La scelta del consulente tecnico o del perito da parte dell'autorità giudiziaria

04 Gennaio 2022

La scelta del consulente tecnico o del perito da parte dell'autorità giudiziaria è uno dei momenti più delicati e importanti che precedono l'esperimento di accertamenti tecnici o scientifici: nella prassi giudiziaria, tuttavia, l'esperto viene spesso individuato senza che sia compiuta alcuna verifica in ordine alla sua effettiva idoneità a svolgere l'incarico...
Abstract

La scelta del consulente tecnico o del perito da parte dell'autorità giudiziaria è uno dei momenti più delicati e importanti che precedono l'esperimento di accertamenti tecnici o scientifici: nella prassi giudiziaria, tuttavia, l'esperto viene spesso individuato senza che sia compiuta alcuna verifica in ordine alla sua effettiva idoneità a svolgere l'incarico, al più verificando il mero conseguimento della necessaria specializzazione. Eppure sarebbe sufficiente seguire alcuni semplici accorgimenti per poter meglio indirizzare la scelta e favorire in tal modo la corretta esecuzione degli accertamenti, nell'interesse di giustizia e, in definitiva, di tutte le parti.

Premessa

La consulenza tecnica e la perizia sono strumenti probatori ai quali le parti - pubblico ministero, imputato e parte civile - e il giudice fanno ampio ricorso nell'ambito del procedimento penale.

Non sempre però sono chiari i criteri che ci devono guidare nell'individuazione dell'esperto dotato delle competenze necessarie, al quale conferire l'incarico di consulente tecnico o di perito.

La scelta di un consulente realmente idoneo rappresenta un momento estremamente delicato e può assumere un rilievo decisivo per l'esito degli accertamenti tecnici da esperire.

Ma quali sono i criteri che ci devono guidare nella scelta?

Sono pochissime le norme – del codice o di altre leggi – che forniscono specifiche indicazioni sui criteri di individuazione del consulente o del perito, indicazioni che appaiono invece necessarie, specialmente nel caso in cui la nomina provenga dall'autorità giudiziaria, a garanzia non solo delle parti ma anche del corretto espletamento della funzione giudiziaria.

Proviamo allora a identificare quali debbano essere i criteri che devono orientare il giudice e il pubblico ministero nella scelta, precisando sin d'ora che gli stessi, proprio perché di valenza generale, possono anche offrire ispirazione al difensore, all'imputato, o alla persona offesa, nel momento in cui intendano avvalersi di un consulente tecnico di parte al quale affidare un accertamento tecnico o al quale chiedere di partecipare alle operazioni del perito o del c.t. del P.M.

L'albo dei periti

Il primo e più ovvio criterio che dobbiamo prendere in considerazione è offerto dall'iscrizione dell'esperto nell'albo dei periti che, a mente dell'art. 67 disp. att. c.p.p., dev'essere istituito presso ogni Tribunale.

L'iscrizione negli albi dovrebbe, invero, permettere di attuare un controllo sulla competenza specifica e sulla professionalità degli iscritti, non solo nella fase di ammissione, ma anche nelle fasi successive, con cadenza periodica (ai sensi dell'art. 68 comma 4 disp. att. c.p.p., il comitato preposto alla formazione dell'albo deve provvedere «ogni due anni alla revisione dell'albo per cancellare gli iscritti per i quali è venuto meno alcuno dei requisiti previsti dall'art. 69 co. 3 o è sorto un impedimento ad esercitare l'ufficio di perito»).

Secondo l'art. 221 c.p.p. (rubricato nomina del perito”), «il giudice nomina il perito scegliendolo tra gli iscritti negli appositi albi o tra persone fornite di particolare competenza nella specifica disciplina».

Analogo criterio è previsto anche per il pubblico ministero: a mente dell'art. 73 disp. att. c.p.p., il P.M. «nomina il consulente tecnico scegliendo di regola una persona iscritta negli albi dei periti».

Posto che l'iscrizione nell'albo ci rassicura sul fatto che l'esperto sia effettivamente titolato per l'espletamento dell'incarico, ci accorgiamo che in realtà la limitatezza territoriale dell'albo – che deriva dalla previsione dell'art. 69 disp. att. c.p.p., secondo cui l'aspirante dev'essere residente nella circoscrizione del Tribunale – risulta fortemente limitativa, rivelandosi ormai obsoleta.

