Riconoscimento di figlio nato fuori dal matrimonio: best interest del minore e diritto alla genitorialità
07 Settembre 2021
Massima
Il riconoscimento di figlio nato fuori dal matrimonio impone un bilanciamento fra l'esigenza di affermare la verità biologica e l'interesse alla stabilità dei rapporti familiari, nell'ambito di una sempre maggiore considerazione del diritto all'identità non necessariamente correlato alla verità biologica, ma ai legami affettivi e personali sviluppatisi all'interno di una famiglia. Tale bilanciamento, traguardato nell'ottica dell'interesse superiore del minore, non può costituire il risultato di una valutazione astratta, ma è necessario un accertamento in concreto dell'interesse del minore, in relazione all'esigenza di uno sviluppo armonico dal punto di vista psicologico, affettivo, educativo e sociale. Il caso
La pronuncia giudiziale in oggetto riguarda l'azione di riconoscimento ex art. 250 c.c. di una figlia di cinque anni nata da una convivenza di fatto, avendo la madre avanzato opposizione a causa del grave comportamento persecutorio nei suoi confronti da parte dell'attore, sfociato in una sentenza di condanna penale. La questione
L'evoluzione interpretativa della giurisprudenza dei parametri normativi posti alla base del riconoscimento del figlio di coppia di fatto parte da una iniziale compatibilità astratta tra diritto alla genitorialità ed interesse del minore e giunge ad una netta contrapposizione tra le due posizioni giuridiche attraverso un bilanciamento in concreto degli interessi in gioco. Le soluzioni giuridiche
Il Tribunale si pone sul solco della interpretazione evolutiva ampiamente sviscerata dalla giurisprudenza di legittimità, cercando di riempire di contenuti concreti e significanti il concetto di best interest of the child, così come imposto dai trattati internazionali e dalla normativa comunitaria, alla luce di una rilettura del diritto alla genitorialità (o bigenitorialità), in posizione subvalente o condizionata alla tutela del minore. Osservazioni
Nel procedimento di riconoscimento dei figli nati fuori del matrimonio il riferimento normativo è l'art. 250 c.c., che distingue tra l'ipotesi di riconoscimento di figlio che ha compiuto quattordici anni, a quella relativa al minore infraquattordicenne che subordina il riconoscimento al consenso dell'altro genitore che ha già effettuato il riconoscimento, concernente il caso che ci occupa. La norma è altrettanto scarna di contenuti quanto lapidaria: il consenso non può essere rifiutato se risponde all'interesse del figlio. La struttura lessicale e sintattica della norma suggerisce una lettura fortemente restrittiva dell'opposizione, ove il giudice deve riveste un ruolo attivo, assumendo eventuali provvedimenti provvisori ed urgenti al fine di instaurare la relazione tra il figlio ed il genitore ricorrente, salvo che l'opposizione non sia palesemente fondata. Da un lato, quindi, vi è una sentenza che tiene luogo del consenso mancante, dall'altro, tale consenso non può essere rifiutato, salvo l'esistenza di motivi gravi ed irreversibili che inducano a ravvisare la forte probabilità di una compromissione dello sviluppo del minore, che giustifichi il sacrificio totale del diritto alla genitorialità. Qual è il percorso interpretativo della giurisprudenza di legittimità in questo contesto? Due sono i punti di partenza: il diritto alla genitorialità e l'interesse del minore. In origine, si muoveva dal diritto alla genitorialità, ovvero alla bigenitorialità, quale necessaria compresenza di ruoli genitoriali che mira a preservare esso stesso l'equilibrio psicofisico del minore, inteso quale vantaggio in astratto ed a prescindere da qualunque indagine in concreto circa il pregiudizio che ne può derivare per lo sviluppo del minore. Sicché, la tutela dell'interesse del minore si evolve in parallelo ed in funzione della tutela alla bigenitorialità, quali interessi giuridici imprescindibilmente connessi, tanto da affermare che Il riconoscimento del figlio naturale minore infrasedicenne costituisce oggetto di un «diritto soggettivo dell'altro genitore, costituzionalmente garantito dall'art. 30 Cost.,entro i limiti stabiliti dalla legge (art. 250 c.c.), cui rinvia la Costituzione, che non si pone in termini di contrapposizione con l'interesse del minore, ma come misura ed elemento di definizione dello stesso, che è segnato dal complesso dei diritti che al minore derivano dal riconoscimento e, in particolare, dal diritto all'identità personale, inteso come diritto ad una genitorialità piena e non dimidiata. Sicché, il mancato riscontro di un interesse effettivo e concreto del minore non costituisce ostacolo all'esercizio del diritto del genitore ad ottenere il riconoscimento, nel caso di opposizione del genitore che per primo ha proceduto al riconoscimento, in quanto detto interesse va valutato in termini di attitudine a sacrificare la genitorialità, riscontrabile soltanto qualora si accerti l'esistenza di motivi gravi ed irreversibili che inducano a ravvisare la forte probabilità di una compromissione dello sviluppo del minore, che giustifichi il sacrificio totale del diritto alla genitorialità».