Da circa un decennio il diritto vivente, nelle sue carsiche evoluzioni, ha scavato reconditi percorsi sotto la superficie apparentemente consolidata dei principi vigenti...
Premessa
*Contributo redatto con la collaborazione del dott. Gaetano Rapacciuolo.
Da circa un decennio il diritto vivente, nelle sue carsiche evoluzioni, ha scavato reconditi percorsi sotto la superficie apparentemente consolidata dei principi vigenti nell'ordinamento giuridico in materia di risarcimento del danno.
Vogliamo in particolar modo esplorare, con questo contributo, le aperture sotterranee create dall'incessante corso della giurisprudenza – principalmente di merito - che, con un incessante lavorio erosivo dei monoliti dogmatici, sta aprendo l'ordinamento verso nuove direzioni. Il fecondo corso che sta seguendo la giurisprudenza, infatti, attraversa i campi del diritto antidiscriminatorio, costeggiando i labili confini sussistenti tra il diritto nazionale e quello comunitario.
Iniziamo dunque il nostro percorso “a ritroso” analizzando tre recenti pronunce di merito intervenute su differenti casi di discriminazione sul lavoro, focalizzando tuttavia la nostra attenzione principalmente sulle tecniche utilizzate per la determinazione del compendio risarcitorio.
La liquidazione del danno non patrimoniale da discriminazione nella sentenza del Tribunale di Napoli Nord, sez. lav., 26 novembre 2021, n. 5192: un criterio di quantificazione innovativo
Il primo caso in esame è quello portato all'attenzione del Tribunale di Napoli Nord (est. Bottino), riguardante una portatrice di handicap grave ai sensi della l. 104/1992, la quale ricorreva al giudice del lavoro nei confronti del Comune di Napoli che aveva negato la richiesta di congedo straordinario per quattro mesi presentata dalla zia, dipendente comunale e unica persona in grado di prestarle assistenza familiare.
La ricorrente, dunque, in proprio e in nome e per conto della parente richiedeva al giudice del lavoro di accertare la discriminazione diretta per handicap e disabilità ai propri danni e a danno della zia, nonché di annullare il provvedimento di diniego del Comune, conseguentemente condannandolo al risarcimento del danno da discriminazione patito in ragione della suddette condotte discriminatorie -nella misura non inferiore a 20.000,00 euro - insistendo altresì per la pubblicazione della sentenza su un quotidiano o un giornale a tiratura nazionale, ai sensi dell'art. 28 comma 7 d.lgs. 150/2011.
Il Giudice partenopeo, dopo aver emesso un'ordinanza cautelare endoprocessuale di accertamento del diritto alla fruizione del congedo straordinario da parte della zia della ricorrente, accertava nella successiva sentenza la sussistenza della discriminazione diretta, condannando conseguentemente il Comune di Napoli al risarcimento dei danni in favore della ricorrente quantificati in 12.000,00 euro (1), senza tuttavia disporre la richiesta pubblicazione della sentenza.
In tema di accertamento del danno, la sentenza recepisce l'orientamento giurisprudenziale consolidato che distingue tra evento lesivo (danno-evento) causalmente connesso alla condotta produttiva dello “strappo” (2) alla situazione giuridica soggettiva tutelata dall'ordinamento (ovverosia il “danno ingiusto” previsto dall'art. 2043 c.c.) (3) e danno-conseguenza, vale a dire le eventuali conseguenze pregiudizievoli di ordine patrimoniale o non patrimoniale che possono (ma non devono necessariamente) derivare dal fatto lesivo (4). In linea di principio, pertanto, l'accertamento in concreto della fattispecie illecita discriminatoria comporterebbe il solo rilievo della sussistenza del danno-evento, quindi dell'evento lesivo del diritto soggettivo assoluto a non essere discriminato, ma non del danno-conseguenza, che necessiterebbe invece di rigorosa prova da parte dell'asserito danneggiato.
