I limiti dei poteri «officiosi» del consulente tecnico d'ufficio

14 Dicembre 2021

L'ordinanza in commento è dedicata all'annosa questione inerente alla determinazione dei poteri del consulente tecnico d'ufficio ed alla compatibilità di detti poteri con il regime delle preclusioni assertive e istruttorie vigenti nel processo civile.
Massima

Il consulente tecnico non può d'ufficio indagare su fatti mai ritualmente allegati dalle parti, né acquisire di sua iniziativa la prova dei fatti costitutivi delle domande o delle eccezioni proposte e procurarsi, dalle parti o dai terzi, documenti che forniscano tale prova, né tantomeno recepire le dichiarazioni rese dalle parti medesime e porle a fondamento della consulenza.

Il caso

Il Tribunale di Vicenza (sent. n. 197/1999) aveva accolto la domanda di annullamento di un contratto di compravendita per incapacità naturale dell'alienante proposta dal padre-dante causa nei confronti dei figli acquirenti.

La Corte d'appello di Venezia (sent. n. 1837/2016) ha invece totalmente riformato la sentenza di primo grado, accogliendo l'appello proposto dai convenuti, assumendo che il Tribunale aveva posto a fondamento della propria decisione la sola consulenza tecnica d'ufficio che non può ritenersi un mezzo di prova in senso proprio, né esonera parte attrice dal fornire la dimostrazione dei fatti costitutivi posti a fondamento della pretesa.

La Cassazione, con il provvedimento che si annota, ha rigettato il ricorso proposto avverso tale sentenza dagli eredi dell'appellato che hanno denunciato anche la violazione degli artt. 61, 115, 116 e 191 e ss. c.p.c.

La questione

L'ordinanza in commento è dedicata all'annosa questione inerente alla determinazione dei poteri del consulente tecnico d'ufficio ed alla compatibilità di detti poteri con il regime delle preclusioni assertive e istruttorie vigenti nel processo civile.

Il Supremo Collegio ha così ribadito che il consulente tecnico non può mai acquisire di sua iniziativa la prova dei fatti costitutivi delle domande e delle eccezioni proposte dalle parti, supplendo in questo modo alla carenza probatoria degli stessi.

Le soluzioni giuridiche

La Corte pone a fondamento della decisione un presupposto fondamentale: la consulenza tecnica non può essere disposta al fine di esonerare la parte dal proprio onere probatorio, sia ove si tratti di consulenza deducente, sia in caso di consulenza percipiente.

Questa distinzione risale ad una pronuncia risalente delle Sezioni Unite (si tratta della sent. n. 9522/1996), secondo cui la consulenza (d'ora innanzi per brevità anche c.t.u.) può avere natura valutativa (in senso prettamente tecnico), quando l'ausiliario si limita a fornire al giudice uno strumento di lettura scientifica dei fatti dedotti e provati dalle parti, o al contrario natura percipiente, quando cioè l'accertamento delle situazioni di fatto é possibile solo tramite cognizioni tecniche diventando, in tal caso, essa stessa fonte di prova. Pertanto, in tale ipotesi, è sufficiente che la parte deduca il fatto posto a fondamento del suo diritto.

Gradualmente la giurisprudenza ha poi aggiunto altri tasselli, importanti per la ricostruzione del suddetto istituto. Così si è affermato che la c.t.u deducente è sempre ammissibile, mentre quella percipiente ha una valenza residuale, potendo disporsi solo se il giudice ritiene che per accertare i fatti siano necessarie specifiche competenze tecniche (Cass. civ., sez. I, sent., 22 settembre 2008, n. 23944, Cass. civ., sez. III, sent., 7 dicembre 2005, n. 27002).

