Interrogatorio di garanzia e diritto di difesa nella giurisprudenza di legittimità

04 Febbraio 2022

Il giudice che ha accolto la richiesta di misura cautelare personale, coercitiva o interdittiva, deve interrogare la persona nei cui confronti la misura è stata applicata; deve provvedervi immediatamente e comunque non oltre cinque giorni (dieci, in caso di misura non inframuraria) dall'inizio dell'esecuzione ovvero dalla notificazione dell'ordinanza, pena l'inefficacia...
Funzione dell'interrogatorio di garanzia. L'habeas corpus

Il giudice che ha accolto la richiesta di misura cautelare personale, coercitiva o interdittiva, deve interrogare la persona nei cui confronti la misura è stata applicata; deve provvedervi immediatamente e comunque non oltre cinque giorni (dieci, in caso di misura non inframuraria) dall'inizio dell'esecuzione ovvero dalla notificazione dell'ordinanza, pena l'inefficacia della misura stessa (artt. 294, commi 1 e 1-bis, 312, 302 c.p.p.).

La funzione dell'atto è spiegata dallo stesso articolo che lo impone: la verifica della consistenza e persistenza delle condizioni (i gravi indizi di colpevolezza di cui all'art. 273 c.p.p.) e della causa (le esigenze cautelari di cui all'art. 274 c.p.p. e del modo più adeguato per soddisfarle) della privazione (o limitazione) della libertà di una persona (che si presume) innocente (C. Cost., sent. n. 77 del 1997). L'interrogatorio veicola nel sub-procedimento cautelare le informazioni utili alla difesa che consentono al giudice di assumere, anche d'ufficio, le proprie determinazioni in ordine al mantenimento, alla revoca o alla sostituzione della misura (artt. 65, comma 2, 294, comma 3, 299 c.p.p.).

È perciò il giudice a condurre l'esame, nei modi e con le garanzie stabilite dagli artt. 64 e 65 c.p.p.; pubblico ministero e difensore sono avvisati ma se l'accusatore pubblico può disertare l'audizione, il difensore (di fiducia o d'ufficio) non può mai mancare.

Il confronto con il giudice «che ha deciso» costituisce il più immediato strumento di difesa dalle accuse provvisoriamente mosse e dalla cautela immediatamente disposta (C. Cost., sent. n. 77 del 1997; C. Cost., sent. n. 95 del 2001), un diritto talmente essenziale alla tutela della libertà personale da trovare negli artt. 13 e 24, Cost., la sua fonte (interna) immediata e negli artt. 5, § 3, della Convenzione EDU, e 9 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1966 (ratificato dall'Italia il 15/09/1978), un riconoscimento internazionale suscettibile, in caso di (sola) violazione della Convenzione EDU, di trasformarsi in strumento concreto di tutela e non in una mera petizione di principio.

Si tratta della codificazione, a livello interno e convenzionale, del principio dell'habeas corpusstabilito per la prima volta in forma scritta e solenne dalla «Magna Charta Libertatum» (Magna Carta), imposta nel 1215 al re d'Inghilterra, Giovanni Senza Terra, per garantire, tra l'altro, la protezione da detenzioni illegali. Come sottolineato con forza anche dalla Corte EDU, «il controllo giurisdizionale delle interferenze da parte dell'esecutivo con il diritto alla libertà dell'individuo è una caratteristica essenziale della garanzia contenuta nell'articolo 5, paragrafo 3 (art. 5-3), inteso a ridurre al minimo il rischio di arbitrarietà. Il controllo giudiziario è implicito nello stato di diritto, “uno dei principi fondamentali di una società democratica [...], cui si fa espressamente riferimento nel preambolo della Convenzione” (si veda, mutatis mutandis, la citata sentenza Klass e a., Serie A n. 28, pagg. 25-26, punto 55) e “da cui l'intera Convenzione trae ispirazione”» (Corte EDU Plenaria, 29/11/1988, caso Brogan e altri c. Regno Unito, § 58. Nel senso che il controllo giudiziario delle interferenze da parte dell'esecutivo con il diritto alla libertà dell'individuo è una caratteristica essenziale della garanzia incorporata nell'art. 5 § 3, cfr., anche, Corte EDU, caso Assenov e altri c. Bulgaria, § 146; Corte EDU, sez. 2, 3/6/2003, caso Pantea c. Romania, § 236). Non ultima, la finalità della norma è anche quella di impedire l'uso della violenza o della tortura o comunque abusi di potere nei confronti delle persone arrestate garantendone la traduzione fisica dinanzi al giudice (Corte EDU, Grande Camera, 29/4/1999caso Aquilina c. Malta, cit. § 49; Corte EDU, sez. 4, 18/3/2008, caso Ladent c. Polonia, § 72).

La perentoria necessità dell'immediato contatto fisico con il giudice non ammette equipollenti: la funzione dell'interrogatorio di garanzia non può essere “elusa” dal (né confusa con il) preventivo esame critico degli elementi difensivi eventualmente già a conoscenza del giudice (art. 292, comma 2, lett. c-bis, c.p.p.), tantomeno “sostituita” con la possibilità di ricorrere al tribunale del riesame per sottoporre a verifica giurisdizionale la violazione di un diritto proclamato come inviolabile (la stessa Convenzione EDU ed il Patto internazionale distinguono nettamente le due incombenze). Il riesame può costituire uno strumento di tutela aggiuntivo ma non può mai sostituire quell'ineliminabile ed immediato afflato di vita che dà sostanza al confronto diretto con il giudice finalizzato a raccogliere, hic et nunc, le ragioni dell'arrestato che possono innervare o indebolire un quadro provvisoriamente tinteggiato dai soli tratti accusatori. L'audizione camerale è ben poca cosa rispetto alla potenza del confronto che si instaura sin da subito tra l'inquisito ed il suo giudice.