A ciò si aggiunga che, proprio in virtù di tale limitazione, nei Tribunali più piccoli, alcune categorie inserite nell'albo possano non essere rappresentate o, ancor peggio, essere rappresentate da un unico elemento, privandoci in tal modo di ogni possibilità di scelta. Ma vi è un'altra implicazione: la necessità di avere la residenza nel circondario comporta che l'albo sia formato da consulenti locali, con tutti i limiti che ciò comporta, anche sul versante dell'indipendenza.

Inoltre, con riguardo alla professionalità dell'esperto, occorre osservare come, per ottenere l'iscrizione all'albo, in virtù del già citato art. 69 disp. att. c.p.p., sia sufficiente avere il requisito di una “speciale competenza nella materia”. Il profilo professionale richiesto per l'iscrizione viene dunque identificato unicamente in relazione alla specializzazione, senza peraltro prevedere alcuna indicazione circa l'esperienza professionale maturata, la tipologia e il numero degli incarichi ricevuti e di quelli revocati (come invece espressamente previsto dalla legge n. 24/2017 - legge Gelli - per gli iscritti all'albo esperti in medicina), le ulteriori specializzazioni conseguite, significative pubblicazioni o altra attività scientifica svolta, incarichi ulteriori ricevuti da altre autorità pubbliche nazionali o internazionali. Si avverte quindi l'esigenza di una riqualificazione dei requisiti per l'iscrizione, quanto meno estendendo a tutte le categorie professionali contemplate nell'albo l'applicazione delle sopracitate previsioni della legge Gelli, riferite ai soli medici.

Da quanto precede si capisce come il criterio in esame debba essere inteso solamente come criterio “tendenziale”: in altri termini l'iscrizione nell'albo non può essere l'unico criterio che ci deve orientare nella scelta del consulente o del perito, ma deve essere quanto meno accompagnato da altri criteri, che spesso possono essere persino prevalenti. Tali conclusioni trovano conferma nel testo della Risoluzione del CSM num. 209/VV/2017, «in ordine ai criteri per la selezione dei consulenti nei procedimenti concernenti la responsabilità sanitaria», laddove (p. 8) si giustifica la possibilità di nominare un professionista non iscritto nel relativo albo, «vuoi perché non risulta iscritto alcun professionista avente le competenze e le esperienze richieste per il tipo di incarico da svolgere, vuoi perché per gli iscritti sussiste una situazione di conflitto di interesse, vuoi perché vi è la necessità di attuare una rotazione […]».

Ulteriori criteri normativi

Scelta di personale appartenente ad un ente pubblico. Ai sensi dell'art. 67 comma 3 disp. att. c.p.p. quando il giudice nomina come perito un esperto non iscritto negli Albi, designa, se possibile, una persona che svolge la propria attività professionale presso un ente pubblico, in quanto soggetto che si presume offra maggiori garanzie di imparzialità e competenza.

Il criterio dettato dalla norma in parola ha altresì il pregio di evitare il rischio di personalizzazione nella scelta del consulente, e quindi di favorire una maggiore trasparenza e imparzialità anche agli occhi delle parti e dei terzi.

In tal caso però, discostandosi dalla regola della scelta dell'esperto tra gli iscritti all'albo, il giudice deve indicare “specificamente nell'ordinanza di nomina le ragioni della scelta” (art. 67 comma 4).

La Risoluzione del CSM [pratica num. 209/VV/2017] “in ordine ai criteri per la selezione dei consulenti nei procedimenti concernenti la responsabilità sanitaria”, estende poi anche al P.M., sia pure nella premessa - in cui si tende a ricostruire il sistema e non a dettare prescrizioni vincolanti - la necessità di motivazione in caso di discostamento dalle indicazioni ricavabili dagli albi.

