Impugnazioni depositate a mezzo PEC ante “decreto Ristori”

Paolo Grillo
10 Agosto 2021

La Cassazione ha chiarito se le impugnazioni depositate a mezzo PEC prima dell'entrata in vigore del d.l. 137/2020 (c.d. decreto Ristori) sono da considerarsi inammissibili.
Massima

"Le impugnazioni depositate a mezzo PEC prima dell'entrata in vigore del d.l. n. 137/2020 sono da considerarsi inammissibili”.

La Cassazione, richiamando il principio di tassatività delle modalità di proposizione delle impugnazioni, ha dichiarato l'inammissibilità del riesame così depositato, valorizzando tuttavia l'incolpevole affidamento nel richiamato provvedimento presidenziale e “suggerendo” la strada della remissione in termini per la proposizione dell'impugnazione in uno dei modi consentiti.

Fonte: ilprocessotelematico.it

Il caso

A settembre del 2020, circa un mese e mezzo prima dell'entrata in vigore del noto decreto Ristori, un difensore proponeva riesame avverso un'ordinanza custodiale al Tribunale della Libertà di Bologna, e la inviava allegandola ad un messaggio di posta elettronica certificata.

In piena pandemia da COVID-19, l'avvocato si adeguava ad uno specifico Protocollo siglato dal Presidente del Tribunale, dalla Procura della Repubblica, dai rappresentanti dei locali COA e Camera Penale, al quale faceva seguito – in forza del d.l. n. 83/2020 – un provvedimento con il quale la Presidenza del Tribunale, come leggiamo nella sentenza in commento, avrebbe reso obbligatorio l'invio delle richieste di riesame a mezzo PEC.

La questione

La questione in esame è la seguente: la PEC è un mezzo valido per il deposito delle impugnazioni?

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha rigettato il ricorso proposto avverso l'ordinanza di inammissibilità della richiesta di riesame proposta a mezzo PEC al Tribunale della Libertà di Bologna e, sul punto, ha posto le basi della propria decisione su un'interpretazione particolarmente stringente dell'art. 583 c.p.p., dedicato alla indicazione delle modalità di deposito dei mezzi di impugnazione.

In realtà, la questione relativa all'utilizzo della PEC per la presentazione delle impugnazioni non è niente affatto nuova, né è figlia dell'epidemia da Coronavirus.

Già in passato si era sottoposta all'attenzione della giurisprudenza l'ammissibilità di mezzi di deposito delle impugnazioni non elencati nella lettera del codice di rito e, tranne qualche rara apertura (v. ad. es. Cass., sez VI, 25 settembre 2019 n. 2951), il grosso delle decisioni era fermo nel ritenere la tassatività delle metodologie di presentazione delle impugnazioni e, di conseguenza, non ammetteva aperture alle novità tecnologiche frattanto intervenute in assenza di una esplicita abilitazione legislative delle stesse.
Quest'ultima, fra l'altro, sopravveniva con il d.l. n. 137/2020 (c.d. “decreto Ristori”) che, all'art. 24 – commi dal 6 bis al 6 decies – ha espressamente previsto l'utilizzo della PEC quale mezzo di deposito delle impugnazioni, sia pure con particolari accortezze relative, in specie, alla sottoscrizione del documento allegato al messaggio di posta certificata mediante firma elettronica certificata. Epperò, nella disciplina da ultimo illustrata è altresì specificato che la stessa è in grado di spiegare i suoi effetti soltanto a far data dalla sua entrata in vigore.

Da ciò discende che, alla data di presentazione di quel riesame, la regola a cui attenersi era quella del deposito dell'impugnazione con una delle modalità previste dall'art. 583 c.p.p., tra le quali non è annoverata la PEC.

La decisione della Cassazione, certamente ispirata al filone interpretativo maggioritario e più rigoroso, si connota anche per un'interessante apertura al principio dell'affidamento incolpevole del difensore “tratto in inganno” sul corretto comportamento processuale da tenere da fonti normative che, sebbene di rango secondario e quindi inidonee ad incidere sulle tecniche di deposito delle impugnazioni, possono comunque influenzarne le scelte processuali. Il provvedimento presidenziale del Tribunale di Bologna, che rendeva obbligatorio il ricorso alla PEC per evitare l'accesso fisico in cancelleria, ha senza alcun dubbio determinato la scelta del ricorrente ad avvalersi della PEC. La soluzione a questo errore, pertanto, viene correttamente individuata nel ricorso per remissione nel termine per impugnare.

Osservazioni

La decisione in commento si distingue per due caratteristiche.

La prima è quella della sua insensibilità all'orientamento evolutivo che consentiva il ricorso alla PEC per il deposito degli atti processuali anche prima dell'entrata in vigore dei recenti provvedimenti normativi anti-Covid. La sicurezza della PEC, per i fautori di quell'orientamento formalista, non bastava a giustificarne l'utilizzo proprio per la mancanza della norma che espressamente l'annoverasse tra le modalità “consentite” per il deposito delle impugnazioni (e non solo di quelle).

La seconda dorsale della motivazione è quella con cui si fa buon governo del principio tempus regit actum, tipico della normativa processuale, foss'anche quella emergenziale introdotta con il “decreto Ristori”. In assenza di una disciplina transitoria, la novella processuale non può che disporre per l'avvenire.

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