L'invio dell'impugnazione a mezzo PEC al vaglio della Corte di cassazione
Luigi Giordano
21 Dicembre 2021
L'indirizzo giurisprudenziale assolutamente consolidato, come è noto, escludeva la possibilità del ricorso alla PEC per la spedizione di una impugnazione. La l. n. 176/2020, convertendo con modificazioni il d.l. n. 137/2020, ha introdotto disposizioni che regolano la presentazione dell'atto di impugnazione con mezzi informatici durante il periodo emergenziale. Diverse pronunce della Corte di cassazione si sono già confrontate con questa disciplina. L'esame di tali decisioni appare utile perché, come è stato segnalato dalla stessa giurisprudenza della Corte di cassazione, la disciplina introdotta potrebbe aprire la strada a modifiche di sistema, volte, evidentemente, a permettere anche oltre il periodo pandemico l'invio a mezzo PEC dell'impugnazione.
Introduzione
L'indirizzo giurisprudenziale assolutamente consolidato, come è noto, escludeva la possibilità del ricorso alla PEC per la spedizione di una impugnazione. La legge 18 dicembre 2020, n. 176, convertendo con modificazioni il d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, ha introdotto disposizioni che regolano la presentazione dell'atto di impugnazione con mezzi informatici durante il periodo emergenziale. Diverse pronunce della Corte di cassazione si sono già confrontate con questa disciplina.
L'esame di tali decisioni appare utile perché, come è stato segnalato dalla stessa giurisprudenza della Corte di cassazione, la disciplina introdotta potrebbe aprire la strada a modifiche di sistema, volte, evidentemente, a permettere anche oltre il periodo pandemico l'invio a mezzo PEC dell'impugnazione.
Fonte: ilProcessoTelematico
La presentazione dell'impugnazione a mezzo PEC
Come è noto, l'indirizzo giurisprudenziale assolutamente consolidato esclude la possibilità del ricorso alla PEC per la spedizione di una impugnazione, sulla base di una serie di argomenti che appare ancora utile elencare:
la tassatività delle modalità di presentazione dell'impugnazione, disciplinate dall'art. 583 c.p.p., che permettono soltanto la spedizione dell'atto mediante lettera raccomandata o telegramma in alternativa alla presentazione in cancelleria ex art. 582 c.p.p.;
la considerazione che nessuna norma prevede la trasmissione mediante PEC dell'atto di impugnazione;
il fatto che l'art. 16 del d.l. n. 179 del 2012 consente l'utilizzo della PEC alla sola cancelleria e per le sole notificazioni a persone diverse dall'imputato;
la previsione di cui all'art. 16, comma 4, del d.P.R. n. 68/2005, regolamento emanato su delega dell'art. 27, comma 8, della l. n. 3/2003, che, pur estendendo l'uso della PEC nell'ambito delle pubbliche amministrazioni, ha escluso tale estensione al processo penale (cfr. Cass. pen. n. 38411/2018);
la considerazione che, non essendo stato istituito un fascicolo telematico, mancherebbe lo strumento di ricezione – il contenitore – dell'atto, che potrebbe ricevere l'atto e renderlo fruibile al giudice ed alle altre parti del processo.
Pertanto, la Corte di cassazione ha ritenuto inammissibile:
l'opposizione a decreto penale di condanna presentata a mezzo di posta elettronica certificata (Cass. pen., n. 50932/2017; Cass. pen.,n. 21056/2018);
l'impugnazione cautelare proposta dal pubblico ministero mediante l'uso della posta elettronica certificata (Cass.pen., n. 24332/2015);
il ricorso per cassazione proposto mediante l'uso della posta elettronica certificata (Cass. pen., n. 52092/2019), anche dalla parte pubblica (Cass. pen., n. 3958/2020);
il ricorso per cassazione trasmesso a mezzo PEC nel periodo dell'emergenza epidemiologica in difetto di una previsione specifica nell'art. 83, comma 1, del d.l. n. 18/2020 (Cass. pen., n. 27127/2020; Cass. pen., n. 487/2020; Cass. pen., n. 3435/2020).