Il diritto al contraddittorio sostanziale: la conoscenza dell'accusa

Per evitare che il “colloquio” da formidabile ed insostituibile strumento di difesa si trasformi in un puro orpello formale privo di sostanza, logica e Convenzione EDU impongono che la persona arrestata sia informata, al più presto e in una lingua ad essa comprensibile, dei motivi dell'arresto e di ogni accusa (provvisoriamente) formulata a suo carico (art. 5, § 3, Conv. EDU).

La persona privata o limitata della propria libertà a seguito di un'ordinanza cautelare (o nei cui confronti viene applicata una misura interdittiva), trova nel titolo stesso la prima fonte informativa della causa del provvedimento (le esigenze cautelari: art. 292, comma 1, lett. c, in relazione agli artt. 274 e segg. c.p.p.), della sua condizione di applicabilità (i gravi indizi di colpevolezza: art. 292, comma 1, lett. c, in relazione all'art. 273, c.p.p.) e, prima ancora, della natura dell'accusa mercé la descrizione, ancorché sommaria, del fatto contestato e della sua riconducibilità alla fattispecie di reato in concreto ritenuta (art. 292, comma 1, lett. b, c.p.p.). L'incorporazione nell'atto delle ragioni della cautela (e dell'accusa) rende meno esasperante la necessità dell'autonoma enunciazione in forma chiara e precisa del fatto provvisoriamente addebitato (requisito invece imposto in caso di esercizio dell'azione penale), ma ciò non autorizza interpretazioni troppo lasche di un requisito formale la cui espressa previsione, sanzionata a pena di nullità, non può essere considerata alla stregua di una mera formalità.

La descrizione sommaria del fatto deve in ogni caso consentire di comprendere, immediatamente e soprattutto nei casi più complessi, quale sia il reato provvisoriamente contestato e se ed in che modo i gravi indizi ne giustifichino la configurabilità nel caso concreto; l'estrazione del provvisorio editto accusatorio dal coacervo degli indizi che si addensano sulla persona privata (o limitata) della propria libertà è compito esclusivo del giudice non delegabile all'interpretazione della persona arrestata, che deve essere messa in condizione di comprendere sin da subito la natura dell'accusa e del fatto-reato per il quale è stata privata della libertà (Cass. pen., sez. III, n. 20003/2020; Cass. pen., sez. V, n. 15134/2007, ha ritenuto insufficiente un generico rinvio alla richiesta del P.M. in una corposa ordinanza di custodia cautelare emessa per partecipazione ad associazione di tipo mafioso e priva di indicazioni specifiche dei passi in cui dovesse ricercarsi la descrizione dei fatti ascritti all'indagato). La giurisprudenza di legittimità è attestata sul principio che ai fini dell'osservanza del disposto di cui all'art. 292, comma 2, lett. b, c.p.p. la descrizione sommaria del fatto con l'indicazione delle norme di legge che si assumono violate, può avvenire mediante indicazione sintetica delle condotte quando di queste sia data concreta specificazione tanto nella richiesta del pubblico ministero quanto nel contesto motivazionale dell'ordinanza applicativa della misura cautelare (così, da ultimo, Cass. pen., sez. III, n. 25995/2020). L'importante è che il “terreno di gioco” sia chiaramente ed invariabilmente delineato dall'accusa; volendo fare accostamenti irriverenti (ma efficacemente utilizzati dalla dottrina anglosassone) è come se si consentisse all'arbitro di calcio di modificare ogni volta le linee del terreno di gioco stabilendo a suo piacimento se il pallone è uscito oppure no.

Per converso, la compiuta descrizione del fatto non può supplire alla mancanza di motivazione del provvedimento genetico che, impedendo di conoscere le ragioni dell'atto, è talmente grave da viziarlo irreparabilmente (art. 309, comma 9, c.p.p.); la ricostruzione del quadro accusatorio ed il buon governo della fattispecie incriminatrice costituiscono affare del giudice la cui abdicazione dal dovere di terzietà (dal suo, cioè, dover essere), tangibilmente provata dalla mancanza di un'autonoma valutazione della causa (le esigenze cautelari) e della condizione (i gravi indizi di colpevolezza) della misura e degli elementi forniti dalla difesa, rende il provvedimento cautelare una carta straccia.

(Segue). L'accesso alle fonti dell'accusa e della cautela

Il diritto al contraddittorio effettivo è implementato dall'obbligo degli ufficiali o degli agenti di polizia giudiziaria, incaricati di eseguire l'ordinanza cautelare, di informare la persona sottoposta alle indagini delle facoltà e dei diritti previsti dall'art. 293, comma 1, c.p.p., come modificato dall'art. 1, comma 1, lett. a, d.lgs. n. 101 del 2014, tra i quali quello di ottenere informazioni sul merito dell'accusa (lett. b) e di accedere agli atti sui quali si fonda il provvedimento (lett. e) onde visionarli (art. 294, comma 3, c.p.p.) ed eventualmente estrarne copia (C. Cost., sent. n. 192 del 1997, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 293, comma 3, c.p.p., nella parte in cui non prevede la facoltà per il difensore di estrarre copia, insieme all'ordinanza che ha disposto la misura cautelare, della richiesta del pubblico ministero e degli atti presentati con la stessa). La violazione dell'obbligo di deposito determina la nullità dell'interrogatorio di garanzia che, se tempestivamente dedotta non oltre il compimento dell'atto stesso, determina l'inefficacia della misura cautelare ai sensi dell'art. 302 c.p.p. (Cass. pen., sez. unite n. 26798/2005; Cass. pen., sez. VI, n. 27342/2018; Cass. pen., sez. VI, n. 13309/2018 che ha precisato che la nullità consegue esclusivamente alla mancata disponibilità degli atti, non all'omesso avviso di deposito degli atti stessi; Cass. pen., sez. VI, n. 21872/2020 ha escluso che l'omesso deposito presso la cancelleria del giudice per le indagini preliminari dei decreti autorizzativi di intercettazioni telefoniche infici la validità dell'interrogatorio di garanzia della persona sottoposta a misura cautelare, poiché non incide sul diritto riconosciuto alla difesa di avere cognizione piena degli atti posti a fondamento della cautela.).

