Fornitura di beni viziati, eccezione di inadempimento e quantificazione del danno patito dal compratore
24 Settembre 2021
Massima
In tema di contratto di compravendita, l'azione di risarcimento dei danni proposta dall'acquirente, ai sensi dell'art. 1494 c.c., sul presupposto dell'inadempimento dovuto alla colpa del venditore (consistente nell'omissione della diligenza necessaria a scongiurare l'eventuale presenza di vizi della cosa) ben può estendersi a tutti i danni subiti dall'acquirente. Non solo quindi a quelli relativi alle spese necessarie per l'eliminazione dei vizi accertati, ma anche a quelli inerenti alla mancata o parziale utilizzazione della cosa o al lucro cessante per la mancata rivendita del bene. Il caso
Una s.n.c. fornisce a un'altra s.n.c. dei beni (si tratta di partite di gemme di mais). La società acquirente contesta vizi delle forniture, consistenti nell'eccessivo grado di acidità, tali da rendere il mais non commerciabile per uso commestibile. Nasce un contenzioso fra le parti. Il contratto fra le parti contiene una clausola compromissoria per arbitrato irrituale. Il procedimento arbitrale viene avviato dal venditore, il quale nega l'esistenza di vizi del bene e pretende il pagamento delle fatture. Dal canto suo, il compratore solleva eccezione di inadempimento e chiede di non pagare le forniture e, in via riconvenzionale, di ottenere il risarcimento del danno patito. Viene così pronunciato il lodo arbitrale. Al fine di ottenere esecuzione del lodo (si ricordi che si trattava di lodo irrituale), la parte interessata chiede al giudice l'emissione di un decreto ingiuntivo. Il decreto ingiuntivo viene però opposto davanti al tribunale e si giunge a una sentenza di primo grado. Appellata la sentenza di primo grado, la Corte di appello di Brescia conferma l'elevato grado di acidità del mais e quantifica i danni patiti dall'acquirente in € 21.290,65, a titolo di rimborso delle spese degli interventi di manutenzione degli impianti, smaltimento dell'olio ammalorato e mancati guadagni nella rivendita dell'olio. La questione
Le questioni principali affrontate dalla Corte di cassazione riguardano:
Le soluzioni giuridiche
Il primo tema trattato nell'ordinanza della Corte di cassazione n. 14986 del 2021 in commento è quello dei vizi della cosa nella compravendita (sulle garanzie nei contratti di compravendita cfr., da ultimo, A. Iuliani, Note minime in tema di garanzia per i vizi nella vendita, in Eur. dir. priv., 2020, 671 ss.). Come è noto, nell'ambito del contratto di compravendita, “il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all'uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore” (art. 1490 comma 1 c.c.). Nel caso affrontato dalla Corte di cassazione, la cosa venduta è rappresentata da mais, destinato a essere lavorato al fine di trarne olio commestibile. Come risulta dagli accertamenti svolti nel corso del procedimento arbitrale, il mais è troppo acido per essere trasformato in olio commestibile. Si configura dunque una inidoneità all'uso. La garanzia prevista dall'art. 1490 comma 1 c.c. è automatica, prescinde cioè dalle eventuali pattuizioni contrattuali. Essa serve ad assicurare la funzione stessa del contratto di compravendita.
La cosa deve essere idonea all'uso, altrimenti l'operazione di compravendita perde di qualsiasi funzione e il prezzo pagato non trova una giustificazione causale nei benefici derivanti dal trasferimento della proprietà del bene, proprio perché il bene è inutilizzabile. Accertati i vizi della cosa, quali sono gli effetti della garanzia prevista ex lege? L'art. 1492 c.c. offre al compratore delle alternative: “il compratore può domandare a sua scelta la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del prezzo” (art. 1492 comma 1 c.c.). Nel caso affrontato dalla Corte di cassazione, l'acquirente non chiede la risoluzione del contratto, ma intende ridurre il prezzo fino al punto di non doverlo pagare ed, in via riconvenzionale, chiede il risarcimento del danno che ha patito.
Il secondo tema trattato dalla ordinanza in esame è quello dell'eccezione di inadempimento. Si è appena visto che il compratore, a fronte di vizi della cosa, può chiedere la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del prezzo. Avvalendosi però dei rimedi generali (e non di quelli specifici previsti per la compravendita), il compratore può anche limitarsi a eccepire l'inadempimento, per sottrarsi al pagamento del prezzo. Come è noto, l'art. 1460, comma 1, c.c. prevede che “nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere alla sua obbligazione, se l'altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria”. Il contratto di compravendita è certamente un contratto a prestazioni corrispettive, consistendo le prestazioni:
Nel caso di specie, poiché la cosa (il mais) non presenta le caratteristiche necessarie (avendo un grado di acidità eccessiva), il compratore si rifiuta di pagare il prezzo. La Corte di cassazione ritiene fondata l'eccezione di inadempimento sollevata dall'acquirente.
