Il Consiglio di Stato smentisce il TAR Lazio sulla possibilità di costituire una start-up innovativa anche senza atto pubblico

13 Maggio 2021

Il DM 17 febbraio 2016, recante “modalità di redazione degli atti costitutivi di società a responsabilità limitata startup innovative”, prevedendo, all'art. 1, comma 2, che “l'atto costitutivo e lo statuto, ove disgiunto, sono redatti in modalità esclusivamente informatica" esclude, illegittimamente l'altra delle due modalità alternative che il legislatore aveva previsto per la costituzione...
Massima

Il Decreto Ministeriale del 17 febbraio 2016, recante “modalità di redazione degli atti costitutivi di società a responsabilità limitata startup innovative”, prevedendo, all'art. 1, comma 2, che “l'atto costitutivo e lo statuto, ove disgiunto, sono redatti in modalità esclusivamente informatica e portano l'impronta digitale di ciascuno dei sottoscrittori apposta a norma dell'art. 24 del CAD”, prevedendo quale unica possibilità di redazione dell'atto costitutivo e dello statuto quella “esclusivamente informatica”, esclude, illegittimamente, in quanto in palese contrasto con l'art. 4, comma 10-bis D.L. 24 gennaio 2015,n. 3, l'altra delle due modalità alternative che il legislatore aveva previsto per la costituzione della peculiare tipologia di start-up innovative, vale a dire quella basata sulla redazione “per atto pubblico”.

Il DM 17 febbraio 2016 si pone (altresì) in contrasto con l'art. 11 della Direttiva 2009/101/CE che prevede che, in assenza di un controllo preventivo, amministrativo o giudiziario, l'atto costitutivo e lo statuto della società e le loro modifiche devono rivestire la forma dell'atto pubblico, atteso che il controllo esercitato dal registro delle imprese all'atto dell'iscrizione dell'atto costitutivo è meramente formale e tale DM ha illegittimamente ampliato l'ambito dei controlli dell'Ufficio del Registro delle Imprese, senza un'adeguata copertura legislativa che autorizzasse tale innovazione.

Il caso

Il Consiglio Nazionale del Notariato (CNN) aveva impugnato, nei confronti del Ministero dello Sviluppo Economico e nei confronti della Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Roma (e con l'intervento ad opponendum dell'Associazione Roma Startup e del Codacons), il Decreto del MISE 17 febbraio 2016, recante “Modalità di redazione degli atti costitutivi di società a responsabilità limitata start-up innovative” (d'ora innanzi, semplicemente: DM); il Decreto Direttoriale 1 luglio 2016 del MISE – Direzione generale per il mercato, la concorrenza, il consumatore, la vigilanza e la normativa tecnica; la circolare n. 3691/C del 1° luglio 2017, adottata dalla medesima Direzione generale e il Decreto del MISE 28 ottobre 2016 recante “approvazione del modello per le modifiche delle start-up innovative ai fini dell'iscrizione nel Registro delle Imprese, a norma dell'art. 4, co 10-bis, D.L. 24 gennaio 2015, n. 3, convertito con modificazioni nella L. 24 marzo 2015, n. 33”, sostenendo, per quello che in questa sede più interessa, che la possibilità, introdotta dall'art. 4, comma 10-bis, D.L. 24 gennaio 2015, n. 3, di redigere l'atto costitutivo delle start-up innovative mediante scrittura privata con firme digitali, senza necessità dell'atto pubblico, fosse illegittima. Il TAR aveva respinto, con una sentenza molto complessa, analitica e pregevole sul piano interpretativo, nella sostanza, tutte le doglianze del CNN ad eccezione di una del tutto residuale.

La sentenza del TAR del Lazio è stata impugnata dal CNN davanti al Consiglio di Stato che, recependo alcune delle doglianze di quest'ultimo organismo, ha riformato la prima sentenza, stabilendo, nella sostanza, l'annullamento del DM 17 febbraio 2016 e, per l'effetto, la necessità dell'atto pubblico per la costituzione delle start-up innovative.

La questione e le soluzioni giuridiche

Rinviando ogni approfondimento sulla vicenda di primo grado al precedente contributo “Semaforo verde del TAR alla costituzione digitale delle start-up innovative, pubblicato a mia firma l'8 gennaio 2018 su questo Portale, senza ripercorrere i dettagli delle intricate disposizioni legislative e regolamentari che disciplinano (rectius: disciplinavano) tale complessa materia, sembra di poter affermare che la sentenza del Consiglio di Stato susciti qualche perplessità e non appaia pienamente condivisibile.

(L'apparente) contrasto tra norma primaria e norma secondaria.

