Obbligatorietà della concessione dei termini per le memorie istruttorieFonte: Cod. Proc. Civ. Articolo 183
03 Novembre 2021
Ad una prima lettura dell'art. 183, sesto comma c.p.c., sembra evincersi che il giudice debba concedere i termini ove richiesti, anche da una sola delle parti. Infatti, ivi si legge che: «Se richiesto, il giudice concede alle parti i seguenti termini perentori: 1) un termine di ulteriori trenta giorni per il deposito di memorie limitate alle sole precisazioni o modificazioni delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni già proposte; 2) un termine di ulteriori trenta giorni per replicare alle domande ed eccezioni nuove, o modificate dall'altra parte, per proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande e delle eccezioni medesime e per l'indicazione dei mezzi di prova e produzioni documentali; 3) un termine di ulteriori venti giorni per le sole indicazioni di prova contraria». (art. 183, comma 6, c.p.c.). Sembrerebbe, quindi, che la concessione di termini richiesti sia dovuta. In realtà l'elaborazione giurisprudenziale pone dei distinguo a seconda della sussistenza o meno di questioni pregiudiziali che impediscano lo svolgimento del procedimento stesso. Infatti, i termini di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., presuppongono la possibilità che il giudizio si concluda con una decisione nel merito; ove ciò dovesse essere impedito, ad esempio, da un difetto di giurisdizione o di competenza, sarebbe evidentemente inutile la concessione dei richiesti termini. Così Trib. Milano, sez. VI, 29 aprile 2021, n. 3590, per il quale «il giudice ha la facoltà di assumere la causa in decisione in qualsiasi momento, e quindi anche senza la concessione dei termini ai sensi dell'art. 183, comma 6, c.p.c., per decidere separatamente una questione di merito avente carattere preliminare (se la stessa è idonea a definire il giudizio) ovvero se sorgono questioni inerenti alla giurisdizione, alla competenza ovvero ad altre questioni pregiudiziali». Ove, poi, si ritenga illegittimo il diniego dei termini richiesti, la mancata rilevazione di tale vizio in procedendo consentirà alla parte di dedurre la ragione di nullità come motivo di gravame ai sensi dell'art. 161, comma 1, c.p.c. Di tale principio è espressione la pronuncia che segue: «La querela di falso proposta in via principale si configura, malgrado la peculiarità del suo oggetto, come un giudizio ordinario di cognizione nel quale trova applicazione l'art. 183, comma 6, c.p.c., senza che a ciò osti l'art. 221 c.p.c., che ha la propria "ratio" esclusiva nel consentire al giudice di valutare preliminarmente, in omaggio al principio della ragionevole durata del processo, la sussistenza dei presupposti per la proposizione della querela; peraltro, la mancata assegnazione dei termini di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c. determina la nullità della sentenza solo ove la parte che la impugni dimostri che da tale omissione sia conseguita, in concreto, una lesione del suo diritto di difesa, allegando il pregiudizio che gliene sia derivato». (Cass. civ., sez. I, 1 febbraio 2016, n. 1866). |