L'obbligo di tradurre, in una lingua nota all'alloglotta, il provvedimento che dispone la misura personale (art. 143, comma 2, c.p.p.), concorre ulteriormente, insieme con l'assistenza gratuita di un interprete, a rendere comprensibile l'accusa e consentire di sostenere l'interrogatorio in modo consapevole (art. 143, comma 1, c.p.p.), così da rendere effettivo il contraddittorio. L'omessa traduzione del provvedimento cautelare vizia il provvedimento se l'ignoranza della lingua era già nota prima della sua emissione; impone il differimento dell'interrogatorio se l'ignoranza emerge nel corso del suo espletamento costituendo causa di assoluto impedimento (Cass. pen., sez. IV, n. 33802/2017; Cass. pen., sez. V, n. 14490/2015).

(Segue). I tempi della difesa

L'effettività del contraddittorio esige, sul piano sostanziale, che oltre a comprendere le ragioni di fatto e di diritto dell'accusa, l'arrestato sia posto nella condizione materiale di poter esercitare efficacemente il diritto di difendersi da tali accuse, che disponga, cioè, «del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa» (art. 111, terzo comma, Cost.). Tale diritto opera nella duplice direzione: a) di consentire al difensore, a maggior ragione se fiduciario, di esercitare compiutamente il proprio mandato; b) di mettere la persona privata della libertà nella condizione di dare sostanza al confronto con il giudice.

Quanto al primo profilo, la persona in stato di custodia cautelare in carcere ha il diritto di conferire con il difensore sin dall'inizio dell'esecuzione della misura (art. 104, comma 1, c.p.p.); il difensore, a sua volta, ha il diritto di accedere a qualsiasi luogo nel quale la persona assistita si trova custodita, previa documentazione della propria qualifica (artt. 27 e 36, disp. att. c.p.p.). L'imputato alloglotta ha diritto all'assistenza gratuita dell'interprete per conferire con il difensore (artt. 104, comma 4-bis, 143, comma 1, c.p.p., 51-bis, disp. att. c.p.p.) e può nominare anche un difensore della sua stessa lingua (art. 26, disp. att. c.p.p.). Il diritto di conferire con il difensore può essere differito quando si procede per uno dei delitti previsti dall'art. 51, commi 3-bis, 3-quater, c.p.p., purché ricorrano, congiuntamente, le seguenti condizioni: a) il procedimento si trovi nella fase delle indagini preliminari (anche al momento della cattura, con conseguente esclusione della possibilità di differire il colloquio con il difensore in caso di cattura eseguita dopo la chiusura delle indagini preliminari: Cass. pen., sez. IV, n. 2565/2000); b) sussistano specifiche ed eccezionali ragioni di cautela; c) vi sia la richiesta del pubblico ministero (art. 104, comma 3, c.p.p.). In costanza di questi presupposti, il differimento è disposto dal giudice della cautela (il pubblico ministero può farlo solo nei casi di arresto in flagranza o fermo e non oltre il momento in cui la persona arrestata o detenuta è posta a disposizione del giudice) con decreto motivato che non è autonomamente impugnabile né può essere oggetto di riesame, non avendo la forma e il contenuto di un provvedimento applicativo di una misura coercitiva, ma che può costituire oggetto di sindacato incidentale nell'ulteriore corso del procedimento, qualora abbia determinato una violazione del diritto di difesa che, se non eliminata con l'espletamento di un rituale colloquio, comporta la nullità dell'interrogatorio a norma dell'art. 178, lett. c, c.p.p., con conseguente perdita di efficacia della misura stessa (Cass. pen., sez. VI, n. 44932/2012; Cass. pen., sez. VI, n. 4960/2009; Cass. pen., sez. VI, n. 3682/1996; Cass. pen., sez. II, n. 44902/2014, ha precisato che si tratta di nullità a regime intermedio, suscettibile di estendersi agli atti che ne dipendono e, in particolare, all'interrogatorio, a norma dell'art. 185, comma 1, c.p.p., qualora non venga eliminata mediante l'effettuazione del colloquio prima che l'atto consecutivo sia compiuto). Pur non autonomamente impugnabile, il decreto che differisce il colloquio può essere incidentalmente conosciuto dalla Corte di cassazione quando viene impugnata l'ordinanza del tribunale del riesame o dell'appello cautelare che esclude la perdita di efficacia della misura cautelare per nullità dell'interrogatorio di garanzia illegittimamente non preceduto dal colloquio con il difensore. Il sindacato di legittimità, in questi casi, si limita alla verifica della sussistenza dei presupposti formali dell'atto (delitto presupposto, fase dell'atto, autorità emanante, esistenza fisica di un decreto motivato) e della non manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza delle specifiche ed eccezionali ragioni di cautela (generalmente, la Corte di cassazione ritiene non manifestamente illogica la compressione del diritto al colloquio con il difensore, nei procedimenti riguardanti una pluralità di indagati, quando via sia l'esigenza di evitare la possibilità di comuni strategie difensive, anche di comodo, che potrebbero ostacolare le indagini in corso; in questo senso, Cass. pen., sez. III, n. 30196/2018; Cass. pen., sez. VI, n. 2941/2010; sez. VI, n. 29564/2003, Cass. pen., sez. I, n. 3900/1996; Cass. pen., sez. V, n. 2378/1993). In ogni caso, la compressione del diritto di difesa è compensata dal differimento dei termini per proporre la richiesta di riesame (art. 309, comma 3-bis, c.p.p.).