Venendo più da vicino al tema che ci riguarda, va segnalato che un primo orientamento della Cassazione riteneva che il consulente non incontrasse alcun limite nell'accertamento dei fatti, inclusi quelli costitutivi della pretesa, potendo acquisire ed esaminare documenti non prodotti in causa, anche in assenza di un'autorizzazione del giudice, purché essi concernessero l'oggetto dell'accertamento demandatogli (Cass. civ., sez. lav., 30 maggio 1983, n. 3734; Cass. civ., sez. lav., sent., 7 novembre 1987 n. 8256). In base a questo orientamento, l'ausiliario del giudice può dunque acquisire documenti dai terzi e dalle parti e financo riceverne la confessione ex art. 2733 c.c. (Cass. Civ.,Sez.II, sent. del 27/08/2012n. 14652), nonostante i termini per le produzioni documentali concessi alle parti siano spirati (Cass. civ., sez. lav., sent., 15 ottobre 2003 n. 15448).

Un secondo orientamento - fondato sulla sentenza n. 9522/1996 cit. - ha affermato che i poteri dell'ausiliario sono circoscritti alle prove già acquisite agli atti nella c.t.u. deducente, mentre in quella percipiente non incontrano alcun limite, potendo l'ausiliario accertare anche i fatti costitutivi della pretesa attorea.

Un terzo orientamento ritiene, invece, che al consulente non sia mai consentito indagare su questioni non prospettate dalle parti, né accertare i fatti costitutivi della domanda o dell'eccezione, perché altrimenti si violerebbero i principi in materia di onere di allegazione dei fatti e di onere probatorio (Cass. civ., sez. III, sent., 19 gennaio 2006 n. 1020; Cass. civ., sez. II, sent., 10 marzo 2015,n. 4729).

Più di recente, la Corte ha ribadito (Cass. civ., sez. III, 6 dicembre 2019, n. 31886), che non competono al c.t.u. «poteri istruttori officiosi»: l'unica eccezione è ammissibile nella sola consulenza «percipiente», in cui il c.t.u. può compiere indagini esplorative ed accertare di sua iniziativa fatti materiali sempre che si tratti di «fatti accessori e rientranti nell'ambito strettamente tecnico della consulenza», con esclusione quindi dei fatti costitutivi delle domande e delle eccezioni (Cass. civ., sez. I, ord., 15 giugno 2018, n. 15774) o sempre che l'indagine sia necessaria per riscontrare la veridicità dei fatti allegati dalle parti e l'attendibilità dei mezzi di prova da esse offerti (Cass. civ. sez. II, sent., 14 novembre 2017, n. 26893; Cass. civ., sez. III, sent., 23 giugno 2015 n. 12921).

Un ripensamento rispetto a questo orientamento è contenuto dalla sentenza n. 2671/2020, con cui il Collegio ha riconosciuto la legittimità dell'esame - svolto dal c.t.u. - di documenti mai prodotti in giudizio, «purché integri ed affidabilissimi» (nel caso sottoposto al vaglio della Cassazione, il consulente aveva esaminato 843 alamari contenuti in una scatola integra e pertanto ritenuta affidabilissima alla presenza dei due consulenti tecnici di parte).

L'ordinanza in commento si ricollega a quest'ultimo orientamento giurisprudenziale ed evidenzia come la decisione impugnata presentasse una motivazione ampia ed articolata, riformando la sentenza di primo grado per avere accertato che l'atto di citazione non aveva indicato in modo specifico le circostanze fondanti le varie domande proposte dall'attore.

Da qui l'affermazione che la carenza probatoria di parte attrice non poteva essere supplita dall'elaborato del c.t.u., il quale (pur avendo constatato che l'esame diretto del periziando non confortava l'esistenza di patologie invalidanti e richiamando una pluralità di atti negoziali compiuti dallo stesso negli anni antecedenti che facevano deporre per la sua piena capacità negoziale) concludeva per l'incapacità naturale dell'attore, basandosi su dati di carattere soggettivo, ovvero sulle dichiarazioni asseritamente rese dai convenuti nel corso delle operazioni peritali.

