Giudicato esterno: rilevanza nel processo tributario
29 Luglio 2021
Rapporti di durata
Lo strumento processuale con il quale far valere l'esistenza di un precedente giudicato è l'eccezione di cosa giudicata che, se non proposta nel corso del giudizio di merito, non può essere proposta per la prima volta in sede di giudizio di legittimità, a meno che tale giudicato non si sia formato successivamente alla notifica del ricorso per cassazione (Cass. n. 22376/2017).
Diverse sono le problematiche che riguardano il giudicato esterno in ambito tributario.
La più ricorrente consiste nel verificare se la decisione passata in giudicato fra le stesse parti di un analogo rapporto tributario esplichi i propri effetti anche in giudizi similari intercorsi fra i medesimi soggetti. In particolare, ci si è chiesti se, con riguardo ad uno specifico tributo dovuto ogni anno dallo stesso contribuente, il giudicato formatosi, con la medesima P.A. interessata, in ordine ad un'annualità d'imposta estenda i propri effetti pure alle successive annualità e, in caso affermativo, entro quali limiti.
Qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l'accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo.
Tale efficacia, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell'autonomia dei periodi d'imposta, in quanto l'indifferenza della fattispecie costitutiva dell'obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso, oltre a riguardare soltanto le imposte sui redditi ed a trovare significative deroghe sul piano normativo, si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad esempio, la capacità contributiva, le spese deducibili), e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d'imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all'applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente. In riferimento a tali elementi, il riconoscimento della capacità espansiva del giudicato appare d'altronde coerente non solo con l'oggetto del giudizio tributario, che attraverso l'impugnazione dell'atto mira all'accertamento nel merito della pretesa tributaria, entro i limiti posti dalle domande di parte, e quindi ad una pronuncia sostitutiva dell'accertamento dell'Amministrazione finanziaria (salvo che il giudizio non si risolva nell'annullamento dell'atto per vizi formali o per vizio di motivazione), ma anche con la considerazione unitaria del tributo dettata dalla sua stessa ciclicità, la quale impone, nel rispetto dei principi di ragionevolezza e di effettività della tutela giurisdizionale, di valorizzare l'efficacia regolamentare del giudicato tributario, quale "norma agendi" cui devono conformarsi tanto l'Amministrazione finanziaria quanto il contribuente nell'individuazione dei presupposti impositivi relativi ai successivi periodi d'imposta. (Sez. U, Sentenza n. 13916 del 16/06/2006; Sez. 5, Sentenza n. 9512 del 22/04/2009; Sez. 5, Sentenza n. 16675 del 29/07/2011).
Va, comunque, precisato , in forza del primato del diritto U.E., che le controversie in materia di IVA sono soggette a norme comunitarie imperative, la cui applicazione non può essere ostacolata dal carattere vincolante del giudicato nazionale, previsto dall'art. 2909 cod. civ., e dalla eventuale sua proiezione anche oltre il periodo di imposta che ne costituisce specifico oggetto, ove gli stessi impediscano - secondo quanto stabilito dalla sentenza della Corte di Giustizia CE 3 settembre 2009, in causa C-2/08 - la realizzazione del principio di contrasto dell'abuso del diritto, individuato dalla giurisprudenza comunitaria come strumento teso a garantire la piena applicazione del sistema armonizzato di imposta. (Cass. 16996/2012; Cass. 12249/2010).
Il vizio circa la corretta valutazione degli effetti del giudicato esterno, va denunciato come violazione di legge (art. 360 n. 3 c.p.c.), e non già come vizio di motivazione (art. 360 n. 5 c.p.c.) Estensione del giudicato ex art. 1306 c.c.
L'art. 1306 c. c., al primo comma, prevede che «la sentenza, pronunciata tra il creditore ed uno dei debitori in solido non ha effetto contro gli altri debitori» e ciò nel rispetto del principio secondo cui la sentenza vale solo tra le parti del processo, e non ultra partes. In deroga a tale principio, il secondo comma dell'art. 1306 c. c. prevede che i debitori, che non hanno partecipato al processo, possono opporre al creditore la sentenza favorevole ottenuta da un altro condebitore (salvo che sia fondata su ragioni personali).