L'ordinanza della Cassazione chiarisce come l'eccezione di inadempimento funziona quale fatto impeditivo dell'altrui pretesa di pagamento. La parte evocata in giudizio per il pagamento di una prestazione rientrante in un contratto sinallagmatico può limitarsi ad eccepire – nel legittimo esercizio del potere di autotutela che l'art. 1460 c.c. espressamente attribuisce al fine di paralizzare la pretesa avversaria chiedendone il rigetto – l'inadempimento o l'imperfetto adempimento dell'obbligazione assunta da controparte. La Cassazione specifica che il compratore può sollevare l'eccezione di inadempimento non solo quando venga completamente a mancare la prestazione della controparte, ma anche nel caso in cui dall'inesatto adempimento del venditore derivi una inidoneità della cosa venduta all'uso cui è destinata, purché il rifiuto di pagamento del prezzo risulti giustificato dall'oggettiva proporzione dei rispettivi inadempimenti.
Il terzo tema affrontato dalla Corte riguarda la quantificazione del danno patito dal compratore. Al riguardo va osservato che, ai sensi dell'art. art. 1494, comma 1, c.c., “in ogni caso il venditore è tenuto verso il compratore al risarcimento del danno, se non prova di avere ignorato senza colpa i vizi della cosa”. Questa disposizione si colloca nell'ambito delle norme in tema di vizi della cosa venduta. Mentre l'art. 1493 c.c. disciplina gli “effetti della risoluzione del contratto”, l'art. 1494 c.c. regola il “risarcimento del danno”. L'art. 1493 c.c. prevede che “in caso di risoluzione del contratto il venditore deve restituire il prezzo e rimborsare al compratore le spese e i pagamenti legittimamente fatti per la vendita” (comma 1). Dal canto suo, “il compratore deve restituire la cosa, se questa non è perita in conseguenza dei vizi” (comma 2).
La disposizione concerne prevalentemente gli effetti restitutori delle prestazioni già effettuate:
Per il resto l'art. 1493 c.c. regola in misura solo marginale gli altri effetti della risoluzione, stabilendo che il venditore deve rimborsare le spese e i pagamenti fatti per la vendita. All'art. 1493 c.c. si aggiunge però l'art. 1494 c.c., che disciplina un qualcosa in più rispetto agli obblighi restitutori conseguenti alla risoluzione, prevedendo la risarcibilità del danno. In un altro precedente, la Corte di cassazione (8 marzo 2001, n. 3425) ha ben spiegato la funzione dei rimedi previsti - nell'ambito della compravendita - a fronte di un bene viziato, statuendo che l'azione per la riduzione del prezzo e quella per il risarcimento del danno (non coperto dalla prima) spettanti al compratore a norma degli artt. 1492 e 1494 c.c. sono entrambe finalizzate a ristabilire il rapporto di corrispettività tra prestazione e controprestazione, nonché a porre il compratore medesimo nella situazione economica in cui si sarebbe trovato se il bene fosse stato immune da vizi; esse tuttavia sono diverse perché la prima consente al compratore di ristabilire il rapporto di corrispettività tra prestazione e controprestazione, solo con riguardo al minor valore della cosa venduta, mentre la seconda gli dà la possibilità di ristabilire tale rapporto con riguardo alla ridotta utilizzabilità di quest'ultima. L'art. 1494 c.c. disciplina il risarcimento del danno nei contratti di compravendita in presenza di un bene viziato. La disposizione presuppone peraltro la colpa del venditore. La stessa norma difatti indica una situazione in cui il venditore va esente da responsabilità: se prova di avere ignorato senza colpa i vizi della cosa. Si tratta di un'evenienza piuttosto rara, almeno nei casi in cui il venditore è anche il produttore della cosa. Nel caso in commento, si ricorderà che oggetto della fornitura era del mais. Appare inverosimile che il produttore/venditore del mais non fosse a conoscenza del fatto che il mais presentava un tasso di acidità eccessivo.
L'istituto della risoluzione del contratto (art. 1492 c.c.) si differenzia dall'istituto del risarcimento del danno (art. 1494 c.c.), in quanto il primo prescinde dalla colpa del venditore, mentre il secondo presuppone la colpa del venditore. A questo riguardo la Corte di cassazione (18 maggio 2009, n. 11423) ha avuto modo di osservare come - per l'esercizio dell'azione di risoluzione del contratto di compravendita per i vizi delle cose che di esso formano oggetto - non è richiesta dall'art. 1492 c.c. la colpa dell'alienante, la cui sussistenza è invece necessaria per promuovere l'azione risarcitoria, nella quale l'art. 1494 c.c. presuppone la colpa del venditore, ponendo a suo carico una presunzione di conoscenza dei vizi.
