La rivalutazione di beni e partecipazioni prevista dal Decreto Agosto: profili di diritto tributario e penale

Claudia Gregori
10 Agosto 2021

L'art. 110 D.L. n. 104/2020 (c.d. Decreto Agosto) stabilisce che i contribuenti indicati all'art. 73, comma 1, lett. a) e b),T.U.I.R. (società di capitali ed enti pubblici o privati residenti che svolgono attività commerciale), che non adottano i principi internazionali nella redazione del bilancio, possono, anche in deroga all'art. 2426 c.c. e di ogni altra disposizione di legge in materia, rivalutare beni materiali e immateriali nonché le partecipazioni in società controllate e collegate ai sensi dell'art. 2359 c.c., che siano iscritte tra le immobilizzazioni nel bilancio relativo all'esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2019. La rivalutazione, che va effettuata nel bilancio successivo a quello appena citato (i.e., nel bilancio al 31.12.2020, per le società aventi esercizio solare), esplica, in prima battuta, i suoi effetti in ambito civilistico, i quali possono poi essere estesi anche a livello fiscale, riallineando i valori fiscali ai maggiori valori contabili di bilancio, mediante il versamento di una imposta sostitutiva pari al 3% dei predetti maggiori valori.
Premessa

L'art. 110 D.L. n. 104/2020 (c.d. Decreto Agosto) stabilisce che i contribuenti indicati all'art. 73, comma 1, lett. a) e b),T.U.I.R. (società di capitali ed enti pubblici o privati residenti che svolgono attività commerciale), che non adottano i principi internazionali nella redazione del bilancio, possono, anche in deroga all'art. 2426 c.c. e di ogni altra disposizione di legge in materia, rivalutare beni materiali e immateriali nonché le partecipazioni in società controllate e collegate ai sensi dell'art. 2359 c.c., che siano iscritte tra le immobilizzazioni nel bilancio relativo all'esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2019. La rivalutazione, che va effettuata nel bilancio successivo a quello appena citato (i.e., nel bilancio al 31.12.2020, per le società aventi esercizio solare), esplica, in prima battuta, i suoi effetti in ambito civilistico, i quali possono poi essere estesi anche a livello fiscale, riallineando i valori fiscali ai maggiori valori contabili di bilancio, mediante il versamento di una imposta sostitutiva pari al 3% dei predetti maggiori valori.

Poiché la legge non impone di effettuare una perizia di stima per l'individuazione del valore rivalutato dei singoli beni, gli amministratori e il collegio sindacale dovranno indicare nelle rispettive relazioni i criteri applicati ai fini della quantificazione della rivalutazione operata, sulla base dei principi contabili OIC, attestando che il valore della rivalutazione (operata con riferimento al fair value) rientri nei limiti indicati dall'art. 11 L. n. 342/2000. Ciononostante, l'affidamento a professionisti terzi della determinazione del valore di rivalutazione attraverso apposite perizie estimatorie assume carattere rafforzativo.

La rivalutazione in argomento, non essendo prevista dalla legge alcuna forma di “scudo penale”, può dar luogo a diverse criticità in tale settore. Al di là degli ovvi temi in materia di falsità delle perizie estimatorie e del loro riverbero nell'ambito della normativa penale tributaria, si possono porre, in condizioni patologiche, temi di falsità nelle comunicazioni sociali rilevanti ai sensi dell'art. 2621 c.c. (e, ricorrendone i presupposti, della conseguente responsabilità ai sensi del D. Lgs. n. 231/2001) nonché, in caso di crisi dell'azienda, finanche di fattispecie di reato fallimentare (quale il ricorso abusivo al credito, qualora, ad esempio, un'azienda abbia potuto rettificare il patrimonio netto aumentandolo in modo fittizio, grazie ad una rivalutazione in bilancio non del tutto corretta, che le abbia consentito di ottenere nuovo credito).

Inoltre, considerato che la legge prevede che l'importo corrispondente ai maggiori valori oggetto del riallineamento, al netto della predetta imposta sostitutiva, è vincolato ad una riserva in bilancio in sospensione d'imposta ai fini fiscali che può essere affrancata attraverso la procedura prevista dal decreto legge in esame, si possono porre questioni di illegale ripartizione delle riserve, ai sensi dell'art. 2627 c.c., laddove tale disciplina di legge sia dolosamente violata.