È applicabile l'art. 1306 c. c. ai casi di solidarietà tributaria facendosi prevalere l'effetto del giudicato (riguardante un condebitore) sull'atto impositivo, con il solo limite che il giudicato non può esser fatto valere dal coobbligato nei cui confronti si sia direttamente formato altro giudicato (Cass. n. 16560/del 2017 secondo cui «In tema di solidarietà tributaria, in virtù del limite apportato dal comma 2 dell'art. 1306 c. c. al principio enunciato nel I comma, il debitore che non ha partecipato al giudizio può opporre al creditore la sentenza a sé favorevole, salvo che essa sia fondata su ragioni personali al condebitore nei cui confronti è stata emessa e salvo che nei suoi confronti si sia formato un altro giudicato di segno diverso, trovando in tal caso l'estensione degli effetti favorevoli del giudicato ostacolo nella preclusione maturatasi con l'avvenuta definitività della sua posizione»).
Va, al riguardo, osservato che il processo tributario è un processo costitutivo rivolto all'annullamento di atti autoritativi e «la sentenza che, accogliendo il ricorso proposto da uno dei coobbligati solidali, annulla - anche parzialmente - l'atto impositivo, esplica i suoi effetti nei confronti di tutti i condebitori cui lo stesso sia stato notificato, con la conseguenza che della statuizione favorevole intervenuta inter alios potrà avvalersi anche il condebitore che abbia impugnato il medesimo atto in un diverso giudizio, ove non si sia formato il giudicato nell'ambito dello stesso» (Cass. 33436/2018). Anche il parziale annullamento ottenuto dal condebitore impugnante e, dunque, il parziale annullamento dell'unico atto impositivo che sorregge il rapporto esplica i suoi effetti verso tutti i condebitori cui sia stato notificato.
Peraltro, in tema di solidarietà tributaria, la facoltà per il coobbligato destinatario di un atto impositivo di avvalersi della sentenza favorevole emessa in un giudizio promosso da altro coobbligato, secondo la regola generale stabilita dall'art. 1306 c.c., presuppone che detta decisione sia divenuta definitiva.
Tale garanzia di stabilità, collegata all'attuazione dei principi costituzionali del giusto processo e della ragionevole durata, non trova ostacolo nel divieto posto dall'art. 372 c.p.c., il quale, riferendosi esclusivamente ai documenti che potevano essere prodotti nel giudizio di merito, non si estende a quelli attestanti la successiva formazione del giudicato, i quali, comprovando la sopravvenuta formazione di una regula iuris cui il giudice ha il dovere di conformarsi, attengono ad una circostanza che incide sullo stesso interesse delle parti alla decisione, e sono quindi riconducibili alla categoria dei documenti riguardanti l'ammissibilità del ricorso" (Cass. n. 26041 del 23/12/2010; in termini, tra le molte, Cass. nn. 30780/11; 28247/13; 11365/15; Cass. 2016/26049).
Innovando rispetto ad un indirizzo giurisprudenziale preclusivo antecedente (si vedano, tra le altre, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 2383 del 03/02/2006; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 10082 del 25/06/2003, in cui si giustifica la preclusione "sia perché la richiesta costituisce esercizio di un diritto potestativo sostanziale... sia perché la copia della sentenza non rientra fra i documenti di cui è consentita la produzione in sede di legittimità, ai sensi dell'art. 375 c.p.c.") Cass. Sez. 5, Sentenza n. 14696 del 04/06/2008 (confermata poi da Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 8816 del 01/06/2012, nonchè da Cass. sez. trib., Sentenza n. 14438/2014, che però richiama Cass. Sez. UU., Sentenza n. 13916 del 16/06/2006 e Cass. Cass. sez. lav. n. 1829/2007, le quali ultime, in realtà, si riferiscono al giudicato esterno e non all'estensione del giudicato ex art. 1306 c.c.) ha posto in evidenza che — alla luce delle pronunce della Suprema Corte a Sezioni Unite in tema di litisconsorzio necessario nel processo tributario - non può più considerarsi accettabile l'esito di frammentazione dei giudizi concernenti un medesimo presupposto di imposta, giustificato dalla necessità del celere esito delle vicende processuali, ed ha ritenuto conseguente l'estensione della possibilità di applicazione dell'istituto disciplinato dall'art.1306 cod civ, "di guisa che soggetti coinvolti in una vicenda sostanzialmente unitaria abbiano il medesimo trattamento".
