Tabelle di Milano 2021 e spunti di riflessioni medico legali

04 Maggio 2021

La recente pubblicazione dell'aggiornamento delle Tabelle di Milano da parte dall'Osservatorio sulla Giustizia Civile dà spunto per alcune riflessioni in ambito medico legale. Due sono gli argomenti che vengono proposti, ovvero, il quesito medico legale e i criteri orientativi per la divulgazione del danno da mancato, carente consenso informato in ambito sanitario.
Il Quesito medico legale

La recente pubblicazione dell'aggiornamento delle Tabelle di Milano da parte dall'Osservatorio sulla Giustizia Civile dà spunto per alcune riflessioni in ambito medico legale.

Due sono gli argomenti che vengono proposti, ovvero, il Quesito medico legale e i Criteri orientativi per la divulgazione del danno da mancato, carente consenso informato in ambito sanitario.

Non entriamo nel merito di questo secondo punto in quanto dà ampio spazio di discussione il primo ed essendo stato questo tema più volte oggetto di dibattito e di confronto all'interno del mondo medico legale.

Per altro, già nel 2013 l'Osservatorio aveva presentato un'articolata proposta di quesito medico legale nella quale si prospettava la necessità di valorizzare quegli aspetti relativi alla personalizzazione del danno e si richiamava l'attenzione sulle condizioni soggettive del leso.

In pratica alle domande base di qualsiasi quesito rivolto al CTU - percentualizzazione del danno biologico permanente e temporaneo, congruità delle spese mediche e riduzione della capacità lavorativa presente e futura - si chiedeva al Consulente d'Ufficio un ulteriore sforzo descrittivo al fine di portare alla conoscenza del giudice quelle circostanze che non rientrino in condizioni cosiddette standardizzate, per giungere alla liquidazione personalizzata del danno nei limiti fissati dalla tabella milanese o da quella di legge.

Avere di nuovo focalizzato l'attenzione sul tema del quesito dimostra il notevole sforzo compiuto dal gruppo di studio milanese nella ricerca quasi puntigliosa di una precisa e attenta valutazione di tutti gli aspetti di rilevanza medico legale sul singolo caso; ma, l'impressione è che il risultato finale vada molto oltre quello che è il quadro attuale nello svolgimento delle consulenze tecniche d'ufficio, con il rischio che molte domande inserite appaiano oggi più un esercizio psico-sociologico di scarsa utilità ai fini processuali probatori e non di competenza medico legale.

Richiamiamo le voci che maggiormente destano perplessità:

  • Capacità del soggetto di percepire gli effetti della malattia e della menomazione sul fare quotidiano
  • Quale sia il grado di sofferenza fisica costituito dall'eventuale dolore nocicettivo specificando la terapia antidolorifica
  • Se la menomazione risulti evidente, occasionalmente costantemente all'osservazione di persone terze
  • …alla luce dei predetti accertamenti (ove sia stato richiesto dalla parte il risarcimento del danno da sofferenza soggettiva interiore), dica in quale dei seguenti parametri possa essere valutata la cosiddetta sofferenza menomazione correlata…".

Non vogliamo sottacere l'importanza di questo tentativo di valorizzazione del ruolo del Ctu e la volontà di fornirgli una guida molto articolata che lo porti a non limitare la sua funzione alla visita e alla mera quantificazione in termini numerici sia del danno temporaneo che permanente e delle altre voci usuali, e che lo spinge ad entrare nel merito di tutto quello che è stato il decorso della malattia derivante dall'evento lesivo.

Comprendiamo lo sforzo degli autori per arrivare a personalizzare il danno sulla base delle specificità allegate e provate anche in via presuntiva e di quantificare il danno non patrimoniale conseguenza delle lesioni in termini di sofferenza soggettiva e, pur essendo condivisibile il passaggio dal termine generico di danno morale al nuovo sintagma di danno da sofferenza soggettiva interiore, nella sostanza si tratta pur sempre di sofferenza psichica, caratterizzata da soggettività quale dolore, ansia, disagio, patemi d'animo, difficilmente quantificabili e ancor più rappresentati dallo storico e sempre valido termine latino di pretium doloris.

