La CEDU bacchetta l’Italia: le sentenze sessiste che stigmatizzano le vittime di stupro sono una seconda violenza
03 Giugno 2021
A fronte di una legislazione sulle violenze di genere soddisfacente e del rispetto dei doveri di cura e protezione da parte delle autorità italiane, in linea con i principi dell'art.8 Cedu, alcuni passaggi delle motivazioni della sentenza di assoluzione degli stupratori da parte della Corte d'Appello di Firenze (commenti sulla bisessualità, sulle relazioni di sesso occasionale e sullo stile di vita della vittima) costituiscono una sua vittimizzazione secondaria, veicolando un grave pregiudizio sul ruolo della donna nella società italiana suscettibile di ostacolare detta protezione incompatibile con l'art.8.
È questa la dura presa di posizione della CEDU nel caso J.L. c. Italia del 27 maggio relativa ad uno stupro di gruppo subito nel 2008 da una studentessa di teatro ed arte a Firenze durante una festa “selvaggia” che ha avuto vasta eco mediatica. Era stata invitata da un ragazzo che aveva conosciuto durante una pièce teatrale, da lei scritta e diretta, in cui interpretava una prostituta che subiva violenze. Ubriaca fu trascinata in una macchina e violentata da sette uomini. Furono tutti condannati in primo grado (tranne uno assolto perché estraneo ai fatti), ma in appello furono assolti ed il PG rinunciò ad impugnare questa sentenza in Cassazione. Nelle motivazioni si è cinicamente colpevolizzato la vittima, scandagliandone ogni aspetto della vita anche familiare, delle scelte artistico-culturali, degli orientamenti e gusti sessuali, senza che le stesse critiche moralizzanti fossero rivolte agli aguzzini, creando una disparità di genere. Infatti per la Corte d'appello «il danno, essendo stato causato dalla semplice realizzazione di un atto sessuale in una macchina, il quale non era stato contestato dai convenuti» (neretto, nda) non era stato cagionato da uno stupro di gruppo e la vittima s'era inventata tutto, essendo anche criticata per aver denunciato subito ed essersi recata all'associazione Artemisia (centro antiviolenza etc.) per chiedere assistenza. Per la CEDU questa colpevolizzazione, queste osservazioni moralistiche e la trasmissione di stereotipi sessisti in dette motivazioni sono un'intollerabile vittimizzazione secondaria della vittima, purtroppo frequente in diverse altre sentenze come la celeberrima sui jeans.
Malpractice frequente nella prassi italiana a fronte di una legislazione garantista. Nei §§.52-70 della sentenza si dà atto dell'adozione di un quadro normativo atto a tutelare le donne e le vittime di violenza: l. n. 119/2013 c.d. legge sul femminicidio, l. n. 69/2019 c.d. codice rosso e, seppur non citato, il c.d. codice rosa per tutelare le vittime di violenza. Inoltre il nostro ordinamento ha recepito la Convenzione di Istanbul e la Direttiva 2012/29/UE che stabilisce norme minime sui diritti, sul sostegno e sulla protezione delle vittime di reato. La vittima è stata traumatizzata e derisa malgrado questo solido quadro normativo e che il codice etico della magistratura sancisca che «nelle motivazioni delle decisioni e nello svolgimento delle udienze, il giudice esamina i fatti e le argomentazioni delle parti, evita di commentare fatti o persone prive di rilevanza per l 'oggetto della controversia, di formulare giudizi o considerazioni sulla capacità di altri magistrati e difensori e - salvo che ciò sia necessario ai fini della decisione - delle persone coinvolte nel processo» (neretto, nda), in linea col Parere 11/2008 del Consiglio consultivo dei giudici europei (CCJE) sulla qualità delle decisioni giudiziarie. Il Grevio e l'Istat nei loro rapporti e dossier registrano un tasso molto basso di condanna per violenza, «riconoscono chiaramente la natura strutturale della violenza contro le donne come manifestazione di relazioni di potere storicamente ineguali tra donne e uomini» (neretto, nda) e preoccupanti lacune istituzionali nella difesa delle donne vittime di violenza.
L'Italia ha rispettato i suoi doveri di tutela delle vittime… Stante la delicatezza della situazione le autorità hanno il dovere di evitare ulteriori traumatizzazioni della vittima e che venga esposta a ritorsioni ed intimidazioni al fine di reprimere severamente questi reati. Dalle indagini all'interrogatorio della vittima, degli aggressori e dei testimoni sino alla pronuncia della sentenza devono esser adottati protocolli, che rispecchiano standard internazionali per evitare questa vittimizzazione secondaria ed offrirle un elevato grado di protezione: interrogatori separati, udienze a porte chiuse etc. Contrariamente a quanto sostenuto dalla giovane dalla denuncia sino alla pronuncia della sentenza l'Italia ha rispettato questi doveri di cura e protezione, oltre al fatto che la sua legislazione in materia è soddisfacente. In breve la CEDU evidenzia che seppure le udienze siano state pubbliche (era maggiorenne e non ha chiesto l'udienza a porte chiuse) e che la ragazza abbia subito diversi interrogatori in due anni per arrivare alla sentenza di primo grado, erano state prese misure atte a tutelarne l'integrità psichica: non era ammessa la stampa, era interdetto agli avvocati esprimere giudizi e fare apprezzamenti fuori luogo, denigrarla durante il controinterrogatorio etc. è stata perciò offerta un'adeguata protezione contro il rischio di ulteriori traumi e di vittimizzazione secondaria.
... ma i giudici no, “stuprandola” una seconda volta. Ciò non può esser detto delle contestate motivazioni della sentenza di appello e della condotta dei giudici in questa fase. Non solo sono stati scandagliati criticamente tutti gli aspetti della sua vita, anche familiare, della sua salute mentale, della vita professionale, ma ci si è inutilmente soffermati su dettagli pruriginosi irrilevanti per ravvisare lo stupro di gruppo (la lingerie rossa, la sua bisessualità, l'ambiguità sessuale, il sesso occasionale anche con alcuni dei suoi aguzzini, aver praticato sesso orale etc.) e su critiche moralizzatrici sulle sue scelte culturali ed artistiche (aveva seguito corsi di teatro sulla sessualità): tutto ciò esprime gratuiti giudizi morali che sono volti a demolirne la credibilità ed a demonizzarla, tralasciando volutamente il suo stato di inferiorità e debolezza dovuto anche all'alcool ingerito durante la serata, anzi accusandola di essersi messa nei guai da sola per essersi volontariamente ubriacata. È grave ed intollerabile che queste motivazioni siano sessiste e veicolino pregiudizi sul ruolo della donna nella società italiana del tutto incompatibili col diritto italiano, i doveri etici dei giudici e le norme internazionali sopra citate, originando una vittimizzazione secondaria ed un pericoloso pregiudizio che ostacola la protezione garantita dal nostro ordinamento ed a livello internazionale.
Fonte: Diritto e Giustizia |