Sulla scorta degli stessi argomenti l'inammissibilità è stata pronunciata nel caso di:
presentazione di motivi nuovi nel giudizio di cassazione a mezzo PEC (Cass. pen., n. 12347/2017; Cass. pen., n. 2020/2019);
presentazione di motivi nuovi nel giudizio di cassazione a mezzo PEC anche in forza dell'art. 24, comma 4 e 5, del decreto-legge cd. Ristori (Cass. pen., n. 32566/2020; Cass. pen., n. 9887/2021);
invio di motivi aggiunti nel giudizio di appello a mezzo PEC (Cass. pen., n. 12949/2020);
opposizione alla richiesta di archiviazione (Cass. pen., n. 21056/2018; Cass. pen., n. 50932/2017);
richiesta di rimessione in termini (Cass. pen., n. 18235/2015; Cass. pen., n. 320/2018).
Conclusivamente, è stato affermato che la PEC garantisce, allo stato, la certezza del recapito e, a certe condizioni, anche la provenienza dal soggetto mittente, oltre che l'immodificabilità del messaggio, dei suoi allegati e la certezza della data. Il suo ingresso nel processo penale, tuttavia, può avvenire solo nei casi in cui una norma primaria abbia ciò disposto (cfr. Cass. pen., n. 38411/2018).
La legge 18 dicembre 2020, n. 176, di conversione del d.l. n. 137 del 2020
La legge 18 dicembre 2020, n. 176, convertendo con modificazioni del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, ha introdotto una specifica disciplina per la spedizione in via telematica dell'impugnazione.
L'art. 24, comma 6-bis, del d.l. n. 137/2020, come introdotto dalla legge di conversione, infatti, ha stabilito che “Fermo quanto previsto dagli articoli 581,582, comma 1, e 583 del c.p.p., quando il deposito di cui al comma 4 ha ad oggetto un'impugnazione, l'atto in forma di documento informatico è sottoscritto digitalmente secondo le modalità indicate con il provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati di cui al comma 4 e contiene la specifica indicazione degli allegati, che sono trasmessi in copia informatica per immagine, sottoscritta digitalmente dal difensore per conformità all'originale”.
La nuova norma, dunque, ha chiarito che tra “gli atti, documenti e istanze”, di cui all'art. 24, comma 4, dello stesso d.l. n. 137/2020 e che possono essere depositati a mezzo PEC, devono ricomprendersi anche gli atti di impugnazione.
Per tali atti, tuttavia, è necessario rispettare alcuni oneri formali così determinati:
l'atto in forma di documento informatico deve essere sottoscritto digitalmente secondo le modalità indicate con il provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati di cui al comma 4 (cioè, con firma digitale o firma elettronica qualificata, secondo le tipologie PAdES e CAdES; gli atti che sono proposti da più soggetti possono essere firmati digitalmente da più soggetti purché almeno uno sia il depositante (art. 3, comma 3, del provvedimento DGSIA citato);
l'impugnazione deve contenere la specifica indicazione degli allegati;
tali allegati sono anche essi trasmessi in copia informatica per immagine;
la copia informatica per immagine degli allegati deve essere sottoscritta digitalmente dal difensore per conformità all'originale (art. 24, comma 6-bis, del d.l. cit.).
Questa disciplina si applica “fermo quanto previsto dagli articoli 581,582, comma 1, e 583 del codice di procedura penale”:
occorre, pertanto, rispettare la forma dell'impugnazione disciplinata dall'art. 581 c.p.p.;
in ogni caso, il ricorso allo strumento telematico costituisce una alternativa offerta dalla legge nel periodo emergenziale alla presentazione dell'impugnazione secondo le modalità previste dall'art. 582 c.p.p. o la spedizione ex art. 583 c.p.p.
Del resto, l'art. 24, comma 4, dello stesso d.l. n. 137/2020 prevede che “è consentito il deposito con valore legale mediante posta elettronica certificata” per tutti gli atti, documenti e istanze comunque denominati, riconoscendo una facoltà che non preclude l'utilizzo delle modalità ordinarie.
(Segue). La disciplina di dettaglio introdotta dalla legge n. 176 del 2020
Appare utile riportare sinteticamente il contenuto anche delle altre disposizioni che riguardano l'invio a mezzo PEC dell'impugnazione.
L'art. 24, comma 6-ter, del d.l. n. 137/2020, in particolare, prevede che “L'impugnazione è trasmessa tramite posta elettronica certificata dall'indirizzo di posta elettronica certificata del difensore a quello dell'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato, individuato ai sensi del comma 4, con le modalità e nel rispetto delle specifiche tecniche ivi indicate. Non si applica la disposizione di cui all'art. 582, comma 2, c.p.p.”.
