Violenza e molestie nel lavoro: abuso o violazione dei diritti umani. La ratifica della Convenzione OIL da parte dell'Italia
03 Giugno 2021
Introduzione
Nell'ottica di prevenire ed eliminare la violenza e le molestie nel mondo del lavoro, riconoscendo l'importanza di una cultura del lavoro basata sul rispetto reciproco e sulla dignità dell'essere umano, il 21 giugno 2019 la Conferenza Generale dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) ha adottato la Convenzione internazionale sulla violenza e sulle molestie n. 190.
La ratifica della Convenzione in esame da parte dell'Italia con con legge n. 4 del 2021 offre lo spunto per riflettere sulla complessa tematica delle violenze e molestie nel mondo del lavoro, e sull'importanza di implementare ed integrare l'efficacia delle misure di contrasto alle stesse.
Il Focus si propone di esaminare l'ambito applicativo disciplinato dalla Convenzione alla luce dei principi fondamentali, formatisi dalla interazione tra l'ordinamento interno e quello sovranazionale, ed espressi in materia dalla giurisprudenza nazionale ed europea.
L'analisi si soffermerà altresì sulla posizione di garanzia rivestita dal datore di lavoro rispetto a tutte quelle condotte capaci di avere ripercussioni sulla salute psicologica, fisica e sessuale, sulla dignità, sull'ambiente familiare e sociale della persona, che possono costituire un abuso o una violazione dei diritti umani, rappresentando una minaccia alle pari opportunità e risultando quindi inaccettabili e incompatibili con la stessa nozione di lavoro dignitoso. Violenza e molestie sul lavoro: una forma di discriminazione alla luce della normativa euro-unitaria
Premessa la pregnanza della statuizione della Convenzione secondo cui si riconosce che “la violenza e le molestie nel mondo del lavoro possono costituire un abuso o una violazione dei diritti umani”, mette conto evidenziare che ai fini della Convenzione l'espressione “violenza e molestie” si riferisce ad un insieme di pratiche e di comportamenti inaccettabili, o la minaccia di porli in essere, sia in un'unica occasione, sia ripetutamente, che si prefiggano, causino o possano comportare un danno fisico, psicologico, sessuale o economico, incluse la violenza e le molestie di genere.
In particolare, l'espressione “violenza e molestie di genere” indica la violenza e le molestie nei confronti di persone in ragione del loro sesso o genere, o che colpiscano in modo sproporzionato persone di un sesso o genere specifico, ivi comprese le molestie sessuali.
Si tratta di un catalogo estremamente ampio, capace di ricomprendere una svariata molteplicità di condotte vessatorie che creano un vulnus alla dignità del lavoratore attraverso la lesione di principi sistematici, quali la ragionevolezza e la parità di trattamento.
Sul punto sembra opportuno osservare il parallelismo con la disciplina euro-unitaria, in particolare richiamando la direttiva 2000/78/CE che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, ed il d.lgs. n. 215/2003 che attua la direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica.
Invero, l'obiettivo della direttiva 2000/78/CE è quello di stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali, per quanto concerne l'occupazione e le condizioni di lavoro al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento, inteso come assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all'art. 1.
Al riguardo, merita rilevare che la direttiva 2000/78/CE all'art. 2 delinea le nozioni di discriminazione diretta ed indiretta, precisando che sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all'art. 1, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in una situazione analoga.
Si configura invece una “discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di un particolare handicap, le persone di una particolare età o di una particolare tendenza sessuale, rispetto ad altre persone, a meno che: i) tale disposizione, tale criterio o tale prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari; o che ii) nel caso di persone portatrici di un particolare handicap, il datore di lavoro o qualsiasi persona o organizzazione a cui si applica la presente direttiva sia obbligato dalla legislazione nazionale ad adottare misure adeguate, conformemente ai principi di cui all'articolo 5, per ovviare agli svantaggi provocati da tale disposizione, tale criterio o tale prassi”.
Sul punto giova sottolineare che le molestie sono da considerarsi, ai sensi del par. 1, una discriminazione in caso di comportamento indesiderato adottato per uno dei motivi di cui all'art. 1 avente lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo. In questo contesto, il concetto di molestia può essere definito conformemente alle leggi e prassi nazionali degli Stati membri.
