Amministratore (nomina assembleare)Fonte: Cod. Civ. Articolo 1129
05 Febbraio 2019
Inquadramento
L'art. 1129, comma 1, c.c. - così come riformato dalla l. n. 220/2012 (con decorrenza dal 18 giugno 2013) - prevede che, «quando i condomini sono più di otto, la nomina di un amministratore è fatta dall'autorità giudiziaria su ricorso di uno o più condomini o dell'amministratore dimissionario»(riproducendo, in buona sostanza, il disposto contenuto nell'art. 16 del r.d. 15 gennaio 1934, n. 56, convertito nella l. 10 gennaio 1935, n. 8, secondo il quale «se l'assemblea non provvede, la nomina è fatta dall'autorità giudiziaria, su ricorso di uno o più condomini»). Le novità apportate dalla Riforma riguardano, pertanto, sia l'elevazione della soglia - da quattro ad otto - oltre la quale scatta l'obbligatorietà della nomina di un amministratore nel condominio, sia il conferimento della legittimazione ad adire l'autorità giudiziaria per la nomina anche all'amministratore dimissionario. Rimane fermo, invece, il quorum qualificato contemplato per l'approvazione della delibera che, ai sensi del combinato disposto dei commi 2 e 4 dell'art. 1136 c.c., richiede “sempre” (ossia in prima e seconda convocazione) “la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio”. Va, peraltro, evidenziato il carattere “permanente” di tale disposto, poiché contiene una normativa che non è limitata alla prima nomina dell'amministratore, ma, tenuto conto dell'obbligo dell'assemblea di procedere alla predetta nomina - allorché i condomini siano almeno nove - e dell'annualità (tendenziale) del mandato, tende a disciplinare il predetto procedimento di nomina per tutta la durata della vita del condominio. L'obbligatorietà della nomina dell'amministratore, dunque, “scatta” allorché si raggiunge il numero di nove condomini, necessario per la costituzione del condominio (secondo Cass. civ., sez. II, 20 luglio 1972, n. 2484, non si richiede, però, che il trasferimento dei singoli appartamenti dall'unico proprietario ai vari condomini sia avvenuto per atto pubblico, essendo sufficiente l'impiego della semplice scrittura privata, giacché unico elemento formale inderogabile è quello dell'atto scritto); si prescinde, quindi, dall'approvazione del regolamento condominiale e delle tabelle di ripartizione in millesimi dei valori dei piani o porzioni di piano appartenenti ai singoli condomini (nel senso che l'amministratore è un “organo necessario” nel condominio in cui i partecipanti siano, allora, più di quattro, v., tra le altre, Cass. civ., sez. II, 23 dicembre 1951, n. 2813). A questo punto, sorge spontaneo l'interrogativo: esiste un obbligo, da parte dell'assemblea di un condominio composto da più di otto condomini, di nominare un amministratore, o la nomina costituisce una semplice facoltà? Posta la questione in altri termini: dato il prescritto requisito numerico, un amministratore vi deve pur sempre essere, o l'assemblea è discrezionalmente libera di non nominarne alcuno? In effetti, l'art. 1129 citato non impone un obbligo di amministrare vero e proprio, come non prevede alcun tipo di sanzione qualora ne risulti eluso il disposto; i condomini - quando sono di numero ridotto (ad esempio, dieci) - potrebbero andare perfettamente d'accordo, risolvendo agevolmente i problemi della gestione condominiale man mano che si presentano; a ben vedere, pur in mancanza di un amministratore, l'assemblea potrebbe egualmente essere convocata (ad iniziativa di ciascun condomino ex art. 66, comma 2, disp. att. c.c.) e, in quella sede, essere utilizzata per “conguagliare” i reciproci rapporti di debito-credito che siano sorti da un'amministrazione disgiunta, senza escludere la possibilità di dare mandato ad uno dei partecipanti di interessarsi di un dato problema una volta che lo stesso si presenti. Tuttavia, la legge