Tale norma, quindi, ha chiarito che:
l'atto di impugnazione deve provenire dall'indirizzo di posta elettronica certificata del difensore e deve essere inviato a quello dell'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato. L'indirizzo PEC del difensore, come individuato dall'art. 24, comma 4, d.l. n. 137 del 2020, è quello “inserito nel Registro generale degli indirizzi certificati di cui all'articolo 7 del regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011, n. 44”;
l'atto deve essere inviato all'indirizzo PEC dell'Autorità giudiziaria che ha emesso il provvedimento che è quello indicato nell'apposito provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati, pubblicato nel portale dei servizi telematici.
La sottoscrizione con firmadigitale e l'esclusivo utilizzo dell'indirizzo PEC del legale vale ad escludere qualsiasi incertezza sulla provenienza dell'atto, permettendo la verifica necessaria ai fini della valutazione della legittimazione del proponente.
La stessa disposizione, poi, ha precisato che non si applica la disposizione di cui all'art. 582, c. 2, c.p.p., cioè la possibilità di presentare l'impugnazione nella cancelleria del tribunale o del giudice di pace in cui si trovano le parti private o i difensori. Dell'applicazione di questa norma, invero, nel caso di spedizione dell'impugnazione in via telematica, non sussiste alcuna necessità.
Dal provvedimento DGSIA del 9 novembre 2020 - “Provvedimento del Direttore Generale dei sistemi Informativi Automatizzati del Ministero della Giustizia contenente l'individuazione degli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari dei depositi di cui all'art. 24, c. 4, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, e le specifiche tecniche relative ai formati degli atti e le ulteriori modalità di invio” - si desume che l'atto di impugnazione debba essere in formato PDF e debba essere ottenuto da una trasformazione di un documento testuale, senza restrizioni per le operazioni di selezione e copia di parti.
L'art. 24, c. 6-quater, del d.l. n. 137/2020, quindi, ha stabilito che “I motivi nuovi e le memorie sono proposti, nei termini rispettivamente previsti, secondo le modalità indicate nei commi 6-bis e 6-ter, con atto in formato elettronico trasmesso tramite posta elettronica certificata dall'indirizzo di posta elettronica certificata del difensore a quello dell'ufficio del giudice dell'impugnazione, individuato ai sensi del comma 4”.
Tale norma, dunque, ha opportunamente esteso anche ai motivi nuovi e alle memorie la disciplina dell'invio telematico degli atti di impugnazione, evitando qualsiasi dubbio potesse ingenerarsi al riguardo.
Pare ragionevole ritenere che, se l'impugnazione è stata inviata a mezzo PEC, con lo stesso strumento telematico debbano essere trasmessi i motivi nuovi e le memorie.
L'art. 24, comma 6-quinquies, del d.l. n. 137 del 2020, inoltre, ha previsto che “Le disposizioni di cui ai commi 6-bis, 6-ter e 6-quater si applicano a tutti gli atti di impugnazione, comunque denominati, e, in quanto compatibili, alle opposizioni di cui agli articoli 410,461 e 667, c. 4, del c.p.p. e ai reclami giurisdizionali previsti dalla legge 26 luglio 1975, n. 354. Nel caso di richiesta di riesame o di appello contro ordinanze in materia di misure cautelari personali e reali, l'atto di impugnazione, in deroga a quanto disposto dal comma 6-ter, è trasmesso all'indirizzo di posta elettronica certificata del tribunale di cui all'art. 309, c. 7, c.p.p.”.
Tale norma, dunque, ha definito l'area operativa della presentazione dell'impugnazione in via telematica, prevedendo che essa si applichi:
a tutti gli atti di impugnazione, comunque denominati;
alle opposizioni di cui agli artt. 410,461 e 667, comma 4, c.p.p.;
ai reclami giurisdizionali previsti dalla legge 26 luglio 1975, n. 354, che disciplina l'ordinamento penitenziario;
La stessa norma appena indicata, quindi, ha stabilito che, nel caso di richiesta di riesame o di appello contro ordinanze in materia di misure cautelari personali e reali, l'atto di impugnazione non vada inviato all'indirizzo PEC dell'Autorità giudiziaria che ha emesso il provvedimento, ma, in deroga a quanto disposto dal comma 6-ter, debba essere trasmesso all'indirizzo di posta elettronica certificata del tribunale distrettuale per il riesame di cui all'art. 309, c. 7, c.p.p.