Si noti che, mentre per il pubblico ministero il criterio dell'individuazione del consulente tra quelli iscritti nell'albo è un'indicazione non vincolante, per il giudicante, secondo la Suprema Corte, la violazione delle norme relative alla nomina del perito, pur non determinando l'inutilizzabilità della perizia, può integrare una nullità deducibile nei termini di cui all'art. 182 c.p.p. (Cass. sez. VI, 4 luglio 2013, n. 39235, Rv. 257038, Prosdocimi; conf. Cass. sez. V, 25 maggio 2020, n. 20299, Rv. 279253). Si osserva, in ogni caso, che «il provvedimento di nomina come perito di esperto non iscritto nell'apposito albo, non è nullo anche quando è privo dell'indicazione delle ragioni di tale scelta, se la sua motivazione è integrata dal giudice prima dell'inizio delle operazioni peritali». (Cass. sez. I, 5 febbraio 2014, n. 17741, Rv. 259599, Costantino: fattispecie in cui la Corte ha ritenuto legittimamente effettuata l'integrazione del provvedimento di nomina nel successivo provvedimento di rigetto della dichiarazione di ricusazione dei periti).

Consulenza collegiale in caso di responsabilità sanitaria. Ai sensi dell'art. 15 legge 8 marzo 2017, n. 24 (legge Gelli), «1. Nei procedimenti civili e nei procedimenti penali aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria, l'autorità giudiziaria affida l'espletamento della consulenza tecnica e della perizia a un medico specializzato in medicina legale e a uno o più specialisti nella disciplina che abbiano specifica e pratica conoscenza di quanto oggetto del procedimento, avendo cura che i soggetti da nominare, scelti tra gli iscritti negli albi di cui ai commi 2 e 3, non siano in posizione di conflitto di interessi nello specifico procedimento o in altri connessi […]».

In caso di responsabilità medica è dunque ora non solo opportuno, ma anche normativamente previsto, il ricorso ad una consulenza o perizia collegiale; dovremo affidare quindi l'incarico sia ad un medico legale sia ad uno specialista nella disciplina di specifico interesse (o a più specialisti se le discipline che vengono in rilievo siano diverse).

In caso di accertamenti urgenti, quale in particolare l'autopsia giudiziaria, appare peraltro opportuno procedere al conferimento dell'incarico al solo medico legale: se poi dovessero emergere profili di responsabilità professionale sanitaria, si individuerà lo specialista, anche grazie al confronto con il medico legale, e si disporrà a quel punto la consulenza collegiale (dove, exart. 15 comma 4 legge Gelli, non si applicherà la maggiorazione del 40% prevista per gli incarichi collegiali).

In proposito giova evidenziare che l'11 aprile 2018 è stato approvato il protocollo di intesa per l'armonizzazione dei criteri e delle procedure di formazione degli albi dei periti e dei consulenti tecnici ex art. 15, l. 8 marzo 2017, n. 24, stipulato dal C.S.M. con il Consiglio Nazionale Forense e con la Federazione Nazionale Medici Chirurghi e Odontoiatri. Il Protocollo muove dalle previsioni normative della legge Gelli che impongono – per la nomina di periti e consulenti nell'ambito dei procedimenti civili e penali volti all'accertamento della responsabilità degli esercenti le professioni sanitarie – la selezione di professionisti qualificati, scelti all'interno degli albi tenuti dai Tribunali. Il protocollo si occupa, da un lato, di definire le linee guida per la strutturazione degli albi, sotto il profilo dei diversi profili professionali, delle modalità di identificazione e categorizzazione delle specializzazioni, nonché delle modalità di tenuta e revisione degli albi, e, dall'altro lato, di indicare gli elementi di valutazione delle competenze specialistiche necessarie per legge ai fini dell'iscrizione agli albi. Con Delibera CSM 6 febbraio 2019 sono stati poi siglati gli “Accordi” tra Consiglio superiore della magistratura, Consiglio nazionale forense e le diverse professioni sanitarie per l'armonizzazione dei criteri e delle procedure di formazione degli albi dei periti e dei consulenti tecnici ex art. 15 l. 8 marzo 2017, n. 24, in attuazione dell'art. 14 del Protocollo d'intesa tra CSM, CNF e FNOMCeO firmato il 24 maggio 2018, del quale recepiscono e fanno proprie le previsioni.

Imparzialità e indipendenza

Un criterio di fondamentale importanza che ci deve guidare nella scelta dell'esperto è quello che ci impone di verificarne l'effettiva imparzialità e indipendenza, intese come impermeabilità a influenze esterne. È infatti assolutamente opportuno che il perito o il consulente non abbiano legami, anche occulti, con la controparte o con il contesto ambientale di cui la stessa fa parte.