L'art. 1494 c.c. prevede che il danno va risarcito in ogni caso, senza specificare le categorie/tipologie di danno. La Corte di cassazione, nell'ordinanza n. 14986 del 2021 in commento, propone un'interpretazione particolarmente estensiva della nozione di “danno” nell'ambito del contratto di compravendita. La Cassazione specifica difatti che l'azione di risarcimento dei danni proposta dall'acquirente ai sensi dell'art. 1494 c.c. ben può estendersi a tutti i danni subiti dall'acquirente, non solo quindi a quelli relativi alle spese necessarie per l'eliminazione dei vizi accertati, ma anche a quelli inerenti alla mancata o parziale utilizzazione della cosa o al lucro cessante per la mancata rivendita del bene. La Corte di cassazione, nell'ordinanza in commento, fa un'altra osservazione importante: l'azione prevista dall'art. 1494 c.c. si rende ammissibile in alternativa ovvero cumulativamente con le azioni di adempimento in via specifica del contratto, di riduzione del prezzo o di risoluzione del contratto medesimo. Nel caso di specie, un'azione dell'acquirente volta all'adempimento in via specifica non era possibile, non essendo i vizi in alcun modo eliminabili: si ricorderà che si trattava di mais con eccessiva acidità. L'acquirente chiede allora solo il risarcimento dei danni patiti per i vizi che il mais presentava. Principi di diritto simili sono stati enunciati in una recente sentenza del Tribunale di Perugia (11 febbraio 2020). Secondo il giudice perugino, l'azione di risarcimento dei danni proposta ai sensi dell'art. 1494 c.c. non si identifica né con le azioni di garanzia di cui all'art. 1492 c.c. né con l'azione di esatto adempimento, atteso che mentre la garanzia per evizione opera anche in mancanza della colpa del venditore, l'azione di risarcimento danni che presuppone di per sé la colpa di quest'ultimo (consistente nell'omissione della diligenza necessaria a scongiurare l'eventuale presenza di vizi della cosa) può estendersi a tutti i danni subiti dall'acquirente e non solo quindi a quelli relativi alle spese necessarie per l'eliminazione dei vizi accertati, ma anche a quelli inerenti alla mancata o parziale utilizzazione della cosa o al lucro cessante per la mancata rivendita del bene. Da ciò consegue, fra l'altro, che tale azione si rende ammissibile in alternativa ovvero cumulativamente con le azioni di adempimento in via specifica del contratto, di riduzione del prezzo o di risoluzione del contratto medesimo e può essere esercitata anche da sola, essendo autonoma rispetto alle azioni di cui all'art. 1492 c.c. in ragione della diversità di presupposti e di finalità. Ed invero, conclude il Tribunale di Perugia, il compratore che abbia subito un danno a causa dei vizi della cosa può rinunciare a proporre l'azione per la risoluzione del contratto o per la riduzione del prezzo ed esercitare la sola azione di risarcimento del danno, sempre che in tal caso ricorrano tutti i presupposti dell'azione di garanzia e, quindi, siano dimostrate la sussistenza e la rilevanza dei vizi e, in genere, tutte le condizioni stabilite per l'esercizio di tale azione.
Già in precedenza la Corte di cassazione (26 marzo 2004, n. 6044) aveva chiarito che l'azione di risarcimento danni di cui all'art. 1494 c.c. può essere proposta in ogni caso di vizi della cosa venduta e, quindi, è cumulabile sia con la domanda di risoluzione del contratto che con quella di riduzione del prezzo e può essere esercitata anche da sola, essendo autonoma rispetto alle azioni di cui all'art. 1492 c.c. in ragione della diversità di presupposti e di finalità. Osservazioni
In caso di fornitura di beni viziati, il compratore dispone di una pluralità di rimedi: può chiedere la risoluzione del contratto oppure la riduzione del prezzo (art. 1492 c.c.). In ogni caso può chiedere il risarcimento del danno (art. 1494 c.c.). Questi rimedi coesistono con l'eccezione di inadempimento, prevista in via generale dall'art. 1460 c.c.: l'acquirente può rifiutarsi di pagare il prezzo se il bene è viziato. La nozione di danno nell'art. 1494 c.c. va interpretata in modo estensivo, consentendo al compratore di ottenere il risarcimento sia per l'eliminazione dei vizi accertati sia per i danni inerenti alla mancata o parziale utilizzazione della cosa sia per il lucro cessante per la mancata rivendita del bene. |