Riforma processo penale. Dalla delega ai decreti delegati: punti fermi… e non (Parte IV)

Renato Bricchetti
30 Novembre 2021

L'epicentro della crisi è nelle sedi delle Corti d'appello (non di tutte). Alcune Corti hanno un numero ingestibile, con le risorse, personali e reali, attuali di processi pendenti. Non si tratta solo di un problema di insoddisfacente organizzazione delle risorse esistenti o di inadeguatezza della normativa. Il problema, che tutti gli altri condiziona, è quello della carenza di uomini e di mezzi. Con una pendenza di 50.000 processi (il dato è reale) servirebbero 50 giudici in più, dedicati solo a questo, e 5 anni per definire l'arretrato.La Corte di cassazione ancora regge...
Modifiche in materia di impugnazioni (appello, ricorso per cassazione e impugnazioni straordinarie) (art. 1, comma 13). Premessa

L'epicentro della crisi è nelle sedi delle Corti d'appello (non di tutte). Alcune Corti hanno un numero ingestibile, con le risorse, personali e reali, attuali di processi pendenti. Non si tratta solo di un problema di insoddisfacente organizzazione delle risorse esistenti o di inadeguatezza della normativa. Il problema, che tutti gli altri condiziona, è quello della carenza di uomini e di mezzi.

Con una pendenza di 50.000 processi (il dato è reale) servirebbero 50 giudici in più, dedicati solo a questo, e 5 anni per definire l'arretrato.

La Corte di cassazione ancora regge: le sezioni penali hanno pendenze fisiologiche e i tempi di definizione dei processi sono contenuti.

La buona organizzazione, gli sforzi continui per accrescere la funzionalità, l'impegno dei giudici, il consistente numero di ricorsi inammissibili consentono di mantenere alto il livello e di raggiungere buoni risultati. Ma è sempre più difficile.

Disposizioni generali sulle impugnazioni (comma 13, lett. a – b)

Il legislatore delegato non può risolvere questa crisi; può solo alleviare qualche dolore perché nel comma 13 dell'art. 1, dedicato in generale alle impugnazioni, in particolare all'appello e al ricorso per cassazione, ci sono, se si pensa agli scopi che la riforma si propone, disposizioni utili (lett. a, b, g, h, l, m, n), ma anche disposizioni la cui utilità per il raggiungimento dei fini è dubbia (lett. c, d, e, f, i).

Dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione dell'atto introduttivo del giudizio di impugnazione

Una prima disposizione (lett. a)), utile soprattutto per l'organizzazione dell'attività introduttiva del giudizio d'appello, impone al legislatore delegato di prevedere che con l'atto di impugnazione sia depositata, a pena di inammissibilità, dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione dell'atto introduttivo del giudizio di impugnazione.

Resta fermo il criterio di cui al comma 7, lett. h)), dettato per il processo in assenza secondo il quale il difensore dell'imputato assente può impugnare la sentenza solo se munito di specifico mandato, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e l'imputato, con lo specifico mandato a impugnare, deve dichiarare o eleggere il domicilio per il giudizio di impugnazione.

Il Governo deve, dunque, inserire la nuova disposizione nell'art. 581 c.p.p. che disciplina la forma dell'impugnazione.

Si tratta di disposizioni realistiche e ragionevoli che non meritano le critiche ricevute (tra gli altri da SPIGARELLI, Riforma Cartabia: sull'appello più ombre che luci, in questa Rivista, 23 settembre 2021)

Soppressione degli artt. 582 comma 2 e 583 c.p.p.

Con la disposizione di cui alla lett. b), il Parlamento manifesta la volontà di abrogare l'art. 582 comma 2 e l'art. 583 c.p.p. che disciplinano i modi di proposizione (presentazione nella cancelleria o spedizione con telegramma o raccomandata) dell'atto di impugnazione delle parti private.

L'esplicita previsione della soppressione del solo comma 2 dell'art. 582 lascia intendere che sopravviverà la presentazione dell'atto nella cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato disciplinata dal comma 1.

In ogni caso, il legislatore delegato dovrà impegnarsi nel complesso compito di creare una disciplina del deposito degli atti di impugnazione che sia coordinata con quella, generale, prevista per il deposito di tutti gli atti del procedimento.

L'art. 1 comma 5, lett. a), della legge delega stabilisce, invero, che il Governo deve prevedere che nei procedimenti penali in ogni stato e grado il deposito di atti e documenti sia effettuato con modalità telematiche e che «per gli atti che le parti compiono personalmente il deposito possa avvenire anche con modalità non telematica».

Rapporti tra improcedibilità ex art. 344-bis c.p.p. e azione civile

Il legislatore delegato è tenuto a disciplinare i rapporti tra l'improcedibilità dell'azione penale per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione (art. 344-bis c.p.p.), da una parte, l'azione civile esercitata nel processo penale e la confisca disposta con la sentenza impugnata, dall'altra, adeguando “conseguentemente” la disciplina delle impugnazioni per i soli interessi civili ed assicurando una regolamentazione coerente della materia.