Fonte: IlSocietario.it

La disciplina generale dell'art. 110 D.L. n. 104/2020

Preliminarmente allo svolgimento dell'analisi in parola, vale svolgere talune considerazioni introduttive sulla disciplina di riferimento. Nell'ottica di favorire il rafforzamento patrimoniale delle imprese e di limitare le conseguenze pregiudizievoli sui bilanci di esercizio dell'emergenza pandemica da Covid-19, l'art. 110 D.L. n. 104/2020, convertito dalla L.n. 126/2020, ha previsto a favore dei soggetti ex art. 73, comma 1, lett. a) e b) T.U.I.R. che non adottano i principi contabili internazionali nella redazione del bilancio di esercizio, la possibilità̀ di rivalutare nel bilancio dell'esercizio 2020 singole immobilizzazioni materiali e immateriali, nonché partecipazioni, risultanti dal bilancio dell'esercizio in corso al 31 dicembre 2019 e ancora esistenti al termine dell'esercizio successivo, con l'esclusione di eventuali immobili classificati come c.d. beni merce.

Nello specifico, infatti, il perimetro dell'opzione per la rivalutazione interessa sia beni materiali che immateriali, esclusi quelli alla cui produzione o al cui scambio è diretta l'attività d'impresa, nonché le partecipazioni in società controllate o collegate costituenti immobilizzazioni. L'aspetto caratterizzante di tale regime, che può avere rilevanza solo civilistica o anche fiscale, è che la rivalutazione può essere effettuata “distintamente per ciascun bene”, venendo meno, dunque, l'obbligo - previsto in passato - di effettuarla per tutti i beni appartenenti ad una medesima categoria omogenea.

Tale facoltà è aperta sia ai soggetti con esercizio sociale coincidente con l'anno solare sia a quelli con esercizio c.d. a cavallo, per questi ultimi da esercitarsi nel bilancio relativo all'esercizio in corso al 31 dicembre 2019, a condizione che (i) lo stesso sia oggetto di approvazione successivamente al 14 ottobre 2020 (ii) i beni d'impresa e le partecipazioni da rivalutare risultino dal bilancio dell'esercizio precedente. Secondo quanto chiarito dall'Agenzia delle Entrate, con risposta ad istanza di interpello 31 dicembre 2020, n. 640, il legislatore ha inteso offrire a tali imprese la facoltà di avvalersi della rivalutazione nell'esercizio che maggiormente ha risentito degli effetti dell'emergenza pandemica, legittimando l'ipotesi in cui la società istante, con esercizio a cavallo, aveva deliberato lo spostamento della data di chiusura dell'esercizio al 31 dicembre di ciascun anno (“La circostanza che il legislatore abbia riconosciuto solo una facoltà di anticipazione della rivalutazione ma non anche la duplicazione del beneficio, fa sì soggetti con periodo d'imposta non coincidente con l'anno solare non possano effettuare la rivalutazione sia nell'esercizio in corso al 31 dicembre 2019, sia in quello successivo, ma possano eseguirla una sola volta, dovendo scegliere se effettuarla nel bilancio dell'esercizio in corso al 31 dicembre 2019 o, in alternativa, in quello successivo”).

Sono stati, tuttavia, esclusi dall'ambito soggettivo di applicazione di tale normativa i soggetti che adottano i principi contabili internazionali (come chiarito da Assonime, nella Circolare 14 luglio 2009, n. 30, tale difficoltà di conciliazione deriva da più circostanze: “I principi IAS, pur seguendo criteri che portano, in linea di massima, a valutare i beni sulla base di valori correnti - e, sotto questo profilo, in sintonia con le regole dettate dalle leggi speciali di rivalutazione - impongono, tuttavia, l'adozione di tali criteri per la valutazione di tutte le immobilizzazioni materiali e immateriali nella loro interezza e senza alcuna eccezione, al punto che qualsiasi deroga comporterebbe la redazione di bilanci non conformi a detti principi. Le speciali leggi di rivalutazione, invece, trovano applicazione solo su determinati comparti di immobilizzazioni”). Tale esclusione è sintomatica della difficoltà di conciliare la disciplina contenuta nelle leggi di rivalutazione con il sistema dei principi contabili IAS/IFRS. Infatti, i pertinenti principi contabili internazionali (IAS 16, IAS 38, IAS 27) non contemplano l'eventualità di far riferimento al costo rivalutato né ammettono l'adozione di metodi alternativi di valutazione (cfr. Assonime, Circolare 5 marzo 2021, n. 6). Tuttavia, come si vedrà in seguito, anche a tali soggetti è comunque consentito il riallineamento dei valori civilistici a quelli fiscali, con pagamento di un'imposta sostitutiva pari al 3%.