conferisce all'assemblea dei condomini (e ad essa sola) l'attribuzione di eleggere un amministratore, il quale, una volta investito della carica, esercita funzioni e prerogative nell'interesse di coloro (anche della minoranza) che lo hanno nominato; la nomina assembleare, quindi, permette la scelta più congrua, assumendo un rapporto tra mezzo e fine, in relazione alle circostanze e alle esigenze dell'edificio, e quello dell'assemblea rappresenta un potere/dovere, a carattere funzionale, non delegabile, né abdicabile. In quest'ordine di concetti, qualora un'assemblea formata dalla totalità dei condomini decida di non eleggere l'amministratore - ad esempio, perché non vuole gravarsi della relativa spesa - tale rinuncia, se rinnegata, non dovrebbe causare alcuna conseguenza per il condomino che ha mutato avviso, perché egli non farebbe altro che esercitare legittimamente un proprio diritto potestativo, non disponibile e inderogabile dal regolamento, dalle convenzioni e dall'atto di acquisto, stante anche il richiamo dell'art. 1138 c.c. all'art. 1129 c.c.; qualora, invece, sia la maggioranza di cui all'art. 1136 c.c. a rinunziarvi, la minoranza dissenziente potrebbe comunque sempre rimediare ricorrendo all'autorità giudiziaria, impugnando la delibera per contrarietà alla legge. L'art. 1129, comma 1, c.c., laddove prescrive l'obbligatorietà della nomina dell'amministratore da parte dell'assemblea per i condominii che abbiano più di otto partecipanti, deve considerarsi norma inderogabile alla stregua di quanto sancito dall'art. 1138, ultimo comma, c.c.: una sua derogabilità, infatti, minaccerebbe del tutto la vita del condominio, essendo peraltro una disposizione che attiene alla dinamica dell'amministrazione e della gestione del condominio stesso. Ne consegue l'invalidità di eventuali clausole del regolamento di condominio, anche avente natura contrattuale (cioè approvato dalla totalità dei condomini), dirette a derogare al principio della predetta obbligatorietà (Cass. civ., sez. II, 3 marzo 1961, n. 443; Cass. civ., sez. II, 6 luglio 1957, n. 2666); ciò vale sia per quanto riguarda una disposizione regolamentare che escluda tout court la nomina dell'amministratore, sia per quanto concerne una delibera assembleare che sottragga all'amministratore medesimo tutte le sue funzioni perché ciò equivarrebbe ad una sostanziale revoca. Il presupposto numerico
Mutuando le considerazioni che sono state fatte in tema di regolamento - dove l'immutato art. 1138, comma 1, c.c. ne sancisce l'obbligatorietà “quando in un edificio il numero dei condomini è superiore a dieci” - la formula adoperata dal legislatore nel comma 1 dell'art. 1129 c.c. va intesa nel senso di «quando in un edificio il numero delle proprietà esclusive intestate ai singoli condomini è superiore a otto»: quindi, se due o più appartamenti o locali dello stabile sono di proprietà esclusiva di uno stesso condomino, detti appartamenti o locali, ai fini del computo di cui trattasi, dovrebbero essere conteggiati come una sola unità. Il Legislatore, sul punto, fa riferimento all'elemento soggettivo dei titolari, e non all'elemento oggettivo delle frazioni in cui è diviso il condominio, stante che lo scopo della nomina dell'amministratore è proprio dato dalla necessità di esso, laddove vi sia un gran numero di distinte persone e, dunque, più complessa l'amministrazione (contrasti, veti incrociati, impasse gestionale, e quant'altro); in altri termini, attribuendo decisivo rilievo al numero dei condomini e non alla consistenza della proprietà esclusiva di ciascuno di essi, si è presupposto che, superato un certo limite - nove, secondo l'assunto normativo - non sarebbe stata congrua un'amministrazione congiunta, necessitando invece lo specifico organo unitario (ciò è talvolta discutibile, in quanto vi potrebbe essere, ad