Nonostante la corretta impostazione teorica della pronuncia, che afferma l'eventualità - senza alcun automatismo - delle conseguenze dannose patrimoniali o non patrimoniali dall'evento lesivo del diritto a non essere discriminati, tuttavia in sede di ricognizione dei danni non patrimoniali il giudicante opera un involontario “salto logico”, passando direttamente all'accertamento del danno in re ipsa: nessuna considerazione infatti, nemmeno indiziaria, è data reperire nel corpo della sentenza in ordine alle eventuali allegazioni sui danni effettivamente subiti dalla parte istante.
Questo passaggio è evidente nella parte in cui il Giudice, nel richiamare la normativa comunitaria (ed in particolare l'art. 17 della direttiva 2000/78 UE), esplicita l'esistenza nel danno da discriminazione di una “componente sanzionatoria di dissuasività intesa ad evitare la perpetrazionedella condotta discriminante”.
È infatti proprio tale componente che, una volta accertata la condotta discriminatoria, conduce il giudicante a liquidare automaticamente (in re ipsa, appunto) il danno con lo scopo di evitare che il soggetto discriminante possa reiterare condotte pregiudizievoli della parità di trattamento, anche indipendentemente dall'esigenza di ripristinare o meno un concreto pregiudizio.
Ne deriva, secondo il Tribunale di Napoli, l'esigenza di commisurare il risarcimento a parametri differenti dall'effettiva lesione patrimoniale o non patrimoniale subita, avendo presente invece un'ottica ultracompensativa; in particolare, in assenza di criteri giurisprudenziali consolidati o specificamente codificati ex lege, si è ritenuto nella pronuncia in esame di applicare in via analogica i criteri di quantificazione della sanzione amministrativa previsti dall'art. 11 l. 689/1981, relativi alla “gravità della violazione, all'opera svolta dall'agente per l'eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche”.
Questo in considerazione del fatto che il risarcimento del danno da discriminazione deve essere commisurato proporzionalmente anche “alla personalità dell'agente, resosi autore della condotta discriminatoria (ad es., se la sanzione viene commisurata a 10.000,00 euro ed il soggetto discriminante ha un reddito annuale di 1.000.000,00 di euro, la misura della sanzione non sarà, del tutto ovviamente, connaturata da alcuna capacità dissuasiva, perché non risulta essere proporzionata; diversamente, dal caso in cui il soggetto discriminante abbia un reddito annuo di 100.000 euro)” (Trib. Napoli, sez. lav., n. 5192/2021, cit.).
Emerge quindi chiaramente, nella sentenza in oggetto, il peso della finalità sanzionatoria che non solo ispira il giudicante nella scelta del materiale normativo analogicamente applicato (appunto la disposizione relativa alla determinazione delle sanzioni amministrative), ma che conduce anche a sovrapporre la funzione deterrente-dissuasiva del risarcimento e quella sanzionatorio-punitiva, in realtà – come vedremo nel seguito - ontologicamente distinte.
Il decreto del Tribunale di Bologna, sezione lavoro, 31 dicembre 2021: danno da discriminazione e danno comunitario
Una seconda pronuncia, questa volta emessa all'esito di un giudizio exart. 37 d.lgs. 198/2006 dalla sezione lavoro del Tribunale di Bologna (est. Zompì), riguarda il caso di una discriminazione indiretta di genere relativa all'orario lavorativo imposto alle lavoratrici madri con figli minori, impugnata dalla Consigliera per la Parità della Regione Emilia-Romagna.
All'esito del processo il giudice del lavoro, accertata la discriminatorietà della condotta datoriale e disposto un piano per la rimozione degli effetti delle condotte discriminatorie, riconosceva il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale a favore dell'Ufficio della Consigliera per la parità.
Anche in questo caso, ciò che interessa ai fini del presente contributo è la parte della motivazione inerente i criteri adottati per il risarcimento del danno da discriminazione. Viene in risalto, in particolare, l'operazione ermeneutica di interpretazione comunitariamente conforme dell'art. 37 comma 4 d.lgs. 198/2006, norma che nel suo tenore testuale fa espressamente riferimento alla risarcibilità del solo danno-conseguenza eventualmente prodottosi (“oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale, nei limiti della prova fornita”).