In pratica, come già insegnava un autorevole maestro della medicina legale milanese, il Prof. Franco Mangili, il medico legale non ha pazienti, a significare con questo che il rapporto che intercorre tra questo e il periziando è del tutto differente da quello che si realizza tra il medico clinico e il paziente. Questo concetto per sottolineare come nel secondo caso il paziente è collaborativo con il medico, avendo tutto l'interesse a fornirgli gli elementi per formulare una corretta diagnosi, mentre nella nostra realtà, essendo il rapporto medico-periziando condizionato da interessi economici, come ci insegna la pratica, non sempre il danneggiato risulta sincero nell'esposizione dei fatti, e sta alla competenza e professionalità del medico legale interpretare correttamente la situazione.

Partendo dall'assunto che nulla è più soggettivo del dolore, della sofferenza interiore e di tanti altri aspetti di tipo psicologico e non fisico, diventa difficile comprendere come si possa giungere, sulla base di questi dati, con la cultura medico legale media a un risultato basato su elementi obiettivi e verificabili.

Un secondo elemento su cui vogliamo focalizzare la nostra riflessione è quello che riguarda il consolidamento della proposta di una scala di valori della sofferenza da 1 a 5 (assente/lievissima, lieve, media, elevata, elevatissima); consolidamento perchègià entrata da tempo nell'uso corrente in alcuni tribunali italiani. Tale inserimento è assolutamente da condividere in quanto, a differenza delle ragionevoli critiche su esposte, sulle altre voci di quesito in questo caso si fa riferimento ad una scelta consolidata nell'esperienza di altri paesi e si tratta di una realtà facilmente verificabile dal giudice.

Com'è noto questo concetto è di derivazione dalla scuola medico legale francese, che propone sette livelli di gradi di sofferenza, sulla base di elementi oggettivi quali la durata dei giorni di ricovero, i trattamenti farmacologici antalgici effettuati, la durata della fisioterapia, l'uso di sostanze antidepressive ecc.

La nostra perplessità è che questa indicazione, così come inserita all'interno del quesito medico legale, senza istruzioni precise per l'ausiliario del giudice, si riduca, come mi è capitato di osservare nella lettura di consulenze di ufficio, alla banale indicazione del dato: lievissima, lieve…, senza nessuna ulteriori informazioni di come si sia giunti a tale valutazione.

Cercando una risposta a questi elementi di dubbio, dobbiamo rilevare che il quesito medico legale proposto è solo uno strumento che nelle mani di periti non qualificati rischia di non dare i risultati sperati e diventa evidente che ci si debba porre il problema della qualità della consulenza nel suo insieme partendo dalla tenuta negli Albi dei Tribunali e della scelta dei consulenti non basata su criteri meritocratici e sulla comprovata esperienza professionale.

La questione è particolarmente delicata ed è stata ripetutamente oggetto di interventi e discussioni anche nella Melchiorre Gioia; ricordo in particolare che nel maggio e nell'ottobre del 2013 furono dedicati due convegni al tema dal titolo “Processus et Peritus”, partendo dagli Albi dei periti e dalla consulenza d'ufficio nel suo insieme e al termine dell'ultima sessione fu proposto, dopo una Consensus Conference, anche un modello di quesito.

In seguito, nel corso di un'Audizione presso la 12ª Commissione Igiene e Sanità del Senato il 22 marzo 2016, avemmo l'occasione di focalizzare l'attenzione su questo tema e ponemmo al primo punto la necessità di avere un Albo Nazionale dei Periti tenuto dal Ministero della Giustizia,che superasse l'attuale struttura, fatta da Albi di Tribunale ormai non più rispondenti alle esigenze delle conoscenze scientifiche. Un Albo che travalichi l'ambito provinciale e sia fondato su criteri meritocratici.

L'Albo Nazionale dovrebbe partire da una domanda fatta con la presentazione di un curriculum vitae con titoli di studio, esperienze, competenze acquisite ecc. e, non ultimo, allegando il casellario giudiziario; un inserimento nell'Albo da effettuare non prima di 5 anni dal conseguimento della specializzazione, quindi dopo l'acquisizione di esperienze pratiche, ed infine un effettivo aggiornamento quinquennale della tenuta dell'Albo.

Da aggiungere il fatto che l'Albo deve comprendere non solo gli specialisti in medicina legale, ma anche quelli delle specialità cliniche, essendo ormai la quantificazione del danno, non solo in ambito di responsabilità sanitaria, ma anche in quello dei macrodanni, competenza multidisciplinare; infine, una suddivisione dell'Albo tra periti in ambito penale, da differenziare da quelli competenti in responsabilità civile, anche a conferma del superamento della figura onnisciente di medico legale, e a riconoscimento della realtà ormai esistente di fatto della differenza culturale e professionale tra chi ha competenze da patologo forense e chi si occupa di risarcimento del danno alla persona.