La formulazione di questa disposizione, invero, ha suscitato perplessità.
Essa, infatti, fa riferimento alla spedizione in via telematica di una richiesta di riesame o di appello contro ordinanze in materia di misure cautelari non solo personali, ma anche reali. È tuttavia indicato come ufficio giudiziario destinatario il solo tribunale di cui all'art. 309, c. 7, c.p.p. (cioè, come è noto, il tribunale del luogo nel quale ha sede la Corte di appello o la sezione distaccata della Corte di appello nella cui circoscrizione è compreso l'ufficio del giudice che ha emesso l'ordinanza) e non quello di cui all'art. 324, c. 5, c.p.p. (il tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l'ufficio che ha emesso il provvedimento).
Tra le soluzioni ipotizzabili per porre rimedio a quella che sembra una svista del legislatore, pare preferibile ritenere che, in tema di impugnazione di provvedimenti cautelari reali, non possa trovare applicazione l'art. 24, c. 6-quinquies, d.l. n. 137/2020. Non avrebbe senso far trasmettere ad un Tribunale incompetente tali impugnazioni, quanto meno nei casi in cui il tribunale di cui all'art. 309, c. 7, cod. proc. pen. non coincida con quello previsto dall'art. 324, c. 5, c.p.p., competente in tema di impugnazione avverso i provvedimenti cautelari reali.
Non potendo applicare questa norma, che espressamente deroga a quanto disposto dal precedente comma 6-ter, deve ritenersi applicabile quest'ultimo, con la conseguenza che l'impugnazione cautelare reale va trasmessa all'indirizzo di posta elettronica dell'ufficio che ha emesso il provvedimento.
L'art. 24, comma 6-sexies, del d.l. n. 137 del 2020, ha introdotto una specifica disciplina dei casi di inammissibilità, stabilendo che “Fermo quanto previsto dall'art. 591 c.p.p., nel caso di proposizione dell'atto ai sensi del comma 6-bis l'impugnazione è altresì inammissibile:
a) quando l'atto di impugnazione non è sottoscritto digitalmente dal difensore;
b) quando le copie informatiche per immagine di cui al comma 6-bis non sono sottoscritte digitalmente dal difensore per conformità all'originale;
c) quando l'atto è trasmesso da un indirizzo di posta elettronica certificata che non è presente nel Registro generale degli indirizzi certificati di cui al comma 4;
d) quando l'atto è trasmesso da un indirizzo di posta elettronica certificata che non è intestato al difensore;
e) quando l'atto è trasmesso a un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato per l'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato dal provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati di cui al comma 4 o, nel caso di richiesta di riesame o di appello contro ordinanze in materia di misure cautelari personali e reali, a un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato per il tribunale di cui all'art. 309, c. 7, c.p.p. dal provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati di cui al comma 4”.
Questa norma, dunque, ha integrato la disciplina dell'inammissibilità dell'impugnazione, presidiando il rispetto degli obblighi formali che sono imprescindibili per il funzionamento del sistema posto in essere, con particolare riguardo alla certezza della provenienza dell'impugnazione (derivante – si ribadisce - dalla sottoscrizione digitale e dall'impiego dell'indirizzo PEC del difensore come determinato in precedenza) e della conformità all'originale degli atti inviati a sostegno del gravame.
Pare opportuno segnalare proprio quest'ultimo profilo: l'impugnazione è inammissibile anche quando “le copie informatiche per immagine di cui al comma 6-bis”, cioè le copie degli atti allegati all'impugnazione, “non sono sottoscritte digitalmente dal difensore per conformità all'originale”.
L'art. 24, c. 6-septies, d.l. n. 137/2020, ha aggiunto che “Nei casi previsti dal comma 6-sexies, il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato dichiara, anche d'ufficio, con ordinanza l'inammissibilità dell'impugnazione e dispone l'esecuzione del provvedimento impugnato”.
È dunque il giudice che riceve l'impugnazione a mezzo PEC a dover dichiarare l'inammissibilità della stessa.
L'espressione adoperata da questa disposizione (“anche d'ufficio”) lascia presumere che possa essere accolta una segnalazione della controparte (o che possa essere provocata una interlocuzione con le altre parti).
L'art. 24, c. 6-octies, d.l. n. 137/2020, ha previsto che “Le disposizioni del comma 6-sexies si applicano, in quanto compatibili, agli atti indicati al comma 6-quinquies”.