Inoltre, vale osservare come il legislatore abbia ampliato (si veda art. 110, comma 4 bis, D.L. n. 104/2020, inserito dall'art. 1 bis, comma 1, D.L. n. 41/2021, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 69/2021), ai soli fini civilistici, il perimetro della rivalutazione, la quale può interessare anche beni presenti nel bilancio di esercizio al 31 dicembre 2020, purché non già oggetto di rivalutazione del bilancio dell'esercizio precedente.

Profili tributari

Come premesso, la rivalutazione, oltre che ai fini civilistici, può essere effettuata anche con effetti fiscali, ottenendo il riconoscimento, ai fini fiscali, dei maggiori valori iscritti in bilancio, mediante il pagamento di una imposta sostitutiva, ai fini IRES e IRAP, con aliquota del 3%.

Analogamente a quanto previsto dalle precedenti leggi di rivalutazione fiscale, anche in questo caso l'imposta sostitutiva può essere versata fino a tre rate annuali, tuttavia, a differenza che in altre ipotesi, senza applicazione di interessi ed entro il termine previsto per il versamento del saldo delle imposte sui redditi.

I maggiori valori iscritti a seguito della rivalutazione civilistica, ove non correlati ad un corrispondente aumento del capitale sociale, sono oggetto di rilevazione in un'apposita riserva di patrimonio netto che, ove la rivalutazione abbia effetto anche ai fini fiscali, si qualifica come in sospensione d'imposta e, pertanto, è assoggettata a tassazione in capo alla società in caso di distribuzione ai soci. Il legislatore, all'art. 110, comma 3, D.L. n. 104/2020 in commento, ha previsto la possibilità di affrancamento del saldo attivo da rivalutazione mediante il versamento di un'imposta sostitutiva con aliquota del 10% da corrispondere in un massimo di tre rate negli stessi termini previsti per l'imposta sostitutiva sul riallineamento dei valori da rivalutazione.

È interessante sottolineare come la rivalutazione in parola non richieda formalmente la redazione di perizie di stima, essendo sufficiente dare evidenza in nota integrativa dei criteri seguiti per la valorizzazione delle varie categorie di beni (attraverso ad esempio il riferimento a listini prezzi, offerte da parte di operatori del settore per l'acquisto dei beni, prezzi di vendita di beni simili) e attestare che la rivalutazione non ecceda i limiti di valore previsti dalla normativa. I principi contabili nazionali stabiliscono, infatti, che la rivalutazione, attuabile solamente nelle ipotesi contemplate dalla legge, debba essere in ogni caso improntata al principio generale di rappresentazione veritiera e corretta del bilancio con individuazione di un valore massimo pari al valore recuperabile dalla stessa immobilizzazione (in tal senso i principi contabili Oic 16, § 74 e ss., e Oic 24, da § 79: “I criteri seguiti per procedere alla rivalutazione, le metodologie adottate per la sua applicazione e i limiti entro cui la rivalutazione viene effettuata devono conformarsi a quanto stabilito dalla legge in base alla quale la rivalutazione è effettuata. Se la legge non stabilisce criteri, metodologie e limiti da adottare per effettuare la rivalutazione, tutti questi elementi devono comunque essere determinati in conformità al principio generale di rappresentazione veritiera e corretta del bilancio).

Quest'ultimo è da intendersi, come chiarito dagli stessi principi Oic (Oic 9, (§ 19 e ss.), il maggiore tra il valore d'uso (valore attuale dei flussi di cassa attesi da un'attività) ed il valore equo (o “fair value”, con cui si indica il prezzo che si percepirebbe per la vendita del bene oggetto di rivalutazione in una regolare operazione tra operatori di mercato alla data di valutazione) al netto dei costi di vendita.

Tuttavia, si ritiene, pur in assenza di obbligo di legge in tal senso, fortemente raccomandabile la redazione da parte di un esperto indipendente di una perizia ad hoc, soprattutto in presenza di immobilizzazioni il cui valore rivalutato subisca un significativo incremento.

