I poteri esercitati in concreto disvelano la simulazione del contratto di lavoro subordinato dell'amministratore

Teresa Zappia
28 Settembre 2021

Qualora la persona fisica, formalmente operante come dirigente, sia chiamata a formarne la volontà societaria anche verso l'esterno, con spendita del nome dell'ente, sussistono contestualmente posizioni tra di esse incompatibili, sicché il contratto di lavoro dipendente deve ritenersi simulato...
Massima

Qualora la persona fisica, formalmente operante come dirigente, sia chiamata a formarne la volontà societaria anche verso l'esterno, con spendita del nome dell'ente, sussistono contestualmente posizioni tra di esse incompatibili, sicché il contratto di lavoro dipendente deve ritenersi simulato.

Non producendo la simulazione alcun effetto obbligatorio tra le parti, deve essere dichiarato inefficace il licenziamento del ricorrente e rigettata la domanda risarcitoria di quest'ultimo, ciò non pregiudicando la possibilità di domandare il medesimo petitum sulla base di una diversa causa petendi (diritto al compenso in qualità di amministratore).

Il caso

Il lavoratore, operante in qualità di dirigente, agiva in giudizio affinché venisse dichiarata la ingiustificatezza del licenziamento intimatogli dalla società datrice, con conseguente condanna della stessa al pagamento dell'indennità supplementare prevista dal CCNL, all'indennità di mancato preavviso ed al risarcimento del danno subito.

La società resistente chiedeva in via riconvenzionale il risarcimento del danno subito per effetto di pagamenti effettuati dal lavoratore per servizi mai resi a favore della stessa, nonché delle spese sostenute e necessarie al fine di accertare i fatti poi contestati al ricorrente in sede disciplinare.

Per tutto il tempo cui si riferiscono i fatti di causa il lavoratore era stato dirigente ed amministratore delegato. Non era stata allegata alcun documento circa limitazioni di poteri del lavoratore se non per la firma congiunta di un altro amministratore delegato.

Dalla visura camerale era possibile constatare che in capo al ricorrente sussistevano poteri tipici del datore, compreso quello disciplinare e lo ius variandi, con ampie deleghe in materia commerciale.

La questione

È configurabile un rapporto di lavoro subordinato, con conseguente possibilità di accertare la legittimità del licenziamento, tra la società e la persona fisica alla quale siano ricondotti poteri tipici dell'amministratore?

La soluzione del Tribunale

Alla luce della documentazione agli atti, il Tribunale ha rilevato come il ricorrente avesse assunto in sé la posizione di lavoratore dipendente della società e di persona fisica chiamata a formarne la volontà, sia quanto al processo decisionale interno, sia quanto alla spendita del nome verso l'esterno, il che comportava la contestuale esistenza di posizioni tra di esse incompatibili. Ad avviso del giudice padovano, la relazione intrattenuta tra il ricorrente e la società resistente era necessariamente quella di immedesimazione organica, sicché il contratto di lavoro dipendente doveva ritenersi simulato, non potendo sussistere una relazione contrattuale che non sia inter soggettiva e non potendo coincidere il soggetto etero diretto con colui che ha il potere di dirigere.

Prova contraria a tale conclusione, evidenzia il Tribunale, potrebbe rinvenirsi soltanto ove venisse dimostrato il vincolo di subordinazione nonostante la carica sociale rivestita e, dunque, l'assoggettamento al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell'organo amministrativo dell'ente. Gli atti prodotti e le argomentazioni sostenute dalla società sul punto non sono stati ritenuti sufficienti. La stessa domanda riconvenzionale era fondata su comportamenti che il ricorrente non avrebbe potuto compiere se non nella posizione di dominus della società.

Il Tribunale ha ritenuto ammissibile il sindacato sull'atto, recte contratto di lavoro, essendo lo stesso il presupposto della domanda con la quale era stato fatto valere l'inadempimento contrattuale, ossia l'ingiustificatezza del licenziamento del ricorrente.