In forza di questa norma, dunque, le cause di inammissibilità si applicano “in quanto compatibili”, anche alle opposizioni di cui agli artt. 410,461 e 667, c. 4, c.p.p. ed ai reclami giurisdizionali in tema di disciplina penitenziaria previsti dalla legge 26 luglio 1975, n. 354.
Come è stato indicato, la richiesta di riesame o di appello contro ordinanze in materia di misure cautelari, in deroga a quanto disposto dal comma 6-ter, va trasmessa all'indirizzo di posta elettronica certificata del tribunale distrettuale per il riesame di cui all'art. 309, c. 7, c.p.p.. In forza della clausola che limita l'applicazione dell'art. 24, c. 6-octies, del d.l. n. 137/2020, agli atti indicati al comma 6-quinquies “in quanto compatibili” e della stretta connessione della previsione dell'art. 24, comma 6-sexies, al comma precedente, pare corretto ritenere che sia lo stesso tribunale distrettuale a dover dichiarare l'eventuale inammissibilità nei casi in esame (limitatamente alle ipotesi in cui, ai sensi dell'art. 24, c. 6-quinquies, d.l. n. 137 del 2020, in deroga al comma 6-ter della stessa norma, è destinatario dell'atto di impugnazione trasmesso a mezzo PEC).
L'art. 24, c. 6-novies, del d.l. n. 137/2020, poi, ha stabilito che “Ai fini dell'attestazione del deposito degli atti trasmessi tramite posta elettronica certificata ai sensi dei commi da 6-bis a 6-quinquies e della continuità della tenuta del fascicolo cartaceo, la cancelleria provvede ai sensi del comma 5”.
Questa disposizione, sul piano pratico, impone alla cancelleria di provvedere:
ad annotare nel registro la data di ricezione e ad inserire l'atto nel fascicolo telematico (alludendosi, evidentemente, al sistema TIAP-Document@);
all'inserimento nel predetto fascicolo di copia analogica dell'atto ricevuto con l'attestazione della data di ricezione nella casella di posta elettronica certificata dell'ufficio e dell'intestazione della casella di posta elettronica certificata di provenienza.
A tale riguardo, pare utile precisare che non è nuovo l'impegno richiesto alla cancelleria.
Nel caso di impugnazione presentata secondo le forme “tradizionali”, infatti, l'art. 164 disp. att. c.p.p. impone a coloro che propongono impugnazioni alcuni oneri. Le parti devono depositare le copie dell'atto di impugnazione occorrenti per la notificazione prevista dall'art. 584 del codice (comma 1), oltre a due copie dello stesso atto nel caso di appello e cinque copie nel caso di ricorso per cassazione (comma 2). Qualora questo onere non sia rispettato, la cancelleria provvede a realizzare le copie necessarie dell'atto pervenuto “a spese di chi ha presentato l'impugnazione”, come è testualmente previsto (art. 164, comma 3, disp. att. c.p.p.).
Va segnalato anche il contenuto dell'art. 24, comma 6-decies, del d.l. n. 137/2020 secondo cui “Le disposizioni di cui ai commi da 6-bis a 6-novies si applicano agli atti di impugnazione di qualsiasi tipo, agli atti di opposizione e ai reclami giurisdizionali proposti successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.
Fino alla suddetta data, tuttavia, “”.
Molto opportunamente, dunque, la legge di conversione ha previsto l'esplicita salvezza delle impugnazioni proposte in via telematica dalla data di entrata in vigore del d.l. n. 137 del 2020. Occorre però che sussistano i seguenti presupposti minimi:
l'atto sia stato sottoscritto in modo digitale;
sia stato trasmesso alla casella di posta elettronica del giudice competente di cui al comma 4 dello stesso art. 24, cioè alla PEC dell'autorità destinataria.
La legge di conversione, infine, ha modificato anche l'art. 24, comma 4, del d.l. n. 137/2020, stabilendo che “Quando il messaggio di posta elettronica certificata eccede la dimensione massima stabilita nel provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati di cui al presente comma, il deposito può essere eseguito mediante l'invio di più messaggi di posta elettronica certificata. Il deposito è tempestivo quando è eseguito entro la fine del giorno di scadenza”.
Si tratta di una importante precisazione che permette di superare il problema determinato dal superamento del limite di 30 MB fissato al momento nel provvedimento del Direttore della DGSIA.
