Il credito risarcitorio in difesa della proprietà immobiliare al vaglio delle Sezioni Unite

Franco Petrolati
17 Febbraio 2022

La terza sezione civile ha rimesso alle Sezioni Unite la questione di massima, ritenuta di particolare importanza, circa la configurabilità di un danno in re ipsa per il proprietario nell'ipotesi di occupazione sine titulo dell'immobile.
Massima

In tema di occupazione senza titolo di un immobile merita di essere rimessa alle Sezioni Unite la questione di massima di particolare importanza se il danno sia configurabile come un danno in re ipsa, insito nella perdita della disponibilità del bene, ovvero richieda la prova - da fornirsi anche per presunzioni - della concreta intenzione del proprietario di mettere a frutto l'immobile.

Il caso

Una società commerciale, avente come oggetto l'acquisto, la ristrutturazione e la vendita di immobili, nel 2002 si aggiudica all'asta pubblica la proprietà di un fabbricato, sostenendo un investimento pari a circa un milione di euro; l'immobile è parzialmente occupato da un terzo fino al 2011. Costui viene, quindi, convenuto in giudizio per il risarcimento del pregiudizio, patrimoniale e non, derivante dalla abusiva occupazione, avuto riguardo, in particolare, alle mancate vendita e ristrutturazione, ai danni arrecati ed ai costi sostenuti per lo scoperto di conto corrente bancario dal 2005 al 2009; all'esito dei due gradi di merito la domanda risarcitoria è respinta dalla corte di appello di Firenze argomentando che l'occupazione senza titolo configura non un danno in re ipsa ma un danno – conseguenza, che non è stato provato dalla proprietaria, non potendosi presumere, in particolare, solo dalla ragione sociale e dalla perizia giurata agli atti.

La questione

La sentenza è impugnata per cassazione censurandosi, tra i motivi, la ritenuta esclusione del danno in re ipsa, oltre che la mancata liquidazione in via equitativa sulla base degli allegati indici presuntivi; la sezione terza della Cassazione rimette il ricorso al Primo Presidente affinché valuti l'opportunità di investire le Sezioni Unite per dirimere la relativa questione di massima di particolare importanza.

Le soluzioni giuridiche

La Cassazione riconosce che, secondo una parte della giurisprudenza di legittimità, il danno derivante al proprietario dall'occupazione abusiva è considerato in re ipsa, in quanto inerente al semplice fatto della perdita di disponibilità dell'immobile ed all'impossibilità di conseguirne le utilità normalmente ricavabili in relazione alla natura fruttifera del bene. Una volta, infatti, soppresse le facoltà di godimento e disponibilità, insite nel diritto di proprietà, la sussistenza del danno è ritenuta, infatti, oggetto di una presunzione iuris tantum, fondata sull'id quod plerumque accidit, superabile solo con la dimostrazione che il proprietario, anche se non fosse stato spogliato, si sarebbe comunque disinteressato dell'immobile e non l'avrebbe in alcun modo utilizzato. In assenza di tale prova, la stima del danno viene, quindi, commisurata al c.d. danno figurativo, vale a dire al valore locativo del cespite occupato.

In particolare Cass. civ., sez. VI-2, ord., 7 gennaio 2021, n. 39 precisa che secondo il più recente orientamento nomofilattico la nozione di danno in re ipsa viene recepita come danno «normale» o «presunto», che, da un lato, accolla all'occupante la prova contraria della ipotetica anomala infruttuosità del bene, dall'altro non esonera comunque il proprietario dalla allegazione dei fatti da accertare, inerenti alla concreta intenzione di mettere a frutto l'immobile.

A tale orientamento si contrappone quello, condiviso nel giudizio in esame dalla corte fiorentina, secondo il quale nel caso di occupazione illegittima di un immobile il danno subito dal proprietario non può ritenersi sussistente in ipsa, essendo piuttosto rilevante ai fini risarcitori solo il danno-conseguenza, che deve essere allegato e provato.

Al riguardo una particolare attenzione è riservata alla ricostruzione operata da Cass. civ., sez. III, sent. 25 maggio 2018 n. 13071, laddove si evidenzia che a partire dalle c.d. sentenze di San Martino in tema di danno alla persona (Cass. civ., sez. un., sent. 11 novembre 2008, n. 26972), la giurisprudenza è costante nel configurare il danno risarcibile solo come conseguenza della lesione anche in fattispecie diverse dall'occupazione senza titolo di un immobile (fermo tecnico del veicolo, inadempienza del promissario acquirente di un immobile, protesto ingiusto, diffamazione, vacanza rovinata, immissioni intollerabili, violazione della privacy).