Ritenendosi simulato il rapporto di lavoro, la comunicazione di recesso non poteva produrre gli effetti di un atto risolutivo: la risoluzione, infatti, non potrebbe avere ad oggetto un contratto mai stipulato.

Non producendo il contratto simulato alcun effetto tra le parti, il Tribunale ha ritenuto non fondato l'esercizio del potere di risoluzione unilaterale, con conseguente inefficacia del licenziamento del ricorrente, sebbene per una ragione diversa da quella dedotta in giudizio. Il giudice padovano, infine, non ha accolto la domanda di risarcimento del danno, essendo essa fondata sull'esecuzione di un rapporto in origine simulato, ciò non pregiudicando per entrambe le parti di domandare il medesimo petitum sulla base di una diversa causa petendi (responsabilità dell'amministratore; diritto al compenso in qualità di amministratore).

Osservazioni

Nel caso esaminato dal giudice padovano, la domanda del ricorrente di accertamento di ingiustificatezza del licenziamento da parte della società datrice ha richiesto la verifica, in quanto presupposto indefettibile ai fini dell'accoglimento della domanda, dell'effettiva sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato.

Il ricorrente, infatti, sulla base degli atti prodotti in giudizio, risultava non solo rivestire il ruolo di dirigente, ma essere anche titolare di poteri di rappresentanza dell'ente, con possibilità di spendere all'esterno il nome dello stesso.

In merito viene dunque in rilievo la possibilità di affermare o negare la compatibilità tra la subordinazione del lavoratore e il ruolo dal medesimo assunto in seno alla persona giuridica.

Già a partire dagli anni 90 (Cass., Sez. Un., n. 10680/1994; Cass. n. 1793/1996), la giurisprudenza di legittimità ha espresso il principio di diritto in base al quale l'incarico per lo svolgimento di un'attività gestoria, come quella dell'amministratore, in una società di capitali non esclude a priori la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato. A sostegno della compatibilità di una duplicazione di posizioni giuridiche in capo al medesimo soggetto è stato evidenziato come l'esistenza del rapporto organico che lega l'amministratore alla società non vale da solo ad escludere la configurabilità di un rapporto obbligatorio tra le stesse parti ed avente ad oggetto, da un lato, la prestazione di lavoro e, dall'altro lato, la corresponsione della retribuzione. Afferma la Corte di Cassazione, infatti, che il rapporto organico concerne soltanto i terzi rispetto ai quali assume rilevanza solo la persona giuridica rappresentata e non anche la persona fisica, ma ciò non esclude che nei rapporti interni sussistano rapporti obbligatori, ossiaun contratto di lavoro subordinato. Ne consegue che la mera qualità di rappresentante legale della società non costituisce un ostacolo alla riconoscibilità di un rapporto di lavoro subordinato, purché ovviamente sussistano le caratteristiche dell'assoggettamento, nonostante la carica sociale, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell'organo di amministrazione dell'ente (Cass. n. 18476/2014 e n. 24972/2013).

La giurisprudenza di legittimità, quindi, ammette l'astratta possibilità che tra la società e la persona fisica che la rappresenta e la gestisce, sia instaurabile un rapporto autonomo e parallelo con le caratteristiche del lavoro subordinato, ma ciò sarà comunque condizionato all'accertamento dello svolgimento in concreto di attività estranee alle funzioni inerenti al rapporto organico, contraddistinte dai caratteri tipici della subordinazione (Cass. n. 1399/2000, n. 329/2002 e n. 12630/2008).

Il possibile cumulo di posizioni (i.e.di amministratore e di lavoratore subordinato) comporta che il ricorrente il quale, come nel caso di specie, agisca in giudizio al fine di fare valere diritti scaturenti dal contratto di lavoro subordinato, è tenuto a fornire la prova dell'assoggettamento – nonostante la carica sociale ricoperta – al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell'organo di amministrazione della società, il quale ne condiziona la libertà di azione e di scelta nell'esercizio della funzione e dell'attività lavorativa, ossia di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale (Cass. n. 9273/2019, n. 29761/18, n. 19596/16).

