La riunione assembleare virtuale tra diritto societario comune e disciplina emergenziale: a proposito di una recente Massima del Consiglio Notarile di Milano

13 Dicembre 2021

La normativa emergenziale Covid (art. 106 del d.l. n. 18/2020, c.d. Cura Italia) ha introdotto la facoltà di convocare una riunione assembleare di s.p.a. destinata a tenersi unicamente tramite mezzi di telecomunicazione, in deroga alle regole di diritto azionario comune. Al venir meno dell'emergenza dovrebbe tornare ad applicarsi il divieto di riunioni meramente virtuali, ma una recente massima del Consiglio Notarile di Milano, la n. 200, sembra invece ribadire la possibilità che l'assemblea si tenga unicamente tramite mezzi di comunicazione. Il presente contributo analizza l'evoluzione della disciplina, evidenziando le problematiche sottese, specie in relazione al “rafforzamento” dei diritti degli azionisti e la facilitazione del loro esercizio, in funzione anche di una più attiva partecipazione dei medesimi all'attività sociale.
Introduzione: la riunione assembleare virtuale nel regime normativo emergenziale

In un Focus pubblicato su questo Portale il 3 giugno 2020 – e quindi successivamente all'entrata in vigore del cd. “Decreto Cura Italia” (d.l. 17 marzo 2020, n. 18, conv. con la l. 24 aprile 2020, n. 27) – sostenevo che la facoltà di convocare una riunione assembleare di s.p.a. destinata a tenersi unicamente tramite mezzi di telecomunicazione prevista dalla disciplina emergenziale (cfr. art. 106, comma 2, Decreto Cura Italia) rappresentava una deroga, consentita poiché espressamente prevista da suddetta disciplina, alle regole di diritto azionario comune. Di conseguenza, in assenza di un ulteriore intervento legislativo che permetta di pervenire a conclusioni differenti – ed in conformità a quanto stabilito dal medesimo Decreto Cura Italia (cfr. art. 106, comma 7) – al venir meno dell'emergenza nazionale tornerà ad applicarsi il divieto di riunioni meramente virtuali, con conseguente necessità che l'adunanza si svolga (anche) in un luogo fisico.

La soluzione adottata dall'ordinamento italiano in occasione della crisi pandemica non è affatto isolata nel panorama comparatistico e, in ragione delle note esigenze di distanziamento sociale, la maggioranza dei Paesi cd. avanzati ha consentito – solitamente in via eccezionale – di riunire l'assemblea soltanto da remoto (relativamente all'esperienza tedesca v. art. 2, § 1, Abs. 2, Covid-19-G, mentre con riguardo a quella statunitense cfr., ad esempio, N.Y. Bus. Corp. Law, art. 6, sec. 601. Per un quadro sulle disposizioni adottate sul punto dai vari ordinamenti stranieri: Borselli-Farrando, Corporate Law Rules in Emergency Times Across Europe, in ECFR, 2020, 275 ss.; Brochet-Chychyla-F. Ferri, Virtual Shareholder Meeting, novembre 2020, visionabile su ssrn.com. Per dati al riguardo v. anche OECD, Corporate Governance Factbook, 2021, visionabile su oecd.org).

Il “successo” delle riunioni assembleari virtuali ed il dibattito in merito alla “cristallizzazione” del diritto emergenziale

Le regole emergenziali appena richiamate – e gli strumenti di riunione “virtuale” dell'assemblea dei quali sono espressione – hanno indubbiamente riscosso successo e se è vero che la crisi pandemica e la disciplina conseguita alla sua deflagrazione hanno rappresentato l'occasione di un “esperimento forzato” dell'applicazione di tali strumenti al contesto societario (Evans, COVID and forced experiments, 13 aprile 2020, visionabile su ben-evans.com), numerosi dati dimostrano che questo ha avuto esito positivo (nell'ampissima letteratura che si è posta in tal senso v., ad esempio, Presti-Rescigno, Corso di diritto commerciale, Bologna, 2021, 470; Noack-Zetzsche, (Virtuelle) Hauptversammlung mit und nach Corona, in AG, 2020, 728 s., nonché la proposta di riforma dell'assemblea di s.p.a. autorevolmente avanzata – proprio sul presupposto del “successo” delle riunioni assembleari virtuali tenutesi nel periodo della pandemia – dalla Wissenschaftliche Vereinigung für Unternehmens- und Gesellschaftsrecht il 26 aprile 2021 e consultabile su gesellschaftsrechtlichevereinigung.de).