Secondo il giudice incaricato, in particolare, la disciplina comunitaria di cui la norma nazionale è l'attuazione (ovverosia l'art. 18 della direttiva 2006/54/UE), stabilisce che la tutela rimediale risarcitoria, perché sia effettiva, debba essere non solo proporzionata al danno subito ma anche dissuasiva. In ordine alla finalità dissuasiva e latamente sanzionatoria del risarcimento, la pronuncia in esame cita sia la giurisprudenza di merito (nello specifico Tribunale Firenze, sez. lav., 22 ottobre 2019, est. Consani) sia la nota sentenza delle Sezioni Unite (Cass., sez. un., 5 luglio 2017, n. 16601), la quale ha affermato la natura polifunzionale dello strumento risarcitorio, “che si proietta verso più aree, tra cui sicuramente principali sono quella preventiva (o deterrente o dissuasiva) e quella sanzionatorio-punitiva”.
Del resto, osserva il giudice in motivazione, ove nel diritto interno vi siano deficit di tutela rispetto ai principi dell'Unione europea in tema di rimedi risarcitori (come nel caso di specie), ben si può fare riferimento alla nozione di “danno comunitario” introdotta dalle Sezioni Unite (Cass., sez. un., 15 marzo 2016, n. 5072) in materia di risarcimento del danno da abuso dei contratti a termine nel pubblico impiego, che ha colmato il gap predisponendo in via ermeneutica un sistema di liquidazione forfettaria, definito come “danno presunto con valenza sanzionatoria e qualificabile come danno comunitario (5).
Ne deriva conclusivamente, secondo il Tribunale di Bologna, la necessità da parte del giudice nazionale di effettuare un'interpretazione comunitariamente orientata dell'art. 37 comma 4 d.lgs. 198/2006, alla luce della funzione “dissuasiva e latamente sanzionatoria” del risarcimento in materia, considerato anche l'interesse iure proprio, pubblico e funzionale alla tutela del bene collettivo - assunto dall'ordinamento come valore - della parità di genere. In concreto, il risultato di questo articolato percorso motivazionale è stato il riconoscimento all'ufficio della Consigliera per la parità del risarcimento del danno non patrimoniale pari a 5.000,00 euro.
Anche in questo caso, come nella precedente pronuncia, la funzione dissuasiva e quella sanzionatorio-punitiva tendono ad essere sovrapposte nel percorso logico-argomentativo.
La dissuasività del risarcimento del danno da discriminazione nelle procedure di selezione e assunzione: il decreto del Tribunale di Roma, sezione lavoro, 23 marzo 2022
Nella terza sentenza oggetto di analisi – pronunciata dalla sezione lavoro del Tribunale di Roma (est. Cottatellucci) - due assistenti di volo convenivano in giudizio una nota compagnia aerea per la loro mancata selezione ed assunzione, evidenziando che alla data della richiesta di adesione alla nuova società si trovavano in stato di gravidanza, e sottolineando come tutte le lavoratrici che si trovavano in gravidanza o in astensione obbligatoria per maternità non erano state né selezionate né assunte.
La pronuncia accerta la discriminatorietà della condotta mantenuta dalla società resistente, tuttavia senza disporre l'assunzione delle lavoratrici, ritenendo il potere di costituzione coattiva del rapporto di lavoro esorbitante dai propri poteri e confliggente con i principi espressi dall'art. 41 Cost. Al contrario, il giudice del lavoro ritiene utilizzabile nel caso di specie l'invocato rimedio risarcitorio, che viene riconosciuto in ragione della perdita di chance derivata dalla condotta illegittima della società, che non ha nemmeno preso in considerazione la domanda di assunzione delle lavoratrici. Perdita di chance che viene quantificata nella misura dell'importo della retribuzione mensile per 15 mensilità, comprensivo del periodo di astensione dal lavoro antecedente al parto e di sette mesi successivi alla nascita del figlio (per un totale di 22.206,90 euro).