(cfr., Cass. n. 21088/2004). In queste pronunce si parla di sacrificio della genitorialità giustificata esclusivamente dalla forte probabilità di compromissione dello sviluppo del minore. Si è giunti, infine, sul solco dell'interpretazione nomofilattica della Corte, alla quale la pronuncia in commento ha espresso totale adesione, applicando in concreto i principi sotto enunciati, al necessario bilanciamento con l'interesse supremo del minore e il diritto alla bi-genitorialità che: «costituisce un diritto soggettivo di natura primaria, tuttavia condizionato all'interesse del minore. Pertanto, il necessario bilanciamento tra l'esigenza di affermare la verità biologica con l'interesse alla stabilità dei rapporti familiari, impone di accertare quale sia, in concreto, l'interesse del minore»(cfr., Cass. n. 7762/2017). Cosa sta al centro della questione? Il significato di interesse superiore del minore. Occorre riempire di contenuti il contenitore astratto e non normativamente definito del principio di matrice internazionale invocato dalla Convenzione di New York del 20 novembre 1989, ratificata con legge n. 176 del 27 maggio 1991, nonché dalla Convenzione europea di Strasburgo (ratificata con legge 20 marzo 2003 n. 77) sull'esercizio dei diritti del fanciullo del 25 gennaio 1996; e a livello di diritto eurounitario, dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea di Nizza del 7.12.2000, nonché dal Regolamento CE n. 2201 del 27 novembre 2003, cosiddetto “Bruxelles II bis”, relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che normativizza il principio dell'ascolto del minore, quale strumento per dare voce a tali interesse superiore. Infatti, si è assistito all'evoluzione della società civile a livello internazionale, e segnatamente la metamorfosi del soggetto di età inferiore ai diciotto anni da “oggetto” di tutela – id est soggetto a tutela indiretta a mezzo degli esercenti la responsabilità genitoriale – a “soggetto” della tutela – id est soggetto “titolare di diritti soggettivi perfetti, autonomi ed azionabili” – e segnatamente –a soggetto da tutelare in via prioritaria. Sicché the best interests of the child è divenuto obiettivo centrale dei vigenti sistemi giuridici progrediti e, in area europea, la Corte europea dei diritti dell'uomo ne ha sancito la priorità raccordandola al comma 1° dell'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, ossia al “diritto al rispetto della vita privata e familiare”. Sicché, tale principio è divenuto un valore supremo che non completa il diritto alla bigenitorialità, bensì si affranca dallo stesso diventando autonomo centro di interessi. Non è più sufficiente una astratta valutazione dell'interesse del minore che giustifichi il sacrificio estremo del diritto alla genitorialità, bensì occorre valutare in concreto se ed in che modo tale ultimo diritto sia rispondente all'interesse supremo del minore, con un ribaltamento di prospettiva che mette al centro l'interesse del minore ad avere il padre e la madre, e non “il padre e la madre ad avere il figlio”. In sostanza, se prima il procedimento di riconoscimento muoveva da presupposti e valutazioni giuridiche del tutto slegati da quelle relative alla decadenza ovvero alla limitazione della responsabilità genitoriale, attualmente tali parametri interpretativi si stanno lentamente avvicinando, nella profonda convinzione che siano strettamente legati in funzione di una genitorialità intesa come centro sì di diritti ma soprattutto di doveri ed attitudini intrinsecamente legate a preservare e rafforzare l'equilibrio psicofisico del minore. In definitiva, come ha ben illustrato la sentenza in commento, non è più sufficiente la genitorialità naturale, bensì la genitorialità normativa fatta di impegni e doveri e capacità genitoriali che devono essere necessariamente valutati dal giudice e posti a fondamento del giudizio di riconoscimento. Sicché, la bigenitorialità non è un valore in astratto tutelabile in quanto di per sé sola costituisce un vantaggio per la crescita equilibrata del minore, al contrario, essa va tutelata solo ed in quanto rispondente in concreto all'interesse del minore ad una crescita equilibrata. Cosa significa tutto ciò? La sentenza in commento ha il merito di enucleare quali indici possono essere valutati in concreto, in particolare: 1) Personalità del genitore ricorrente, quale desumibile da: precedenti penali, (es. sentenze di condanne penali), dando rilievo al tipo di condotta incriminata, nella specie, delitto di stalking nei confronti della madre della minore; background familiare e sociale, assenza di resipiscenza e di volontà a sottoporsi a necessari percorsi riabilitativi e di disintossicazione (da eventuali dipendenze da alcool o sostanze stupefacenti); 2) mancata assunzione di responsabilità di mantenimento della figlia minore, e più in generale, mancanza di volontà di esercitare la funzione genitoriale e, quindi, di fornire cura, educazione, istruzione, assistenza morale alla minore; 3) Assenza di capacità genitoriali e inidoneità ad assumere il ruolo di genitore. In una prospettiva futura, che tiene conto dell'evoluzione sociale del concetto di famiglia, slegata sempre di più dal concetto di genitorialità biologica, appare quantomai stringente cucire le figure genitoriali attraverso una fitta trama di ruoli, regole, responsabilità, capacità che consentono di mantenere il tessuto normativo a prova di strappi inflitti dalla irreversibile evoluzione della società civile, sempre più lontana dal concetto tradizionale di famiglia naturale fondata sul matrimonio di costituzionale memoria, anche se la nostra Costituzione ha sempre avuto il pregio di essere proiettata nel futuro ed essere sensibile all'evoluzioni strutturali della società in cui viviamo. Riferimenti
Trattato Operativo di Diritto di Famiglia, a cura di Ida Grimaldi, Paolo Corder, Sant'Arcangelo di Romagna, 2017; B. De Filippis, La separazione personale dei coniugi ed il divorzio, Milano, 2012. |