Il colloquio con il difensore non dà frutti se le ragioni della cautela non sono esplicitate nello stesso provvedimento che la dispone (e ciò, come visto, ne determina un vizio irreparabile) o se non è possibile accedere alla fonte dell'accusa. L'effettività del diritto di difesa impone il gioco a carte scoperte: il deposito nella cancelleria del giudice che ha emesso l'ordinanza della richiesta del pubblico ministero e degli atti presentati a corredo concorre ulteriormente all'esigenza di dare sostanza al diritto di difesa (art. 293, comma 3, c.p.p.). La violazione del diritto di accedere alle fonti dell'accusa vizia l'interrogatorio (con conseguente perdita di efficacia della misura), alla sola condizione che la nullità sia dedotta non oltre il compimento dell'atto (Cass. pen., sez.unite, n. 26798/2005; Cass. pen., sez. VI, n. 18840/2018).

(Segue). L'immediatezza del confronto con il giudice

Il bene in gioco (la libertà personale) impone accelerazioni adeguate alla gravità della lesione: in caso di privazione massima (la carcerazione) il confronto con il giudice deve avvenire immediatamente o, al più tardi, entro cinque giorni dall'inizio dell'esecuzione della misura; dieci in caso di misura meno afflittiva o interdittiva (art. 294, commi 1 e 1-bis, c.p.p.). Ma se il pubblico ministero (cui, tranne i casi di arresto in flagranza o di fermo, è inibito ogni contatto con l'arrestato prima dell'interrogatorio di garanzia: art. 294, comma 6, c.p.p.; C. Cost., sent. n. 384 del 1996) lo richiede con la domanda cautelare (mai dopo l'esecuzione della misura), l'interrogatorio deve avvenire entro il termine di 48 ore (art. 294, comma 1-ter, c.p.p.). Si tratta di termini inderogabili, non disponibili dalle parti, superabili solo in caso di impedimento assoluto della persona sottoposta alle indagini.

Il tempo necessario a preparare un'adeguata difesa potrebbe risentirne, soprattutto nei procedimenti più complessi (o, come si vedrà, nei casi di interrogatorio delegato) e, paradossalmente, proprio in caso di custodia cautelare in carcere, ma la pregnanza del diritto immediatamente leso (la libertà) esige, come detto, soluzioni inevitabilmente rapide. L'unica via percorribile è la richiesta di differimento dell'interrogatorio purché a data non successiva al quinto giorno dall'esecuzione della misura (Cass. pen., sez. II, n. 44902/2014, secondo cui la brevità del termine intercorrente tra la notifica dell'avviso di deposito degli atti presso il giudice che ha emesso la misura ex art. 293 c.p.p. e la data fissata per l'espletamento dell'interrogatorio di garanzia non dà luogo ad alcuna forma di nullità, essendo preminente l'interesse a provocare un immediato contatto tra l'indagato e il giudice della cautela per la verifica dei presupposti per la privazione della libertà, in relazione al quale le esigenze della difesa di consultare approfonditamente gli atti depositati possono essere salvaguardate con la presentazione di una istanza di differimento dell'interrogatorio entro il termine inderogabile di cinque giorni ex art. 294 c.p.p.; nello stesso senso, Cass. pen., sez. I, n. 27833/2013; Cass. pen., sez. I, n. 30733/2007).

La Corte di cassazione ha chiarito che la lesione del diritto di difesa per la ristrettezza del termine intercorrente tra l'avviso e il compimento dell'interrogatorio deve essere valutata avuto riguardo alla particolare funzione dell'atto di garantire l'immediato contatto tra la persona privata della libertà ed il giudice della cautela verificando, se, nel caso concreto, il difensore abbia avuto la effettiva possibilità di esercitare il suo mandato, tenendo conto della distanza tra il luogo ove svolge la sua attività e quello in cui l'atto si compie, della disponibilità e rapidità dei mezzi di collegamento e della facoltà di presentare motivata istanza di differimento dell'interrogatorio nel caso di comprovata difficoltà di presenziare personalmente e di impossibilità di nominare sostituti (Cass. pen. sez. II, n. 26343/2020 che ha escluso la violazione del diritto in un caso in cui l'avviso era stato notificato al difensore ventiquattro ore prima dell'interrogatorio, svolto in località raggiungibile anche con l'aereo, senza che venisse richiesto un differimento).

(Segue). L'impossibilità del confronto.

La rilevanza dell'impedimento assoluto a rendere l'interrogatorio presidia ulteriormente il diritto al contraddittorio effettivo. L'impedimento deve riguardare la persona attinta dal provvedimento cautelare (l'art. 294, comma 1, c.p.p., fa esclusivo riferimento alla «persona in stato di custodia cautelare»), non il suo difensore, non trovando applicazione le norme che ne disciplinano il legittimo impedimento in fase di giudizio (Cass. pen, sez. VI, n. 2917/2000; l'impedimento derivante dall'impossibilità per il difensore di accedere agli atti trova altri rimedi).