Interessante è il precipitato di matrice processuale di questa assimilazione sostanziale, chiarito dalla Corte di Giustizia, la quale ha affermato che, poiché le molestie (in generale) sono una forma di discriminazione già ai sensi dell'art. 2, n. 1, della direttiva 2000/78/CE, ad esse sono applicabili le stesse disposizioni in tema di onere della prova, nel senso che, ove risultino fatti dai quali si può presumere che vi sia stata una discriminazione diretta o indiretta, incombe alla parte convenuta provare che non vi è stata violazione del divieto di discriminazione, fatto salvo il diritto degli Stati membri di prevedere disposizioni in materia di prova più favorevoli alle parti attrici (Coleman, C-303/06, del 17 luglio 2008).
In questo ordine di idee, la Corte di cassazione, riconoscendo la doverosità di una esegesi conforme alla normativa euro-unitaria, come interpretata dalla Corte di giustizia, ha ritenuto estesa l'equiparazione delle molestie sessuali alle discriminazioni di genere anche in ordine alla ripartizione dell'onere probatorio (Cass. n. 23286/2016). Ambito applicativo della Convenzione: profili soggettivi e oggettivi
Ciò posto, sembra opportuno soffermarsi sull'ampia portata applicativa delineata dalla Convenzione OIL che, in materia di violenza e molestie nel mondo del lavoro, delinea una tutela a tutto tondo, non tralasciando nessun aspetto, sia sotto il profilo dei soggetti coinvolti, sia per quanto attiene al versante oggettivo.
Invero, la Convenzione in esame si occupa di proteggere i lavoratori e gli altri soggetti nel mondo del lavoro, ivi compresi le lavoratrici e i lavoratori come definiti dalle pratiche e dal diritto nazionale, oltre a persone che lavorino indipendentemente dallo status contrattuale, le persone in formazione, inclusi tirocinanti e apprendisti, le lavoratrici e i lavoratori licenziati, i volontari, le persone alla ricerca di un impiego o candidate a un lavoro, e individui che esercitino l'autorità, i doveri e le responsabilità di datrice o datore di lavoro.
Si tratta a ben vedere di un ambito applicativo volto a garantire tutela a tutti i settori, sia privato che pubblico, all'economia formale e informale, e alle aree urbane o rurali (art. 2).
Allo stesso modo, anche sotto il profilo oggettivo, la Convenzione offre una tutela ad ampio spettro, trovando applicazione nei casi di violenza e molestie che si verifichino in occasione di lavoro, in connessione con il lavoro o che scaturiscano dal lavoro: a) nel posto di lavoro, ivi compresi spazi pubblici e privati laddove questi siano un luogo di lavoro; b) in luoghi in cui la lavoratrice o il lavoratore riceve la retribuzione, in luoghi destinati alla pausa o alla pausa pranzo, oppure nei luoghi di utilizzo di servizi igienico-sanitari o negli spogliatoi; c) durante spostamenti o viaggi di lavoro, formazione, eventi o attività sociali correlate con il lavoro; d) a seguito di comunicazioni di lavoro, incluse quelle rese possibili dalle tecnologie dell'informazione e della comunicazione; e) all'interno di alloggi messi a disposizione dai datori di lavoro; f) durante gli spostamenti per recarsi al lavoro e per il rientro dal lavoro (art. 3).
Sulla scorta di quanto fin qui esposto, appare altresì utile precisare che le disposizioni della Convenzione si applicano attraverso leggi e regolamenti nazionali, tramite contratti collettivi o altre misure conformi alle procedure nazionali, inclusi l'ampliamento o l'adattamento delle misure esistenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro affinché prevedano la tutela anche dalla violenza e dalle molestie, nonché tramite lo sviluppo di misure specifiche, laddove necessario (art. 12). La tematica della tutela della dignità del lavoratore da violenze e molestie sul lavoro trova nel nostro ordinamento il suo substrato normativo nell'interpretazione estensiva dell'art. 2087 c.c. - che rinviene la propria ratio alla luce dell'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità (Cass., nn. 7768/95; 8422/97), del rilievo costituzionale rivestito dal diritto alla salute ex art. 32 Cost., del principio di correttezza e buona fede nell'attuazione del rapporto obbligatorio di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., cui deve essere improntato e deve ispirarsi anche lo svolgimento del rapporto di lavoro – nonché nell'art. 2043 c.c. in tema di neminem laedere.