Nella breve parte di motivazione riservata al risarcimento del danno da condotta discriminatoria, la sentenza sottolinea come la condanna al pagamento di una somma di denaro non valga solo a ristorare le vittime del danno subito per la perdita di chance ma, soprattutto, esprima “anche una valenza dissuasiva” poiché è finalizzata ad impedire il reiterarsi di tale comportamento, attraverso l'eliminazione del “vantaggio che la società resistente ha inteso assicurarsi evitando l'assunzione di assistenti di volo in gravidanza, per la quali la presenza sul luogo di lavoro sarebbe stata sospesa per la durata del tempo a cui la condanna viene commisurata”.
Sebbene legata al solo profilo risarcitorio, la pronuncia in esame si differenzia dalle precedenti per il mancato riferimento al profilo sanzionatorio-punitivo e per l'accento posto, invece, sulla funzione eminentemente dissuasiva del rimedio pecuniario, che si concretizza in una misura idonea ad eliminare il vantaggio economico altrimenti conseguito dal permanere della condotta discriminatoria.
Risarcimento del danno da discriminazione e giurisprudenza di merito: un itinerario decennale
Se volgiamo lo sguardo ai principi consolidati in materia risarcitoria, possiamo invece notare come l'arresto giurisprudenziale dettato dalle sezioni unite (Cass., sez.un., 11 novembre 2008, nn. 26972-26975) abbia da tempo respinto “l'affermazione che nel caso di lesione di valori della persona il danno sarebbe in re ipsa, perché la tesi snatura la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell'effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo”.
In questo alveo, dunque, si è incanalata la giurisprudenza degli anni successivi sostenendo che anche il danno non patrimoniale da lesione di diritti fondamentali, quale tipico danno-conseguenza, non coincide con la lesione dell'interesse leso (ovverosia non è in re ipsa) e, pertanto, deve essere allegato e provato da chi chiede il relativo risarcimento, pur essendo consentito il ricorso a valutazioni prognostiche e a presunzioni sulla base di elementi obiettivi che è preciso onere del danneggiato fornire (ex plurimis, Cass., sez. I, ord. 16 aprile 2018, n. 9385; Cass., sez. III, ord. 18 gennaio 2018, n. 907; Cass., sez. I, 25 gennaio 2017, n. 1931; Cass. sez. III, 26 ottobre 2017, n. 25420; Cass. sez. III, 13 ottobre 2016, n. 20643).
Tuttavia l'attenta ricognizione della giurisprudenza di merito dell'ultimo decennio, sviluppatasi in particolar modo nell'ambito della recente legislazione antidiscriminatoria di derivazione comunitaria (nel cui solco si collocano le tre pronunce appena esaminate), evidenzia come l'attività “maieutica di formazione del diritto vivente” (6) stia calcando nuovi sentieri e predisponendo inediti strumenti di tutela.
Si fa riferimento in particolare a quell'orientamento giurisprudenziale, inizialmente di merito e recentemente approdato in Corte di cassazione, che ha aperto di fatto al risarcimento in re ipsa dei danni non patrimoniali da discriminazione e da molestie (7) attraverso il riconoscimento della funzione deterrente-dissuasiva (in diversi casi sovrapposta a quella sanzionatorio-punitiva), sul solco dell'interpretazione elaborata dalla Corte di Giustizia con riguardo alle corrispondenti direttive comunitarie, di cui la normativa antidiscriminatoria è l'attuazione nell'ordinamento nazionale.
Ne deriva che “una volta accertata la condotta discriminatoria, l'applicazione del rimedio perequativo è necessitata -perlomeno in forma di risarcimento del danno - affinché possa trovare piena effettività la funzione del diritto antidiscriminatorio sia in termini di eliminazione della diseguaglianza o dello sfavore subiti sia in termini dissuasivi e sanzionatori” (Corte d'appello Milano, sez. lav., 1° settembre 2021, n. 1067): siamo quindi dinanzi alla perentoria affermazione dell'automatica operatività del rimedio risarcitorio a fronte della realizzazione della fattispecie discriminatoria o molesta; il che vale a dire, come abbiamo visto, che il risarcimento –almeno in questa materia- sussiste in re ipsa.