L'attuazione dell'articolata disposizione di cui alla lett. d) impegnerà non poco il Governo.

i) Il nuovo art. 344-bis c.p.p., introdotto dall'art. 2 comma 2 lett. a), della legge, disciplina l'«improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione» (così la rubrica).

La mancata definizione del giudizio di appello entro due anni (comma 1) e del giudizio di cassazione entro un anno (comma 2) costituisce causa di improcedibilità dell'azione penale.

Il giudicato formatosi su uno o più reati non risente dello scorrere del tempo per gli altri reati.

Il comma 3 si limita a fissare il momento di decorrenza del termine.

Si ferma (si estingue) il processo benché il reato non sia estinto. E non rileva quale sia stato il segno delle precedenti decisioni di merito, adottate anche all'esito di eventuale giudizio di rinvio (sul punto FERRUA, La singolare vicenda della “improcedibilità”, in questa Rivista, 27 agosto 2021, parla di “straordinaria reformatio in peius per decorso del tempo”, articolando dubbi di incostituzionalità sulla prescrizione processuale).

Le disposizioni dell'art. 344-bis c.p.p. non si applicano nei procedimenti per i delitti puniti con l'ergastolo, anche come effetto dell'applicazione di circostanze aggravanti (comma 9).

Né la declaratoria di improcedibilità può avere luogo quando l'imputato (non quindi il suo difensore, non potendo operare in tal caso l'estensione di cui all'art. 99, comma 1, c.p.p.) chiede la prosecuzione del processo (comma 7).

La declaratoria di improcedibilità non ha luogo soltanto se l'imputato chiede la prosecuzione del processo (oltre che – a mio avviso – se l'appello o il ricorso per cassazione è inammissibile).

ii) Lasciando per un momento da parte le altre disposizioni contenute nell'art. 344-bis c.p.p. e prima di affrontare gli specifici temi posti nel comma 13, lett. d), è importante interrogarsi sul rapporto tra improcedibilità e inammissibilità dell'impugnazione.

L'improcedibilità, l'impossibilità di proseguire il giudizio delineata dall'art. 344-bis presuppone che l'impugnazione sia ammissibile; un'impugnazione inammissibile è – come le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno ormai da tempo affermato e ribadito (per tutte v. Cass. pen., sez. unite, 22 novembre 2000, De Luca) - inidonea ad instaurare il rapporto processuale di impugnazione e non può che dar luogo al relativo provvedimento di rito.

Sono quasi trent'anni che la giurisprudenza esclude la possibilità di dichiarare la prescrizione del reato sopravvenuta rispetto ad un'impugnazione (in particolare ad un ricorso per cassazione) inammissibile ed è improbabile, oltre che ingiustificabile, che questo orientamento cada al cospetto della nuova “prescrizione processuale” o sia sostituito da un ritorno alla distinzione tra cause d'inammissibilità.

iii) Tornando all'art. 344-bis è opportuno ricordare il sistema di prorogabilità del termine delineato nel comma 4.

Prima proroga: il giudice che procede può prorogare, con ordinanza motivata, il termine per un periodo non superiore a un anno nel giudizio di appello e per un periodo non superiore a sei mesi nel giudizio di cassazione. Presupposto è che il giudizio di impugnazione sia particolarmente complesso, in ragione del numero delle parti o delle imputazioni o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare.

Non si specifica se il “giudice che procede” possa disporre d'ufficio la proroga (DI BITONTO, Osservazioni “a caldo” sull'improcedibilità dell'azione disciplinata dall'art. 344-bis c.p.p., in questa Rivista, 4 ottobre 2021 - ritiene che, se così fosse, la lettura genererebbe problemi di legittimità costituzionale) o se sia necessaria una richiesta del Procuratore Generale, sulla quale decidere de plano o previo contraddittorio “cartaceo”.

Non sembra sussistano particolari ostacoli alla possibilità che il giudice provveda d'ufficio alla proroga, dovendo il medesimo limitarsi a valutare la complessità del giudizio, non prendere posizione su quale tra i contrapposti interessi debba prevalere.

Ulteriori proroghe: possono essere disposte, per le ragioni e per la durata sopra indicate, senza un limite temporale massimo, quando si procede per i delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale (per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni), per i delitti di cui agli artt. 270 terzo comma, 306 secondo comma, 416-bis, 416-ter, 609-bis (nelle ipotesi aggravate di cui all'articolo 609-ter), 609-quater e 609-octies c.p., nonché per i delitti aggravati ai sensi dell'art. 416-bis.1, primo comma, c.p. e per il delitto di cui all'art. 74 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.

