Inammissibile il referendum sulla responsabilità civile diretta dei magistrati

Redazione scientifica
10 Marzo 2022

La Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile il referendum abrogativo riguardante la l. 117/1988 proposto da alcune Regioni, in quanto volto ad introdurre attraverso l'uso illegittimo della c.d. tecnica del ritaglio una responsabilità civile diretta dei magistrati.

La Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile il referendum abrogativo proposto da alcuni Consigli Regionali, riguardante la l. 117/1988 sulla responsabilità civile dei magistrati.

Il quesito è stato proposto per abrogare alcune espressioni lessicali contenute nella l. 117/1988, al fine di consentire che il magistrato possa essere citato direttamente nel giudizio civile risarcitorio da parte del danneggiato.

Secondo i giudici una prima ragione di inammissibilità del referendum attiene al suo carattere manipolativo e creativo, e non meramente abrogativo.

Il legislatore ha infatti configurato la responsabilità del magistrato come indiretta: il giudice risponde, ma in sede di rivalsa, dopo, cioè, che sia stata proposta azione risarcitoria nei confronti dello Stato e solo all'esito della soccombenza di quest'ultimo.

L'introduzione dell'azione civile diretta nei confronti del giudice volgerebbe così il quesito referendario ad una finalità che gli è preclusa, ossia quella di introdurre una disciplina giuridica nuova, mai voluta dal legislatore, e perciò frutto di una manipolazione creativa.

Altre ragioni di inammissibilità del quesito concernono la sua scarsa chiarezza e ambiguità la sua idoneità a conseguire il fine di dare vita ad un'autonoma azione risarcitoria, direttamente esperibile verso il magistrato.

La l. 117/1988 non prevede infatti un'azione diretta nei confronti del giudice e pertanto la normativa di risulta non è in grado di definire forme, termini e condizioni con il tasso di determinatezza necessario a ritenere che abbia preso forma una nuova azione processuale.

Basti osservare che la normativa sarebbe caratterizzata da un'unica disposizione concernente «competenza e termini» dell'azione risarcitoria, ovvero l'art. 4 e che essa, pertanto, non sarebbe rimodellata in modo da poter regolare, invece, due azioni distinte, quella contro lo stato e quella contro il magistrato.

Va aggiunto che il quesito referendario intende sopprimere l'espressione «contro lo Stato» all'art. 2, comma 1, della l. 117/1988, che definisce le ipotesi di responsabilità civile per fatti commessi nell'esercizio delle funzioni demandate ai magistrati.

Ne deriverebbe, in modo del tutto illogico che il magistrato, in caso di azione diretta, sarebbe responsabile ai sensi dell'art. 2 e, dunque, in un ventaglio di ipotesi più ampio di quello che si sarebbe avuto in caso di azione diretta contro lo Stato e successiva rivalsa di quest'ultimo.

La rivalsa è, infatti, limitata ai soli casi, oltre che di dolo, di negligenza inescusabile del magistrato (art. 7, comma 1, l. 117/1988).

In definitiva, la circostanza che il legislatore abbia disciplinato una sola tipologia di azione diretta (verso lo Stato) frustra la finalità referendaria di estrapolare dal testo normativo una seconda azione avente tale natura (verso il magistrato), e rende così inidoneo il quesito a perseguire il fine di dar vita ad una autonoma azione risarcitoria.

Tratto da: www.ditittoegiustizia.it

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