L'impedimento deve essere assoluto, altrimenti è governabile dall'interrogando come meglio crede, rinunciando all'interrogatorio o chiedendone un differimento (purché non oltre il termine fissato ‘ex lege' a pena di inefficacia della misura). L'interrogatorio di garanzia è uno strumento processuale messo a disposizione della persona sottoposta alle indagini per difendersi; può avvalersene, come può rinunciarvi. Si tratta di un diritto che la persona privata della libertà personale può esercitare incondizionatamente anche in periodo pandemico (Cass. pen. sez. II, 4 settembre 2020, n. 28936, che ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 83, comma 3, lett. c, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito dalla legge 24 aprile 2020, n. 27 - in relazione agli artt. 3, 10, 13, 24 e 111 Cost. - nella parte in cui non include l'interrogatorio di garanzia tra gli atti comunque adottabili nel periodo di sospensione generalizzata dell'attività giudiziaria, in quanto, rimettendo la decisione di espletare detto incombente alla insindacabile richiesta della persona sottoposta a misura cautelare o al suo difensore, realizza un ragionevole contemperamento tra le concorrenti esigenze, potenzialmente in conflitto, sia di assicurare il pieno ed effettivo esercizio del diritto di difesa, nei tempi rapidi di cui all'art. 294 c.p.p. sia di contenere la mobilità delle persone per ragioni di tutela della salute pubblica; nel senso che lo stato di isolamento sanitario dell'indagato per sospetta infezione da Covid-19, costituisce impedimento assoluto che legittima il differimento dell'interrogatorio, Cass. pen., sez. II, n. 5423/2021).

L'assoluto impedimento a rendere l'interrogatorio consente il nuovo decorrere del termine entro cui effettuarlo; la mancanza del decreto che ne certifichi motivatamente la sussistenza determina l'inefficacia della misura (Cass. pen., sez. IV, n. 1327/1999) ma l'inoppugnabilità del decreto (Cass. pen. sez. VI, n. 42532/2012) non impedisce la verifica, ‘ex post', della effettiva sussistenza dell'assoluto impedimento mediante richiesta di declaratoria di inefficacia della misura per l'inutile decorso del termine di cinque/dieci giorni dalla sua esecuzione: non impugnabilità non equivale a non sindacabilità (secondo Cass. pen., sez. II, n. 5423/2021, cit., il provvedimento con il quale il giudice, riconosciuta una causa di impedimento assoluto, sospende, ai sensi dell'art. 294, co 2, c.p.p., il termine per l'espletamento dell'interrogatorio di garanzia fino alla cessazione dell'accertato impedimento, non è impugnabile, stante il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione, nemmeno in base all'art. 111 Cost., in quanto l'obbligo di motivare il differimento si ricollega esclusivamente all'esigenza di predisporre un regime di controllo "interno", al fine di verificare il corretto esercizio del potere discrezionale da parte del giudice e di predisporre rimedi di ordine extraprocessuale nel caso di uso improprio di tale potere).

Il diritto al contraddittorio formale

Sul piano formale, il diritto al contraddittorio è assicurato dall'obbligo del tempestivo avviso del compimento dell'atto al difensore della persona arrestata; la nullità dell'omissione è tuttavia sanata ove l'indagato stesso rinunci all'assistenza del difensore, accettando di essere assistito da un legale d'ufficio, e questi nulla eccepisca (così, da ultimo, Cass. pen., sez. III, n. 19993/2020). Destinatario dell'avviso è il difensore di fiducia che risulti nominato al momento dell'adozione dell'ordinanza o comunque dell'avviso stesso ma se è stata applicata la misura di massimo rigore prevale la dichiarazione di nomina del difensore di fiducia effettuata con atto ricevuto dal direttore dello stabilimento di custodia a norma dell'art. 123 c.p.p., che ha immediata efficacia come se fosse direttamente ricevuta dall'autorità giudiziaria destinataria, alla quale deve essere comunicata con urgenza con le modalità e gli strumenti previsti dall'art. 44 disp. att. c.p.p. (Cass. sez. unite n. 2/1997, secondo cui è affetto dalla nullità di carattere generale a regime intermedio di cui all'art. 178 lett. c c.p.p. l'atto compiuto in mancanza del previo avviso al difensore di fiducia così tempestivamente nominato, ancorché la nomina non sia pervenuta all'ufficio dell'autorità procedente prima della fissazione dell'atto medesimo).

I casi che escludono l'obbligo dell'interrogatorio

È questione controversa se l'obbligo di procedere all'interrogatorio di garanzia sussiste quando la persona arrestata o detenuta ha già esercitato il diritto di difendersi con piena cognizione dei fatti dei quali è accusato e delle relative fonti di prova.

L'art. 294, comma 1, c.p.p. lo esclude espressamente quando il giudice ha proceduto all'interrogatorio prima di decidere sulla richiesta di convalida dell'arresto o del fermo e di applicazione di una misura cautelare (nel senso della compatibilità costituzionale di tale previsione, C. Cost., sent. n. 16 del 1999) oppure quando il dibattimento sia già stato dichiarato aperto ai sensi dell'art. 492 c.p.p.

Se ne potrebbe trarre la conclusione che, negli altri casi, l'obbligo dell'interrogatorio di garanzia sussiste sempre e comunque.