Solo per “i delitti aggravati ai sensi dell'art. 416-bis.1, primo comma, c.p.”, è posto un limite ai periodi di proroga: «non possono superare complessivamente tre anni nel giudizio di appello e un anno e sei mesi nel giudizio di cassazione».

iv) Il comma 5 delinea il regime di impugnabilità dell'ordinanza di proroga.

Afferma, in particolare, che, contro l'ordinanza che dispone la proroga del termine previsto per il giudizio di appello, l'imputato e il suo difensore possono proporre ricorso per cassazione, a pena di inammissibilità, entro cinque giorni dalla lettura dell'ordinanza o, in mancanza, dalla sua notificazione. Il ricorso non ha effetto sospensivo e la Corte di cassazione deve decidere entro trenta giorni dalla ricezione degli atti osservando le forme previste dall'articolo 611 c.p.p. (udienza camerale non partecipata). Quando la Corte di cassazione rigetta o dichiara inammissibile il ricorso, la questione non può essere riproposta con l'impugnazione della sentenza.

Sull'ordinanza di proroga emessa dalla Corte di cassazione il legislatore non si pronuncia.

Ma errori materiali, errori di fatto o errori di diritto ce ne saranno.

E non può certo escludersi che contro l'ordinanza della Corte di cassazione sia proponibile ricorso per cassazione (che sarà esaminato da una sezione della Corte diversa da quella che ha emesso l'ordinanza).

v) Benché il legislatore non si esprima sul punto la improcedibilità va dichiarata con sentenza.

Il legislatore tace sui rimedi agli eventuali errori commessi nel dichiarare l'improcedibilità. E anche in tal caso il problema riguarda, in particolare, gli errori di diritto della Corte di cassazione (potendo ipotizzarsi per gli errori materiali o di fatto l'esperibilità del rimedio previsto dall'art. 625-bisc.p.p.).

vi) Molto altro vi sarebbe da dire sull'art. 344-bis c.p.p. e sulle disposizioni contenute nei commi 3, 4 e 5 dell'art. 2 della legge (si rinvia per questo alla Relazione dell'Ufficio del massimario della Corte di cassazione n. 60 del 3 novembre 2021) ma il tema che si deve affrontare è la direttiva che invita il legislatore delegato a stabilire quale sarà la sorte dell'azione civile esercitata nel processo penale e quale quella della confisca disposta con la sentenza di condanna. Cominciando dalla decisione sugli effetti civili nel caso di improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione, vi è da dire che la legge ha già provveduto, intervenendo sull'art. 578 c.p.p.

All'art. 578, prima dedicato soltanto al caso di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione, è stato aggiunto (dall'art. 2 comma 2 lett. b) della legge) il comma 1-bis che stabilisce che, quando nei confronti dell'imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice di appello e la Corte di cassazione, nel dichiarare improcedibile l'azione penale per il superamento dei termini di cui ai commi 1 e 2 dell'art. 344-bis, rinviano per la prosecuzione al giudice civile competente per valore in grado di appello, che decide valutando le prove acquisite nel processo penale.

Il Parlamento giustamente prende le distanze dalle recenti affermazioni delle Sezioni unite della Corte di cassazione (Cass. sez. unite, 28 gennaio 2021, Cremonini) e pretende che il giudice civile “valuti le prove acquisite nel processo penale”.

Ma l'espressione è ambigua e il legislatore delegato dovrà capire e chiarire.

Sembrerebbe che il giudice civile debba necessariamente tener conto, nelle proprie valutazioni, dei fatti provati nel processo penale. Il che, naturalmente, non esclude la possibilità di integrazioni probatorie nel processo civile.

Il legislatore delegato dovrà fare chiarezza anche sulle regole probatorie e i criteri di valutazione che il giudice civile dovrà seguire (e questo potrebbe giustificare analogo intervento sull'art. 622 c.p.p.).

Il giudice della prosecuzione è indicato in quello «civile competente per valore in grado di appello» e ciò è corretto qualora l'improcedibilità sia dichiarata dal giudice di appello; non lo è, comportando un'ingiustificata regressione, qualora l'improcedibilità sia dichiarata dalla Corte di cassazione. E sarà interessante vedere come le sezioni civili della Corte di cassazione dovranno valutare le prove acquisite nel processo penale.

Rapporti tra improcedibilità ex art. 344-bis c.p.p. e confisca

La confisca, disposizione “penale” della sentenza, impegnerà ancora di più il legislatore delegato.

Al momento il riferimento normativo più vicino al tema è rappresentato dall'art. 578-bis c.p.p. che disciplina la decisione su alcuni casi di disposta confisca («la confisca in casi particolari prevista dal primo comma dell'articolo 240-bis del codice penale e da altre disposizioni di legge o la confisca prevista dall'articolo 322-ter del codice penale») nell'ipotesi in cui sopravvenga l'estinzione del reato per prescrizione, stabilendo che il giudice di appello o la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione, devono decidere sull'impugnazione ai soli effetti della confisca “previo accertamento della responsabilità dell'imputato».