Va osservato che il processo tributario è un processo costitutivo rivolto all'annullamento di atti autoritativi considerato che i ricorsi dei condebitori in solido hanno per oggetto un identico atto impositivo, l'annullamento o la rettifica di un atto non può che valere erga omnes. L'annullamento ottenuto dal condebitore impugnante è annullamento dell'unico atto impositivo che sorregge il rapporto ed esplica i suoi effetti verso tutti i condebitori cui sia stato notificato. Per tale motivo, del giudicato potrà giovarsi anche il condebitore che ha opposto lo stesso avviso, purchè non si sia formato il giudicato al riguardo. Solo il coobbligato solidale - tuttavia - può chiedere di far valere nel giudizio contro l'ente impositore la sentenza (da lui reputata favorevole) emessa in altro giudizio nei confronti di altro coobbligato.
In tema di solidarietà passiva d'imposta, il meccanismo previsto dall'art. 1306 c.c., costituente una deroga ai principi in materia di limiti del giudicato, non può operare ipso iure. Infatti, spetta soltanto al debitore valutare se la sentenza resa nei confronti di un condebitore solidale debba considerarsi a sè favorevole. Si tratta, quindi, di una valutazione che, in assenza di una precisa manifestazione di volontà del debitore, non può essere fatta dal giudice. Anche in tema di solidarietà tributaria, pertanto, l'applicazione dell'art. 1306, co. 2, c.c., presuppone che il debitore abbia espressamente chiesto che a lui si estendano gli effetti della sentenza resa nei confronti del condebitore; si tratta di un diritto potestativo sostanziale che presuppone la mancata formazione di specifico giudicato (o comunque di preclusioni processuali) a carico del soggetto che intende esercitare tale diritto (Cass. n. 1681/2000, n. 2383/2006; n. 27906/2011, n. 21958/2013).
Quindi la parte che eccepisce il giudicato esterno ha l'onere di provare il passaggio in giudicato della sentenza resa in un altro giudizio, non soltanto producendola, ma anche corredandola di idonea certificazione ex art. 124 disp. att. c.p.c., dalla quale risulti che la pronuncia non è soggetta ad impugnazione, non potendosi ritenere che la mancata contestazioni di controparte sull'affermato passaggio in giudicato significhi ammissione della circostanza, né che sia onere della controparte medesima dimostrare l'impugnabilità della sentenza. (Cass. n. 19883/2013; Cass. n. 9746/2016).
Va, inoltre, precisato che non deve trattarsi di un tributo differente da quello oggetto del giudizio, quale, ad esempio ICI e imposta di registro, non essendo mutuabili ai fini della valutazione della seconda imposta i criteri previsti per la determinazione della prima. È stato rilevato in proposito che: “in tema di imposta di registro, al fine di determinare il valore venale del bene, e dunque la base imponibile, non possono essere utilizzati i criteri di determinazione dell'ICI, attesa l'occasionalità dell'imposta di registro rispetto alla periodicità, e dunque ripetitività, dell'ICI la cui quantità va determinata di anno in anno con riferimento al primo giorno del periodo di imposta" (Cass. n. 21830/2016).
Le obbligazioni solidali costituiscono rapporti obbligatori distinti che, sul piano processuale, possono essere azionati singolarmente, senza che sussista litisconsorzio fra condebitori e concreditori (Cass. n. 4296/1987; n. 20476/2008; n. 22672/2017). In base alla regola stabilita dall'art. 1306, comma 1, c.c., la sentenza pronunziata fra il creditore e uno dei debitori in solido non ha effetti contro gli altri debitori che non hanno partecipato al giudizio (Cass. n. 23422/2016; n. 303/2019).
Ai sensi del secondo comma del medesimo art. 1306 c.c., è fatta salva la facoltà degli altri debitori di giovarsene secondun eventum litis e sempre che la sentenza non sia fondata su ragioni personali (Cass. n. 4 - 1032/1971) e purché sollevino tempestivamente la relativa eccezione (Cass. n. 27906/2011). È stato chiarito che è solo il condebitore solidale che può invocare a suo favore la sentenza intervenuta fra il creditore e altro coobbligato, ai sensi dell'art. 1306, comma secondo, c.c., e solo quando sia rimasto estraneo al relativo giudizio. In caso contrario la sentenza emessa nei confronti di entrambi i debitori consta di due distinte pronunce, in relazione all'autonomia ed indipendenza dei relativi rapporti obbligatori, con la conseguenza che il passaggio in giudicato dell'una, per difetto di impugnazione, rimane insensibile all'eventuale riforma o annullamento dell'altra, a prescindere dal carattere personale o meno delle relative eccezioni (Cass. n. 1821/1977; n. 4320/1976; n. 13458/2013; 20559/2014).