La questione ha dato adito a non pochi contrasti giurisprudenziali risolti dalle Sezioni unite della Suprema Corte che hanno sistematicamente escluso tale obbligo ogniqualvolta il provvedimento cautelare è preceduto dall'instaurazione di un contraddittorio pieno, finalizzato ad approfondire anticipatamente tutti i temi dell'azione cautelare anche attraverso i contributi forniti dalla difesa.

In particolare, l'obbligo di procedere all'interrogatorio di garanzia è stato escluso:

  • in caso di applicazione della misura cautelare personale da parte del tribunale del riesame, in accoglimento dell'appello proposto dal pubblico ministero avverso la decisione di rigetto del giudice per le indagini preliminari, atteso che la possibilità di esercizio del diritto di difesa è già assicurata dall'instaurazione del contraddittorio in sede di impugnazione cautelare (Cass. pen. sez. unite, n. 17274/2020);
  • nel caso di emissione di nuova misura cautelare custodiale conseguente ad una dichiarazione di inefficacia, ai sensi dei commi 5 e 10 dell'art. 309 c.p.p., di quella precedente, alla duplice condizione che: a) l'interrogatorio di garanzia sia stato in precedenza regolarmente espletato; b) l'ultima ordinanza cautelare non contenga elementi nuovi e diversi rispetto alla precedente (Cass. pen. sez. unite, n. 28270/2014);
  • in caso di emissione della misura dopo la sentenza di condanna (Cass. pen. sez. unite n. 18190/2009);
  • nell'ipotesi di aggravamento della misura cautelare personale a seguito della trasgressione alle prescrizioni imposte (art. 276, comma 1 e 1-ter, c.p.p.) (Cass. pen. sez. unite n. 4932/2009); in questi casi la persona destinataria del provvedimento può sollecitare l'interrogatorio ma il giudice non vi è tenuto se non vengono dedotti elementi nuovi o diversi rispetto a quelli già valutati (art. 299, comma 3-ter, c.p.p.; da ultimo, Cass. pen., sez. fer., n. 28741/2020);
  • in caso di nuova emissione di misura cautelare da parte del giudice competente ai sensi dell'art. 27, c.p.p., sempre che non siano stati contestati all'indagato o all'imputato fatti nuovi ovvero il provvedimento non sia fondato su indizi o su esigenze cautelari in tutto o in parte diversi rispetto a quelli posti a fondamento dell'ordinanza emessa dal giudice incompetente (Cass. pen., sez. unite n. 39618/2001).

All'interrogatorio di garanzia non si deve procedere se la misura, ancorché disposta con ordinanza emessa prima dell'esercizio dell'azione penale, viene eseguita dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento (art. 294, comma 1, c.p.p.). L'instaurazione della fase del giudizio, per i suoi caratteri essenziali di pienezza del contraddittorio e per l'immanente presenza dell'imputato, assorbe la stessa funzione dell'interrogatorio previsto dall'art. 294, comma 1, c.p.p. (così C. Cost., sent. n. 32 del 1999, nonché C. Cost., ordinanze n. 230 del 2005, n. 267 del 2008, 359 del 2008). Non importa che il processo abbia i suoi tempi “morti” o le sue “pause” nei quali questa “pienezza del contraddittorio” o questa “immanente presenza dell'imputato” di fatto esistono solo sulla carta: la persona arrestata successivamente alla sentenza di condanna in primo grado non ha un interlocutore diretto e immediato, quella arrestata dopo la sentenza di condanna in appello non ha nemmeno un interlocutore. La possibilità di comparire personalmente dinanzi ai giudici del riesame (art. 309, comma 6, c.p.p.) non ha la stessa efficacia del confronto serrato e diretto con colui che ha deciso e/o può ancora decidere della propria libertà.

L'interrogatorio delegato

L'incipit dell'art. 294, comma 1, c.p.p. non tragga in inganno: non necessariamente all'interrogatorio deve procedere il medesimo giudice che ha deciso in ordine all'applicazione la misura (Cass. pen., sez. I, n. 41951/2016); la diversità del circondario nel quale assumere l'interrogatorio (art. 294, comma 5, c.p.p.) non costituisce un limite alla possibilità per il giudice-persona fisica di essere sostituito anche nel proprio ufficio, non trovando applicazione, in sede cautelare, il principio di immutabilità previsto dall'art. 525 c.p.p. per la sola fase del giudizio (Cass. pen., sez. III, n. 8121/2002; Cass. pen. sez. unite, n. 26/2000 secondo cui «il vigente codice di procedura penale, tutte le volte che indica il giudice competente all'esercizio della giurisdizione nei diversi stati e gradi del procedimento, si riferisce a singoli organi giudiziari, senza cenno alcuno alla persona fisica dei magistrati che li compongono. Sicché il principio di immutabilità del giudice, di cui all'art. 525 c.p.p., è riferito e riferibile solo alla deliberazione della sentenza, in quanto destinato a garantire che il giudizio sulla responsabilità dell'imputato sia espresso, nel rispetto dei principi di oralità, immediatezza e contraddittorio cui si ispira il processo penale, dalle stesse persone fisiche che hanno preso parte al dibattimento e presenziato all'assunzione delle prove. Pertanto, l'eventuale diversità di composizione dell'organo, collegiale o monocratico, designato nei casi, modi e termini previsti dalle leggi di ordinamento giudiziario, che decide in ordine ad alcuna delle dette richieste in materia cautelare, non incide sulla legittimità dei relativi provvedimenti, stante il principio di tassatività delle nullità e la mancanza di una specifica previsione di tale diversità come causa di nullità o la sua riconducibilità ad alcuna delle ipotesi di nullità di ordine generale previste dall'art. 178, comma1, lett. a), c.p.p., che sono tutte connesse alla violazione di norme concernenti la capacità del giudice e il numero dei giudici necessario per costituire i collegi secondo le norme di ordinamento giudiziario»).