Le prime decisioni sulla disciplina introdotta dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 di conversione del d.l. n. 137 del 2020: l'atto privo di firma digitale o con firma digitale invalida
La Corte di cassazione ha già avuto modo di confrontarsi con la disciplina sinteticamente illustrata in diverse decisioni.
In particolare, la Corte di legittimità ha ritenuto inammissibile la richiesta di riesame priva della firma digitale dell'atto di impugnazione o con una firma digitale non valida (Cass.pen. n. 38152/2021, in una fattispecie in cui dagli atti risultava l'attestazione del funzionario della Cancelleria del Tribunale di Bologna che l'atto di impugnazione non conteneva una valida firma digitale, come documentato dal sistema software in dotazione dell'Ufficio (dal report: "file non firmato").
Queste decisioni attuano la previsione dell'art. 24, comma 6-sexies, lett. a) del d.l. n. 137/2020, riconoscendo il rilievo che assume la firma digitale, la quale è in grado di garantire l'identificabilità della provenienza dell'atto da colui che appare come suo autore.
La medesima soluzione è stata offerta dalla Corte di cassazione con riferimento alla trasmissione di una memoria difensiva priva della sottoscrizione digitale (Cass. pen., n. 26313/2021).
(Segue). La modifica dell'atto di impugnazione successiva alla sottoscrizione digitale
Di recente, la Corte di cassazione ha annullato l'ordinanza del tribunale del riesame che aveva ritenuto inammissibile l'impugnazione proposta perché, in sede di verifica della firma digitale, era emersa una modifica dell'atto successiva alla sottoscrizione (Cass. pen., n. 40540/2021).
In particolare, il Tribunale del riesame aveva equiparato la fattispecie della modifica del documento informatico successiva alla sua sottoscrizione alla mancata sottoscrizione dello stesso da parte del difensore.
La Corte ha ravvisato una falsa applicazione del d.l. n. 137/2020, art. 24, comma 6-sexies, lett. a), del d.l. n. 137/2020, annullando la decisione del Tribunale.
L'esame della documentazione prodotta dal ricorrente, infatti, dimostrava che il certificato di verifica della firma dell'atto di appello attestava l'integrità e l'attendibilità della stessa, pur dando conto di una modifica del documento successiva all'apposizione della sottoscrizione. Secondo la Corte, tale successiva attività, conseguente verosimilmente alla necessità di collazionare i documenti allegati in un unico file per agevolare l'attività di stampa, non elideva l'attestazione di integrità della firma dell'atto, integrando una mera irregolarità. La specifica causa di inammissibilità introdotta da tale disposizione, infatti, per il suo tenore letterale, è di applicazione limitata ai soli casi nei quali l'atto di impugnazione non sia stato sottoscritto digitalmente dal difensore. «Così come per ogni causa di inammissibilità relativa al diritto di impugnazione nel processo penale, in relazione alle ipotesi previste dal d.l. n. 137 del 2020, art. 24, comma 6-sexies, deve ritenersi, peraltro, operante il principio di tassatività, che ne impedisce l'estensione ad ipotesi analoghe di irregolarità delle modalità di trasmissione, non contemplate esplicitamente dal dettato legislativo» (Così, Cass. n. 40540/2021. In generale, sulla tassatività delle cause di inammissibilità dell'impugnazione previste dall'art. 591 c.p.p., cfr. ex plurimis, Cass. n. 24433/2015; Cass. n. 8413/1998; Cass. n. 5887/1997).
(Segue). La trasmissione dell'impugnazione ad una casella PEC diversa da quella individuata dal provvedimento della DGSIA
La Corte di cassazione, inoltre, ha reputato inammissibile l'impugnazione trasmessa a una casella di posta elettronica certificata diversa da quella individuata dal provvedimento del 9 novembre 2020 emesso dal direttore generale dei sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia, ai sensi dell'art. 24, comma 4, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazione dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 (Cass., Sez. III, n. 26009 del 29 aprile 2021, in una fattispecie in cui la richiesta di riesame era stata inoltrata all'indirizzo PEC assegnato alla corte di assise e non a quello dedicato al Tribunale del riesame del medesimo Ufficio giudiziario).
