado del dolo o della colpa, ma anche dalla eventuale presenza di fattori che hanno influito sul processo motivazionale dell'autore, rendendolo più o meno rimproverabile: una netta svolta che viene ad investire il profilo della colpevolezza.

L'attuale pronuncia

Con la sentenza in commento la Corte costituzionale proclama la illegittimità costituzionale dell'art. 69, comma 4, c.p. nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza di un'ulteriore circostanza attenuante sulla recidiva di cui all'art. 99, comma 4, c.p., ove l'attenuante ora è quella stabilita dall'art. 116, comma 2, c.p.

In effetti, ponendo mente al dispositivo, sembrerebbe che la Corte abbia proseguito nel trend delineato nelle precedenti pronunce, lamentando la necessaria proporzionalità della pena, nonché la rimproverabilità del soggetto e, in definitiva, la violazione del principio di uguaglianza e della funzione rieducativa della pena (artt. 3 e 27, comma 3, Cost.). Tutto vero. Ma tale conclusione discende dal nucleo della questione, che è rappresentata dall'essenza stessa dell'art. 116 c.p., come interpretato dalla Corte stessa nella risalente sentenza n. 42/1965, cui supra si era fatto cenno.

Se, pertanto, al fine di evitare una ipotesi di responsabilità oggettiva, cui la mera dizione letterale nella norma poteva condurre, con la suddetta decisione la Corte aveva affermato che l'evento diverso da quello voluto deve comunque essere in concreto prevedibile, e quindi ascrivibile a colpa, tuttavia il trattamento sanzionatorio è quello del reato doloso, tale essendo la prescrizione del primo comma dell'art. 116 c.p.: ossia lo stesso trattamento previsto per il correo che aveva commesso e voluto tale reato “diverso”.

Una parificazione certamente irrazionale ed inaccettabile, solo che si pensi alla fattispecie, per certi versi similare, di cui all'art. 83 c.p., che, disciplinando l'evento diverso da quello voluto dall'agente (la c.d. aberratio delicti), ne prevede la punibilità a titolo di colpa, sempre che il fatto sia preveduto dalla legge come delitto colposo. E proprio per evitare tale parificazione soccorre il capoverso dell'art. 116, che prevede la circostanza attenuante per il correo che non aveva voluto, ancorché previsto, l'evento più grave commesso dal concorrente.

Seguendo, pertanto, l'analisi dell'art. 116 c.p., secondo l'interpretazione effettuata dalla Consulta con la sentenza n. 42/1965, il secondo comma della predetta disposizione permette di “salvarne” la legittimità costituzionale in linea con responsabilità penale personale di cui all'art. 27, primo comma, Cost.

In altri termini, per usare un linguaggio più concreto, la presenza dell'attenuante di cui al secondo comma funge da “puntello” per la legittimità costituzionale dell'intera disposizione, che crollerebbe ove essa non potesse applicarsi, come nel caso in esame, a fronte della “blindatura” della aggravante della recidiva reiterata secondo quanto disposto dall'art. 69, comma 4, c.p.

La Corte, ben conscia che il secondo comma dell'art. 116 c.p. “concorre la sorreggere la tenuta di questa eccezionale fattispecie di responsabilità penale”, ritiene che il divieto di prevalenza della diminuente in questione frustra, irragionevolmente, gli effetti che questa mira ad attuare, compromettendone la necessaria funzione di equilibrio sanzionatorio, con la conseguenza che il divieto inderogabile di prevalenza dell'attenuante in esame non risulta compatibile con il principio costituzionale di determinazione di una pena proporzionata. Peraltro, tale sproporzione della pena determina un trattamento sanzionatorio che impedisce alla stessa di esplicare la propria funzione rieducativa prevista dalla Costituzione.

Inoltre, il contrasto dell'art. 69, comma 4, c.p. con l'art. 3 Cost. viene in rilievo sotto il profilo della violazione del principio di uguaglianza, in quanto il divieto censurato viene a vanificare la funzione della diminuente del secondo comma dell'art. 116 c.p., che tende a sanzionare in modo diverso situazione profondamente distinte sul piano dell'elemento soggettivo: quella del correo che pone in essere, volendo, il reato diverso e più grave di quello di chi vuole il reato meno grave senza prevedere, colpevolmente, che questo possa degenerare nel fatto più grave.

Pertanto, la Corte conclude dichiarando l'illegittimità costituzionale dell'art. 69, comma 4, c.p., come sostituito dall'art. 3 l. n. 251/2005 nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 116, comma 2, c.p. sulla recidiva di cui all'art. 99, comma 4, c.p., puntualizzando anche che da tale dichiarazione consegue l'assorbimento di ogni altra questione sollevata in via subordinata.

In conclusione

La Corte, relazionando ampiamente nella parte motiva sulle sue precedenti pronunce in riferimento sia all'art. 116 c.p. sia all'art. 69, comma 4, c.p., difficilmente avrebbe potuto addivenire ad una diversa soluzione.

Il punto non sta solo nella continua “erosione” della portata dell'ultima disposizione e, quindi, ponendo all'interprete un (fondato) dubbio sulla sua necessità dal profilo della politica criminale nel quadro dei princìpi costituzionali, ma soprattutto nella instabile sopravvivenza dell'art. 116 c.p., il quale, a detta della stessa Corte nella risalente sentenza di oltre mezzo secolo fa (la prefata n. 42/1965), avrebbe dovuto essere totalmente riconsiderato dal legislatore, assieme all'art. 83 c.p., vagliando le questioni a esso sottese, nel contesto del sistema penale: un richiamo caduto nel vuoto.

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