Soprattutto se si valuta che tale “esperimento” è giunto del tutto inaspettato – in un contesto che, in rapporto alla “rivoluzione digitale” imposta dalla normativa emergenziale, non poteva considerarsi “maturo” né sotto il profilo giuridico, né tantomeno dell'organizzazione tecnica delle società – è possibile, in particolare, constatare come:

i) da un punto di vista quantitativo, anche soltanto nelle prime settimane di crisi pandemica – e, dunque, durante la cd. “prima ondata”, periodo in cui si auspicava un veloce ritorno alla “normalità” – le ipotesi di mancata convocazione delle riunioni assembleari in modalità virtuale in attesa di garantire la presenza fisica dei potenziali partecipanti sono state del tutto eccezionali (cfr. CONSOB, Rapporto 2020 sulla corporate governance delle società quotate italiane. Sul punto si vedano anche i dati che emergono dall'esperienza tedesca, ove si è rilevato addirittura un aumento di partecipazione alle riunioni assembleari. V. Guntermann Das Recht der Aktionäre zur Teilnahme an der Hauptversammlung, in ZGR, 2021, 471; Danwerth, Die erste Saison der virtuellen Hauptversammlung börsennotierter Unternehmen, in AG, 2020, 777 ss.);

ii) da un punto di vista qualitativo, nel medesimo periodo (nel quale, quindi, poteva maggiormente emergere l'impreparazione delle società a garantire lo svolgimento delle adunanze da remoto, ovvero l'inadeguatezza degli strumenti tecnici disponibili a questo fine), non si siano registrate inefficienze tali da determinare un giudizio negativo in merito ai lavori assembleari totalmente o parzialmente virtuali (cfr., in luogo di molti, Spolidoro, Le assemblee delle s.p.a. durante e dopo la pandemia, in Aa. Vv., Studi di diritto commerciale per Vincenzo Di Cataldo, vol. II, t. II, Torino, 2021, 881 s.; Cera, Assemblee e cda a distanza tra opportunità digitali e rischi da considerare, in Il Sole 24 ore, 21 maggio 2021).

Conseguenza fisiologica di quanto appena esposto è che nell'ambito dell'intenso dibattito in merito alle regole di diritto emergenziale che è opportuno (o necessario) che si “cristallizzino” nel diritto comune – dibattito questo che è da sempre tipico dei periodi di applicazione di regimi normativi eccezionali – la convinzione che un totale “ritorno al passato” non sia immaginabile e che in futuro si ricorrerà sempre di più agli strumenti di riunione virtuale è oltremodo diffusa e senza dubbio condivisibile (nell'ampissima letteratura su questi temi v., tra gli altri, Abriani-Schneider, Diritto delle imprese e intelligenza artificiale. Dalla Fintech alla Corptech, Bologna, 2021, passim, spec. 192 ss.; Klöhn, Passive Investoren, Aktivisten und die Reform des deutschen Hauptversammlungsrechts, in ZHR, 2021, 211 s.; Fenwick-McCahery-Vermeulen, Will the World Ever Be the Same After COVID-19? Two Lessons from the First Global Crisis of a Digital Age, in EBOR, 2021, 125 ss.;).

La Massima n. 200/2021 del Consiglio Notarile di Milano

Nell'ambito di questo dibattito è stata ora pubblicata una Massima del Consiglio Notarile di Milano (n. 200 del 26 novembre 2021) in base alla quale sarebbe possibile – de jure condito, anche successivamente al termine dell'emergenza sanitaria – non soltanto prevedere disposizioni statutarie che permettono espressamente agli amministratori di stabilire nell'avviso di convocazione dell'adunanza assembleare che questa si tenga unicamente tramite mezzi di telecomunicazione e, dunque, in assenza di un luogo fisico di riunione, ma addirittura consentire che siffatta convocazione avvenga anche in presenza di una disposizione del contratto sociale che, ai sensi dell'art. 2370, comma 4, c.c., si limita genericamente ad ammettere l'intervento a distanza (ossia tramite mezzi di telecomunicazione) alla riunione.

