Responsabilità della banca da abusiva concessione del credito: solidale con la responsabilità degli amministratori o autonoma?

Monica Selvini
04 Ottobre 2021

La Suprema Corte, con l'ordinanza in commento, afferma la legittimazione del curatore fallimentare ad agire contro le banche per la concessione abusiva del credito, in quanto egli non aveva fatto valere una pretesa di risarcimento del danno patito dal singolo creditore, come tale non di pertinenza del curatore, ma la lesione della garanzia patrimoniale della società posta a vantaggio indistinto di tutti i creditori, come tale azione di massa che spetta naturalmente al curatore.
Massime

Il curatore fallimentare è legittimato ad agire contro la banca per la concessione abusiva del credito, in caso di illecita nuova finanza o di mantenimento dei contratti in corso, che abbia cagionato una diminuzione del patrimonio del soggetto fallito, per il danno diretto all'impresa conseguito al finanziamento e per il pregiudizio all'intero ceto creditorio a causa della perdita della garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c.

La responsabilità in capo alla banca, qualora abusiva finanziatrice, può sussistere in concorso con quella degli organi sociali di cui all'art. 146 l. fall., in via di solidarietà passiva ai sensi dell'art. 2055 c.c., quali fatti causatori del medesimo danno, senza che, peraltro, sia necessario l'esercizio congiunto delle azioni verso gli organi sociali e verso il finanziatore, trattandosi di mero litisconsorzio facoltativo.

L'erogazione del credito che sia qualificabile come "abusiva", in quanto effettuata, con dolo o colpa, ad impresa che si palesi in una situazione di difficoltà economico-finanziaria ed in mancanza di concrete prospettive di superamento dell a crisi, integra un illecito del soggetto finanziatore, per essere egli venuto meno ai suoi doveri primari di una prudente gestione, che obbliga il medesimo al risarcimento del danno, ove ne discenda l'aggravamento del dissesto favorito dalla continuazione dell'attività d'impresa.

Non integra abusiva concessione di credito la condotta della banca che, pur al di fuori di una formale procedura di risoluzione della crisi dell'impresa, abbia assunto un rischio non irragionevole, operando nell'intento del risanamento aziendale ed erogando credito ad un'impresa suscettibile, secondo una valutazione ex ante, di superamento della crisi o almeno di proficua permanenza sul mercato, sulla base di documenti, dati e notizie acquisite, da cui sia stata in buona fede desunta la volontà e la possibilità del soggetto finanziato di utilizzare il credito ai detti scopi.

(Fonte: ilFallimentarista.it)

Il caso

La Curatela fallimentare di una società per azioni propone ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 5389 della Corte di appello di Roma del 4 settembre 2014 che aveva respinto l'impugnazione della sentenza con cui il Tribunale di Frosinone aveva dichiarato l'inammissibilità delle domande proposte nei confronti di alcuni istituti di credito e volte all'accertamento della nullità dei contratti di finanziamento sottoscritti e alla condanna alla restituzione degli interessi o, in subordine, al risarcimento del danno da concessione abusiva del credito, indicato in una somma pari al depauperamento del patrimonio netto della società.

La corte territoriale aveva, infatti, ritenuto il curatore fallimentare non legittimato ad agire, ritenendo che egli avesse dedotto non l'attività illecita compiuta dalla società tramite i suoi amministratori, rientrante nella fattispecie di cui all'art. 146 l. fall. e di conseguenza il concorso degli istituti di credito in tale attività, ma una autonoma e distinta attività imputata alle banche, agendo contro le stesse con una azione di responsabilità aquiliana per l'erosione della consistenza patrimoniale della società, causata dalle gravi perdite subite a seguito degli oneri finanziari relativi ai prestiti concessi fino all'azzeramento del capitale sociale.