esempio, un numero esiguo di condomini in un complesso condominiale molto ampio, necessitante, per ragioni pratiche, di un amministratore. Persone, però, non intese dal punto di vista fisico, ma riguardate sotto il profilo della proprietà esclusiva e del conseguente diritto di voto; pertanto, qualora si tratti di più comproprietari di un appartamento ancora indiviso, gli stessi devono essere conteggiati come una persona; tale soluzione è convalidata anche dall'art. 67 disp. att. c.c., che, ai fini della regolare costituzione dell'assemblea dei condomini, per le delibere di sua competenza, stabilisce che, qualora un'unità immobiliare dell'edificio appartenga in proprietà indivisa a più persone, queste hanno diritto ad un solo rappresentante (che è designato dai comproprietari interessati a norma dell'art. 1106 c.c., come previsto ora dalla l. n. 220/2012). La legge fa ora riferimento alla “unità immobiliare” - prima parlava di “piano o porzione di piano”, sicché, se originariamente un piano apparteneva ad una sola persona e questa lo abbia diviso in più appartamenti in modo che il numero di questi in proprietà separata, entro lo stesso edificio e sommato a quello degli altri, sia superiore ad otto, la nomina dell'amministratore prima soltanto facoltativa, potrebbe diventare sùbito obbligatoria (sembra che nel predetto numero debba computarsi anche l'unico proprietario originario, che vada via via alienando le varie porzioni del fabbricato, riservandosene una parte più o meno cospicua). Relativamente alla prima ipotesi (raggiungimento della soglia minima per la nomina dell'amministratore), è necessario che il trasferimento (per atto tra vivi o mortis causa) sia avvenuto secondo le forme di legge (atto pubblico o scrittura privata) e che l'avente causa si sia fatto parte diligente, comunicando agli altri condomini la sua posizione, ossia il superamento del limite dei quattro proprietari, pena altrimenti il permanere della situazione anteriore; in altri termini, è pur sempre necessaria una certa iniziativa di uno degli acquirenti, la cui presenza, avendo inciso sulla struttura quantitativa del condominio, ha comportato un fatto nuovo, che va pertanto comunicato agli altri partecipanti, i quali possono ignorare l'avvenuta modificazione soggettiva dell'ente e continuare ad amministrare congiuntamente lo stesso. Dunque, è tanto indispensabile la presenza dell'amministratore nella vita condominiale, che, se l'assemblea non vi provvede, può intervenire il giudice; ciò stabilito, va ribadito quando l'art. 1129, comma 1, c.c. riceva applicazione, e cioè in quale preciso momento l'amministratore debba essere nominato; l'obbligo della nomina sorge nell'ipotesi in cui i condomini dell'edificio, intesi come proprietari esclusivi, pro diviso, di una parte (locale, appartamento, piano) dell'edificio medesimo, siano nove o più, e cioè, allorché, in conseguenza di acquisto per atto tra vivi, di divisione o anche di successione mortis causa- come, ad esempio, nel caso in cui l'originario proprietario di più appartamenti lasci, con testamento, ciascuno di essi ad ognuno dei suoi figli - le varie parti dell'edificio, suscettibili di proprietà esclusiva, risultino distribuite in proprietà separate tra nove o più persone, e ciò indipendentemente dalle cause che abbiano potuto determinare tale distribuzione delle proprietà separate (Cass. civ., sez. II, 19 ottobre 1961, n. 2246). Può succedere, poi, che, in uno stabile con più di otto condomini ed in vita da anni, si sia sentita solo dopo tanto tempo l'esigenza di un amministratore, ed un condomino, vedendosi negato l'assenso da parte dell'assemblea, si rivolga alla magistratura, perché la nomina finalmente avvenga, come può succedere che, per le vicende relative alla titolarità delle varie unità immobiliari costituenti l'edificio, il numero dei condomini si riduca a otto o a meno di otto, rendendo la nomina dell'amministratore da obbligatoria a facoltativa (non escludendo addirittura la cessazione del condominio se il tutto si riduce ad un unico proprietario). Il patto di riserva del costruttore