Tale affermazione si fonda anzitutto sul presupposto che i riferimenti normativi ex artt. 2363, comma 1 e 2366, comma 1, c.c., rispettivamente al “comune dove ha sede la società” e al “luogo dell'adunanza” non sarebbero decisivi nel senso di imporre che la riunione si svolga in un sito fisico. Più in particolare, la prima disposizione, facendo salva la possibilità per lo statuto di prevedere diversamente, consentirebbe implicitamente un'adunanza meramente virtuale, mentre la seconda interpretata “al passo con l'evoluzione dei tempi e della stessa legislazione”, permetterebbe di ricomprendere nei “luoghi” anche gli spazi virtuali. Ugualmente non decisivo sarebbe il disposto dell'art. 2370, comma 4, c.c., che nel sancire che “lo statuto può consentire l'intervento in assemblea mediante mezzi di telecomunicazione” non conterrebbe elementi univoci utili a risolvere la questione in esame.

In base a tale ricostruzione, la convocazione di una riunione assembleare meramente virtuale nemmeno violerebbe i principi di collegialità, buona fede e parità di trattamento dei soci, né sarebbe configurabile un loro diritto individuale di intervenire alla riunione in un luogo materiale. Quanto a quest'ultimo aspetto, si osserva come essendo pacificamente legittime le clausole statutarie che consentono la convocazione in una località differente dalla sede sociale, casomai all'estero, “tra il socio (eventualmente) “costretto” a recarsi in uno qualsiasi dei luoghi fisici rientranti nel perimetro geografico di tali clausole e il socio (eventualmente) “costretto” ad utilizzare un telefono o una piattaforma di videoconferenza, ormai divenute di uso comune in tutti gli ambiti della società, pare potersi dire che sia il primo, e non il secondo, a rischiare una maggiore compressione dei propri diritti amministrativi e di partecipazione alle decisioni di competenza assembleare”.

Divieto di riunione assembleare meramente virtuale e necessaria convocazione (anche) in un luogo fisico

Le conclusioni formulate nell'ambito della Massima in esame non sembrano condivisibili, con conseguente opportunità di ribadire quanto già affermato nel Focus menzionato in precedenza. In particolare, anche qualora si volesse ritenere che le precise indicazioni territoriali ex artt. 2363, comma 1 e 2366, comma 1, c.c. – che obiettivamente depongono nel senso della necessità di riunire l'assemblea (anche) in un luogo fisico – siano superabili tramite un'interpretazione “al passo con i tempi” (per una proposta in questa direzione v. già Turelli, Assemblee di società per azioni ed esercizio del diritto di voto mediante mezzi elettronici, in Riv. dir. civ., II, 2011, 468 s.) e fermo restando che siffatta interpretazione dovrebbe estendersi anche ai disposti degli artt. 125-bis, comma 4, t.u.f., e 111-ter disp. att. c.c., che ugualmente fanno riferimento a precise indicazioni territoriali, decisiva in senso opposto sembra la ratio delle regole sulla riunione assembleare e la generale disciplina in tema di diritti degli azionisti.

Merita al proposito ricordare come in più occasioni il legislatore (nazionale ed europeo) abbia chiaramente annoverato tra i suoi scopi il “rafforzamento” dei diritti degli azionisti e la facilitazione del loro esercizio, in funzione anche di una più attiva partecipazione dei medesimi all'attività sociale (in tale prospettiva si pongono una pluralità di fonti normative e documenti delle istituzioni europee, quali ad esempio le Direttive17 maggio 2017, n. 828 e dell'11 luglio 2007, n. 36, il Regolamento di esecuzione della Commissione Europea n. 1212 del 3 settembre 2018, la Risoluzione del Parlamento Europeo del 21 aprile 2004 e l'Action Plan del 21 maggio 2003. Nella sconfinata letteratura sul tema cfr., in luogo di molti, gli Interventi al seminario su “I diritti degli azionisti delle società quotate dopo il d.lgs. 27/2010” tenutosi a Roma il 29 ottobre 2010 e pubblicati su Giur. comm., 2011, I, 955 ss. Più recentemente: Denozza, Lo scopo della società tra short-terminism e stakeholder empowerment, in ODC, 2021, 29 ss.; Alvaro-Maugeri-Strampelli, Investitori istituzionali, governo societario e codici di stewardship, Quaderno Consob n. 19/2019, visionabile su consob.it, 18 ss).

