La fideiussione prestata dal de cuius quale passività deducibile dall'asse ereditario: presupposti e limiti
09 Febbraio 2022
Massima
Nella formazione della massa ai sensi dell'art. 556 c.c., si detrae dal valore dei beni compresi nel relictum solo il valore dei debiti del defunto aventi esistenza attuale e certa nel patrimonio ereditario, fatta salva la reintegrazione della legittima, previa rettifica del calcolo, se il debito, inizialmente non detratto, sia venuto ad esistenza in un secondo momento. Pertanto, il debito derivante da fideiussione prestata dal de cuius è detraibile se e nella misura in cui sia dimostrata l'insolvibilità del debitore garantito o l'impossibilità di esercitare l'azione di regresso. Il caso
In seguito all'apertura della successione di Tizio, il figlio Caio conveniva in giudizio la madre Tizia e la sorella Caia, chiedendo di essere reintegrato della propria quota di riserva, avendo il de cuius lasciato l'intero patrimonio alla sola Caia, con testamento olografo. Analoga domanda proponeva il coniuge pretermesso Tizia. Il Tribunale accertava preliminarmente l'entità del patrimonio relitto, considerando quale passivo ereditario, tra l'altro, anche l'importo di una fideiussione bancaria rilasciata dal testatore a garanzia di un finanziamento accordato alla società Alfa s.r.l.; accertava poi che in occasione di una permuta di quote di immobili tra il de cuius ed il figlio Caio, il primo aveva realizzato una liberalità in favore del secondo, stante il divario di valore tra i beni permutati a vantaggio del figlio e a discapito del genitore. Pertanto, rigettava la domanda di riduzione proposta da Caio, avendo quest'ultimo ricevuto in donazione un valore superiore alla legittima spettantegli. La Corte di Appello confermava la sentenza, ravvisando la liberalità effettuata dal de cuius nella consapevolezza della sproporzione tra il valore dei beni permutati da parte del genitore, esperto imprenditore, e riconoscendo che la fideiussione fosse da includere tra le passività ereditarie. Caio ricorreva quindi in Cassazione censurando le conclusioni della Corte, sostanzialmente per due motivi: sottolineava che il riconoscimento di una liberalità presuppone l'accertamento dell'animus donandi – non essendo sufficiente una valutazione meramente oggettiva, quale quella relativa alla differenza di valore dei beni permutati; denunciava poi violazione dell'art. 556c.c., non essendo la fideiussione bancaria prestata dal de cuius una passività immediatamente detraibile, in quanto non era stata fornita alcuna prova dell'insolvenza del debitore principale. La Corte di Cassazione, con la sentenza in oggetto, ha considerato infondato il primo motivo del ricorso, avendo la Corte di Appello dedotto lo spirito di liberalità del de cuius (nella permuta stipulata con Caio) nella consapevole accettazione dell'entità della sproporzione di valore tra i beni, stante la qualità professionale del defunto e risolvendosi comunque tale valutazione in un apprezzamento di merito incensurabile in Cassazione quando congruamente e logicamente motivato. La Corte di Cassazione ha invece accolto l'altro motivo di ricorso, richiamando precedenti della giurisprudenza di legittimità in materia tributaria, tutti concordi nello stabilire che i soli debiti ereditari deducibili sono quelli liquidi ed esigibili, che comportano cioè un effettivo depauperamento dell'attivo ereditario. Al riguardo, quindi, ha censurato le conclusioni della Corte d'Appello che aveva considerato corretta la detrazione del valore della fideiussione dall'attivo ereditario in assenza di prova dell'attualità del depauperamento del patrimonio ed omettendo qualsiasi indagine sulla insolvibilità del debitore garantito o sull'impossibilità di esercitare l'azione di regresso. La questione
La questione in esame è la seguente: nella formazione della massa ereditaria ai sensi dell'art. 556 c.c, quali requisiti devono avere i debiti del defunto per consentire una legittima detrazione dei medesimi dal valore dei beni costituenti il relictum? E, in particolare, quando ed in quale misura è possibile considerare una fideiussione prestata dal de cuius quale debito detraibile?