Molto spesso il costruttore inserisce nel regolamento condominiale - al fine limitato di agevolare l'avvio della vita condominiale, e, quindi, di consentire l'immediata funzionalità dei servizi e la gestione delle cose comuni - una clausola in base alla quale si riserva, per un certo periodo - di solito, superiore all'anno, sul presupposto che la vendita delle relative unità immobiliari in cui è diviso lo stabile abbisogna di un certo lasso di tempo - la nomina dell'amministratore, ad esempio, finché rimane proprietario anche di una sola unità immobiliare, ma stesso discorso vale con riferimento al patto che riserva ad un singolo condomino tale potere. Il problema nasce quando, sostituendosi alla proprietà singola ed unitaria del fabbricato il fenomeno della comproprietà e cambiando il numero dei condomini esistenti nell'edificio, le modalità organizzative del condominio divisate dal costruttore debbano cedere il passo al legittimo potere dell'assemblea di gestire la nuova situazione edilizia. In base alle considerazioni di cui sopra, tale clausola, caratterizzata dalla summenzionata funzionalità limitata nel tempo, deve considerarsi nulla, stante appunto il carattere inderogabile del principio contenuto nell'art. 1129, comma 1, prima parte, c.c. sulla necessità della nomina dell'amministratore da parte dell'assemblea quando i condomini sono più di otto, o, più precisamente, è sin dall'inizio priva di effetti se i condomini dell'edificio, intesi come proprietari pro diviso delle singole parti dell'edificio, siano originariamente almeno nove, e, diversamente, diventa inefficace nel momento in cui i condomini raggiungano quel numero (Cass. civ., sez. II, 5 gennaio 1980, n. 71; Cass. civ., sez. II, 19 ottobre 1961, n. 2246). In questa prospettiva, risulta irrilevante il valore delle porzioni dell'immobile venduto (che può anche essere inferiore alla metà del valore dell'edificio), perché - lo si ripete - il condominio deve organizzarsi, e pertanto nominare un amministratore, non appena abbia raggiunto il presupposto numerico contemplato dall'art. 1129 c.c.; ormai, la scelta del rappresentante dell'ente non può che appartenere all'assemblea, anche se va riconosciuto che, soprattutto all'inizio, il costruttore, possedendo una maggiore quota millesimale, è avvantaggiato nella scelta della persona (purché raggiunga anche la maggioranza numerica, oltre che quella di valore dei 500 millesimi). Resta inteso che la riserva di cui sopra deve considerarsi pienamente operativa nei piccoli condominii (ossia con un numero di partecipanti non superiore a otto), nel senso che, avendo in tali situazioni la legge demandato la regolamentazione condominiale all'autonomia delle parti, queste ben possono, mediante l'accettazione del regolamento contenente tale apposita clausola, affidare l'amministrazione al costruttore (o ad un suo delegato). Quindi, l'efficacia della riserva della nomina dell'amministratore è provvisoria, ossia temporalmente limitata ed opera sino a quando subentra la disciplina legale, e cioè fino alla sopravvenuta pluralità di condomini a più di otto (Cass. civ., sez. II, 3 agosto 1966, n. 2155); in tale momento, alla “regolazione predisposta” si sostituisce la normativa inderogabile, e, di conseguenza, l'assemblea si riappropria dei propri diritti e doveri, primo fra tutti quello di nominare l'amministratore, venendo meno la fonte di legittimazione di quello riservato, che non dovrà, a stretto rigore, essere revocato dall'assemblea, essendo sufficiente una mera presa d'atto della cessazione ex lege.