Ad ogni buon conto, si dovranno comunque considerare:

  • i limiti individuati dall'articolo 11, comma 2, L.n. 342/2000, ai sensi del quale “i valori iscritti in bilancio e in inventario a seguito della rivalutazione non possono in nessun caso superare i valori effettivamente attribuibili ai beni con riguardo alla loro consistenza, alla loro capacità produttiva, all'effettiva possibilità di economica utilizzazione nell'impresa, nonché ai valori correnti e alle quotazioni rilevate in mercati regolamentati italiani o esteri”;
  • l'art. 6, comma 2, D.M.n. 162/2001, che ha chiarito che “il valore netto del bene risultante dal bilancio nel quale la rivalutazione è eseguita, aumentato della maggiore quota di ammortamento derivante dal valore rivalutato, non può essere superiore al valore realizzabile o fondatamente attribuito”.

Profili di rilevanza penale

La disciplina sin qui delineata solleva non pochi problemi dal punto di vista del diritto penale in quanto il legislatore, a differenza che in altre occasioni, non ha previsto alcuna tutela da eventuali responsabilità che potrebbero essere ravvisate in tale settore in relazione alle rivalutazioni di cui all'art. 110 D.L. n. 104/2020.

Come si è detto, la norma prevede che possano essere rivalutati, assumendo come limite il maggiore tra il valore d'uso e il valore di mercato, i beni - materiali e immateriali - e le partecipazioni di controllo e di collegamento risultanti dal bilancio dell'esercizio in corso al 31 dicembre 2019 e ancora esistenti al termine dell'esercizio successivo. Tuttavia, permettere che la rivalutazione venga effettuata su beni già iscritti in bilanci precedenti non ha quale unico risultato il (positivo) consolidamento del patrimonio dell'impresa.

Il primo problema che si pone riguardo le modalità tecniche con cui si procede alla rivalutazione è il grado di affidabilità della perizia posta alla base della rivalutazione.

La modifica di una valutazione estimatoria fatta in precedenza, specie se particolarmente incisiva, potrebbe essere considerata infatti una (implicita) ammissione che il valore precedentemente iscritto fosse sottostimato e dunque falso, con conseguente rischio per l'imprenditore di vedersi imputato il reato di falso in bilancio di cui all'art. 2621 c.c. nel caso in cui il bene non sia stato iscritto al costo.

Una simile contestazione, potrebbe essere elevata (i) non solo qualora la rivalutazione effettuata facesse emergere il reale valore del bene prima svalutato, ma anche (ii) nel caso in cui la nuova stima sia il risultato di una perizia opinabile in sede giudiziaria.

Sul punto la giurisprudenza, ancorché risalente, in un caso riguardante una rivalutazione effettuata sulla base di una falsa perizia tecnica ha affermato che “integra il reato di false comunicazioni sociali, di cui all'art. 2621 cod. civ. una rivalutazione assolutamente sproporzionata e non rispondente ai valori di mercato degli immobili, iscritta nel conto economico a copertura e occultamento della perdita di esercizio” (cfr. Cass. pen., sez. V, 25 maggio 1993; ma si veda in tal senso anche Cass. pen., sez. V, 12 ottobre 1993, secondo la quale integra il delitto di falso in bilancio la rivalutazione di immobili, effettuata per coprire delle perdite, quando essa, pur realizzabile ex art. 2425, comma 3, c.c., si riveli manifestamente artificiosa, in quanto fondantesi su elementi di fatto assolutamente fittizi).

Occorre inoltre considerare che il risultato della rivalutazione non è patrimonio immediatamente “libero”. Ove la misura di cui all'art. 110 D.L. n. 104/2020, sia adottata da una società, si pone l'ulteriore tema della distribuzione della riserva costituita dal saldo attivo risultante dalle rivalutazioni eseguite. Infatti, in base a quanto previsto dall'art. 13 L. n. 342/2000, la riserva di rivalutazione iscritta nel patrimonio può essere liberamente distribuibile tra i soci soltanto nel caso in cui il saldo sia affrancato liquidando un'imposta sostitutiva del 10%.

Ne deriva che, qualora non venissero preventivamente liquidate e pagate le imposte e gli amministratori della società effettuassero la ripartizione di tale riserva senza prima effettuare il suddetto affrancamento, potrebbe essere contestato loro il reato di illegale ripartizione degli utili e delle riserve di cui all'art. 2627 c.c..