Innanzitutto sembra che la sentenza qui commentata parta da un presupposto, forse, estremamente opinabile perché, a suo dire, la norma secondaria (l'art. 1, comma 2, del DM 17 febbraio 2016) avrebbe innovato arbitrariamente le previsioni della norma primaria (l'art. 4, comma 10-bis del D.L. 24 gennaio 2015, n. 3, convertito, con modificazioni, nella L. 24 marzo 2015, n. 33), nello stabilire che “l'atto costitutivo e lo statuto, ove disgiunto, sono redatti in modalità esclusivamente informatica e portano l'impronta digitale di ciascuno dei sottoscrittori apposta a norma dell'art. 24 del CAD”. Il TAR del Lazio aveva interpretato l'espressione “l'atto costitutivo e lo statuto, ove disgiunto, sono redatti in modalità esclusivamente informaticaaffermando che deve essere “recisamente escluso che il d.m. abbia voluto eliminare la possibilità di redazione per atto pubblico dell'atto costitutivo di startup innovative, come si desume in modo inequivoco dallo stesso art. 4, comma 10-bis, d.l. n.3/2015, avendo invece inteso disciplinare le modalità di funzionamento di tale atto (scrittura privata digitale ex art. 24 cad)”. Il Giudice a quo ha avuto ben presente che il DM non potesse (né fosse nelle sue intenzioni) limitare la disposizione primaria escludendo la possibilità di costituire una start-up innovativa, alternativamente, a scelta dei soci, anche mediante l'atto pubblico. In sostanza, il TAR del Lazioaveva espressamente riconosciuto che il DM in parola non aveva affatto inteso innovare la disciplina prevista dal D.L. n. 3/2015 stabilendo (con l'avverbio “esclusivamente) che il modello informatico fosse l'unico possibile per la costituzione della start-up innovativa, senza possibilità di poter usare lo strumento dell'atto pubblico. Al contrario, il DM sembrerebbe aver affermato che, prescindendo dal mezzo (modello informatico o atto pubblico), la modalitàdi costituzione della start-up innovativa dovesse essere esclusivamente informatica, cosa che, nella fattispecie dell'atto pubblico, ad esempio, si estrinsecherebbe nell'atto pubblico informatico (si vedano, in proposito, il sito del notariato, www.notariato.it, che spiega chiaramente che cosa sia l'atto pubblico informatico e, per un'applicazione di quest'ultimo, l'art. 32, comma 14, del D.Lgs. 19 aprile 2017, n. 56 (Codice dei contratti pubblici). Mi pare, dunque, che non possa essere trascurata la conclusione per la quale, a mente dell'annullato DM, i soci, all'atto della costituzione della loro start-up innovativa, avrebbero potuto liberamente scegliere tra scrittura privata digitale e atto pubblico ma, in quest'ultimo caso, si sarebbe dovuto trattare di un atto pubblico informatico, così compiendo una scelta inclusiva “nuova”, più consona alle peculiarità delle start-up innovative.

(L'apparente) contrasto del D.M. 17 febbraio 2016 con la normativa europea.

Se è indubbiamente vero che, secondo l'art. 11 dir. 2009/101/CE, gli atti costitutivi e modificativi delle società possono non rivestire la forma dell'atto pubblico tutte le volte in cui esista un controllo preventivo, amministrativo o giudiziario, sembra di poter affermare, diversamente da quanto ha opinato la sentenza in commento, che il nocciolo della questione non vada tanto ricercato nel fatto se il controllo esercitato dal Registro delle Imprese all'atto dell'iscrizione abbia natura esclusivamente formale e, dunque, non abbia lo “spessore qualitativo” che potrebbe (anzi: può) esercitare un notaio in sede di redazione dell'atto pubblico, come sostenuto dal Consiglio di Stato, ma, piuttosto, vada scrutinato se il modello uniforme predisposto dal legislatore e la normativa “ad hoc” garantiscano, a monte, la coerenza dell'atto, assicurando, in tal modo, la piena tutela dell'interesse pubblico alla preventiva verifica della legalità sostanziale. Senza nulla voler togliere all'indiscutibile funzione del notaio, appare sufficiente leggere attentamente il modello uniforme (pubblicato sulla G.U – Serie generale - n. 56 dell'8 marzo 2016) predisposto dal legislatore, per rendersi conto il controllo preventivo risiede proprio nello stesso modello uniforme (che è inderogabile). La sentenza in commento sostiene che, in realtà, il Registro delle Imprese, ontologicamente, non possa né abbia le competenze per andare al di là di controlli meramente formali ed effettuare controlli sostanziali. Il Consiglio di Stato si sofferma, in particolare, su due fattispecie che, a suo dire, si estrinsecherebbero in controlli sostanziali. La prima sarebbe relativa alla “riferibilità astratta del contratto alla previsione di cui all'art. 25 del decreto legge 179 del 2012 (…), implicando, in ipotesi, anche un'indagine su aspetti non immediatamente desumibili dall'atto di cui si chiede la registrazione formale, concernendo anche la sussistenza delle particolari condizioni richieste dalla legge per le peculiari società che vengono in considerazione”. Tale considerazione, tuttavia, è facilmente superabile perché, in realtà, secondo lo stesso art. 25, comma 9, D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, come da ultimo modificato, “Ai fini dell'iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese di cui al comma 8, la sussistenza dei requisiti per l'identificazione della start-up innovativa e dell'incubatore certificato di cui rispettivamente al comma 2 e al comma 5 è attestata mediante apposita autocertificazione prodotta dal legale rappresentante e depositata presso l'ufficio del registro delle imprese”. Sembra logico dedurre che il Registro delle Imprese non effettui, sul punto, alcuna valutazione sostanziale, limitando il proprio controllo (formale) all'autocertificazione del legale rappresentante.