Il Governo dovrà dire se questo modello sia esportabile nell'area dell'improcedibilità; se il giudizio possa proseguire (e davanti a quale giudice) «previo accertamento della responsabilità dell'imputato» per l'applicazione della confisca, sanzione o misura di sicurezza, obbligatoria o facoltativa.

Il problema sotteso è molto serio. Non solo per le aspettative dello Stato e dell'imputato ma anche, e soprattutto, per quelle della persona offesa dal reato o, comunque, della persona estranea ai fatti che invoca il dissequestro e la restituzione dei beni di cui è proprietaria.

Esclusi i casi di eventuale giudicato parziale, la sentenza dichiarativa dell'improcedibilità dell'azione penale interviene prima che si sia formato il giudicato.

La sentenza non vanifica l'efficacia probatoria degli atti fino a quel momento compiuti tanto che –come si è detto al punto precedente - il giudice civile del rinvio deve valutare «le prove acquisite nel processo penale».

Non può più occuparsi dei fatti oggetto dell'imputazione (il compito del giudice della cognizione si esaurisce), ma resta il nodo delle statuizioni in essere, non definitive, sui beni in sequestro; un nodo da sciogliere in modo che non siano arrecati pregiudizi alle parti e ai terzi interessati.

Si tratta di vedere come tutelare questi interessi, con quali provvedimenti intervenire sui beni in sequestro, quale possa essere il giudice funzionalmente competente, se e cosa debba fare il giudice che dichiari l'improcedibilità dell'azione penale per decorso del termine.

Si è detto che il venir meno del procedimento impedisce la formazione del giudicato. Viene meno il rapporto processuale, a logica conferma del fatto che – come prima si è detto - l'impugnazione inammissibile neutralizza il decorso del tempo perché impedisce la nascita del rapporto processuale.

Il procedimento penale di cognizione non esiste più. E probabilmente non esiste più alcun potere o dovere del giudice della cognizione.

D'altra parte, cosa dovrebbe fare in relazione ai beni? Confiscarli o dissequestrarli. Ma questa strada non è praticabile.

Non resta che il giudice dell'esecuzione, benché le relative statuizioni non siano passate in giudicato. Giudice dell'esecuzione al quale può, ad es., essere richiesto di disporre la confisca anche a fronte di provvedimento di archiviazione o di sentenza di non luogo a procedere, fermo restando che il giudice dell'esecuzione può disporre la confisca solo nei casi in cui questa è obbligatoria per legge - sia in applicazione del capoverso dell'art. 240 c.p., sia nelle ipotesi previste dalle leggi speciali - restando rimessa all'esclusiva potestà del giudice della condanna l'adozione della confisca facoltativa (Cass. sez. I, 16 aprile 2021, n. 27172), e tenuto conto che, nell'ambito della confisca “obbligatoria”, il giudice dell'esecuzione può utilmente intervenire anche nelle ipotesi in cui la confisca necessiti, nel contraddittorio delle parti, di accertamenti in ordine ai presupposti ed alle condizioni per provvedere (Cass. sez. I, 16 maggio 2000, n. 3599; principio confermato da Cass. sez. unite, 30 maggio 2001, Derouach).

Le situazioni che possono prospettarsi sono, peraltro, molto diverse tra loro.

È agevole pensare che possa rivolgersi al giudice dell'esecuzione, chi intenda conseguire la revoca di una confisca disposta con la sentenza di primo grado, confermata in appello (tipico è il caso del terzo, rimasto estraneo al giudizio, che assuma di essere titolare di diritti sulla cosa confiscata: tra le tante, v. Cass. sez. I, 16 maggio 2000, n. 3596) o chi abbia interesse a veder confermata la confisca disposta.

Ma possono anche esistere situazioni in cui nessuno ha interesse alla restituzione o alla confisca, neppure l'Amministrazione dello Stato (che nel procedimento di esecuzione avente ad oggetto la confiscabilità di un bene, ha diritto all'avviso dell'udienza: v. Cass. sez. unite, 28 aprile 1999, Bacherotti). Nessuno si rivolgerà quindi al giudice dell'esecuzione.

E il bene, di cui magari si è disposta la confisca e la distruzione o chissà che altro, che sorte avrà?

Questa e altre domande impongono di ripensare al giudice che dichiara l'improcedibilità dell'azione penale.

Un provvedimento di confisca disposto contestualmente all'improcedibilità potrebbe essere considerato legittimo, prendendo come riferimento normativo (per un'applicazione analogica) la non estensibilità, a norma dell'art. 236comma secondo, c.p., alla confisca e alle altre misure di sicurezza patrimoniali del disposto dell'art. 210 dello stesso codice che preclude l'applicazione delle misure di sicurezza personali in caso di estinzione del reato.

Va progettato un intervento sul punto e il compito che attende il legislatore delegato è molto complesso.

Un'ultima considerazione di carattere generale.