Possiamo annoverare tra le numerose pronunce di questo ormai consolidato orientamento di merito:
- Tribunale Firenze, sez. lav., 22 ottobre 2019, est. Consani, caso di discriminazione collettiva di genere in materia di orario di lavoro, in cui si parla di funzione del risarcimento dissuasiva e latamente sanzionatoria (risarcimento 2.000,00 euro a titolo di danno non patrimoniale) (8);
- Tribunale Ferrara, sez. lav., 31 marzo 2021, est. Bighetti, caso di discriminazione collettiva di genere inerente il regolamento di un consorzio ove il giudice commisura il risarcimento del danno in una “prospettiva dissuasiva” alla potenzialità lesiva delle pari opportunità uomo-donna del regolamento e alla durissima reazione della cooperativa rispetto alle azioni svolte dalle socie per il ripristino della parità (risarcimento 20.000,00 euro a titolo di danno non patrimoniale);
- Tribunale Bologna, sez. lav., 31 dicembre 2020, est. Zompì, fattispecie di discriminazione collettiva relativa alle modalità di accesso dei cosiddetti riders alla piattaforma digitale per la prenotazione delle sessioni di lavoro, in cui si menziona espressamente il fatto che il “risarcimento deve determinarsi in conformità ai canoni di adeguatezza, effettività, proporzionalità, dissuasività (Cass., sez. L sent. n. 27481/2014; Cass. Sez L sent. n. 13655/2015), quale danno presunto e con valenza sanzionatoria (Cass., sez. un., n. 5072/2016)” (risarcimento 50.000,00 euro quale danno non patrimoniale);
- Tribunale Bergamo, sez. lav., 30 marzo 2018, est. Bertoncini, discriminazione collettiva accertata in ordine ad una clausola dei contratti individuali di lavoro limitativa della libertà di affiliazione e di esercizio dei diritti sindacali, in cui si fa espressamente riferimento alla categoria del danno punitivo nell'ambito della violazione delle norme antidiscriminatorie (risarcimento 50.000,00 euro a titolo di danno non patrimoniale) (9);
- Tribunale Firenze, sez. lav., 20 aprile 2016, est. Papait, caso di molestie sessuali nei confronti di una lavoratrice, ove viene riconosciuto il risarcimento del danno a favore della vittima in ragione della funzione dissuasiva e sanzionatoria del rimedio derivante dalla fonte sovranazionale, commisurando la somma pecuniaria all'intensità del disagio e della sofferenza della lavoratrice, alla particolare odiosità della condotta, alla sua reiterazione e alla sua diffusività all'interno dell'ambiente lavorativo (risarcimento 20.000,00 euro quale danno non patrimoniale);
- Tribunale Ascoli Piceno, sez. lav., 25 marzo 2016, n. 22, caso di discriminazione individuale per motivi di cittadinanza, in cui si afferma che il risarcimento del danno all'insegnante discriminata “dovrà essere proporzionale al danno subito ed avere anche una natura dissuasiva dato che una sanzione meramente simbolica non può essere compatibile con un'attuazione corretta ed efficace delle direttive stesse”, utilizzando quale parametro per la quantificazione del danno patrimoniale le retribuzioni attribuite all'insegnante che, in forza della posizione attribuita in graduatoria, ha potuto beneficiare di una nomina che sarebbe invece spettata alla ricorrente discriminata (risarcimento complessivo 7.000,00 euro, di cui 2.000,00 euro per danno non patrimoniale e 5.000,00 euro per il danno patrimoniale);
- Corte d'appello di Trento, sez. lav., 23 febbraio 2016,discriminazione individuale e collettiva inerente l'orientamento sessuale di un'insegnante, lesa dalle condotte e dalle pubbliche dichiarazioni discriminatorie della Preside di un Istituto Cattolico in cui la stessa svolgeva le proprie prestazioni lavorative, danno liquidato a favore della lavoratrice considerando la gravità della discriminazione e del discredito connesso alle dichiarazioni diffamatorie (risarcimento 30.000,00 euro quale danno non patrimoniale) e a favore delle associazioni intervenute tenendo conto che “il danno deve essere liquidato…in misura proporzionata alla gravità della discriminazione e in misura tale da rendere la sanzione effettiva e dissuasiva” (risarcimento 10.000,00 euro per ciascuna associazioni a titolo di danno non patrimoniale);