Questa verifica è particolarmente difficile e insidiosa, e normalmente viene eseguita mediante richiesta al consulente che auto-attesta l'assenza di incompatibilità.

Non essendo semplice effettuare verifiche mirate, sarà opportuno, in tutti i casi in cui il procedimento, a livello locale, investa rilevanti interessi, ad esempio economici, politici o mediatici, rivolgersi ad esperti provenienti da altro ambito territoriale.

Ad esempio, in caso di responsabilità medica sarà opportuno scegliere il consulente medico legale e gli specialisti provenienti da altro circondario o distretto. A tal proposito non a caso la citata risoluzione del CSM del 2017 (relativa ai criteri per la selezione dei consulenti nei procedimenti concernenti la responsabilità sanitaria) al § 6 - «accessibilità degli albi a livello nazionale” - dopo aver ricordato che “…proprio in considerazione della particolarità della materia, talora vi è la necessità di nominare ausiliari fuori distretto, al fine di assicurare, oltre che un adeguato livello dell'accertamento, che questo sia quanto più possibile imparziale», prevede, sia pur solo a livello programmatico, la possibilità di consultare in via informatica tutti gli albi a livello nazionale, proprio per favorire la possibilità di scegliere consulenti da altri ambiti territoriali.

Si capisce quindi che, secondo la stessa interpretazione data dal CSM, il criterio basato sulla imparzialità è preminente persino sul criterio (normativamente previsto) della scelta di consulenti iscritti nell'albo del Tribunale di pertinenza.

A ciò si aggiunga che il consulente o il perito devono essere indipendenti pure rispetto all'influenza che può provenire da colui che conferisce l'incarico, e specialmente dal pubblico ministero, che in quanto “parte” è comunque portatore di un interesse nel processo. Così può accadere che il consulente tecnico rassegni delle conclusioni favorevoli all'ipotesi di accusa, pur in assenza di evidenze certe.

Occorre quindi anzitutto essere consapevoli di questo rischio.

Si può riportare un caso tratto dall'esperienza giudiziaria per esemplificare il problema: il consulente tecnico nominato dal pubblico ministero per eseguire delle analisi tossicologiche sui capelli prelevati a una presunta vittima di un reato predatorio, dopo aver eseguito le analisi per verificare l'assunzione nel tempo di sostanze stupefacenti, e la possibile compatibilità con l'ipotesi di induzione in stato di incapacità mediante somministrazione occulta di droghe, all'esito degli accertamenti afferma che i risultati della consulenza - che aveva portato al rinvenimento di tracce di sostanza stupefacente ad effetto anestetizzante - confermano le dichiarazioni della vittima, accreditando l'ipotesi di esecuzione del delitto con modalità insidiose, surrettiziamente tacendo che in realtà la vittima era un assuntore abituale, come rilevato dal rinvenimento di tracce della medesima sostanza drogante in tutta l'estensione del capello: circostanza che rendeva neutro, ai fini probatori, l'esito positivo dell'accertamento tossicologico.

È dunque opportuno, in sede di conferimento dell'incarico, osservare alcune precauzioni:

  • diffidare dai consulenti che tendano a compiacere il pubblico ministero o il giudice; occorre invece essere disponibili ad apprezzare quelli che, ove le circostanze del caso lo suggeriscano, non abbiano remore a formulare conclusioni che contraddicono l'ipotesi (eventualmente) proposta da chi ha conferito l'incarico;
  • evitare, per quanto possibile, di comunicare al consulente la tesi di accusa e le informazioni non necessarie per l'espletamento dell'incarico, anche solo semplicemente per non influenzarne gli accertamenti;
  • assicurare infine una equa ripartizione degli incarichi tra i professionisti iscritti nell'albo (purché gli stessi abbiano tutti la specializzazione nello specifico campo oggetto di indagine), e comunque attuare una rotazione tra i consulenti nominati: ciò al fine di evitare “pericolose cristallizzazioni in cui sono sempre gli stessi professionisti a collaborare con gli stessi magistrati” (risoluzione CSM, cit.).
Autorevolezza

L'autorevolezza del consulente o del perito è un ulteriore - irrinunciabile - indice che ci deve guidare nella scelta.