Il sopravvenire dell'improcedibilità non può porre nel nulla la realtà acquisita nel procedimento. Devono essere ipotizzati, almeno per alcuni casi, approdi diversi.

Non si possono, ad es., dimenticare i valori espressi dalla regola di cui all'art. 129 c.p.p. per la rilevanza attribuita al riconoscimento dell'innocenza di una persona accusata.

Già se ne è accennato; una realtà, come questa, deve prevalere.

Chi è stato riconosciuto innocente nel giudizio non può subire una reformatio in peius per ragioni che non gli sono attribuibili, né si può pretendere che sia lui ad attivarsi se vuole il giudicato sulla sua innocenza.

Occorre, inoltre, chiedersi se davvero con l'improcedibilità non permangano conseguenze pregiudizievoli per l'imputato. Questo è un terreno non ancora esplorato. Probabilmente non gli sarà chiesto il pagamento delle spese processuali o delle spese del mantenimento in carcere, ma certi provvedimenti accessori, come ad es. la dichiarazione di falsità di un atto o di un documento oppure l'ordine di trasmettere la sentenza o altri atti all'autorità amministrativa per quanto di competenza in ordine alle sanzioni amministrative, che sorte avranno?

L'adeguamento della disciplina delle impugnazioni per i soli interessi civili

Il legislatore delegato è tenuto ad adeguare la disciplina delle impugnazioni per i soli interessi civili “assicurando una regolamentazione coerente della materia”.

Allo stato, l'impugnazione per i soli interessi civili – come si legge nell'art. 573 c.p.p. - è proposta, trattata e decisa con le forme ordinarie del processo penale e non sospende, in deroga all'art. 588, l'esecuzione delle “disposizioni penali” del provvedimento impugnato.

L'impugnazione dell'imputato per gli interessi civili (che è proposta col mezzo previsto per le disposizioni penali della sentenza) è disciplinata dall'art. 574 c.p.p. e concerne i capi della sentenza che riguardano la sua condanna alle restituzioni e al risarcimento del danno (art. 538), i capi della sentenza relativi alla rifusione delle spese processuali (art. 541, comma 1), le disposizioni della sentenza di assoluzione relative alle domande da lui proposte per il risarcimento del danno e per la rifusione delle spese processuali (art. 541, comma 2).

Una sola considerazione sul punto. Forse è giunto il momento, tenuto conto della ratio dell'intervento riformatore, di sopprimere le impugnazioni per i soli effetti civili qualora la “questione” penale sia stata risolta in modo irrevocabile.

Appello (comma 13, lett. c – l)

Si tratta ora di dar conto delle direttive dedicate all'appello.

Inappellabilità

Sono previsti casi di oggettiva inappellabilità di alcune sentenze.

In particolare, il legislatore delegato dovrà prevedere l'inappellabilità:

  • delle sentenze di proscioglimento e della sentenza di non luogo a procedere relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa (lett. c) e f));
  • della sentenza di condanna a pena sostituita con il lavoro di pubblica utilità (lett. e)),

sentenze che saranno, dunque, soltanto ricorribile per cassazione.

Attualmente l'art. 593 comma 3 c.p.p., dedicato ai casi di appello, stabilisce l'inappellabilità delle sentenze di condanna (per contravvenzione) per le quali è stata applicata la sola pena dell'ammenda e delle sentenze di proscioglimento relative a contravvenzioni punite con la sola pena dell'ammenda o con pena alternativa.

La modifica richiesta al Governo non abbisogna di commenti particolari se non per constatare che l'inappellabilità della sentenza di proscioglimento riguarda ora anche i delitti puniti con la sola pena della multa o con pena alternativa.

Anche con riguardo alla sentenza di non luogo a procedere, da poco ritornata inappellabile, l'art. 428, comma 3-quater, ne prevede attualmente l'inappellabilità se relativa “a contravvenzioni punitecon la sola pena dell'ammenda o con pena alternativa”.

Rito camerale non partecipato

L'esperienza maturata nel periodo di emergenza pandemica ha suggerito al Parlamento di delegare al Governo la previsione che il giudizio di appello si svolga con rito camerale non partecipato.

In deroga a quanto previsto dall'art. 127 c.p.p., la Corte d'appello giudica, dunque, sui motivi del ricorrente, sulle richieste del procuratore generale e sulle memorie delle altre parti senza intervento dei difensori.

È fatto salvo il diritto della parte appellante e, anche se non appellante, dell'imputato o del suo difensore (non dunque le altre parti private o il pubblico ministero non appellanti) di richiedere di partecipare all'udienza.

La richiesta di discussione orale è insindacabile, ma il Governo dovrà regolamentarla, prevedendo un termine perentorio entro il quale presentarla da coordinare con i termini previsti per il deposito delle richieste del Procuratore generale.

Il modello utilizzabile è nell'art. 23-bis del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv., con mod., dalla l. 18 dicembre 2020, n. 176.