La seconda fattispecie analizzata dalla sentenza in commento riguarda la verifica, sempre da parte del registro delle imprese, relativa alla “liceità, possibilità, determinabilità dell'oggetto (sociale)”, giungendo alla conclusione che si tratti di controlli sostanziali. Anche in questo caso è agevole affermare, analizzando il modello uniforme, che l'oggetto sociale è pre-determinato dal legislatore come segue: “La società ha per oggetto lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico, come meglio specificato nello statuto di seguito riportato”, non potendosi così ragionevolmente affermare chein tali indicazioni si possano annidare dubbi interpretativi di portata capitale. Tuttavia, per completezza, non può essere sottaciuto il fatto che il modello standard dei due documenti fondamentali in sede di costituzione della società, cioè l'atto costitutivo e lo statuto, abbia lasciato ampia possibilità di scelta ai soci in merito alle clausole da inserire nello statuto e nell'atto costitutivo. Se, da un lato, questa “libertà di manovra” può essere salutata positivamente, dall'altra parte, si potrebbe facilmente sostenere che possa difettare di controllo non solo di legittimità delle disposizioni, ma anche di opportunità di inserimento delle medesime nello statuto, sorvolando, in questa sede, sulle criticità che in dottrina sono state rilevate tra il modello standard e le disposizioni del codice civile. Rimane, infine, da precisare che non può nemmeno essere trascurato il fatto che l'Ufficio del Registro delle Imprese si trovi a dover effettuare una miriade di controlli (si veda, in proposito, la Guida alla costituzione e alla modifica di start-up innovative in forma di s.r.l. con modello standard tipizzato, redatta dalle Camere di Commercio in collaborazione con il MISE, giugno 2017), che potrebbero essere agevolmente considerati non meramente formali, al punto che lo stesso MISE si è espresso in modo assai criptico, considerandoli controlli di natura formale “allargata” (Circolare MISE 3691/C), offrendo, in tal modo, il fianco a critiche astrattamente fondate (come risulta, tra le altre, anche dalla sentenza in commento).

Conclusioni

La riformata sentenza del TAR del Lazio era stata salutata pressoché unanimemente con soddisfazione non solo perché aveva riconosciuto la bontà dell'impianto legislativo ritenendolo coerente sia con i principi della normativa societaria comunitaria sia con i principi di certezza dei rapporti giuridici, ma anche perché sembrava che il tema della semplificazione avesse preso l'abbrivio giusto. Al di là di quello che ora si potrà argomentare in relazione agli atti costitutivi pregressi che, tuttavia, dovrebbero risultare intangibili stante la loro formazione sotto l'operatività di una norma generale illo tempore valida (e che, in ogni caso, qualora si volesse sostenerne la nullità, quest'ultima potrà sempre essere sanata in applicazione del combinato disposto degli artt. 2463 e 2332, comma 5, c.c.), nell'immediato futuro potremo avere nel nostro ordinamento giuridico start-up costituite senza l'atto pubblico e, d'ora in avanti, costituite esclusivamente per atto pubblico, a pena di nullità, con evidente disparità di trattamento ed innegabili riflessi negativi di natura economica.

L'auspicio è che il legislatore ponga rimedio al più presto possibile al “vuoto” creato dalla sentenza in commento, evitando possibili asimmetrie tra start-up “prima” e “dopo” la sentenza del Consiglio di Stato, ribadendo la possibilità di costituire le predette società anche senza la necessità dell'atto pubblico e, facendo tesoro delle eccezioni sollevate dal CNN, (ri)disegnare un impianto chiaro e affidabile, nel comune interesse al rispetto della legalità.

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