A tal proposito, si segnala che, ove la società volesse dilazionare il pagamento della suddetta imposta (misura prevista dal D.L.n. 104/2020, nel massimo di tre rate), secondo la normativa fiscale il saldo si considererà affrancato non appena effettuato il versamento nei termini della prima delle rate, con la conseguenza che la riserva potrà essere liberamente distribuita tra i soci a partire da quel momento.

Occorre inoltre valutare le condizioni patrimoniali dell'azienda che si appresta alla rivalutazione: in presenza di patrimonio netto negativo o di condizioni di dissesto, infatti, all'imprenditore potrebbero essere ascritte anche le ipotesi di reato previste dalla legge fallimentare (e, non appena entrerà in vigore, dal Codice della Crisi di Impresa e dell'Insolvenza).

Si fa riferimento innanzitutto alla fattispecie di ricorso abusivo al credito di cui all'art. 218l. fall., la quale si configura ogniqualvolta l'imprenditore ricorra - o continui a ricorrere - al credito nonostante sia conscio che l'impresa si trovi in una situazione di rischio per le ragioni dei creditori, nei confronti dei quali tale situazione viene dissimulata. La disposizione di cui all'art. 110D.L n. 104/2020, rileva in questo caso in quanto il mezzo con cui dissimulare la condizione di difficoltà potrebbe proprio essere la rivalutazione dei beni, il cui maggior valore contribuirebbe a far apparire l'impresa più solida di quanto in realtà non sia.

Altra disposizione della legge fallimentare che potrebbe essere contestata è quella di cui all'art. 236 l.fall., in forza del quale viene punito l'imprenditore che al solo scopo di accedere ad una delle misure di risoluzione concordata della crisi si sia attribuito attività inesistenti.

Qualora la rivalutazione determinasse una sovrastima del bene, infatti, ciò si risolverebbe nell'attribuzione all'impresa di attività inesistenti, con conseguente imputabilità ex art. 236 l. fall. ove l'operazione fosse effettuata al fine di far apparire più capiente il patrimonio d'impresa e permettere così l'ammissione alla procedura alternativa al fallimento (rectius:liquidazione giudiziale).

Sul piano tributario, dato che l'imposta sostitutiva del 3% comporta che il valore rivalutato abbia rilevanza ai fini della determinazione delle imposte sui redditi dovuti dalla società, potrebbe indirettamente configurarsi, a cascata, l'ipotesi di “Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici” di cui all'art. 3 D. Lgs. n. 74/2000, rilevante ai fini del D.Lgs. n. 231/2001, in quanto richiamata all'art. 25-quinquiesdecies.

Tra le condotte idonee ad integrare tale illecito, infatti, rientra quella di colui che “avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento e ad indurre in errore l'amministrazione finanziaria, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizi […]”.

Dunque, ove si consideri che, secondo quanto previsto dall'art. 1 D. Lgs. n. 74/2000, devono intendersi:

  1. per elemento passivo o attivo “qualsiasi voce purché espressa in valore numerico che concorra in positivo ovvero in negativo alla determinazione del reddito o delle basi imponibili […]”, e
  2. per mezzi fraudolenti “condotte artificiose[…]”, tra le quali deve sicuramente farsi rientrare quella di avvalersi di mezzi ingannatori “per convalidare un falso ideologico” (in tal senso, Salvini, Cagnola, Manuale professionale di diritto penale tributario, 2021, 209),

ove la società liquidasse l'imposta sul reddito calcolando il proprio imponibile anche sulla base della rivalutazione e quest'ultima fosse artificiosa, le potrebbe essere contestato di aver presentato una dichiarazione fraudolenta ex art. 3 D. Lgs. n. 74/2000.

Infine, occorre soffermarsi sulla possibile rilevanza dell'art. 110 D.L. n. 104/2020, nell'ambito della responsabilità amministrativa da reato degli enti di cui al D. Lgs. n. 231/2001.

V'è da considerare innanzitutto che i reati di falso in bilancio e di illecita ripartizione delle riserve sono reati presupposto della responsabilità amministrativa da reato degli enti ai sensi dell'art. 25-ter D. Lgs. n. 231/2001. Pertanto, nel caso in cui tali fattispecie venissero contestate agli amministratori della società, quest'ultima - ove venisse accertata la sussistenza anche degli altri requisiti fondanti la responsabilità ex D. Lgs. n. 231/2001 - potrebbe essere ritenuta responsabile.

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