Essa deve essere intesa come Professionalità, ossia come garanzia di coscienziosa applicazione delle regole dell'arte, e Competenza, ossia come abilità specifica in relazione al tipo di accertamento tecnico che dovrà essere effettivamente compiuto(ad es. non tutti gli ortopedici operano la spalla: ci può essere un esperto con preparazione specifica sul tema oggetto di indagine, molto più indicato rispetto ad altro esperto, in generale più autorevole, ma avente minor competenza specifica su quel tema).

Inoltre, l'autorevolezza del consulente è importante non tanto perché attribuisce maggior credito alle conclusioni raggiunte (l'autorevolezza del consulente si trasla di regola sulla consulenza), ma soprattutto in quanto garantisce il corretto espletamento degli accertamenti.

Autorevolezza, quindi, non significa anzitutto “notorietà, prestigio e titoli accademici”. Tutte queste cose ci interessano senz'altro nel momento in cui siamo chiamati a scegliere il consulente tecnico o il perito. Ma più di ogni altra cosa ci interessa la sua competenza e professionalità, ossia la sua conoscenza specifica del tema di indagine e la garanzia dell'applicazione corretta e coscienziosa delle regole dell'arte, di cui sono significativi indici il riconoscimento e plauso della comunità scientifica e le pubblicazioni fatte dal consulente sul tema di indagine. La precedente assunzione di incarichi prestigiosi e la posizione istituzionale del soggetto (es. Presidente di una associazione o ente scientifico), pur essendo elementi degni di nota, non ci offrono invece assolute garanzie in ordine alla sua competenza nello specifico accertamento oggetto di incarico.

Inoltre, l'autorevolezza, intesa come notorietà e prestigio, non è di per sé garanzia di correttezza del metodo adottato e della qualità del risultato raggiunto.

Anche in tal caso si può riportare un caso tratto dall'esperienza giudiziaria per chiarire meglio il concetto. In un processo penale per omicidio viene nominato come perito il presidente di un'organizzazione scientifica forense autore, in tale veste, delle linee guida dettate dall'organizzazione stessa per la corretta esecuzione dell'indagine scientifica ad applicazione forense. Nell'esecuzione degli accertamenti tecnici il perito, nonostante il suo indubbio “prestigio”, non rispettò peraltro le indicazioni contenute nelle predette linee guida (verosimilmente per l'indisponibilità di adeguate strumentazioni di laboratorio), producendo in tal modo un risultato non suscettibile di valida utilizzazione processuale. Si comprende dunque come, nel caso esaminato, la notorietà e il prestigio del perito non abbiano assicurato la necessaria “qualità” della perizia.

Occorre dunque sempre verificare che l'esperto nominato sia effettivamente in grado di svolgere l'attività tecnica o scientifica richiesta.

I criteri che abbiamo ora indicato non sono così ovvi come potrebbero apparire. In proposito può essere utile ricordare un episodio verificatosi alcuni anni fa in un'aula di dibattimento: il giudice, dovendo effettuare una perizia genetica, convocò in udienza un genetista ritenendolo domiciliato presso il dipartimento di medicina legale del capoluogo di quel distretto; quando il giudice, nel corso dell'udienza fissata per il conferimento dell'incarico, si accorse che l'esperto che aveva convocato era un “privato” e non già un universitario, si limitò a chiedergli: “ma lei la sa fare questa cosa?” L'esperto gli rispose: “”. E allora il giudice gli conferì l'incarico.

L'accreditamento dei laboratori. Occorre dunque sempre verificare che l'esperto nominato sia effettivamente in grado di svolgere l'attività tecnica o scientifica richiesta.

Non è sufficiente peraltro che l'esperto sia un luminare nella materia in cui è esperto: può darsi che egli non abbia una competenza specifica per quell'ambito particolare. Ad esempio, non tutti i genetisti, ancorché di chiara fama e indiscussa esperienza, hanno laboratori attrezzati per eseguire analisi sul DNA mitocondriale (il quale presenta un elevatissimo pericolo di contaminazione e richiede l'adozione di strumentazione e procedure adeguate).

In tutti i casi in cui l'indagine tecnica o scientifica imponga, per il suo espletamento, il ricorso ad accertamenti strumentali, risulta dunque fondamentale la verifica della disponibilità di apparecchiature adeguate che neanche la preparazione stessa del consulente.