Sul punto sembra opportuno richiamare il concetto di mobbing, ricostruito dalla Suprema Corte di Cassazione quale condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità (Cass., Sez. Lav., nn. 1109/2020, 12437/2018, 3785/2009).
Ed ancora, un riferimento non può non farsi anche allo straining, ravvisabile allorquando il datore adotti iniziative che possano ledere i diritti fondamentali del dipendente mediante condizioni lavorative “stressogene” (Cass., sez. lav., ord. n. 2676/2021).
In questa prospettiva, dottrina e giurisprudenza hanno evidenziato come le disposizioni della Costituzione abbiano segnato un momento di rottura rispetto al sistema precedente, consacrando “il definitivo ripudio dell'ideale produttivistico quale unico criterio cui improntare l'agire privato”, in considerazione del fatto che l'attività produttiva – anch'essa costituzionalmente tutelata, poiché attiene all'iniziativa economica privata quale manifestazione di essa (art. 41, comma 1, Cost.) - è subordinata, ai sensi del secondo comma della medesima disposizione, all'utilità sociale da intendersi non soltanto come mero benessere economico e materiale, sia pure generalizzato alla collettività, quanto, soprattutto, come realizzazione di un pieno e libero sviluppo della persona e dei connessi valori di sicurezza, libertà e dignità.
In definitiva, la giurisprudenza ha osservato che la concezione "patrimonialistica" dell'individuo ha lasciato il passo alla diversa concezione incentrata sullo svolgimento della persona, sul rispetto di essa, sulla sua dignità, sicurezza e salute - anche nel luogo nel quale si svolge la propria attività lavorativa -; momenti che "costituiscono il centro di gravità del sistema", e si pongono quindi come valori apicali dell'ordinamento (Cass. n. 27913/2020). La posizione di garanzia del datore di lavoro
In questo contesto, un ruolo fondamentale nell'ambito della tutela dei lavoratori da violenze e molestie riveste il datore di lavoro, come sancito dalla stessa Convenzione OIL all'articolo 9, la quale prevede che ciascuno Stato membro dovrà adottare leggi e regolamenti che impongano ai datori di lavoro di adottare misure adeguate e proporzionate al rispettivo livello di controllo in materia di prevenzione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro, ivi compresi la violenza e le molestie di genere, e in particolare, nella misura in cui sia ragionevolmente fattibile, attraverso: a) l'adozione e l'attuazione, in consultazione con le lavoratrici e i lavoratori e i loro rappresentanti, di una politica in materia di violenza e di molestie a livello aziendale; b) l'inclusione della violenza e delle molestie, come pure dei rischi psicosociali correlati, nella gestione della salute e della sicurezza sul lavoro; c) l'identificazione dei pericoli e la valutazione dei rischi relativi alla violenza e alle molestie, con la partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori e dei rispettivi rappresentanti, e l'adozione di misure per prevenirli e tenerli sotto controllo; d) l'erogazione di informazioni e formazione alle lavoratrici, ai lavoratori e ad altri soggetti interessati, in modalità accessibili a seconda dei casi, in merito ai pericoli e ai rischi identificati di violenza e di molestie e alle relative misure di prevenzione e di protezione, ivi compresi i diritti e le responsabilità dei lavoratori e di altri soggetti interessati in relazione alle politiche di cui al comma a) del citato articolo 9.
Nel nostro ordinamento, la tutela dell'integrità psico-fisica del lavoratore spetta infatti al datore di lavoro, che riveste la posizione di “garante” ai sensi dell'art. 2087 c.c.
Invero, sul datore di lavoro grava un obbligo che non si esaurisce "nell'adozione e nel mantenimento perfettamente funzionale di misure di tipo igienico-sanitarie o antinfortunistico", ma attiene anche – e soprattutto - alla predisposizione "di misure atte a preservare i lavoratori dalla lesione di quella integrità nell'ambiente o in costanza di lavoro anche in relazione ad eventi, pur se allo stesso non collegati direttamente ed alla probabilità di concretizzazione del conseguente rischio".