La medesima soluzione è stata adottata con riferimento alla trasmissione di motivi nuovi, avendo la Corte affermato la necessità dell'utilizzo della casella di posta elettronica assegnata dalla DGSIA allo specifico ufficio giudiziario (Cass. Sez. I, n. 9887 del 26/01/2021; Cass. Sez. I, n. 17052 del 02/03/2021).
E' stato successivamente precisato che la violazione dei provvedimenti organizzativi adottati dal dirigente dell'ufficio giudiziario in ordine alla destinazione dei singoli indirizzi di posta elettronica certificata (PEC) assegnati all'ufficio medesimo per il deposito degli atti difensivi non costituisce causa di inammissibilità dell'impugnazione cautelare, in quanto tale sanzione processuale è prevista dall'art. 24, comma 6-sexies, lett. e), d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, esclusivamente per il caso del mancato rispetto delle indicazioni contenute nel provvedimento del Direttore Generale dei Sistemi Informativi Automatizzati del Ministero della giustizia (DGSIA), emesso ai sensi del precedente comma 4 della medesima disposizione, pubblicato il 9 novembre 2020 (e, dunque, solo in caso di utilizzo di indirizzi PEC di destinazione non ricompresi nell'Allegato 1 del citato provvedimento direttoriale) (Cass., Sez. 5, n. 24953 del 10/05/2021, , in www.ilprocessotelematico.it 26/7/2021, con nota L. Giordano, Impugnazione inviata ad un indirizzo PEC assegnato al Tribunale, ma non destinato alla ricezione di tali atti: è ammissibile?).
Nel caso di specie, il Tribunale del riesame di Genova aveva dichiarato inammissibile l'appello cautelare proposto dall'imputato avverso l'ordinanza con cui la Corte d'Appello aveva rigettato l'istanza di sostituzione della custodia cautelare in carcere in atto nei suoi confronti per più reati furto aggravato. L'inammissibilità si fondava sulla constatazione dell'utilizzo di due indirizzi di posta elettronica certificata, non abilitati alla ricezione degli atti destinati al Tribunale del riesame, perché diversi da quello indicato a tale scopo dal provvedimento del Presidente del Tribunale di Genova del 18/11/2020, in ossequio alle direttive contenute nell'art. 24, c. 4, del d.l. n. 137 del 2020, e nel successivo provvedimento del Direttore generale dei servizi informativi e automatizzati del 9 novembre 2020.
La Corte di cassazione ha ritenuto fondato il ricorso dell'imputato, annullando con rinvio il provvedimento impugnato.
Secondo la Corte, la specifica causa di inammissibilità declinata dall'art. 24, c. 6-sexies, lett. e), del d.l. n. 137/2020 cit., per il suo tenore letterale, è di applicazione limitata ai soli casi nei quali il deposito dell'atto di impugnazione avvenga tramite una casella di posta elettronica non indicata nel provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi ed automatizzati.
Così come per ogni causa di inammissibilità relativa al diritto di impugnazione nel processo penale, del resto, in relazione alle ipotesi previste dall'art. 24, comma 6-sexies, d.l. n. 137/2020, deve ritenersi operante il principio di tassatività, che ne impedisce l'estensione ad ipotesi analoghe di irregolarità delle modalità di trasmissione, non contemplate esplicitamente dal dettato legislativo.
L'inammissibilità prevista dalla lett. e) della disposizione citata non fa richiamo alcuno ad una sanzione processuale collegata alla trasmissione ad un indirizzo diverso da quello indicato dal dirigente dell'ufficio destinazione per le impugnazioni avverso determinati provvedimenti piuttosto che altri.
Anzi, la normativa primaria neppure contempla il potere di successiva specificazione-integrazione del provvedimento del Direttore DGSIA da parte dei capi degli uffici giudiziari.
Se, pertanto, i dirigenti degli uffici giudiziari ritengono di individuare, tra quelli loro assegnati dal provvedimento del Direttore DGSIA, degli indirizzi "dedicati" da destinare alla ricezione di talune categorie di atti - possibilità legittima, non vietata dal punto di vista normativo - tali disposizioni assumono valenza solo organizzativa interna, benché resa pubblica con modalità di comunicazione esterne da parte degli uffici, e non possono assurgere a disciplina integrativa di quella di legge in materia di deposito delle impugnazioni con valore legale, né tantomeno essere causa di inammissibilità, ai sensi del citato comma 6-sexies.