La Corte, in linea con i principi espressi dal Collegio con la sentenza n. 31886/2019, ha finito per affermare che, in virtù del principio dispositivo e dell'operare nel processo civile delle preclusioni assertive ed istruttorie, l'ausiliario del giudice, nello svolgimento delle proprie attività, non può - nemmeno in presenza di ordine del giudice o acquiescenza delle parti - indagare d'ufficio su fatti mai ritualmente allegati dalle parti, né acquisire di sua iniziativa la prova dei fatti costitutivi delle domande o delle eccezioni proposte e nemmeno procurarsi, dalle parti o dai terzi, documenti che forniscano tale prova. Unica deroga a tale principio sussiste soltanto quando la prova del fatto costitutivo della domanda o dell'eccezione non possa essere oggettivamente fornita dalle parti con i mezzi di prova tradizionali, postulando il ricorso a cognizioni tecnico-scientifiche, oppure per la prova di fatti tecnici accessori o secondari e di elementi di riscontro della veridicità delle prove già prodotte dalle parti (nello stesso senso Cass. civ., sez. VI, sent., 30 ottobre 2019, n. 27776).

Così ragionando, il Supremo Collegio ha concluso che il giudice di seconde cure, applicando i suddetti principi, ha correttamente ritenuto inutilizzabili le dichiarazioni a carattere testimoniale o confessorio raccolte dal c.t.u., ai sensi dell'art. 194 c.p.c.

Difatti, le dichiarazioni a sé sfavorevoli rese dalla parte al c.t.u. hanno la stessa valenza probatoria riconosciuta dall'art. 2735, comma 1, seconda parte, c.c. alle dichiarazioni confessorie stragiudiziali fatte al terzo, le quali non hanno efficacia di «piena prova», ma possono concorrere, con le altre risultanze di causa, alla formazione del convincimento del giudice (Cass. civ., sez. III, ord., 4 novembre 2020, n. 24468).

Osservazioni

La soluzione fornita dalla Cassazione ci sembra vada condivisa per diversi ordini di ragioni.

In primo luogo, ci pare conforme ad un'interpretazione sistematica dell'art. 194 c.p.c. che tiene cioè conto dei canoni dettati dagli artt.112, 115 e 202 e ss. c.p.c. I principi sottesi alle predette norme, sussumibili nei brocardi ne procedat iudex ex officio, neque ultra petita partium, e iudex iuxta alligata et probata iudicata debet, impongono un'interpretazione restrittiva dei poteri istruttori del c.t.u.

Sotto altro profilo, la c.t.u. non può essere proposta per fini meramente esplorativi, né può interferire con la regola fondamentale dell'assolvimento dell'onere della prova di cui all'art. 2697 c.c.

L'ausiliario, pertanto, nell'espletamento del suo mandato, non potrà indagare su fatti non prospettati dalle parti, pena l'ampliamento del thema decidendum, né compiere atti istruttori ormai preclusi alle parti o riservati al giudice. Argomentando diversamente, si attribuirebbe al c.t.u. un potere di supplenza alla carenza probatoria delle parti, alterando il principio di parità delle parti medesime che dovrebbero confrontarsi con fonti di prova acquisite dopo il maturare delle preclusioni istruttorie e rispetto alle quali dovrebbe accordarsi loro il diritto alla controprova, con conseguente allungamento dei tempi del processo e violazione del principio sancito dall'art. 111 Cost. e dall'art. 6, p. 1 e 3, CEDU.

Corollario di questa interpretazione è l'efficacia non vincolante della consulenza tecnica di ufficio, dalle cui risultanze il giudice può discostarsi, purché indichi gli elementi probatori e gli argomenti logico-giuridici che lo hanno indotto a disattenderla.

Riferimenti
  • V. Ansanelli, La consulenza tecnica nel processo civile, Milano 2011, passim
  • M. Bove, Il sapere tecnico nel processo civile, in Riv. dir. proc., 2011, 1431 ss.
  • L. Dittrich, La ricerca della verità nel processo civile, in Riv. dir. proc., 2011, 117 ss.
  • G.F. Ricci, Nuovi rilievi sul problema della “specificità” della prova giuridica, in Riv. trim. dir. civ., 2000, 1129 ss.
  • S. Satta, sub artt. 191 ss., in Commentario al codice di procedura civile, II, parte prima, Milano 1959/1960, 100 ss.

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