È chiaro che in questi casi, al di là della correttezza formale dell'utilizzo della delega, sopratutto quando imposta da reali esigenze organizzative, l'interrogatorio si priva di un interlocutore privilegiato: il giudice che ha deciso in ordine all' applicazione della misura cautelare ed è più di ogni altro in grado di interloquire efficacemente con la persona sottoposta alle indagini e di provvedere immediatamente sul suo destino. Basti pensare ai frequenti casi di corpose e complesse ordinanze cautelari emesse nei confronti di più persone magari eseguite (come sovente accade) in circondari diversi; il rischio concreto che l'interrogatorio di garanzia si trasformi in un monologo dinanzi ad un giudice che si limita a registrarlo è inevitabile, così come la scelta difensiva di tacere dinanzi ad un giudice comunque non avvertito come “naturale”. La dissociazione tra giudice che decide e giudice che interroga si è tradotta in un “cahier de doleance” che ha imposto una pronuncia espressa: la citata Cass. pen., sez. III, n. 39520/2017, ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 294, comma 5, c.p.p., in riferimento all'art. 25, co. 1, Cost., nella parte in cui prevede che il giudice possa delegare l'interrogatorio di garanzia della persona in stato di custodia cautelare, da assumere nella circoscrizione di altro tribunale, qualora ritenga di non procedervi personalmente, dovendosi escludere che la regiudicanda cautelare sia sottratta al giudice naturale, sia in ragione della provvisorietà dell'incombenza delegata, sia per la facoltà da parte del giudice delegante di adottare gli stessi atti che avrebbe potuto o dovuto compiere se avesse assunto direttamente l'interrogatorio di garanzia. La stessa sentenza ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 294, comma 5, c.p.p., questa volta in riferimento all'art. 13, commi 1 e 2, Cost., in quanto la "ratio" della delega è fondata sull'esigenza di assicurare, nell'interesse della persona ristretta, la tempestività dell'interrogatorio mediante l'immediato contatto con il giudice, in applicazione del principio del controllo sui provvedimenti restrittivi della libertà personale consacrato nel precetto costituzionale.

Se ne deve dedurre che, quando reali esigenze organizzative non lo impongano, l'interrogatorio non possa essere delegato; di fatto, l'insindacabilità dell'atto di delega, che non appartiene alla categoria dei "provvedimenti giurisdizionali" soggetti all'obbligo di motivazione ai sensi dell'art. 111, comma 6, Cost., in quanto atto non decisorio né definitivo, ma meramente organizzativo ed ordinatorio, rispetto al quale l'apprezzamento discrezionale concesso al giudice resta assorbito nella valutazione legale tipica operata a monte dal legislatore e tendente ad assicurare il contatto immediato fra il giudice e la persona ristretta nella libertà personale (Cass. pen., sez. III, n. 39520/2017, cit.), osta alla percorribilità di una via che conduca all'annullamento dell'interrogatorio e alla conseguente inefficacia della misura.

Lo snaturamento sostanziale dell'interrogatorio di garanzia è avallato, in sede giurisprudenziale, dalla possibilità, per il giudice delegato, di omettere la verifica di cui all'art. 294, comma 3, c.p.p., rimettendo tale valutazione al giudice delegante che può assumere decisioni in proposito con piena conoscenza della situazione processuale dell'indagato (Cass. pen., sez. VI, n. 1146/2000).

Ma la delega ad altro giudice reca altri rischi, ancor più devastanti e tuttavia non infrequenti: la mancata trasmissione degli atti sui quali si basa la decisione del giudice delegante. Anche la giurisprudenza di legittimità ha dovuto prendere atto che esiste un limite: se, oltre alla mancata trasmissione del fascicolo, nemmeno il testo dell'ordinanza contiene la puntuale indicazione della fattispecie concreta, degli elementi rilevanti in fatto, dei risultati delle investigazioni espletate, delle fonti probatorie dell'accusa, non consentendo al giudice di interrogare nel merito la persona sottoposta a cautela, l'incombente istruttorio si risolve in una mera formalità e non raggiunge le finalità di garanzia cui deve essere diretto (Cass. pen., sez. III, n. 1923/1997; Cass. pen., sez. V, n. 2546/1997; Cass. pen., sez. VI, n. 3123/1998; Cass. pen., sez. II, n. 39942/2002).