Sul punto si rammenta che il vincolo della subordinazione può assumere connotati diversi in relazione alla natura delle mansioni (intellettuali, professionali, o dirigenziali) ed alle condizioni in cui queste vengono svolte, sicché ove esse non vengano eseguite sotto la direzione del datore, ovvero non in base ad una specifica organizzazione anche temporale – come nel caso della figura dirigenziale – il carattere subordinato del rapporto di lavoro potrà essere accertato anche facendo ricorso a criteri c.d. complementari o sussidiari, ad esempio quelli della periodicità e predeterminazione della retribuzione, del coordinamento dell'attività lavorativa all'assetto organizzativo dato dal datore, dell'assenza di rischio in capo al lavoratore, elementi questi che, privi ciascuno di valore decisivo, possono essere esaminati globalmente. Nel caso dell'amministratore le mansioni dovranno essere diverse dalle funzioni proprie della carica rivestita e non rientranti nelle deleghe (Cass. n. 10308/2021).

In ogni caso, nell'individuazione della natura del rapporto, in forza del principio di effettività (Cass. n. 18476/2014), non può attribuirsi rilievo determinante al nomen iuris con il quale il rapporto di lavoro è stato formalizzato, esso costituendo solo uno degli elementi ai quali occorre fare riferimento nella valutazione complessiva della situazione contestuale e successiva alla stipulazione del contratto, al fine di accertare l'oggetto effettivo della prestazione svolta a favore dell'ente.

Tenuto conto di quanto sopra, la valutazione della compatibilità dello status di amministratore di società di capitali con lo svolgimento di attività di lavoro subordinato presuppone l'accertamento, caso per caso, della sussistenza delle seguenti condizioni: che il potere deliberativo (come regolato dall'atto costitutivo e dallo statuto), diretto a formare la volontà dell'ente, sia affidato all'organo (collegiale) di amministrazione della società nel suo complesso e/o ad un altro organo sociale espressione della volontà imprenditoriale il quale esplichi un potere esterno; che sia fornita la rigorosa prova della sussistenza del vincolo della subordinazione anche, eventualmente, nella forma attenuata del lavoro dirigenziale; il soggetto svolga, in concreto, mansioni estranee al rapporto organico con la società, in particolare, mansioni che esulino dai poteri di gestione discendenti dalla carica ricoperta o dalle deleghe che gli siano state conferite.

Per approfondire
  • V. PULCINI, V. DANGELO, La natura del rapporto di lavoro tra amministratori e società di capitali. Finalmente, la risposta delle Sezioni Unite (Cass. SS.UU. n. 1545/2017), in Il Merito, 30 marzo 2017, ilmerito.org;
  • G. Grossi, Amministratore-società: dalla parasubordinazione al rapporto organico-societario, in Ilsocietario.it , 23 marzo 2017;
  • O. PATANÈ, La natura del rapporto tra amministratore e società; in Guida al Lavoro; Il Sole 24 Ore del 3 marzo 2017;
  • A. PILATI, Essere o non essere parasubordinati: il dilemma degli amministratori di società per azioni, in Giurisprudenza Commerciale, 1 dicembre 2017;
  • F. Capurro, Aspetti giuslavoristici della figura dell'amministratore di società, in D&L – Rivista Critica di Diritto del Lavoro, 2003, 641 - Nota a Corte d'Appello di Milano, 11 aprile 2003, Pres. Mannacio;
  • A. Corrado, Il discrimine tra amministratore e lavoratore subordinato a fini fiscali, in Ilsocietario.it, fasc., 12 novembre 2015 -Nota a: Cassazione civile, 25 settembre 2015, n.19050;
  • PETINO, Rapporto di amministrazione e rapporto di lavoro subordinato, Giuffrè, Milano, 1968.

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