Di solito, la nomina dell'amministratore avviene con delibera dell'assemblea, ma può avvenire, con pari efficacia, anche in modo diverso, come, ad esempio, in forza di un accordo tra i partecipanti ed un contratto tra loro e l'amministratore, soprattutto quando è fissato un corrispettivo per l'espletamento dell'incarico. In effetti, l'art. 1129, comma 1, c.c., prescrivendo che, quando i condomini sono più di otto, l'assemblea nomina un amministratore, prescinde del tutto dal sistema di votazione, cioè dalle condizioni di validità delle delibere di nomina, ed impone solo un obbligo (si parla, al riguardo, di “istituzionalizzazione” della figura dell'amministratore); le predette condizioni - necessarie anche per la revoca, e, secondo l'opinione dominante, anche per la conferma - sono, invece, previste dal successivo art. 1136 c.c. ai commi 2 e 4. Si pone, a questo punto, la questione se il riconoscimento della qualità di amministratore necessiti o meno di un atto formale di investitura.
Al riguardo, i giudici di legittimità (Cass. civ., sez. II, 12 febbraio 1993, n. 1791), sul presupposto che l'art. 1131 c.c. stabilisce che, nei limiti delle attribuzioni contemplate dall'art. 1130 c.c. o dei maggiori poteri conferiti dal regolamento di condominio o dall'assemblea, l'amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condomini, sia contro i terzi, è giunta alla conclusione per cui, poiché la figura giuridica dell'amministratore è quella del mandatario con rappresentanza, anche riguardo all'investitura da parte dell'assemblea, deve tenersi presente che, a norma dell'art. 1392 c.c., ad eccezione delle ipotesi nelle quali siano prescritte determinate forme per il contratto che deve concludersi, la procura che conferisce il potere di rappresentanza può essere verbale ed anche tacita, purché in tal caso gli elementi che inducono ad ammetterne l'esistenza promanino da un comportamento concludente dell'interessato o degli interessati. La decisione di cui sopra - confermata nella sostanza dalla successiva Cass. civ., sez. II, 10 aprile 1996, n. 3296 - suscita delle perplessità, in quanto ammette, in buona sostanza, la possibilità della c.d. nomina tacita dell'amministratore da parte dell'assemblea, o meglio la nomina non risultante dal verbale delle delibere assembleari, ponendosi in contrasto con quell'indirizzo giurisprudenziale secondo cui, sia pure ad probationem, le decisioni dell'assemblea del condominio devono risultare dal verbale, cioè devono essere rivestite della forma scritta (Cass. civ., sez. II, 16 luglio 1980, n. 4615). In altre occasioni, gli stessi giudici di legittimità hanno, al contrario, sostenuto che la nomina di un nuovo amministratore in sostituzione del precedente dimissionario, per spiegare efficacia nei confronti dei terzi, deve avvenire con una delibera dell'assemblea presa con le formalità di cui all'art. 1129 c.c.; infatti, discende dal principio generale della tutela dell'affidamento nei rapporti intersoggettivi che non si possa prescindere dall'emanazione dell'atto formale previsto dalla legge per il conferimento, l'estinzione e la modificazione dei poteri rappresentativi, affinché la sua efficacia possa essere opponibile ai terzi, salvo che non si provi - il che nella specie non è stato nemmeno prospettato - che essi ne fossero a conoscenza (Cass. civ., sez. II, 25 maggio 1994, n. 5083). Peraltro, la validità della nomina tacita dell'amministratore - a prescindere dalle negative implicazioni in tema di impugnazione, in ordine alla quale sono previsti termini brevi che non consentono situazioni di incertezza - sembra attualmente incompatibile con la previsione dell'annotazione della nomina nel nuovo registro previsto dall'art. 1130, n. 7), c.c. Casistica
Scalettaris, Nomina dell'amministratore del condominio e norme non derogabili dal regolamento, in Giur. it., 2014, 284; Figini, Amministratore: la nomina, in Amministr. immobili, 2013, 664; Cimatti, Brevi cenni sulla nomina di un ente collettivo quale amministratore condominiale, in Rass. loc. e cond., 2006, 387; De Tilla, Sulla nomina dell'amministratore del condominio, in Rass. equo canone, 1993, 307; Accordino, Brevi note in materia di nomina e conferma dell'amministratore di condominio, in Arch. loc. e cond., 1986, 166; Salis, Condominio: nomina dell'amministratore e accettazione, in Riv. giur. edil., 1986, I, 544. Potrebbe interessarti |