Concordato (anche con rinuncia ai motivi d'appello)

Come già detto trattando del patteggiamento, la delega prevede che siano eliminate le preclusioni di cui all'articolo 599-bis comma 2 c.p.p. (comma 1, lett. h))

Detta disposizione attualmente esclude dall'applicazione del concordato:

  • i delitti di cui all'art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p.;
  • i delitti di cui agli artt. 600-bis, 600-ter, primo, secondo, terzo e quinto comma, 600-quater, secondo comma, 600-quater.1, relativamente alla condotta di produzione o commercio di materiale pornografico, 600-quinquies, 609-bis, 609-ter, 609-quater e 609-octies c.p.;
  • i procedimenti contro coloro che siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza.

Specificità dei motivi d'appello

Il legislatore delegato deve prevedere l'inammissibilità dell'appello per mancanza di specificità dei motivi quando nell'atto manchi la puntuale ed esplicita enunciazione dei rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto e di diritto espresse nel provvedimento impugnato.

Secondo i primi commenti, la portata innovativa della disposizione è nulla (DANIELE, La riforma della giustizia penale e il modello perduto, in DisCrimen, settembre 2021), anche se c'è chi vi intravede insidie (FERRUA, La singolare … cit.) e chi manifesta perplessità sulla previsione (SPIGARELLI, cit.).

In ogni caso già le Sezioni Unite della Suprema Corte (Cass. pen., sez. un. 27 ottobre 2016, n. 8825/2017, Galtelli) hanno chiarito «quali siano, ai fini dell'ammissibilità dell'atto di appello, i requisiti di specificità dei relativi motivi».

La Corte ha affermato in particolare che «l'appello (al pari del ricorso per cassazione) è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della sentenza impugnata, fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell'impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato».

In tal modo si è confermato che, in sede di appello, l'esigenza di specificità del motivo deve essere valutata come nel giudizio di legittimità; d'altra parte, l'inammissibilità dell'atto di appello per difetto di specificità dei motivi, che la Corte territoriale erroneamente non ha qualificato come tale, può essere rilevata anche in Cassazione ai sensi dell'art. 591 comma 4 c.p.p.

Il requisito della specificità del motivo deve, dunque, sempre essere valutato con il medesimo metro, costituendo requisito indefettibile sia dell'appello che del ricorso per cassazione, pena l'inammissibilità.

La parte più significativa della decisione in esame è quella in cui la Corte disattende l'affermazione secondo cui le differenze tra appello e ricorso per cassazione si dovrebbero cogliere sul piano della genericità “estrinseca” o “relazionale”.

In altre parole, anche per l'appello è generico il motivo che si caratterizza per l'omesso confronto argomentativo con la motivazione della sentenza impugnata.

Un principio non certo nuovo, ma opportunamente riportato alla luce. Scriveva LEONE, Trattato di diritto processuale penale, III, Napoli, 1961, p. 87: «Motivi specifici [...] devono considerarsi quelli che in relazione alla decisione impugnata assumono un contenuto di critica concreta ed adeguata ad una determinata decisione» e la Suprema Corte, nel vigore dell'art. 201, quinto comma, c.p.p. 1930, affermava «non è generico il motivo di impugnazione che si dolga della misura della pena con la frase “per le modalità del fatto la pena è eccessiva”, se la sentenza impugnata si sia limitata a motivare, sul punto relativo alla misura della pena ;», con la sola frase “valutate le circostanze dell'art. 133 c.p.”» (Cass. pen., sez. II, 1° marzo 1963, Di Launo, in Giust. pen., 1964, III, c. 18.).

L'onere di specificità dei motivi di impugnazione, proposti con riferimento ai singoli punti della decisione, è “direttamente proporzionale” alla specificità delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, con riferimento ai medesimi punti.

In altri termini: se la sentenza non argomenta sul punto o lo fa in termini generici, anche l'appello generico non è inammissibile.

Ma se la sentenza è specificamente argomentata sul punto l'appello, per non essere inammissibile, deve criticare specificamente quelle argomentazioni.

Se l'argomento del giudice sul punto o sulla questione (es. diniego attenuanti generiche) manca o è aspecifico, il motivo d'appello sul punto o sulla questione potrà essere legittimamente aspecifico. Il dovere di ragionare grava sia sul giudice che decide e spiega, sia sul difensore che impugna e critica la spiegazione, ed è un dovere correlato proporzionalmente.

Una sentenza, dunque, quella di cui si discorre destinata a ricordare che l'appello è una cosa seria: «chi impugna un provvedimento non può limitarsi a protestare l'ingiustizia [...] ma deve dirne le ragioni. A stretto rigore queste ragioni il giudice potrebbe cercarle da sé: ma non vi sarebbe alcuna convenienza a rinunciare su questo tema al contributo della parte che impugna: o chi afferma l'ingiustizia del provvedimento ha o non ha delle ragioni per sostenerla; se non le ha, l'impugnazione non è seria e non mette conto di darvi seguito; se le ha, è giusto che le esponga».