L'art. 2087 c.c. funge quindi da norma di chiusura del sistema antinfortunistico estensibile a situazioni ed ipotesi non ancora espressamente considerate e valutate dal legislatore al momento della sua formulazione e che impone al datore di lavoro l'obbligo di adottare, nell'esercizio dell'impresa, tutte le misure che, avuto anche riguardo alla particolarità del lavoro in concreto svolto dai dipendenti, siano necessarie a tutelare l'integrità psico-fisica dei lavoratori (Cass., nn. 27964/2018; 10145/2017; 22710/2015; 18626/2013; 17092/2012; 13956/2012; 16645/2003; 6377/2003). Invero, la mancata predisposizione di tutti i dispositivi finalizzati a salvaguardare la salute dei lavoratori sul posto di lavoro non solo costituisce una chiara violazione dell'art. 2087 c.c. ma lede altresì il diritto alla salute del lavoratore (Cass., n. 27913/2020). Osservazioni
Conclusivamente, sembra opportuno esaminare l'aspetto concernente gli obiettivi che, a seguito della ratifica della Convenzione, si prefiggono gli Stati membri, i quali sono tenuti a rispettare, promuovere e attuare il diritto ad un mondo del lavoro libero dalla violenza e dalle molestie. In conformità con il diritto ed il contesto nazionali e in consultazione con le organizzazioni di rappresentanza dei datori di lavoro e dei lavoratori, gli Stati sono tenuti ad adottare un approccio inclusivo, integrato e incentrato sulla prospettiva di genere per la prevenzione e l'eliminazione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro.
Si tratta di un approccio che deve tenere in considerazione la violenza e le molestie che coinvolgano soggetti terzi, qualora rilevante, e includere: a) il divieto di violenza e molestie ai sensi di legge; b) la garanzia che le politiche pertinenti contemplino misure per l'eliminazione della violenza e delle molestie; c) l'adozione di una strategia globale che preveda l'attuazione di misure di prevenzione e contrasto alla violenza e alle molestie; d) l'istituzione o il rafforzamento dei meccanismi per l'applicazione e il monitoraggio; e) la garanzia per le vittime di poter accedere a meccanismi di ricorso e di risarcimento, come pure di sostegno; f) l'istituzione di misure sanzionatorie; g) lo sviluppo di strumenti, misure di orientamento, attività educative e formative e la promozione di iniziative di sensibilizzazione secondo modalità accessibili e adeguate; h) la garanzia di meccanismi di ispezione e di indagine efficaci per i casi di violenza e di molestie, anche attraverso gli ispettorati del lavoro o altri organismi competenti.
Premesso che ciascuno Stato membro si impegna ad adottare leggi, regolamenti e politiche che garantiscano il diritto alla parità e alla non discriminazione in materia di impiego e professione, per le lavoratrici, come pure per i lavoratori e per altri soggetti appartenenti ad uno o più gruppi vulnerabili o a gruppi in situazioni di vulnerabilità che risultino sproporzionatamente colpiti da violenza e molestie nel mondo del lavoro, all'articolo 8 la Convenzione tratta dell'adozione di misure adeguate a prevenire la violenza e le molestie nel mondo del lavoro. In particolare, il riconoscimento del ruolo determinante delle autorità pubbliche con riferimento alle lavoratrici e ai lavoratori dell'economia informale; l'identificazione, in consultazione con le organizzazioni dei datori di lavoro e i sindacati interessati, nonché attraverso altre modalità, dei settori o delle professioni e delle modalità di lavoro in cui le lavoratrici e i lavoratori e altri soggetti interessati risultino più esposti alla violenza e alle molestie; l'adozione di misure che garantiscano una protezione efficace di tali soggetti.
Guida all'approfondimento - Eliminare la violenza e le molestie nel mondo del lavoro: Convenzione n. 190 e Raccomandazione n. 206, 2020; - Lavorare per un futuro migliore - Rapporto della Commissione mondiale sul futuro del lavoro, 2019; - E. Tarquini, Le discriminazioni sul lavoro e la tutela giudiziale, Giuffrè, 2015. |