Si argomenta, altresì, che la coincidenza automatica del danno risarcibile con l'evento dannoso finisce per alterare la funzione del risarcimento del danno nell'ordinamento italiano in quanto, in tal modo, viene a configurarsi un danno punitivo, il quale è, invece, ammissibile, secondo quanto stabilito dalle Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., sent., 5 luglio 2017, n.16601), solo nel caso di espressa previsione legislativa, in applicazione dell'art. 23 Cost.

Inoltre - sempre in Cass. civ., n. 13071/2018 - si sottolinea il rischio che, a fronte del sollievo del danneggiato dall'onere di allegazione del danno, resti compromesso il diritto di controdeduzione e, quindi, di difesa dell'autore dell'illecito. Di qui l'esigenza che il proprietario sia comunque onerato del compito di allegare e dimostrare, almeno, i fatti-base sui quali fondare la prova secondo il meccanismo logico delle presunzioni semplici ai sensi dell'art.2729 c.c.

Significativa è, inoltre, la fattispecie del danno patito dal proprietario in caso di occupazione sine titulo operata dalla P.A. la quale provveda, successivamente, alla acquisizione sanante ex art. 42–bis d.P.R. 327/2001; al riguardo Cass. civ., sez. un., sent., 20 luglio 2021, n. 20691 ha riconosciuto che l'indennizzo, pari al 5% del valore venale dell'immobile utilizzato per scopi di pubblica utilità, presuppone il solo accertamento dell'occupazione materiale del bene, mentre resta salva la facoltà per le parti di dimostrare la sussistenza di un danno, in concreto, in misura minore o maggiore rispetto all'indennizzo forfettizzato ex lege.

In conclusione, quindi, si sollecita sulla configurazione del danno risarcibile il superiore vaglio nomofilattico «in ordine al principio da applicare ed alla distribuzione degli oneri probatori», anche se si riconosce che le riscontrate oscillazioni giurisprudenziali «in più casi, pur partendo da opposti principi non giungono nei fatti ad esiti così diversi».

Osservazioni

In effetti, come da ultimo sembra riconoscere la stessa ordinanza interlocutoria, l'alternativa tra danno in re ipsa e danno-conseguenza, a fronte dell'occupazione senza titolo di un immobile, nella prassi giurisprudenziale finisce per attenere ad un profilo puramente descrittivo del danno risarcibile, in quanto in ogni caso è normalmente inevitabile, nel ragionamento controfattuale richiesto almeno ai fini liquidatori (quali utilità sono state precluse al proprietario?), ricorrere al meccanismo logico delle presunzioni per stabilire l'entità del risarcimento.

Ed allora la questione da dirimere scende dal piedistallo della qualificazione o della struttura del fatto illecito per approdare al terreno della misura effettiva dell'onere della prova a carico del danneggiato.

Al riguardo, essendo leso il diritto di proprietà ex art. 832 c.c., non può esigersi la dimostrazione di concrete e specifiche occasioni perdute di utili collocazioni del bene sul mercato immobiliare (come la mancata vendita o locazione), in quanto tali pregiudizi attengono solo al potere di disporre dell'immobile, mentre è senz'altro meritevole di risarcimento anche l'elisione del potere di mero godimento : di qui il ricorso al c.d. danno-figurativo, parametrato al valore locativo, quale misura compensativa della mancata fruizione del bene.

Certamente in tal modo il proprietario ottiene in sostanza una somma che eventualmente non avrebbe mai inteso trarre dall'immobile, ma si tratta, appunto, non già di un reddito bensì di un risarcimento per equivalente, compensativo del pregiudizio patito ad una delle utilità essenziali della proprietà.

E' noto, poi, che rientra nel diritto di proprietà anche il non uso del bene: su tale eventualità può appunto spendersi l'impegno probatorio dell'occupante abusivo volto al rigetto della domanda risarcitoria.

E' da osservare, tuttavia, che la prova dell'ipotetico non uso dell'immobile può verosimilmente riguardare solo ambiti temporali anteriori al giudizio di rilascio, in quanto è difficile supporre che il proprietario affronti i costi ed i rischi di una lite senza alcuna intenzione di godere effettivamente del bene.

In tal senso la questione sollevata nell'ordinanza in esame merita senz'altro attenzione in quanto attiene, a ben vedere, alla stessa tenuta costituzionale della difesa della proprietà ex art. 24 Cost.: il tempo occorrente per la formazione di un titolo esecutivo giudiziale, suscettibile di reintegrare il proprietario nel possesso effettivo del bene, non è infatti ordinariamente così breve da rendere marginale il risarcimento per equivalente di quanto patito anteriormente alla realizzazione della tutela giudiziale.

Il credito risarcitorio, quindi, pur essendo di prassi invocato quale domanda accessoria rispetto a quella principale di rilascio, assolve in realtà un ruolo essenziale sul piano della effettività della tutela specifica, in quanto è volto a rendere non conveniente il perpetuarsi dell'illecita occupazione nelle more del giudizio.

Di ciò non sempre sembra consapevole la prassi degli operatori nel processo, essendo frequente che la domanda accessoria di risarcimento sia priva di allegazioni specifiche in ordine alla consistenza ed alla preclusa destinazione del bene, così da pregiudicare la rappresentazione dei fatti (la c.d. base illativa) per il ragionamento controfattuale volto alla liquidazione, in via presuntiva, del danno.

Può, infine, essere utile ricordare che l'alternativa tra danno in re ipsa e danno-conseguenza, in tempi meno recenti, fu affrontata al livello nomofilattico anche in relazione al pregiudizio non patrimoniale derivante dalla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo: le Sezioni Unite nel 2004 esclusero la configurabilità di un danno non patrimoniale in re ipsa riconoscendo, tuttavia, che tale danno è «conseguenza normale» della durata irragionevole del processo, sicchè il giudice deve ritenere sussistente il danno non patrimoniale ogniqualvolta non ricorrano, nel caso concreto, circostanze particolari che inducano a negarlo.

Riferimenti

Affermano la sussistenza di un danno in re ipsa, insito nell'occupazione senza titolo dell'immobile, tra le più recenti: Cass. civ., sez. III, sent., 9 agosto 2016, n. 16670; Cass. civ., sez. VI-3, ord.,15 dicembre 2016, n. 25898; Cass. civ., sez. II, ord., 6 agosto 2018, n. 20545; Cass. civ., sez. VI-2, ord., 28 agosto 2018, n. 21239, annotta da PIAIA FEDERICO, Il danno (patrimoniale) in re ipsa... deve essere provato, in Danno e resp., 2019, 401; Cass. civ., sez. II, ord., 22 gennaio 2019, n. 1657; Cass. civ., sez. II, ord., 31 luglio 2019, n. 20708; Cass. civ., sez. II, ord., 9 dicembre 2019, n. 32108; Cass. civ., sez. VI-2, ord., 7 gennaio 2021 n. 39; Cass. civ., sez. VI-2, ord. 28 luglio 2021 n. 21649.

Nel senso, invece, della configurazione del danno risarcibile come danno-conseguenza rispetto all'accertato illecito, tra le più recenti: Cass. civ., sez. III, sent., 25 maggio 2018 n. 13071, annotata da Turchese Gianfelici Clementina Maria, Danno da occupazione abusiva di immobile, in Giur. it., 2019, 2101; Cass. civ., sez. III, ord., 4 dicembre 2018, n. 31233; Cass. civ., sez. III, sent., 24 aprile 2019, n. 11203; Cass. civ., sez. III, ord., 16 marzo 2021 n. 7280; Cass. civ., sez. III, ord., 25 maggio 2021, n. 14268; Cass. civ., sez. III, sent., 29 settembre 2021, n. 26331; Cass. civ., sez. III, sent. 6 ottobre 2021, n. 27126.

In ordine al danno da occupazione precedente all'acquisizione sanante ex art. 42–bis d.P.R. 327/001, Cass. civ., sez. un., sent., 20 luglio 2021, n. 20691 ha ricostruito in termini indennitari il compenso ex lege pari al 5%, facendo salva, tuttavia, la facoltà (e, quindi, l'onere) delle parti di dimostrare che in concreto il danno sia riscontrabile in misura superiore o inferiore. La configurazione del danno non patrimoniale come «conseguenza normale» della durata irragionevole del processo risale, invece, a Cass. civ., sez. un., sent., 13 gennaio 2004 n. 1338 e si è ormai consolidata ( più recentemente, Cass. civ.,, sez. II, sent., 17 ottobre 2019, n. 26497; Cass. civ., sez. II, sent., 15 maggio 2018, n. 11829; Cass. civ., sez. II, ord., 7 maggio 2018, n. 10858).

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