(Segue). L'impugnazione a mezzo PEC proposta dal pubblico ministero
La Corte di cassazione, inoltre, in un primo momento, ha affermato che la disciplina di cui all'art. 24 del d.l. n. 137/2020 “parrebbe applicarsi solamente agli atti depositati dal difensore” e non a quelli depositati dal pubblico ministero (Cass. n. 28002/2021, nella quale è stato aggiunto precisato che, in base alla normativa vigente, il pubblico ministero non può depositare atti firmati in modo digitale).
In seguito, più nettamente, la Corte ha affermato che la disposizione di cui all'art. 24 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, come modificato dalla legge di conversione 18 dicembre 2020, n. 176, consente tale modalità di deposito alle sole parti private, cui testualmente si riferisce la norma in esame, altresì richiedendo che l'atto sia sottoscritto con firma digitale, strumento di cui attualmente non dispongono gli uffici di Procura (Cass., n. 31247/2021; Cass. n. 24714/2021).
La lettura rigorosa della disposizione che la Corte pare privilegiare è risultata armonica con la ratio dell'intervento normativo illustrato, che si correla all'esigenza di garantire la prosecuzione dell'attività giudiziaria nel periodo eccezionale - pandemico, favorendo modalità dematerializzate di partecipazione all'attività processuale, di comunicazione con gli uffici giudiziari e di inoltro degli atti processuali, così da limitare al massimo gli spostamenti fisici e l'accesso degli interessati nei Palazzi di giustizia e da circoscrivere il rischio di contagio, preservando la salute individuale e collettiva. «Obbiettivo che appunto rende ragione della mancata previsione della possibilità di presentazione dell'impugnazione mediante PEC da parte del Pubblico Ministero, i cui rappresentanti sono già presenti per motivi di lavoro negli uffici giudiziari - spesso presso la stessa sede del Tribunale o della Corte d'appello ove l'impugnazione deve essere presentata -, considerata, in ogni caso, la minore incidenza dei flussi impugnatori della parte pubblica rispetto a quelli delle parti private» (Cass., n. 28036/2021; si veda anche Cass., n. 24714/2021).
(Segue). Le impugnazioni inviate a mezzo PEC prima dell'entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n. 137 del 2020
La legittimità dell'utilizzo della posta elettronica certificata è stata estesa, ex art. 24, comma 6-decies, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, come conv., con modifiche, nella l. 18 dicembre 2020, n. 176, anche alle impugnazioni presentate antecedentemente all'entrata in vigore della legge di conversione a condizione che le stesse siano state inviate alla casella di posta elettronica del giudice competente previsto dall'art. 24, comma 4, d.l. cit. e rechino la sottoscrizione digitale del difensore (Cass., n. 32623/2021). Per la declaratoria di inammissibilità di una impugnazione inviata a mezzo PEC, senza sottoscrizione digitale, si è espressa la giurisprudenza di legittimità (Cass.,n. 26599/2021).
In conclusione
Queste prime decisioni appaiono molto significative.
Esse dimostrano che la disciplina emergenziale che ha permesso la presentazione dell'impugnazione a mezzo PEC è stata applicata senza particolari difficoltà, tanto che sono insorte poche questioni, e con la piena consapevolezza del rilievo che assume la firma digitale dell'atto.
Seguendo uno spunto della stessa giurisprudenza della Corte di cassazione, si può ritenere che la disciplina introdotta dalla legge di conversione del decreto-legge n. 137 del 2020 “potrebbe aprire la strada a modifiche di sistema”, volte, evidentemente, a permettere anche oltre il periodo emergenziale, la presentazione dell'impugnazione a mezzo PEC (così Cass. n. 3436/2020).
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Sommario
La presentazione dell'impugnazione a mezzo PEC
La legge 18 dicembre 2020, n. 176, di conversione del d.l. n. 137 del 2020
(Segue). La disciplina di dettaglio introdotta dalla legge n. 176 del 2020
Le prime decisioni sulla disciplina introdotta dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 di conversione del d.l. n. 137 del 2020: l'atto privo di firma digitale o con firma digitale invalida
(Segue). La modifica dell'atto di impugnazione successiva alla sottoscrizione digitale
(Segue). La trasmissione dell'impugnazione ad una casella PEC diversa da quella individuata dal provvedimento della DGSIA
(Segue). L'impugnazione a mezzo PEC proposta dal pubblico ministero
(Segue). Le impugnazioni inviate a mezzo PEC prima dell'entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n. 137 del 2020