Il meccanismo previsto dall'art. 1306 c.c., costituente una deroga ai principi in materia di limiti del giudicato, non può operare ipso iure. Infatti, spetta soltanto al debitore valutare se la sentenza resa nei confronti di un condebitore solidale debba considerarsi a sé favorevole. Si tratta, quindi, di una valutazione che, in assenza di una precisa manifestazione di volontà del debitore, non può essere fatta dal giudice. Anche in tema di solidarietà tributaria, pertanto, l'applicazione dell'art. 1306, co. 2, c.c., presuppone che il debitore abbia espressamente chiesto che a lui si estendano gli effetti della sentenza resa nei confronti del condebitore; si tratta di un diritto potestativo sostanziale che presuppone la mancata formazione di specifico giudicato (o comunque di preclusioni processuali) a carico del soggetto che intende esercitare tale diritto (Cass. n. 1681/2000, n. 2383/2006; n. 27906/2011, n. 21958/2013). Giudicato esterno su questioni di diritto
Il giudicato esterno, invece, non può esplicare i suoi effetti sulle questioni di diritto, ma, in via esclusiva, con riferimento agli accertamenti in fatto. Il giudicato formale (art. 324 c.p.c.) o sostanziale (art. 2909 c.c.) cade su fatti, ossia sulla sussistenza di dati della realtà processuale o extraprocessuale, e non su qualificazioni giuridiche atteso che, in forza del principio "iura novit curia" sancito dall'art.113 cod. proc. civ. e che trova il proprio referente costituzionale nell'art.101, comma 2, il giudice può sempre (con il solo limite del divieto di ultra-petizione o extra petizione) assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti, ai rapporti dedotti in lite o all'azione esercitata in causa (Cass. n. 14806/2014; 12943/12). In relazione ai tributi cosiddetti pluriennali, il giudicato su accertamenti in fatto non può riguardare circostanze suscettibili di modifica con il decorso del tempo pur dovendosi chiarire se gli effetti del giudicato esterno si estendano alla qualificazione giuridica dei rapporti, alla luce pure della decisione delle Sezioni Unite n. 13916 del 16 giugno 2006. Non è vincolante il giudicato formatosi fra le stesse parti su una qualificazione giuridica con riguardo ad un'annualità d'imposta anche nei giudizi concernenti differenti periodi di debenza del medesimo tributo in quanto solo l'accertamento di fatto fa stato nel giudizio relativo alle obbligazioni sorte in un periodo di imposta diverso (Cass. n. 9710 del 2018). Il giudicato si forma sul rapporto di imposta, come configurato dalla pretesa fatta valere dall'Amministrazione con l'atto impositivo e dai motivi di impugnazione dedotti dal contribuente, nonché sull'applicazione e interpretazione di una norma in relazione ad una specifica fattispecie accertata dal giudice, ma non si forma sull'affermazione di un principio di diritto astratto. Al contrario è coperta da giudicato la medesima situazione di fatto accertata dal giudice del merito (Cass. n. 4822/2015).
L'efficacia del giudicato esterno non può investire la questione di diritto, diversamente opinando una interpretazione errata di una questione di diritto avrebbe efficacia di giudicato per diverse annualità d'imposta. Il vincolo del giudicato esterno non opera, inoltre, nell'ipotesi di valutazione delle prove in ordine a diverse annualità, non potendo precludersi al secondo giudice il potere di valutare in modo autonomo e discrezionale le prove che gli sono state offerte dalle parti, che in periodi temporalmente distinti possono presupporre fatti differenti, tanto più quando la sentenza definitiva sia errata ed in assoluto contrasto con la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 26313/2009, n. 25142/2009 e n. 857/2010).
Infatti “quando due giudizi tra le stesse parti facciano riferimento al medesimo rapporto giuridico o titolo negoziale, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l'accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione su questioni di fatto o di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il “petitum” del primo. Tale efficacia trova ostacolo in relazione alla ‘interpretazione giuridica' della norma tributaria, ove intesa come mera argomentazione avulsa dalla decisione del caso concreto, poiché detta attività, compiuta dal giudice e contestuale allo stesso esercizio della funzione giurisdizionale, non può mai costituire un limite all'esegesi esercitata da altro giudice, né è suscettibile di passare in giudicato autonomamente dalla domanda e dal capo di essa cui si riferisce, assolvendo ad una funzione meramente strumentale rispetto alla decisione, ferma, in ogni caso, la necessità del collegamento, tendenzialmente durevole, ad una situazione di fatto”. (Cass. n. 23723/2013).