L'interrogatorio preventivo

All'interrogatorio di garanzia di cui all'art. 294 c.p.p. non si deve procedere in caso di applicazione della misura interdittiva della sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio disposta a carico di un pubblico ufficiale o di un incaricato di pubblico servizio, qualunque sia il reato del quale è accusato, non necessariamente un delitto contro la pubblica amministrazione (Cass. pen., sez. I, n. 15794/2011; Cass. pen. sez. V, n. 2794/1998). In questo caso, infatti, l'interrogatorio da parte del giudice investito della richiesta del pubblico ministero precede la decisione sull'adozione della misura in quanto volto a instaurare in forma anticipata il contraddittorio con il giudice sulla regiudicanda cautelare che normalmente segue l'adozione del provvedimento (art. 289, comma 2, c.p.p.). Si riteneva, in passato, che il giudice investito della richiesta di applicazione di una misura cautelare coercitiva cautelare che ritenesse adeguata la misura interdittiva della sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio, fosse obbligato a instaurare il contraddittorio preventivo con la persona sottoposta alle indagini prima di applicare tale misura (Cass. pen., sez. VI, n. 16364/2008; Cass. pen., sez. VI, n. 28812/2002; Cass. pen., sez. VI, n. 3310/2001). L'art. 7, l. n. 47/2015, ha integrato la norma disponendo che in questi casi il giudice deve posporre l'interrogatorio all'adozione dell'ordinanza. Ciò comporta una conseguenza di notevole rilevanza pratica: in caso di misura interdittiva applicata in luogo di quella coercitiva inizialmente richiesta, la persona indagata sospesa dall'ufficio o dal servizio accede all'interrogatorio di garanzia disponendo di tutti gli atti presentati dal pubblico ministero insieme con la richiesta cautelare; non così per il pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio nei cui confronti il pubblico ministero abbia chiesto la sola misura interdittiva: in questo caso, alcuna norma impone il deposito degli atti sui quali si fonda la richiesta. A correggere questa evidente disarmonia ha provveduto (non senza qualche tentennamento) la giurisprudenza di legittimità stabilendo che anche l'interrogatorio “preventivo” deve essere preceduto dal deposito di tutti gli atti posti a fondamento della richiesta di applicazione della misura al fine di consentire all'indagato di estrarne copia e di approntare un'adeguata ed effettiva difesa e precisando che, qualora successivamente al suo espletamento, e prima dell'emissione del provvedimento del giudice, il pubblico ministero alleghi ulteriori atti di indagine, siano essi o meno dipendenti dalle dichiarazioni rese dall'indagato, il giudice deve procedere ad un nuovo interrogatorio anch'esso preceduto dalla previa ostensione degli atti all'indagato ed al suo difensore, la cui mancanza determina la nullità per violazione del diritto di difesa (Cass. pen., sez. VI, n. 26929/2018, che perviene a questa conclusione osservando che sarebbe errato ritenere che l'interrogatorio preventivo, sol perché precede l'emissione della misura, costituisca un rafforzamento del diritto di difesa ovvero che proprio per questo sia idoneo a giustificare una conseguente minore tutela in termini di conoscenza degli atti su cui fondare la difesa tecnica, poiché, al di là di quanto astrattamente ipotizzato, la mancata conoscenza degli atti in quanto non ostensibili, produrrebbe una perdita evidente di tutela sotto il profilo delle strategie difensive cui appare necessario garantire effettività anche in tale fase; in senso contrario, Cass. pen., sez. VI, n. 16396/2018, non ritiene necessario il deposito degli atti).

L'interrogatorio di garanzia in caso di applicazione di misura di sicurezza

Anche l'applicazione provvisoria di una misura di sicurezza impone al giudice di procedere all'interrogatorio di garanzia della persona sottoposta alle indagini, ritenuta socialmente pericolosa, ove non sia stato possibile procedervi prima (art. 313, c.p.p.).

Sulla funzione dell'interrogatorio di garanzia e sulla latitudine da attribuire alla frase «ove non sia stato possibile procedere all'interrogatorio della persona sottoposta alle indagini prima della pronuncia del provvedimento», la giurisprudenza di legittimità è divisa: secondo un orientamento, decisamente maggioritario, l'interrogatorio previsto dall'art. 313 c.p.p. è preordinato alle stesse funzioni di garanzia che svolge con riguardo all'intero sistema delle misure cautelari e non, invece, alla verifica della pericolosità sociale del soggetto, accertamento che deve precedere l'adozione della misura di sicurezza (così, da ultimo, Cass. pen., sez. V, n. 555/2017); secondo un orientamento minoritario e meno recente, l'interrogatorio previsto dall'art. 313 c.p.p. è funzionale alla verifica della attualità della pericolosità del soggetto e della permanenza delle condizioni che giustificano la misura e non può essere surrogato dall'interrogatorio eventualmente espletato nel corso delle indagini sul merito dei fatti contestati, con la conseguenza che, in forza del rinvio all'art. 294 c.p.p. in materia di misure cautelari, la sua omissione comporta l'inefficacia del provvedimento impositivo (ex plurimis, Cass. pen., sez. I, n. 24061/2003).

Anche sulle conseguenze del mancato espletamento dell'interrogatorio di garanzia, la giurisprudenza è divisa: secondo un primo orientamento, il rinvio all'art. 294 c.p.p., contenuto nel primo comma dell'art. 313 c.p.p. va riferito a tutto il sistema della disciplina delle misure cautelari con la conseguenza che, ai fini della perdita automatica di efficacia della misura di sicurezza provvisoria, l'irrilevanza del mancato riferimento, nel citato art. 313 anche all'art. 302 c.p.p. che tale effetto prevede nell'ipotesi di omesso interrogatorio nei cinque giorni del soggetto sottoposto alla misura (Cass. pen., sez. V, n. 5803/1998; Cass. pen., sez. I, n. 24061/2003, cit); secondo un diverso orientamento, non si determina la decadenza per perdita di efficacia della misura comminata dall'art. 302 c.p.p. qualora non si sia proceduto all'interrogatorio nel termine di cinque giorni previsto dall'art. 294 c.p.p. posto che, per un verso, l'art. 313, primo comma, riguardante il procedimento per l'applicazione provvisoria delle misure di sicurezza, richiama soltanto l'art. 294 e non anche l'art. 302 e, per un altro verso, l'equiparazione della misura di sicurezza alla custodia cautelare, stabilita dall'art. 313, terzo comma, vale unicamente ai fini dell'impugnazione (Cass. pen., sez. VI, n. 3976/1992; Cass. pen., sez. II, n. 36732/2010).

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario