Sì all’ assegno divorzile in funzione assistenziale, compensativa e perequativa

Luisa Ventorino
23 Febbraio 2022

La Cassazione torna a pronunciarsi in tema di assegno divorzile da corrispondere all'ex coniuge.
Massima

In presenza di un evidente squilibrio economico nel momento del divorzio, spetta l'assegno divorzile all'ex moglie che, pur trovandosi all'esito del divorzio in situazione di autosufficienza economica, si trovi rispetto all'altro in condizioni economico -patrimoniali deteriori per aver rinunciato, in funzione della contribuzione ai bisogni della famiglia, ad occasioni in senso lato reddituali, attuali o potenziali ed abbia consentito all'ex marito, iscritto all'Università all'atto del matrimonio, di completare gli studi e di laurearsi, utilizzando il predetto titolo di studio per ottenere un adeguato posto di lavoro, in considerazione della durata del matrimonio e dell'età del richiedente.

Il caso

La Corte d'Appello di Bologna, nel confermare la sentenza di primo grado, adottata dal Tribunale di Modena nel giudizio di cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto tra il primo e la signora B.A.M. il (omissis), da cui erano nati due figli nel 1974 e nel 1976, confermava l'assegno divorzile fissato dal primo giudice a carico del ricorrente nella misura di Euro 250,00 mensili. La Corte Territoriale, tenuto conto della situazione di disequilibrio economico esistente tra i coniugi all'epoca del divorzio e valorizzando la finalità compensativo-perequativa dell'assegno, apprezzava, nella pur contenuta durata del matrimonio, la nascita, in questo arco temporale, dei due figli della coppia e la scelta della donna, non contrastata dal marito e quindi apprezzata dai giudici quale sicuro indice di accordo tra gli ex coniugi, di lasciare l'occupazione lavorativa dell'epoca, per attendere alla cura dei primi. I giudici di appello hanno poi valorizzato la rinuncia della signora B. a raggiungere più alti livelli nel settore lavorativo prescelto (quello tessile e dell'abbigliamento), richiamando, pure, l'età della donna, il tutto in un giudizio di stima sul reimpiego delle sue forze lavorative.

L'ex marito, quindi, proponeva ricorso per cassazione, affidando le censure a tre motivi. Con il primo motivo contestava l'erronea applicazione dell'art. 5 comma 6, l. 898/1970, nella interpretazione fornita dalle SSUU della Corte di Cassazione n. 18287/2018. Sosteneva che giudici di merito non avevano correttamente inteso i criteri assistenziale, compensativo e perequativo dell'assegno pure affermati dalle citate Sezioni Unite, non valorizzando la durata del matrimonio, di appena due anni, dal 1974 al 1976, ed il lungo periodo, pari a quaranta anni, in cui i coniugi avevano vissuto autonomamente nel periodo intercorrente tra la separazione ed il divorzio. Secondo il ricorrente non era stato correttamente inteso il criterio assistenziale che nella specie era del tutto assente, essendo la richiedente (dapprima retribuita e quindi pensionata e, inoltre, titolare di beni ricevuti in eredità) economicamente autonoma, avendo vissuto senza difficoltà per tutto il tempo della separazione. L'apparente sproporzione tra i redditi delle parti non aveva impedito alla signora B. di conservare la propria capacità lavorativa e di godere di un tenore di vita assimilabile a quello avuto in costanza di matrimonio. La disparità dei patrimoni individuata dalla Corte d'appello era dovuta alla diversa valenze delle attività svolte dai coniugi, effetto della differente loro formazione professionale. Inoltre, la ex moglie nel corso del matrimonio aveva spontaneamente interrotto l'attività lavorativa e dopo la separazione la stessa si era "accontentata del mestiere di operaia" non proseguendo negli studi, come invece aveva fatto l'ex marito. Infine, secondo il ricorrente, il fatto che la ex moglie non avesse richiesto alcun contributo per 40 anni - e tale era stata la durata del periodo di separazione tra i coniugi - esprimeva una implicita rinuncia a pretese economiche non più deducibili, tanto più che le sue condizioni economiche erano rimaste inalterate nel tempo.

Con il secondo motivo, il ricorrente deduceva un contrasto tra motivazione e dispositivo non riscontrato dalla Suprema Corte, alla luce dei principi sanciti dalle SS.UU. Il motivo veniva dichiarato inammissibile e comunque infondato. Con il terzo motivo, pure dichiarato inammissibile, il ricorrente deduceva la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in ordine alla statuizione sulle spese.

La Corte di Cassazione rigettava il ricorso.

La questione

Alla luce della funzione non solo assistenziale ma in pari misura anche perequativa e compensativa, nella decisione sull'attribuzione dell'assegno post-coniugale, il giudice deve procedere alla comparazione delle condizioni economico-patrimoniali delle parti e qualora risulti l'inadeguatezza dei mezzi del richiedente, o comunque l'impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive, deve accertare se quella sperequazione sia o meno la conseguenza del contributo fornito dal richiedente medesimo alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei due, con sacrificio delle proprie aspettative professionali e reddituali, in relazione all'età dello stesso e alla durata del matrimonio.

Le soluzioni giuridiche

Per quasi trent'anni la giurisprudenza ha affermato il carattere esclusivamente assistenziale dell'assegno divorzile, individuandone il presupposto nell'inadeguatezza dei mezzi a disposizione del coniuge istante a conservargli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio (Cass. S.U. 29 novembre 1990, nn. 11489, 11490, 11491, 11492).

Con la sentenza n. 11504/2017, il criterio della conservazione del tenore di vita è stato messo in discussione dalla Prima sezione Civile della Corte di Cassazione, che ha introdotto il principio di auto-responsabilità, valorizzando il diverso criterio dell'autosufficienza economica, da individuarsi allorquando il soggetto richiedente disponga di:

1) redditi di qualsiasi specie, compresi quelli di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari,

2) capacità e possibilità effettive di lavoro personale, in relazione ad età, salute, sesso, mercato del lavoro,

3) stabile disponibilità di una casa di abitazione.

La decisione, nota come sentenza “Grilli”, è stata da più parti criticata e spesso (giustamente -ndr) disapplicata dai giudici di merito, nella decisione dei casi concreti.

Nel 2018, poi, sul contrasto giurisprudenziale creatosi, sono intervenute le Sezioni Unite (Cass. civ. S.U., 11 luglio 2018, n. 18287) con l'effetto di imporre un necessario bilanciamento del principio di auto-responsabilità (enunciato nella sentenza del 2017) con quello di solidarietà e giungendo ad affermare che l'assegno divorzile svolge una funzione non solo assistenziale, ma in pari misura anche perequativa e compensativa.

Abbandonato quindi il criterio del tenore di vita ma mantenuta una lettura solidaristica dell'istituto del matrimonio, devono necessariamente assumere rilievo, ai fini che ci interessano, la durata dell'unione e la disparità economica, se essa è conseguenza delle scelte concordate per la ripartizione dei ruoli, e dei sacrifici fatti per la famiglia.

Con la Sentenza 18287/2018, resa a Sezioni Unite, la Corte di Cassazione ha fornito le coordinate ermeneutiche cui il giudice è tenuto ad adeguarsi nella determinazione dei presupposti per il riconoscimento del richiesto assegno di mantenimento.

In particolare, con il richiamato arresto, le Sezioni Unite hanno affermato che “La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch'essa assegnata dal legislatore all'assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi”.

L'applicazione equilibrata dei tre criteri, assistenziale, compensativo e risarcitorio, consente al Giudice di far emergere l'effettiva situazione di squilibrio (o equilibrio) conseguente alle scelte ed all'andamento effettivo della vita familiare, tenuto conto, come detto, delle condizioni economico-patrimoniali degli ex coniugi e delle cause, con particolare riferimento a quelle maturate nel corso del matrimonio, che hanno concorso a determinarle. Fattori di particolare importanza sono i ruoli all'interno della relazione matrimoniale che possono assumere un valore decisivo nella definizione dei singoli profili economico-patrimoniali post matrimoniali specie se frutto di scelte comuni fondate «sull'autodeterminazione e sull'autoresponsabilità di entrambi i coniugi all'inizio e nella continuazione della relazione matrimoniale.

Secondo il suddetto arresto, la funzione dell'assegno divorzile non è più solo quella di assicurare un tenore di vita analogo a quello vissuto in costanza di matrimonio nel caso in cui venga accertata la mancanza dei “mezzi adeguati” del coniuge richiedente ovvero dell' “impossibilità” del medesimo di “procurarseli per ragioni oggettive” bensì anche quella “perequativo-compensativa” che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell'autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il “raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate” (Trib. Prato 16.01.2019).

La pronuncia in commento ha fatto pedissequa applicazione del principio perequativo – compensativo, in una funzione equilibratrice del sacrificio compiuto dall'ex coniuge per i bisogni della famiglia e per consentire all'altro coniuge il conseguimento della laurea, onde poter aspirare ad una collocazione lavorativa adeguata.

Osservazioni

Come detto, il principio di diritto applicato dalla ordinanza in commento è in linea con quello tracciato dalla SS. UU con la pronuncia 18287/2018. La giurisprudenza di legittimità, nel tentativo di dare una interpretazione dei “mezzi adeguati” di cui all'art. 5 l. 898/1970, quanto più fedele al tessuto sociale ed economico attuale, spesso ha, tuttavia, a parere di chi scrive, alimentato l'incertezza sul contenuto e sulle potenzialità applicative dei criteri che la norma impone al giudice in vista dell'accertamento dell'an e della determinazione del quantum della prestazione.

A fronte, infatti, dell'opportuno slancio evolutivo verso il recupero del principio dell'autoresponsabilità fondato sull'indipendenza economica del richiedente, le SS.UU., per ragioni forse di “giustizia sostanziale” o anche “culturale”, hanno di fatto mitigato il tentativo di revirement, accedendo alla piena valorizzazione della finalità compensativo-perequativa dell'assegno, in linea con il principio costituzionale di pari dignità tra i coniugi.

Al giudice del divorzio è demandato, quindi, il compito di valutare, caso per caso, se, pur in ipotesi di autosufficienza economica, propriamente intesa, del coniuge richiedente l'assegno la condizione dello stesso risulti oggettivamente più debole, non quale effetto automatico dello scioglimento del vincolo, bensì per effetto di scelte condivise tra i coniugi durante il matrimonio risultate poi penalizzanti per il coniuge che si assuma destinatario dell'assegno. In ipotesi di disparità economico - reddituale occorre accertare, ai fini della valutazione dei mezzi adeguati e dell'impossibilità di procurarseli, se detta disparità sia dipesa o dipenda da scelte di conduzione familiare condivise che abbiano portato al sacrificio di aspettative reddituali o professionali anche in relazione alla durata del matrimonio, all'effettive potenzialità delle capacità lavorative future parametrate all'età e alla conformazione del mercato del lavoro (Trib. Trieste 11.04.2019).

La decisione della Suprema Corte, n. 40385/2021, pur inserendosi nel solco tracciato dalla pronuncia a SSUU n° 18287/2018, ad avviso di chi scrive, tuttavia, offre interessanti spunti di riflessione in ordine alla ritenuta irrilevanza del periodo di separazione (40 anni) nel corso del quale alcuna rivendicazione economica vi era stata da parte della donna e della irrilevanza della sua autosufficienza economica, in tal modo, rischiando di perpetuare quell'accezione patrimonialistica del legame familiare (matrimonio, così come unione civile) che si intenderebbe superare.

In altre parole, chi scrive non condivide la decisione adottata dalla Suprema Corte perché si pone come un passo indietro rispetto al revirement impresso da precedenti pronunce con riferimento alla fattispecie in esame, secondo cui il beneficio post-divorzile dovrebbe rappresentare esclusivamente una giuridica salvaguardia a carico dell'ex coniuge più abbiente al fine del soddisfacimento delle esigenze da cui dipende il conseguimento della dignità e della libertà economica altrui. E, al fine di non favorire il «rischio di creare rendite di posizione», occorre l'accertamento che l'ex coniuge – a meno che non sia assolutamente incapace a procurarsi mezzi economici – si sia attivato nella ricerca di un lavoro, secondo il «principio di autoresponsabilità» più volte enunciato.

E ciò anche al fine, più volte ribadito da recenti pronunce di legittimità e di merito, di scongiurare eventuali implicazioni deresponsabilizzanti, per l'accipiens, e penalizzanti, per il solvens (Cass. a n. 2653/2021; Tribunale di Napoli n. 6861/19 del 27 settembre 2019; Tribunale Treviso 05 gennaio 2019 – estensore A. Barbazza).

A chiusura del commento, a parere di chi scrive, l'ordinanza, pur ben argomentata ed in linea con i principi espressi dalle SS.UU., effettua una opzione interpretativa non conforme alla evoluzione del costume e alla nuova posizione della donna nell'assetto familiare, nella sua valorizzazione quale soggetto dotato di propria autonomia e responsabilità, che non deve essere considerata soggetto da assistere sempre e comunque.