La Suprema Corte, con l'ordinanza in commento, afferma la legittimazione del curatore fallimentare ad agire contro le banche per la concessione abusiva del credito, in quanto egli non aveva fatto valere una pretesa di risarcimento del danno patito dal singolo creditore, come tale non di pertinenza del curatore, ma la lesione della garanzia patrimoniale della società posta a vantaggio indistinto di tutti i creditori, come tale azione di massa che spetta naturalmente al curatore.

Questioni giuridiche e soluzioni

Abusiva concessione di credito: doveri del finanziatore - La Suprema Corte svolge le sue considerazioni sotto due aspetti tra loro speculari. Da un lato la condotta di abusivo ricorso al credito da parte degli amministratori che vi ricorrono dissimulando il dissesto o lo stato di insolvenza e pertanto la possibilità per il curatore di agire per far valere la loro responsabilità per i danni cagionati alla società e/o ai terzi creditori ai sensi degli artt. 2393, 2394 e 2394 bis c.c.. Per altro aspetto la condotta di concessione abusiva di credito da parte degli istituti bancari, evidenziando l'obbligo delle banche di adempiere agli specifici doveri di diligenza professionale e principi di sana e corretta gestione verificando con prudenza e in forza di informazioni adeguate il merito creditizio del soggetto che richiede il credito, soprattutto se in difficoltà economica, nonché la possibilità per il curatore di farne valere la responsabilità qualora la banca non abbia verificato che lo stato di difficoltà economica del soggetto finanziato era tale da non consentirgli di adempiere le proprie obbligazioni, come nel caso di perdita del capitale sociale e di mancanza di concrete prospettive di recupero della continuità aziendale.

Legittimazione attiva del curatore fallimentare per il danno al patrimonio sociale e concorso del finanziatore con l'organo amministrativo ex art. 146 L.F. - La I sezione civile affronta, in particolare, la questione della legittimazione attiva del curatore fallimentare alla azione di responsabilità contro le banche, distinguendo tra azione per il danno alla società, per il quale il curatore è legittimato esclusivo ai sensi dell'art. 43 l.fall. in quanto azione per il risarcimento delle lesioni al patrimonio del fallito, e per il danno alla massa, con riferimento al quale il curatore non esercita un'azione dei creditori sostituendosi ad essi, ma amministrando il patrimonio assoggettato al concorso tende a ricostruirlo nella funzione di garanzia che gli è propria. Secondo la Suprema Corte, operando i necessari distinguo rispetto alle sentenze delle Sezioni Unite del 2006, il curatore è legittimato alle azioni contro le banche concedenti credito, in tanto in quanto tali azioni sono recuperatorie in favore dell'intero ceto creditorio di quanto andato perduto del patrimonio sociale a causa dell'indebito finanziamento: gli artt. 146 l. fall. e 255

D.lgs. n. 14/2019

attribuiscono al curatore la legittimazione circa le azioni per l'inosservanza degli obblighi inerenti la conservazione dell'integrità del patrimonio sociale e quindi le azioni finalizzate al recupero della garanzia patrimoniale a tutela della par condicio creditorum. Conclude poi affermando che tale responsabilità della banca può, ma non necessariamente, sussistere in concorso con quella degli amministratori per mala gestio, senza peraltro, in tal ultimo caso, che sia necessario l'accertamento, nemmeno incidentale, della responsabilità di questi ultimi.

La Cassazione chiarisce che, in caso di mancato rispetto da parte della banca degli oneri di verifica della situazione di decozione del soggetto che chiede il finanziamento, il finanziatore risponde verso (i) la società a titolo di responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. nel caso in cui ha concesso un nuovo finanziamento, contrattuale ex art. 1218 c.c. in caso di prosecuzione di un finanziamento in corso; (ii) verso il ceto creditorio, a titolo di responsabilità extracontrattuale exart. 2043 c.c., se del caso in concorso con la responsabilità dell'organo amministrativo.