Sembra pertanto doversi ribadire come mentre la facoltà di intervenire ai lavori assembleari anche per mezzo di strumenti di telecomunicazione si collochi pienamente nella prospettiva appena indicata, il riconoscimento del potere di riunire soltanto virtualmente l'assemblea integrerebbe una menomazione (riduzione) delle prerogative dei soci, che parrebbe contraddire i principi fondanti del diritto azionario, tenuto conto anche della sua più recente evoluzione.

Se tanto è vero, allo stato dell'ordinamento societario (ed in assenza di una disposizione legislativa che, come quella emergenziale, lo consenta), non sembra potersi impedire l'intervento fisico degli azionisti alla riunione ed interpretazioni che, come quella criticata, pervengono alla soluzione opposta potrebbero, tra l'altro, porsi in senso contrario al diritto europeo [Lieder-Bialluch, The Directive 2007/36/EC of the Eropean Parliament and the Council of 11th July 2007, in Kindler-Lieder (edited by), European Corporate Law - Article-by-Article Commentary, Baden-Baden-München, 2021, 911 ss., Rn. 2 ss.].

Le conclusioni appena formulate sono peraltro confortate da un ulteriore, decisivo elemento: se una riunione assembleare meramente virtuale fosse sempre liberamente convocabile (in presenza di una disposizione statutaria che consente l'intervento a distanza ex art. 2370, comma 4, c.c.), non si comprendono le ragioni per cui il legislatore d'urgenza ha ritenuto di dover precisare che, in costanza della crisi pandemica, le società sono dotate di siffatta facoltà e che questa è destinata a cessare al venir meno di suddetta crisi.

Quanto, infine, alla considerazione che la riunione assembleare meramente virtuale sarebbe legittima poiché lo sono le previsioni statutarie che consentono la convocazione in un luogo materiale diverso dalla sede sociale, casomai sito all'estero, in quanto tra il socio “costretto” a recarsi in tali località e quello a cui è imposto di partecipare virtualmente, il primo subirebbe una menomazione delle sue prerogative superiore al secondo, anche tale argomento non è condivisibile. Merita al proposito osservare come, per un verso, in presenza di siffatte previsioni statutarie, il socio sarebbe dotato di adeguate facoltà di “reazione”, potendo tale aspetto essere decisivo al fine di stabilire se aderire al contratto sociale ovvero, qualora tale disposizione fosse prevista in occasione di una sua modifica, per recedere ex art. 2437, primo comma, lett. g), c.c. La medesima “reazione” non sarebbe garantita, invece, qualora – come accadrebbe se si aderisse alla ricostruzione contestata – un organo amministrativo potesse di sua iniziativa (e senza, peraltro, che lo statuto preveda alcunché di specifico al riguardo) impedire di presenziare fisicamente ad una data adunanza assembleare.

Per altro verso, l'argomento appena esposto – che sembra fondarsi su una sorta di graduatoria concernente il maggiore/minore pregiudizio cagionato al diritto d'intervento dell'azionista, finalizzata ad escludere il primo e a consentire il secondo – non pare decisivo, posto che, come già osservato, occorre piuttosto impedire qualsiasi riduzione (“menomazione”) dei diritti partecipativi del socio, evitando in assoluto di danneggiarli e, dunque, privilegiando le opzioni interpretative che non “comprimono” affatto il diritto d'intervento, invece di quelle che lo pregiudicano di meno.

(Segue:) Riunione virtuale e riduzione “qualitativa” dei diritti sociali

Le conclusioni formulate in questa sede sono corroborate altresì da alcune valutazioni di opportunità che assumono rilievo centrale nel contesto in considerazione.