- Tribunale Firenze, sez. lav., 9 novembre 2015, est. Santoni Rugiu, caso di molestie sessuali ai danni di una lavoratrice in cui il compendio risarcitorio a carico del molestatore viene determinato considerando la funzione dissuasiva e sanzionatoria dello strumento riparatorio definito dalla fonte sovranazionale (risarcimento 20.000,00 euro a titolo di danno non patrimoniale);
- Tribunale Bergamo, sez. lav., 8 agosto 2014, est. Bertoncini (confermata da Corte d'appello di Brescia, sez. lav., n. 529/2014), discriminazione collettiva inerente le dichiarazioni pubbliche di un noto avvocato che aveva affermato di selezionare i propri collaboratori in base all'orientamento sessuale, ove il risarcimento è stato determinato in ragione della necessaria finalità dissuasiva derivante dal diritto eurounitario, considerando “l'ampia diffusione mediatica che le dichiarazioni hanno avuto, la ferma reiterazione delle affermazioni, il contenuto, la forza offensiva e mortificante delle stesse, la notorietà del convenuto ed il fatto, infine, che quest'ultimo non abbia inteso fare ammenda”, (risarcimento 10.000,00 euro a titolo di danno non patrimoniale);
- Tribunale Pistoia, sez. lav., 12 luglio 2012, est. Tarquini, caso di molestie sessuali ai danni di due lavoratrici, in cui il giudice del lavoro ha riconosciuto il risarcimento del danno non patrimoniale “in una misura idonea a soddisfare la funzione non solo ripristinatoria, ma anche dissuasiva del rimedio” apprestato dall'art. 18 della direttiva 2006/54/CE, considerando in concreto il primario rilievo del bene leso (la loro dignità personale), l'intensità del disagio e della sofferenza derivata dalle condotte moleste e, quanto alla posizione della Consigliera della Parità, anche la diffusività delle condotte, praticate perfino ad altre colleghe delle ricorrenti (risarcimento rispettivamente di 25.000,00 e 40.000,00 euro a favore delle vittime a titolo di danno non patrimoniale da discriminazione exart. 26 comma 2 d.lgs. 198/2006; euro 25.000,00 a favore della Consigliera della Parità, a titolo di danno non patrimoniale da discriminazione exart. 26 comma 2 d.lgs. 198/2006)
Contrariamente, invece, un altro filone giurisprudenziale di merito –peraltro minoritario- non menziona o esclude espressamente le finalità dissuasive e sanzionatorie nell'accertamento e nella liquidazione del danno da discriminazione: Tribunale Milano, sez. lav., 24 gennaio 2020, est. Moglia (risarcimento 8.400,00 euro); Tribunale Bologna, sez. lav., 18 luglio 2011, est. Benassi(risarcimento 22.500,00 euro); Tribunale Firenze, 23 gennaio 2014, n. 2679 (nessun risarcimento); Tribunale Roma, sez. lav. 21 giugno 2012, est. Baroncini (risarcimento 57.000,00 euro); Corte d'appello di Roma, sez. lav., 19 ottobre 2012, est. Orrù (nessun risarcimento); Corte d'appello Bari, sez. lav., 14 novembre 2019, n. 1863 (nessun risarcimento), secondo cui “altro è la risarcibilità del danno morale in astratto e per categorie, altro è la spettanza in concreto di un risarcimento, non potendosi ritenere che il ristoro si immedesimi con la lesione del diritto, sino a configurare un vero e proprio danno punitivo”.
A metà strada tra i due orientamenti, invece, pare porsi la nota sentenza del Tribunale di Como, sez. lav., 11 giugno 2018, n. 95, est. Ortore,che nel liquidare il danno non patrimoniale per violazione dell'art. 26 comma 2 d.lgs. 198/2006 (molestie sessuali) nella ingente misura di 105.267,78 euro, ha definito l'importo liquidato “una forma di risarcimento, a titolo compensativo, che appare conforme al principio di effettività previsto dall'art. 18 della direttiva 2006/54/Ce”, negando la possibilità di riconoscere un'ulteriore somma a titolo di danno punitivo, in mancanza di un'espressa norma a riguardo, come previsto dalla Cassazione, sezioni unite, 16601/2017. L'importo erogato, è il caso di sottolinearlo, è tuttavia la risultante dell'integrale ristoro dell'ingente danno biologico accertato sul piano medico-legale (76.281,00 euro) e di una personalizzazione massima con sfumature latamente “dissuasive” riconosciuta considerando l'odiosa lesività della condotta, la durata e la sua sussumibilità nella fattispecie dell'art. 590 c.p. (28.986,78 euro).