Conclusioni della Corte - Conclude la S.C. affermando che nella fattispecie il curatore aveva agito contro le banche per il risarcimento del danno cagionato al patrimonio sociale e pertanto al ceto creditorio nel suo complesso dalla condotta delle banche, che non avrebbero dovuto concedere un finanziamento in presenza di una condizione economica che non lo giustificava. La legittimazione attiva della curatela per tale azione sussiste a prescindere dall'esercizio di un'azione ex art. 146 l.fall. contro gli amministratori, non essendone questa un elemento costitutivo.

Osservazioni

L'aspetto di criticità sul quale si è originata l'evoluzione giurisprudenziale è focalizzato sulla possibilità di riconoscere un titolo autonomo di responsabilità della banca per la concessione abusiva di credito.

Le sentenze delle Sezioni Unite del 2006 - Il punto fermo sembrava essere stato messo dalle sentenze delle Sezioni Unite del 2006 (Cass., sez. unite, 28 marzo 2006, n. 7029, in Riv. Dir. Civ., 2006, 4, 1147; Cass., sez. unite, 28 marzo 2006, n. 7030, in Fall., 2006, 10, 1125; Cass., sez. unite, 28 marzo 2006, n. 7031; in Riv. Dir. Comm., 2007, 1-2-3, 1), le quali ravvisando che nel caso di specie era stata proposta azione contro le banche senza dedurre un danno al patrimonio della società, ma chiedendo il ristoro del danno pari alla differenza tra le attività fallimentari e le passività solo nei confronti di soggetti diversi dalle banche, osservavano che il curatore non è titolare di un potere di rappresentanza generalizzato nei confronti di tutti i creditori e che egli può far valere solo le azioni della massa e pertanto agire contro le banche, ai sensi dell'art. 43 l. fall., soltanto per il risarcimento del danno diretto e immediato cagionato al patrimonio della società. Le Sezioni Unite ritenevano che il danno cagionato dalle banche ai creditori che, confidando in una azienda apparentemente sana, hanno perso parte del loro credito a causa dell'aggravio del passivo conseguente all'abusivo mantenimento in vita dell'impresa decotta, si verifica proprio in capo ai singoli creditori e presuppone l'accertamento della sussistenza di un diritto soggettivo in capo ad ognuno di loro caso per caso, analogamente all'azione di cui all'art. 2395 c.c. che, come tale, spetta unicamente al singolo creditore. In ogni caso, le Sezioni Unite evidenziavano che la abusiva concessione del credito può dare luogo a due distinti eventi dannosi: uno verso la società per il pregiudizio diretto al suo patrimonio e di fonte contrattuale, l'altro nei confronti dei creditori per il pregiudizio che segue alla insufficienza del riparto dopo l'esperimento delle azioni esecutive, di fonte extracontrattuale.

Tale opinione viene confermata dalla I sezione civile in commento, in quanto, a differenza che nel caso che ha occupato le Sezioni Unite, all'esame della Suprema Corte è stata ora sottoposta l'azione di risarcimento dei danni cagionati dalla banca al patrimonio sociale e, di conseguenza, alla massa creditoria, quale posizione indistinta e riflessa del pregiudizio a tale patrimonio.

D'altronde è principio pacifico in dottrina e in giurisprudenza che il curatore sia legittimato oltre alle azioni di cui agli artt. 2393 e 2394 c.c. in forza dell'art. 146 l.fall. e dell'art. 2394-bis c.c., alle azioni di massa come tali intendendo tutte le azioni finalizzate alla ricostituzione del patrimonio del debitore nella sua funzione di garanzia generica ex art. 2740 c.c., e che le azioni diverse da queste non sono da costui esercitabili. Infatti è pacifico in giurisprudenza che l'azione ex art. 2395 c.c. spetta esclusivamente al socio o al terzo che è stato danneggiato dall'atto illecito degli amministratori purché si tratti di un danno diretto al suo patrimonio e non di un danno mero riflesso di quello arrecato al patrimonio della società che, come tale, spetta esclusivamente alla società (in tal senso, ex multis, Cass. 14 febbraio 2018, n. 3656, in Giur. Comm., 2019, 4, II, 808; Cass. 25 ottobre 2017, n. 21517, in Giust. Civ. mass., 2017; Cass. 23 ottobre 2014, n. 22573), e ferma restando la possibilità che le due azioni concorrano.

Le successive pronunce della Suprema Corte - Successivamente, operando le necessarie distinzioni, i giudici di legittimità, affermando con forza la carenza di legittimazione del curatore all'esercizio della responsabilità aquiliana contro la banca per i danni causati ai creditori dall'artificioso mantenimento in vita della società, hanno meglio articolato quanto sancito dalle Sezioni Unite in via marginale circa la legittimazione del curatore nei confronti delle banche per lesione al patrimonio sociale, affermandone la legittimazione ex art. 146 l. fall. e art. 2393 c.c. ma solo qualora la posizione ascritta alla banca sia di terzo responsabile solidale del danno diretto cagionato al patrimonio della società fallita per l'abusivo ricorso al credito da parte dell'amministratore della società (ex multis, Cass. 1 giugno 2010 n. 13413, in D. Fall., 2011, II, 405; Cass. 20 aprile 2017, n. 9983, in Fall., 2017, 908). A tale riguardo, la Cassazione (Cass. 1 giugno 2010 n. 13413, cit.) ha altresì precisato che non rilevava il mancato esercizio dell'azione contro l'amministratore, in quanto - ai sensi dell'art. 2055 c.c. - se un unico evento dannoso è imputabile a più persone sorge a carico delle stesse una obbligazione solidale, il cui adempimento si può chiedere per l'intero anche ad un solo corresponsabile: tuttavia, in tale caso la banca era comunque già stata condannata in sede penale in concorso con l'organo amministrativo per bancarotta fraudolenta e ricorso abusivo al credito, circostanza dalla quale veniva desunto il concorso della banca nella mala gestio dell'amministratore.

Secondo tale orientamento, quindi, il titolo di responsabilità dedotto contro la banca deve essere la mala gestio dell'amministratore, essendo la condotta della banca che eroga credito all'impresa, senza valutarne il merito creditizio, compartecipe della mala gestio dell'amministratore che ha continuato l'attività nonostante la perdita del capitale sociale (in tal senso, ex multis,

Cass. 14 maggio 2018, n. 11695

, in IlSocietario.it, 2019; Trib. Prato 15 febbraio 2017 n. 152, in Giur. Comm., 2018, 2, II, 236; Trib. Parma 10 gennaio 2013, n. 25, in questo portale, 2013). Gli amministratori rispondono infatti per gli atti compiuti in violazione di tale obbligo di cui all'art. 2486 c.c. per inadempimento ai doveri giuridici imposti dalla legge e per i conseguenti danni cagionati al patrimonio sociale (i) nei confronti della società ex artt. 2392, 2393 e 2485 c.c., e (ii) verso i creditori sociali in via extracontrattuale ex art. 2394 c.c..

La giurisprudenza e la dottrina di commento hanno pertanto sempre ritenuto la responsabilità della banca una responsabilità in estensione alla responsabilità degli amministratori: se gli amministratori possono venir imputati dell'aggravamento del dissesto della società in forza dei principi di cui agli artt. 2392 e 2394 c.c., la banca che ha reso possibile tale aggravamento, mantenendo in vita la società e non impendendo quindi tale evento non concedendo credito, e ha quindi concorso nell'inadempimento degli amministratori e nel pregiudizio ai creditori deve essere ritenuta responsabile in via extracontrattuale e concorrente con loro nel risarcimento dei danni. Diversamente, ovvero qualora non vengano dedotti atti di mala gestio compiuti dagli amministratori, la giurisprudenza aveva espressamente escluso la legittimazione del curatore ad agire in via extracontrattuale contro le banche per i danni cagionati ai creditori dal mantenimento in vita della società (in tal senso cfr., specificamente, Cass. 12 maggio 2017, n. 11798, in Giur. Comm., 2018, 2, II, 237; Cass. 20 aprile 2017, n. 9983, cit.; Trib. Bologna 13 luglio 2017 n. 1508).

Tuttavia, a tale riguardo la dottrina (cfr. Jorio) aveva già evidenziato perplessità, ritenendo che la giurisprudenza dovrebbe avere maggiore coraggio e riconoscere al curatore, nel caso in cui il patrimonio della società sia già stato eroso prima dell'intervento della banca, la possibilità di agire contro la banca non tanto per la tutela del patrimonio della fallita, ma proprio a tutela dell'intero ceto creditorio per il pregiudizio cagionato dalla ritardata apertura del concorso.

L'ordinanza della S.C. del 30 giugno 2021 n. 18610 - La Corte di Cassazione afferma, ora, che la responsabilità della banca può sussistere in concorso con quella degli organi sociali, ma non la presuppone, in quanto il curatore potrebbe agire contro la banca, senza allegare in giudizio l'astratta sussistenza di un fatto di reato ex art. 240 l. fall. commesso dagli amministratori o chiederne al Tribunale l'accertamento incidentale.

Afferma quindi espressamente non solo che il finanziatore è responsabile per aver erogato credito venendo meno ai suoi doveri di prudente gestione ed è conseguentemente obbligato al risarcimento dei danni ove la continuazione della attività di impresa ne abbia aggravato il dissesto, ma anche - riprendendo il principio sostenuto solo incidentalmente dalle S.U. del 2006 e contrariamente alle pronunce che hanno negato la legittimazione del curatore alla azione contro le banche non in concorso con gli amministratori - che il curatore è legittimato ad agire solo contro la banca sia per il danno diretto cagionato all'impresa sia per il pregiudizio all'intero ceto creditorio che ha visto la perdita della garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c.. Sembrerebbe che quindi un ulteriore passo sia stato compiuto: sganciata l'azione di responsabilità della banca da quella verso gli amministratori, quanto meno a livello di principio, sia dal punto di vista processuale che sostanziale e affermato il ruolo del curatore come centro di interessi legittimato a sostituirsi al fallito e ai creditori per le azioni che tendono a ripristinare la garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c., resta ora da verificare - anche alla luce della nuova disciplina di impresa volta a recuperare e salvaguardare gli organismi produttivi e al generale favor verso i finanziamenti alle imprese - se si proseguirà nel filone giurisprudenziale che legittima il curatore all'azione contro le banche in quanto azione di massa, a prescindere dalla responsabilità degli amministratori per mala gestio.

In effetti la responsabilità della banca per concessione abusiva del credito, ben potrebbe sussistere anche in assenza di atti di mala gestio da parte degli amministratori, per aver mantenuto i finanziamenti quando l'impresa aveva già perso la sua capacità di adempiere regolarmente al pagamento delle rate di rimborso. Gli amministratori potrebbero infatti aver fatto tutto il possibile per risanare l'impresa, da valutare nel limite della sindacabilità dei loro atti secondo il principio della business judgment rule: in tale caso si potrebbe ritenere comunque sussistente una responsabilità autonoma della banca verso la massa.

Che la concessione abusiva del credito comporti anche un danno patrimoniale indistinto in quanto cagiona una lesione della garanzia patrimoniale posta a tutela di tutti e non solo di singoli creditori, emerge con tutta evidenza di per sé, considerando che gli oneri finanziari e le perdite che possono derivare dal proseguimento dell'attività sociale “sovvenzionata” attraverso il finanziamento comportano una diminuzione del patrimonio della società posto a garanzia di tutti i creditori; ciò posto resta da vedere se effettivamente il curatore sia legittimato a far valere tale danno con una azione di responsabilità di massa. Ed è proprio dalla definizione che ne danno le S.U. del 2006 che se ne trae la risposta affermativa: l'azione di massa “è caratterizzata dal carattere indistinto quanto ai possibili beneficiari del suo esito positivo. Essa nell'immediato perviene all'effetto di aumentare la massa attiva, quali che possano essere i limiti quantitativi entro i quali i creditori se ne avvantaggeranno. Essa tende direttamente alla reintegrazione del patrimonio del debitore inteso come sua garanzia generica e comunque esso sarà suddiviso attraverso il riparto. Non appartiene a tale novero di azioni ogni pretesa che richiede l'accertamento della sussistenza di un diritto soggettivo in capo a uno o più creditori”.

Tipiche azioni di massa sono infatti considerate l'azione revocatoria, surrogatoria e l'azione ex art. 146 l. fall.. Se questa è la definizione di azione di massa allora di certo in tale categoria rientra l'azione per fare valere la responsabilità della banca per aver cagionato un danno al patrimonio sociale e pertanto averne ridotto la garanzia patrimoniale a favore di tutti i creditori: ecco che quindi si deve ammettere la proponibilità, da parte del curatore, dell'azione aquiliana contro le banche per lesione della garanzia patrimoniale.

Responsabilità del finanziatore tra finanziamento “lecito” e “abusivo” anche alla luce delle modifiche introdotte dal Codice della crisi e dell'cnsolvenza di impresa - Pur nel quadro del generale favore per il finanziamento ai fini del risanamento dell'impresa evidenziato dalla S.C. nell'ambito degli strumenti giuridici di composizione della crisi e nella legislazione a sostegno delle imprese nell'emergenza sanitaria, il confine tra finanziamento “lecito” e finanziamento “abusivo” viene fissato dalla Corte nella diligenza della banca nel valutare sulla base di documenti e informazioni oggettive se il finanziamento, erogato al di fuori di una procedura di risoluzione della crisi di impresa, sia atto al concreto superamento della crisi e alla proficua permanenza sul mercato.

Alla luce dei principi sanciti dalla S.C., si osserva che per i finanziamenti concessi in via strumentale o in esecuzione di uno strumento di risoluzione della crisi il margine di responsabilità della banca risulta ristretto, in quanto la meritevolezza del credito si basa essenzialmente sulla ragionevolezza e fattibilità del piano presupposto da tali strumenti. In tali casi le ipotesi di responsabilità della banca potrebbero essere davvero marginali anche considerata, a tale riguardo, l'esenzione da responsabilità penale per reati di bancarotta semplice e fraudolenta di cui all'art. 217-bis l.fall. se si tratta di atti in esecuzione di un concordato preventivo di cui all'arti. 160 l. fall. o di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell'art. 182 bis l. fall. o del piano di cui all'art. 67, comma 3, lett. d) l. fall., esenzione che autorevole dottrina ritiene estesa anche al caso di attività, quali finanziamenti, prodromiche e funzionali all'implementazione di tali strumenti e che ritiene implicare anche esenzione dalla corrispettiva responsabilità civile (cfr. in tal senso N. Abriani e L. Benedetti).

Nel diverso caso di finanziamenti erogati totalmente al di fuori di una soluzione concordata, deve essere esaminata con attenzione la cautela della banca nel valutare se al momento dell'erogazione del prestito sussistevano ragionevoli prospettive di risanamento e se quindi il rischio assunto non sia irragionevole con conseguente responsabilità per il pregiudizio cagionato al patrimonio sociale.

Non risulta ovviamente questa la sede, ma il tema della determinazione del danno, alla luce della possibilità che la banca venga ritenuta responsabile in via autonoma e non solo in concorso con gli amministratori, dovrà essere attentamente valutato anche alla luce del nuovo principio interpretativo sancito dall'art. 2486, comma 3, c.c., che prevede in sintesi quale presunzione per il calcolo dei danni per operazioni non meramente conservative dell'integrità e del valore del patrimonio sociale in presenza di una causa di scioglimento, la differenza tra i netti patrimoniali alla data del fallimento e alla data in cui si è verificata la causa di scioglimento, e in caso di impossibilità di calcolo, la differenza tra attivo e passivo accertati nella procedura.

L'ambito della responsabilità della banca per finanziamento abusivo deve tuttavia essere valutato anche alla luce dei nuovi obblighi introdotti dal Codice della Crisi di Impresa e dell'Insolvenza (D.lgs. 12 gennaio 2019 n. 14, di seguito “CCII”) nella parte già entrata in vigore e in quella che prenderà efficacia anche a seguito delle modifiche che verranno apportate all'esito dei lavori della Commissione ministeriale presieduta dalla prof.ssa Ilaria Pagni. Gli amministratori ai sensi dell'art. 2086 c.c., come riformato e già in vigore, devono istituire assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale e attivarsi senza indugio per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale, e le banche dovranno segnalare agli organi di controllo societari le variazioni degli affidamenti verso il cliente-impresa ai sensi dell'art. 14, comma 4, CCII.

Probabilmente tale obbligo di segnalazione verrà riformato unitamente a tutti i sistemi di allerta come preannunciato dai primi esiti dei lavori della Commissione, ma in ogni caso si deve considerare che, in un quadro generale di favore per strumenti di early warning previsti dalla Direttiva (UE)2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, di rinegoziazione dei contratti e di soluzione della crisi negoziata con l'assistenza di un mediatore esperto in materia ipotizzati dalla Commissione, il ruolo delle banche, solitamente principali creditori della società in crisi, dovrà ritenersi centrale e la loro responsabilità per concessione del credito in una situazione di crisi, eventualmente non rilevata dagli amministratori nonostante gli obblighi di cui all'art. 2086 c.c., e quindi eventualmente in concorso con questi ultimi, dovrà essere valutata con particolare rigore, contemperando le esigenze di salvataggio dell'impresa con le esigente di preservare la garanzia dei creditori costituita dal patrimonio dell'impresa. In tal contesto, se gli strumenti di early warning e di istituzione di adeguati assetti amministrativi saranno correttamente adempiuti allora lo spazio di responsabilità per finanziamento abusivo da parte della banca, che correttamente adempie ai suoi obblighi professionali, verrà probabilmente sempre più ridotto (la giurisprudenza ha già iniziato a considerare gli obblighi di verifica della banca anche alla luce dei nuovi obblighi degli amministratori, cfr. ad esempio, il recente decreto del Trib. Vicenza, I sez., 22 aprile 2021).

Conclusioni

In sintesi, se da un lato gli amministratori in forza di quanto previsto dall'art. 2486 c.c. hanno il dovere, in presenza di una causa di scioglimento, di compiere solo atti conservativi dell'integrità e del valore del patrimonio sociale e tali doveri sono, in forza delle modifiche apportate dal CCII, portati ad un momento ancora precedente imponendogli di istituire assetti organizzativi, amministrativi e contabili idonei alla tempestiva rilevazione e superamento della crisi e della perdita della continuità aziendale, dall'altro la banca che non ha diligentemente verificato il merito creditizio dell'impresa risponde, eventualmente ma non necessariamente anche in solido con gli amministratori, per i danni cagionati alla società per la diminuzione della consistenza del patrimonio sociale e l'aggravamento delle perdite favorite dalla continuazione dell'attività d'impresa.

Alla luce delle recenti modifiche introdotte dal CCII, nuovi sviluppi si attendono circa la responsabilità delle banche per abusiva concessione del credito verso la società e verso il ceto creditorio, anche in relazione al possibile concorso tra la banca e gli amministratori della società finanziata: ci si aspetta una complessiva compressione dello spazio di responsabilità degli amministratori e di conseguenza anche delle banche qualora gli assetti amministrativi adottati siano adeguati a monitorare la continuità aziendale della impresa.

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