Lo scriveva CARNELUTTI, Lezioni sul processo penale, IV, Roma 1949, p. 125, aggiungendo (p. 127) «il precetto [della esposizione specifica dei motivi] ha manifestamente lo scopo di invitare chi impugna alla ponderazione, evitando impugnazioni impulsive e irriflessive».

E che il requisito della specificità dei motivi sia finalizzato a saggiare la “serietà” dell'impugnazione lo si legge anche nella Relazione al progetto preliminare del c.p.p. (in Speciale Documenti Giustizia, 1988, II, p. 288).

Rinnovazione dell'istruzione dibattimentale

Il Parlamento vuole che l'art. 603, comma 3-bis, c.p.p. sia modificato (comma 13, lett. l).

i) Da qualche anno l'art. 603 è tornato al centro dell'attenzione.

La prima tappa è segnata da Cass. sez. unite, 28 aprile 2016, n. 27620, Dasgupta che ha affermato che la previsione contenuta nell'art. 6, par. 3, lett. d) della CEDU, relativa al diritto dell'imputato di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l'esame dei testimoni a discarico, come definito dalla giurisprudenza consolidata della Corte EDU, implica che:

  • il giudice di appello, investito della impugnazione del pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, anche se emessa all'esito del giudizio abbreviato, con cui si adduca una erronea valutazione delle prove dichiarative, non può riformare la sentenza impugnata, affermando la responsabilità penale dell'imputato, senza avere proceduto, anche d'ufficio, ai sensi dell'art. 603, comma 3, c.p.p., a rinnovare l'istruzione dibattimentale attraverso l'esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo, ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado;
  • anche il giudice di appello che riformi, ai soli fini civili, la sentenza assolutoria di primo grado sulla base di un diverso apprezzamento dell'attendibilità di una prova dichiarativa ritenuta decisiva, è obbligato a rinnovare l'istruzione dibattimentale, anche d'ufficio;
  • sia affetta da vizio di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., per mancato rispetto del canone di giudizio "al di là di ogni ragionevole dubbio", di cui all'art. 533, comma 1, c.p.p., la sentenza di appello che, su impugnazione del pubblico ministero, affermi la responsabilità dell'imputato, in riforma di una sentenza assolutoria, operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, delle quali non sia stata disposta la rinnovazione a norma dell'art. 603, comma 3, c.p.p..

Cass. sez. unite, 19 gennaio 2017, n. 18620, Patalano, ha, poi, confermato che è affetta da vizio di motivazione, per mancato rispetto del canone di giudizio "al di là di ogni ragionevole dubbio", anche la sentenza di appello che, su impugnazione del pubblico ministero, affermi la responsabilità dell'imputato, in riforma di una sentenza assolutoria emessa all'esito di un giudizio abbreviato non condizionato, operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, senza che nel giudizio di appello si sia proceduto all'esame delle persone che abbiano reso tali dichiarazioni.

È arrivato, poi, il comma 3-bis, entrato in vigore il 3 agosto 2017 («Nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale») del quale forse non c'era bisogno, ma che ha consentito alla dottrina di porsi domande, di darsi risposte, di affacciare critiche e ai giudici di appello di interrogarsi sul requisito di specificità dell'appello del pubblico ministero.

Sono seguite altre tre pronunce delle Sezioni unite (Cass. sez. unite,21 dicembre 2017, n. 14800, P.G. in proc. Troise, Cass. sez. unite, 28 gennaio 2019, n. 14426, Pavan e Cass. sez. unite, 28 gennaio 2021, n. 22065, Cremonini), una della Corte costituzionale (Corte cost. 23 maggio 2019, n. 124) e una della Corte EDU (25 marzo 2021, Di Martino e Molinari c. Italia).

ii) Ora, il legislatore delegato dovrà prevedere che, nel caso di appello contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale sia limitata ai soli casi di prove dichiarative “assunte in udienza nel corso del giudizio di primo grado”.

Non resta che confermare quanto già da altri affermato (SPIGARELLI, cit.): il Governo dovrà escludere la rinnovazione nel caso di giudizio abbreviato non condizionato o, comunque, non condizionato all'assunzione di prova dichiarativa e in ogni caso in cui la prova dichiarativa sia stata inserita nel fascicolo senza assunzione del dichiarante.

Ricorso per cassazione (comma 13, lett. m – o)

Trattazione dei ricorsi

Come già si è detto trattando del giudizio di appello, il sistema procedurale “COVID” diventa regola.

Il Parlamento vuole che la trattazione dei ricorsi davanti alla Corte di cassazione avvenga con contraddittorio scritto senza l'intervento dei difensori (comma 13, lett. m)).

Tuttavia, nei casi non contemplati dall'art. 611 c.p.p., le parti possono presentare richiesta di discussione orale in pubblica udienza o in camera di consiglio partecipata.