Le soluzioni giuridiche
La questione esaminata nella sentenza in esame attiene alle modalità con le quali deve procedersi alla corretta determinazione della massa ereditaria da calcolarsi ai sensi dell'art. 556 c.c., non chiarendo la norma – per quanto qui interessa - quali caratteristiche devono avere i debiti del defunto per poter essere detratti dal valore dei beni costituenti il c.d. relictum. Principi fondamentali di certezza giuridica non possono che imporre la necessità di considerare rilevanti ai fini in esame unicamente quei debiti aventi i caratteri dell'attualità e determinatezza nel loro ammontare all'apertura della successione. Da un punto di vista logico, prima ancora che giuridico, “l'esistenza” del debito implica, nella delineata prospettiva, un depauperamento effettivo del patrimonio ereditario. Più complesso diviene l'inquadramento della peculiare fattispecie dell'obbligazione fideiussoria - prestata dal de cuius - nell'alveo dei debiti ereditari, stante la natura di obbligazione di garanzia. Il fideiussore, ai sensi dell'art. 1936 c.c., è colui che obbligandosi personalmente verso il creditore, garantisce l'adempimento di un'obbligazione altrui. Ecco quindi che, in caso di decesso del fideiussore, diviene fondamentale chiedersi su chi grava il peso economico della posizione debitoria, al fine di indagarne la deducibilità o meno dall'asse ereditario. Al riguardo, giova ricordare che in alcune più risalenti pronunce in materia tributaria, la giurisprudenza di legittimità e di merito ha sottolineato che alcuni istituti nel nostro ordinamento dimostrano come nei rapporti interni tra fideiussore e debitore principale, è su quest'ultimo che finisce col gravare il peso economico del debito: ci si riferisce alla surrogazione del fideiussore nei diritti del creditore (art. 1949 c.c.), ovvero al regresso contro il debitore principale (art. 1950 c.c.), per il caso di pagamento eseguito dal fideiussore, nonché al rilievo del fideiussore (art. 1953 c.c.), precedente l'adempimento dell'obbligazione di garanzia. Conseguentemente, secondo siffatta ricostruzione, il diritto di rivalsa verso l'obbligato principale escluderebbe che i debiti risultanti da fideiussione possano essere considerati come passività deducibili. La sentenza in commento segue quel filone giurisprudenziale che, pur condividendo l'idea di fondo circa la generale non detraibilità delle fideiussioni prestate dal de cuius, considera rilevanti determinate circostanze di fatto la cui ricorrenza, dimostrando l'effettivo depauperamento del patrimonio ereditario, rende al contrario deducibile la fideiussione. Ci si riferisce all'ipotesi in cui all'apertura della successione sussiste l'insolvibilità del debitore garantito, oppure l'impossibilità di esercitare l'azione di regresso: soltanto siffatte circostanze costituiscono il presupposto dell'effettivo depauperamento dell'attivo ereditario, depauperamento che, solo, giustifica la detraibilità del debito dalla massa ereditaria. Osservazioni
Nel contestare le conclusioni cui era pervenuta la Corte di Appello, la Cassazione ha cercato di inquadrare il problema della deducibilità o meno delle fideiussioni (prestate dal de cuius) dall'attivo ereditario –rilevante ai sensi dell'art. 20 del T.U. imposta successioni e donazioni (d.Lgs. n.346/1990) - alla luce del principio informatore dell'art. 556 c.c., secondo cui sono inclusi nella massa ereditaria attiva e passiva solo diritti ed obblighi aventi esistenza attuale e certa nel patrimonio ereditario. In tema di successione necessaria, l'accertamento della lesione della quota di riserva – lamentata dal ricorrente nel caso in esame - presuppone la previa determinazione del valore dell'asse ereditario, della quota disponibile e della quota legittima: a tal fine si procede alla c.d. riunione fittizia, ovvero l'operazione matematica con la quale si riuniscono fittiziamente i beni appartenenti al defunto al tempo della morte, sottraendo i debiti e sommando le donazioni (Trib., sez. I, Sciacca, 13 luglio 2021, n. 320). Orbene, nella pronuncia in esame, la Corte ha ribadito che la semplice sussistenza di una obbligazione fideiussoria non importa di per sé sola l'automatica detraibilità della stessa dalla massa, occorrendo necessariamente considerare ulteriori elementi di fatto. Le motivazioni assunte tradizionalmente a sostegno della tesi della non deducibilità della fideiussione si basano sul carattere meramente eventuale e comunque solidale del debito, sulla circostanza che quest'ultimo non deriverebbe da un'obbligazione assunta in proprio dal de cuius, e sulla constatazione che al debito fideiussorio corrisponderebbe pur sempre un credito verso il debitore principale. Nell'argomentare la sua posizione, la Corte ha equiparato la disciplina della fideiussione – e dei debiti solidali in genere – a quella dei debiti sottoposti a condizione sospensiva, che devono essere esclusi dal passivo, salvo le opportune correzioni quando si verifica la condizione. Giova peraltro precisare che non v'è chi non veda come non sia del tutto pertinente il richiamo al carattere solidale del debito per escludere la deducibilità della fideiussione, mancando l'eadem causa obligandi, tipica del rapporto tra più condebitori in solido. Ciò che viene ribadito dalla Suprema Corte è che nella relazione dialettica tra fideiussione e debiti deducibili deve essere rimosso qualsiasi automatismo: “la vigenza di una garanzia non significa necessariamente attualità del debito”. Da una parte, il presupposto necessario per la suddetta detraibilità è che l'obbligazione principale non sia estinta, dall'altra però siffatta circostanza non è di per sé sufficiente, occorrendo infatti anche la dimostrazione dell'insolvibilità del debitore garantito o dell'impossibilità di esercitare l'azione di regresso. Riferimenti
Studio del Consiglio Nazionale del Notariato n. 367-454 bis, “Imposta sulle successioni e obbligazione fideiussoria assunta dal de cuius”, a cura di Francesco Colucci, Gaetano Petrelli, Paolo Puri, Approvato dalla Commissione Studi tributari il 13 settembre 1996, Approvato dal Consiglio Nazionale il 10 ottobre 1996. |