Avvocato insulta un collega: sussiste una violazione deontologica?
25 Ottobre 2021
La depenalizzazione del reato di inguria preclude la contestazione deontologica in caso di affermazioni offensive e frasi volgari da parte di un Avvocato nei confronti di un collega?
Per rispondere correttamente al quesito occorre far riferimento a una recente sentenza delle Sezioni unite civili (ric. n. 25311/21 rg. - ud.dell'8 giugno 2021). Nel caso di specie all'incolpato era stata contestata la violazione deontologica degli artt. 5 (Doveri di dignità, probità e decoro, 6 (Doveri di lealtà e correttezza), 20 (Divieto di uso di espressioni sconveniente ed offensive) e 22 (Rapporto di colleganza in genere) del codice deontologico forense in vigore all'epoca dei fatti: «perchè in data 20 aprile 2011, in attesa di accedere allo sportello della Cancelleria dei decreti ingiuntivi del Tribunale di B., rivolgendosi ad un collega con le seguenti espressioni a voce alta e bestemmiando, affermava: 'la finisci di rompermi i coglioni, mi hai rotto i coglioni mi hai rotto i coglioni, sei un decerebrato! Hai capito? Sei un decerebrato!'». Le Sezioni unite civili cit. ritengono integrata la violazione deontologica nonostante sia venuta meno la rilevanza penale del reato di ingiuria. L'incolpato, in particolare, aveva dedotto l'avvenuta abrogazione dell'art. 594 c.p. evidenziando, altresì, che «poteva in ipotesi rilevare solo in quanto lesivo dell'immagine dell'avvocatura (comma 2); evenienza nella specie certamente da escludersi, visto che il contegno addebitato non aveva natura professionale né processuale (art. 6), ed era risultato inoltre privo di risonanza sociale lesiva della categoria». Rilevava, inoltre, che sia l'articolo 20 che l'articolo 22 cod. deontologico forense «presupponevano che l'illecito costituito dalle espressioni sconvenienti ed offensive si riferisse allo svolgimento diretto dì attività professionale con attivo coinvolgimento delle parti mentre, nel caso di specie, non vi era stata alcuna parte coinvolta né vi era un rapporto di pregressa conoscenza con il collega». Le Sezioni unite civili nel rigettare il ricorso il ricorso rilevavano, tra l'altro, che già la stessa Corte di legittimità (Cass. sez. unite. nn. 15873/2013; 13168/2021) si era espressa chiaramente in senso contrario: «il codice deontologico forense non ha carattere normativo, essendo costituito da un insieme di regole che gli organi di governo degli avvocati si sono date per attuare i valori caratterizzanti la propria professione e garantire la libertà, la sicurezza e la inviolabilità della difesa, con la conseguenza che la violazione del codice rileva in sede giurisdizionale solo quando si colleghi all'incompetenza, all'eccesso di potere o alla violazione di legge, cioè ad una delle ragioni per le quali l'art. 36 della I. n. 247 del 2012 consente il ricorso alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, per censurare unicamente un uso del potere disciplinare da parte degli ordini professionali per fini diversi da quelli per cui la legge lo riconosce». Inoltre, «nell'assolvere una funzione meramente integrativa e specificativa di principi di più generale portata, le previsioni del codice deontologico forense del tutto legittimamente possono ispirarsi a concetti diffusi e generalmente compresi dalla collettività» (Cass. sez. unite, n. 8313/2019). Dalle norme del codice deontologico vigente all'epoca dei fatti (perfettamente sovrapponibili ai canoni deontologici oggi vigenti di cui agli articoli artt. 9, 19, 52, 63 del codice oggi in vigore) si può evincere che: ex art. 5: «L'avvocato deve ispirare la propria condotta all'osservanza dei doveri di probità, dignità e decoro. [...] L'avvocato è soggetto a procedimento disciplinare per fatti anche non riguardanti l'attività forense, quando si riflettano sulla sua reputazione professionale o compromettano l'immagine della classe forense [...]; ex art. 6: «L'avvocato deve svolgere la propria attività professionale con lealtà e correttezza [...]» ex art. 20«Indipendentemente dalle disposizioni civili e penali, l'avvocato deve evitare di usare espressioni sconvenienti od offensive negli scritti in giudizio e nell'attività professionale in genere, sia nei confronti dei colleghi che nei confronti dei magistrati, delle controparti e dei terzi»; ex art. 22 «L'avvocato deve mantenere sempre nei confronti dei colleghi un comportamento ispirato a correttezza e lealtà». Le Sez. unite hanno infatti precisato che, nel caso qui in esame, la sentenza del Consiglio Nazionale Forense non era incorsa nel vizio di violazione di legge o di erronea sussunzione della fattispecie in quanto aveva motivato in ordine alle modalità del fatto e alle fonti del convincimento probatorio fondato sulle «frasi grevi e volgari e con una carica intrinseca di indubbia offensività ed ingiuriosità»che erano state pronunciate in stretta connessione con lo svolgimento dell'attività professionale in quanto il comportamento del ricorrente era avvenuto all'interno di un ufficio del Tribunale di B. (l'ufficio decreti ingiuntivi) al momento di una richiesta di rilascio di copia di un atto giudiziario e dinanzi al cospetto di avvocati unitamente ai dipendenti dell'ufficio stesso. Non si potrebbe comprendere, dunque, come non possa affermarsi la natura professionale del contesto in cui sono avvenute le ingiurie nonostante non siano state proferite in udienza o in ambito processuale o alla presenza delle parti. La responsabilità disciplinare dell'avvocato legata alla dignità, al decoro, alla probità, alla reputazione professionale, alla correttezza e alla lealtà nei rapporti di colleganza, infatti, non può relegarsi all'ambito strettamente professionale (si veda in questa rivista I limiti deontologici della comunicazione del difensore sui social media. Indicazioni per gli avvocati ai tempi del Coronavirus) essendo il punto nodale dell'intera professione di Avvocato e dovendo applicarsi anche fuori dagli ambiti strettamente professionali: «In tema di responsabilità disciplinare dell'avvocato, l'illecito contemplato dall'art. 5 del previgente codice deontologico rimane integrato in ogni ipotesi di violazione dell'obbligo deontologico di probità, dignità e decoro, sia quando l'avvocato agisca in qualità diversa da quella professionale sia - ed a "fortiori" - nell'esercizio del suo ministero»(Cass. sez. unite, n. 4994/2018).
Quanto alla doglianza in merito alla depenalizzazione del reato di ingiuria «stante l'autonomia delle rispettive sfere di responsabilità, l'illecito in questione poteva ritenersi escluso dalla sopravvenuta irrilevanza penale del fatto in conseguenza dell'abrogazione del delitto ex art. 594 c.p.; tanto più considerato che l'ordinamento professionale pone a carico dell'avvocato un dovere deontologico di dignità, decoro e continenza anche ‘indipendentemente dalle disposizioni civili e penali'(art. 5 cod. deontologico forense). A parere della scrivente detta importante decisione cristallizza principi cardine della cultura deontologica e professionale dell'avvocato già precisati in numerose sentenze delle Sezioni unite e ribaditi dalla dottrina: «È principio pacifico che la responsabilità disciplinare discende dalla inosservanza dei doveri deontologici, e quindi dalla violazione delle specifiche regole previste. Integra tale violazione ogni comportamento o condotta (anche dipendente da un singolo episodio o atto) che incida negativamente sulla dignità e sul prestigio dell'avvocatura e della classe forense in generale» (Cass. sez. unite, 19 maggio 1959, n. 1504; 17 aprile 1963, n. 947; 13 ottobre 1964, n. 2583) (v. commento all'art. 4 cod. deontologico forense, in R. DANOVI, Commentario del Codice Deontologico Forense, Milano Giuffrè 2001). «Probità, dignità e decoro sono doveri generali e concetti guida a cui si richiamano nella quasi totalità le regole di condotta da osservare (…). L'avvocato deve, comunque, ispirare la propria condotta all'osservanza dei doveri di probità dignità e decoro, che sono da ritenere doveri fondamentali, premessa e conseguenza qualificante per gran parte dei comportamenti attuati. (…) In effetti, si può dire a giustificazione di tale principio, che la probità assurge a obbligo professionale perché la figura dell'avvocato si ricollega (o si deve ricollegare) alla giustizia, e quindi a una funzione che richiama particolari doveri, insieme con speciali prerogative e diritti. (…) Dignità, probità e decoro si distinguono anche dai successivi doveri di lealtà e correttezza (di cui diremo), poiché questi ultimi riguardano essenzialmente l'attività processuale, mentre la probità e il decoro intendono portare all'attenzione ai comportamenti professionali (non strettamente processuali) nonché alle condotte estranee alla professione, come chiaramente precisato nel II canone complementare» (v. Commentario al Codice deontologico Forense, op. cit., 103 ss.).
Vorrei concludere con un brano tratto da Difendere (di Ettore Randazzo, Milano, Giuffré, 2017): La Difesa è l'unica garanzia di Legalità e di Giustizia. La Legalità a sua volta in un paese liberale, in uno stato di diritto, è il fondamento dei diritti umani. La Giustizia li concretizza. Quante belle parole. È vero, si tratta di principi sacri e indiscutibili. Però non possiamo dimenticare che vengono attuati dall'uomo con i suoi limiti. La sorveglianza dunque s'impone, e senza tregua. Anche sulla nostra effettiva capacità di difendere, anche sul nostro rispetto dei precetti deontologici, tra i quali campeggia il dovere di difesa, che si rifà ai doveri di diligenza, di lealtà, di correttezza. E dunque è una summa di quel che ci compete e ci sostiene. Da sempre. Credo per sempre. È vero, ci sono tante miserie, tante furfanterie, tante imboscate contro il diritto di Difesa. Eppure da sole non bastano, se c'è il Difensore a sorvegliare. La tutela dell'imputato, le garanzie fondamentali, i diritti dell'uomo, dipendono in gran parte dal Difensore. Ci sono tanti splendidi Difensori, il cui valore e la cui correttezza a volte rimangono dentro la toga, coperto da quel che solo loro sanno delle ragioni di certe strategie, da quel che in segreto professionale hanno appreso. Non sempre si può giudicare validamente la loro condotta. Non è facile, a volte è proprio difficile, capire se un difensore abbia sbagliato, senza conoscere quel che solo lui conosce e si tiene per se' quali che siano le critiche ricevute.
Anche questo è il fascino della Difesa. |