Per avere garanzie di qualità del risultato di indagine, ove si debbano espletare esami di laboratorio, una buona soluzione è quella di verificare che il laboratorio stesso abbia ottenuto l'Accreditamento in relazione al compimento di quegli specifici accertamenti.

L'accreditamento può essere ottenuto dal singolo laboratorio solo da Accredia, ente unico di accreditamento in Italia, previa verifica del rispetto di elevati standard di qualità e dell'adozione di procedure corrette e conformi alle prescrizioni delle “linee guida” di settore. L'accreditamento è dunque sinonimo di professionalità.

Tra l'altro in ambito di genetica forense è non solo opportuno ma anche necessario rivolgersi ad un laboratorio che abbia ottenuto l'accreditamento secondo la norma ISO IEC 17025, in quanto prerequisito indispensabile per poter inserire i profili estrapolati nella Banca Dati Nazionale del DNA.

Il d.P.R. 7 aprile 2016, n. 87 (decreto attuativo della legge n. 85/2009, istitutiva della banca dati del DNA) prevede infatti, all'art. 10 comma 4, che, per poter inserire i profili genetici estrapolati nel corso di un procedimento giudiziario all'interno della Banca dati del DNA, il laboratorio che li ha generati debba essere obbligatoriamente accreditato secondo la norma di qualità in parola. Tale norma del resto non fa altro che recepire, pure con un certo ritardo, quanto già previsto dal Consiglio d'Europa nel 2009, con la decisione GAI 2009/905 del 30 novembre 2009 (non a caso citata nel preambolo del decreto in parola), la quale prevede l'accreditamento, a norma EN ISO/IEC 17025, dei fornitori dei servizi forensi che effettuano attività di laboratorio.

Allorchè si debba procedere all'esecuzione di indagini genetiche occorrerà quindi preliminarmente verificare se il laboratorio interessato sia stato o meno accreditato secondo la norma di qualità ISO-IEC 17025. L'accreditamento è garanzia del raggiungimento di standard di qualità: esso non assicura contro la commissione di errori, ma è garanzia di affidabilità del metodo utilizzato.

Criteri residuali.Al di fuori dei casi in cui sia necessario avvalerci di laboratorio accreditato o quanto meno dotato di certificazione, un ulteriore importante criterio per individuare un consulente dotato di professionalità e competenza, è certamente rappresentato dalla sua abituale frequentazione con il tipo di problematica sotteso all'accertamento tecnico da esperire.

Un tal senso, oltre naturalmente alla possibilità di verificare il numero e la tipologia di incarichi già ricevuti, può essere utile rivolgersi ai tecnici dei Gabinetti di Polizia Scientifica o dei Reparti investigazioni scientifiche dei Carabinieri, al cui interno vi sono persone dotate di competenze specifiche (biologi, ingegneri, chimici, fisici, geologi, ecc.) che quotidianamente svolgono determinate indagini tecniche, in cui divengono quindi altamente specializzati.

Non è un caso che alcuni tra i consulenti più noti e apprezzati provengano proprio dai ruoli tecnici dei predetti reparti scientifici.

Tra l'altro, come abbiamo visto, ai sensi dell'art. 67 comma 3 disp. att. c.p.p., quando il giudice nomina come perito un esperto non iscritto nell'albo, deve designare, se possibile, una persona che svolge la propria attività professionale presso un ente pubblico. E tale criterio, benché riferito direttamente al solo giudice, è comunque, almeno a livello orientativo, un criterio di scelta che deve valere anche per il P.M.

In conclusione

I criteri che abbiamo sin qui illustrato per guidarci nella scelta del consulente o del perito, pur non essendo tutti espressamente previsti nel codice o in altra normazione primaria o secondaria, rappresentano comunque la cristallizzazione di un sapere formatosi nel tempo attraverso la prassi dell'attività giudiziaria.

Si tratta di criteri che, in modo latente, sono già conosciuti dagli operatori di settore. Appariva tuttavia necessaria una sistematizzazione di questi criteri, non solo per acquistarne piena consapevolezza, ma anche per aiutarci a individuare motivazioni oggettive, all'occorrenza estrinsecabili, per operare con l'opportuna professionalità la scelta dell'esperto.

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