Al riguardo, merita anzitutto menzionare la convinzione – oltremodo diffusa, anche a livello internazionale – che l'intervento virtuale sia sempre “ad handicap (l'espressione è di M. Cian, L'intervento e il voto elettronici nelle assemblee di s.p.a., in Riv. soc., 2011, 2011, 1075. L'osservazione appena esposta è assolutamente pacifica: cfr., nella letteratura più recente, Spolidoro, op. cit., 882 ss.; Teichmann-Wicke, Zukunftsmodell „Hybride Hauptversammlung“, in ZGR, 2021, 182; Lener-Furnari, Company law during the blockchain revolution. The rise of “CorpTech”, in Open Review of Management, Banking and Finance, 9 novembre 2020, visionabile su openreviewmbf.org. Sul punto v. anche la già menzionata proposta di riforma dell'assemblea avanzata in Germania dalla Wissenschaftliche Vereinigung für Unternehmens- und Gesellschaftsrecht, ove un'indicazione delle varie ragioni che non consentono, allo stato, di parificare l'intervento da remoto a quello fisico). In altri termini, se è vero che, con tutta probabilità, l'evoluzione tecnologica porterà in futuro ad assimilare, nei fatti, l'intervento virtuale a quello materiale, allo stato i due non possono essere posti sullo stesso piano.

Se quanto esposto è vero, l'adesione alla tesi interpretativa criticata non implicherebbe soltanto una riduzione quantitativa dei diritti del socio (che non potrebbe scegliere tra intervento virtuale e fisico, potendogli essere quest'ultimo impedito), ma anche qualitativa (posto che i due non sono assimilabili ed il primo, come già osservato, è sempre “ad handicap”) dei medesimi.

Riunione assembleare, diritto d'intervento e ruolo dell'interprete

Alla formulazione di tesi “riduzionistiche” del ruolo dell'adunanza assembleare e dei diritti esercitabili in tale sede da chi è legittimato a presenziarvi – tra le quali si colloca la ricostruzione formulata nell'ambito della Massima in esame – consegue il rafforzamento della posizione dei titolari del potere di controllo societario, che hanno spesso interesse ad evitare di sottoporsi al “monitoraggio” che potrebbe realizzarsi in occasione della riunione assembleare ad opera, tra l'altro, dei soci di minoranza. A prescindere dall'adesione alla nota ricostruzione interpretativa che, per favorire l'efficiente esercizio della funzione economica sociale, annovera siffatto rafforzamento tra i principali scopi del diritto societario; ricostruzione questa alla quale si contrappone la visione secondo cui, al fine di favorire i controlli, occorrerebbe invece rafforzare i poteri di coloro che sono “estranei” a tale potere [per riferimenti a questo dibattito v., ad esempio, i vari scritti editi in Birkmose (edited by), Shareholders' Duties, The Nederlands, 2017, 51 ss.], è tuttavia evidente che il legislatore (nazionale ed europeo) ha aderito a quest'ultima. Più in particolare, è del tutto pacifico che nel momento in cui ha posto il favor per la partecipazione degli azionisti all'attività sociale (e, in particolare, ai lavori assembleari) tra i suoi principali obiettivi, l'ordinamento societario ha inteso incentivare il “monitoraggio” dei titolari del potere di controllo ad opera dei soci di minoranza (sul punto v., ad esempio, il Considerando 4 della Direttiva CE n. 36 dell'11 luglio 2007, cd. “Shareholder Rights Directive 1”, ove la nota affermazione che “un controllo effettivo da parte degli azionisti è una condizione preliminare per un buon governo societario e dovrebbe quindi essere agevolato e incoraggiato”. Gli stessi principi sono espressi ora, tra l'altro, da OECD, Corporate Governance Factbook, 2021, visionabile su oecd.org, 71).

Riservando ad altra sede maggiori approfondimenti al riguardo, ai principi appena esposti sembra conseguire una precisa indicazione per l'interprete, il quale dovrebbe esercitare la sua funzione non nel senso della “riduzione” del ruolo dell'assemblea e dei soci di minoranza, quanto piuttosto, in conformità agli obiettivi del legislatore, sì da valorizzare siffatto ruolo, nonché i poteri che possono essere esercitati in occasione della riunione assembleare.

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