Negli stessi casi, la legge delega vuole che la Corte di cassazione possa disporre, anche in assenza di una richiesta di parte, la trattazione con discussione orale in pubblica udienza o in camera di consiglio partecipata.

Infine, si dovrà dare dignità di norma ad una prassi già esistente.

La Corte di cassazione, qualora intenda dare al fatto una definizione giuridica diversa, deve instaurare preventivamente il contraddittorio nelle forme previste per la celebrazione dell'udienza.

La Corte EDU sembra ritenere che si possa procedere ad una diversa qualificazione del fatto, senza preventiva interlocuzione, solo se la prospettiva della nuova definizione sia formalmente nota o comunque sufficientemente prevedibile (Corte EDU, Sez. II, 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia).

Questioni concernenti la competenza

Sempre ad evidenti fini di riduzione dei tempi del procedimento, il comma 13, lett. n), impone al legislatore delegato di prevedere che il giudice chiamato a decidere una questione concernente la competenza per territorio possa, anche su istanza di parte, rimettere la decisione alla Corte di cassazione, che provvede in camera di consiglio.

Qualora non proponga l'istanza di rimessione della decisione alla Corte di cassazione, la parte che ha eccepito l'incompetenza per territorio non potrà riproporre la questione nel corso del procedimento.

Infine, la Corte di cassazione, nel caso in cui dichiari l'incompetenza del giudice, ordinerà la trasmissione degli atti al giudice competente.

Non serve, dunque, la rilevazione da parte del giudice di un caso di conflitto e la Corte di cassazione dovrebbe poter provvedere in camera di consiglio non partecipata.

La questione sembra riguardare ogni giudice di merito, compreso il giudice per le indagini preliminari.

Impugnazioni straordinarie

La lett. o)del comma 13 impone al governo di introdurre un mezzo di impugnazione straordinario davanti alla Corte di cassazione al fine di dare esecuzione alla sentenza definitiva della Corte EDU, proponibile dal soggetto che abbia presentato il ricorso alla Corte medesima, entro un termine perentorio.

La direttiva muove dall'esigenza di introdurre un nuovo rimedio straordinario, diverso da quello previsto dall'art. 625-bis c.p.p. (ricorso straordinario per errore materiale o di fatto, che dovrà essere “coordinato” con quello della rescissione del giudicato nei confronti dell'assente “incolpevole” (trasferito, a seguito della riforma Orlando, dall'art. 625-ter all'art. 629-bis) e con l'incidente di esecuzione di cui all'art. 670 c.p.p. inteso a ottenere la dichiarazione di non esecutività del provvedimento.

Il Parlamento prende le distanze dalla tendenza, molto criticata, dei giudici di legittimità (Cass. sez. VI, 12 novembre 2008, Drassich; Cass., sez. V, 11 febbraio 2010, Scoppola), di estendere l'area dei provvedimenti impugnabili con ricorso straordinario ex art. 625-bis per rimediare a errori, non necessariamente materiali o di fatto, determinanti una violazione della CEDU verificatisi nel giudizio di cassazione.

Detta tendenza è stata comunque ridimensionata in una successiva pronuncia (Cass. sez. V 14 marzo 2016, n. 28676) in cui si è affermato – come rilevato in dottrina (LA TORRE, Il ricorso straordinario per errore materiale o di fatto: una «valvola di chiusura del sistema delle impugnazioni» in crisi di identità, in Le impugnazioni penali a cura di CANZIO – BRICCHETTI, Milano 2019) - che l'esigenza «di conformarsi ai principi sanciti da una sentenza della Corte EDU deve pur sempre passare attraverso il rinvenimento di uno strumento processuale conforme non solo alla finalità indicata dalla pronuncia sovranazionale, ma altresì coerente con la struttura ontologica e con le finalità riconosciute dall'ordinamento nazionale allo strumento processuale prescelto».

A questa pronuncia ne è seguita altra (Cass. sez. V, 6 luglio 2016, n. 43886) che ha ritenuto inammissibile il ricorso straordinario per errore di fatto proposto al fine di ottenere la revoca della condanna inflitta per fatti di concorso esterno in associazione mafiosa commessi antecedentemente al 1994, rientranti nell'orientamento espresso dalla sentenza Corte EDU 14 aprile 2015, Contrada c. Italia.

Il legislatore delegato dovrà attribuire alla Corte di cassazione il potere di adottare i provvedimenti necessari e di disciplinare l'eventuale procedimento successivo.

Guida all'approfondimento

Parte I - Modifiche al codice di procedura penale in materia di procedimenti speciali (art. 1 comma 10);

Parte II - Modifiche al codice di procedura penale in materia di procedimenti speciali (art. 1, comma 10).

Parte III - Modifiche in materia di procedimento davanti al Tribunale in composizione monocratica (art. 1, comma 12).

Sommario