Va, quindi, escluso il vincolo del giudicato esterno, nei casi in cui le sentenze definitive siano riferite alla interpretazione giuridica della norma tributaria, soprattutto laddove tale interpretazione sia contraria, alla consolidata giurisprudenza di legittimità. Giudicato esterno in Cassazione
Nel giudizio di cassazione, il giudicato esterno è, al pari del giudicato interno, rilevabile d'ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell'ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata. “L'eccezione di giudicato può legittimamente essere allegata dopo l'udienza di precisazione delle conclusioni (nella specie in appello) se soltanto dopo tale momento esso si è formato. Ricorrendo tale ipotesi, il giudice non può ritenere tardiva o non provata l'eccezione, ma deve rimettere la causa sul ruolo per consentire a chi l'ha sollevata il deposito della sentenza passata in giudicato ed all'altra parte di contraddire” (Cass. n. 8982/2020, Cass. n. 27906/2011). Sotto il pofilo dell'autosufficiente non è sufficiente solo un suo stralcio, senz'alcun contestuale deposito del documento in allegato al ricorso; va sempre depositata la sentenza sulla quale si fonda l'exceptio rei iudicatae. Un riassunto della pronuncia, accompagnato dal deposito della sentenza, potrebbe allora ritenersi idoneo ai fini dell'autosufficienza (Cass., 30 aprile 2010, n. 10537).
Quindi il principio di autosufficienza, in tema di giudicato esterno, viene declinato sotto due profili:
L'accertamento del giudicato non costituisce patrimonio esclusivo delle parti, ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, conformemente al principio del ne bis in idem, corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo, e consistente nell'eliminazione dell'incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità della decisione. Tale garanzia di stabilità, collegata all'attuazione dei principi costituzionali del giusto processo e della ragionevole durata, non trova ostacolo nel divieto posto dall'art. 372 c.p.c., il quale, riferendosi esclusivamente ai documenti che potevano essere prodotti nel giudizio di merito, non si estende a quelli attestanti la successiva formazione del giudicato, i quali, comprovando la sopravvenuta formazione di una regula iuris cui il giudice ha il dovere di conformarsi, attengono ad una circostanza che incide sullo stesso interesse delle parti alla decisione, e sono quindi riconducibili alla categoria dei documenti riguardanti l'ammissibilità del ricorso” (Cass. n. 26041 del 23/12/2010; Cass. nn. 30780/11; 28247/13; 11365/15).
Si consente, perciò, in tali limiti la deduzione dell'istanza di estensione del giudicato nel corso del giudizio di legittimità, ma è tuttavia imprescindibile che il giudicato concernente, ad esempio, il terzo debitore solidale si sia formato "dopo" la conclusione del processo di appello, dovendosi considerare "imposto alla parte di dedurre — a pena di decadenza — tempestivamente i fatti nuovi sopravvenuti". Quest'ultima regula iuris deve perciò considerarsi ius receptum, per quanto non sia stata giustificata se non con l'esigenza — appunto — di tempestiva deduzione dei fatti sopravvenuti in corso ci causa e con la omologa regola di celerità del giudizio.
Si è quindi stato stabilito — in ossequio al principio di coerenza tra i giudicati — che la potestà di chiedere l'estensione del giudicato è esercitabile anche nel corso del giudizio di cassazione. Né deriva però — quasi come inevitabile contraltare dell'estensione favorable — che detto esercizio di potestà non potrà essere differito rispetto al momento in cui è possibile per la prima volta la deduzione in causa del fatto che ne costituisce il presupposto, e cioè il passaggio in giudicato della sentenza, non potendosi ammettere che sia dato ad una parte conservare arbitrariamente l'esercizio di una potestà risolutiva della lite, onde avvalersene al momento ritenuto opportuno (Cass. Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 25401 del 17/12/2015; Cass. n. 14696 del 2008, n. 22506 del 2015; Cass. sez. 5, Sentenza n. 21170 del 19/10/2016). |