Una riflessione merita la gestione dei macrodanni, anche alla luce della recente riproposizione la parte del Mise della pubblicazione delle Tabelle di legge dal 10% al 100% di invalidità, con l'auspicio che, nonostante l'imprevisto fermo, l'annoso iter di questa vicenda giunga a termine definitivo, avvertendo sia il mondo giuridico che quello medico ed assicurativo la necessità di una tabella unitaria.

Bisogna riconoscere che da parte assicurativa negli ultimi anni è stato fatto un importante passo avanti nella nuova concezione dell'impegno sociale delle Compagnie di Assicurazione e quindi del maggior impegno in ambito previdenziale ed assistenziale. Ciò si è tradotto in una particolare attenzione alla gestione dei macrodanni con la progressiva consapevolezza di non limitare il proprio ruolo alla liquidazione del danno ma di estenderlo alla più gravosa presa in carico del danneggiato.

Questo apre nuovi scenari sia per il mondo giuridico, chiamato a considerare oltre alla liquidazione in capitale anche la possibilità di instaurare una rendita in capo al macroleso, sia per i medici legali, che possono vedere diversamente valorizzata la loro professionalità con competenze che superano l'attuale limite della mera quantificazione percentuale del danno.

Un medico legale esperto in grado di rinnovare ed estendere il proprio ruolo all'oneroso iter successivo alla guarigione del macroleso, che richiede capacità di relazionarsi con altri specialisti, dal fisiatra allo psichiatra, dallo psicologo allo specialista clinico, con tutto quel mondo assistenziale fatto di nuove problematiche, come il reinserimento nel mondo del lavoro, l'assistenza psicologica alle famiglie, con lo sviluppo di nuove tecnologie come la telemedicina, le protesi bioniche ecc., darebbero nuovo vigore ed un futuro più certo e qualificato alla nostra disciplina.

Una figura professionale così rinnovata e qualificata molto probabilmente sarebbe più in grado di essere allineata e funzionale alle richieste di una magistratura che, come mostra il dibattito in corso, chiede maggiore professionalità, con più competenze nello svolgimento delle perizie d'ufficio.

Al di là delle osservazioni sollevate, non possiamo che ribadire un giudizio positivo sul lavoro dell'Osservatorio di Milano, che se non perfetto è comunque perfettibile. In esso si rileva lo sforzo di superare la disparità in termini di giustizia prodotta da sentenze che si rifanno a parametri di risarcimento non univoci e a percorsi per l'accertamento della verità non uniformi. Tutto ciò deve essere uno stimolo per i medici legali per una riflessione approfondita sul proprio ruolo, dovendosi dolere questi ultimi che tematiche proprie della disciplina non siano nate da un dibattito interno, in quanto il quesito medico legale rappresenta solo uno strumento della più ampia problematica relativa alla figura del Consulente d'ufficio dalla quale non si può prescindere.

Conclusioni

In conclusione, il quesito proposto, a nostro parere, appare particolarmente complesso e oggi lontano dalla cultura e dalla prassi medico legale media e rischia di essere percepito come una sorta di delega al medico legale, che dovrebbe allargare la sua usuale attività per sconfinare in aree non di sua competenza e formazione, ma più confacenti alla psicologia e alla sociologia, per fornire elementi al magistrato per l'accertamento della verità processuale.

Inoltre, la CTU non essendo nel processo civile un mezzo di prova ma un mero mezzo istruttorio, che non è nella disponibilità delle parti, vi è il rischio concreto che molte delle domande inserite appaiano nel presente contesto inutili e irrilevanti ai fini processuali probatori.

Infine, non si può non riconoscere il merito all'Osservatorio di aver richiamato l'attenzione su un tema di assoluta attualità per i medici legali, che non devono farsi sfuggire l'occasione per aprire al loro interno un dibattito sul futuro professionale in cui discutere, anche e solo, della figura del consulente tecnico di ufficio che potrebbe essere l'occasione per iniziare un percorso che porti a ridefinire il ruolo e le prospettive della medicina legale italiana nel suo complesso.

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