Da ultimo, va registrata nella giurisprudenza di merito milanese una diversità di posizioni in materia, ben evidente nel caso di una dipendente pubblica che si era vista negare la richiesta di congedo parentale per accudire il proprio figlio minore, collocato nell'ambito del nucleo familiare costituito da una coppia omosessuale unita civilmente.
Se in primo grado il Tribunale, pur riconoscendo il diritto al congedo parentale exart. 32 comma 1 lett. b) d.lgs. 165/2001, aveva respinto la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale per difetto di idonee deduzioni in ordine al lamentato pregiudizio (Trib. Milano, sez. lav., ordinanza 17 marzo 2020, n. 28663, est. Atanasio), in sede di appello invece la pronuncia veniva parzialmente riformata con riferimento proprio al risarcimento del danno da discriminazione (Corte d'appello Milano, sez. lav., 17 marzo 2021, n. 453, Pres. Vignati, rel. Pattumelli).
Richiamando un consolidato orientamento della stessa Corte d'appello milanese (in particolare la n. 2671/2015 e la pronuncia del 4 maggio 2016, r.g. 1239/14), i giudici di secondo grado sulla base del rilievo che la condotta discriminatoria è lesiva dei fondamentali diritti della persona, affermano in modo perentorio che “spetta sicuramente il risarcimento del danno non patrimoniale connesso alla lesione dell'interesse a non subire discriminazioni […] che affonda le radici morali e culturali, prima che giuridiche, nelle norme fondamentali (art. 2 e 3) della nostra Costituzione”.
La lesione del diritto fondamentale è individuata in particolare dalla Corte nella “lesione di un diritto, legalmente tutelato, alla parità di trattamento, da ritenersi significativa, attesa la violazione di un diritto primario che incide in modo rilevante sull'identità personale e sui modi di esplicazione di tale personalità”.
Questa condivisibile operazione ermeneutica – che ha condotto al riconoscimento di un risarcimento di 5.000 euro a titolo di danno non patrimoniale – viene peraltro fondata sulla natura polifunzionale della responsabilità risarcitoria, ed in particolare sulla duplice funzione preventivo-dissuasiva e sanzionatorio-punitiva, approdata di recente al vaglio della giurisprudenza di legittimità, che sarà proprio il tema del prossimo paragrafo.
Il recente approdo in Corte di cassazione del risarcimento del danno da discriminazione
Si è accennato in precedenza al fatto che la Corte di giustizia europea ha più volte affermato (10) il principio di diritto secondo cui i rimedi giurisdizionali risarcitori in materia di repressione delle discriminazioni devono essere effettivi, efficaci ed “avere per il datore un effetto dissuasivo reale” (CGUE, 10 aprile 1984, causa 14/83, Von Colson, paragrafo 23), non potendosi limitare “ad un indennizzo puramente simbolico” (CGUE, 10 aprile 1984, causa 14/83, Von Colson, paragrafo 24).
Il che non vuol dire, per ciò stesso, ammettere nell'ordinamento comunitario i “danni punitivi”, che hanno invece una funzione diversa da quella deterrente-dissuasiva e sono espressamente esclusi sia dalla Raccomandazione della Commissione UE dell'11 giugno 2013 relativa ai meccanismi comuni di ricorso collettivo (ove si prescrive che “dovrebbero essere vietati i risarcimenti detti punitivi che hanno come conseguenza un risarcimento eccessivo a favore della parte ricorrente”) sia dalla pronuncia della Corte di giustizia Camacho (CGUE, 17 dicembre 2015, causa 407/14) (11).
In tale contesto giurisprudenziale si colloca, dunque, la pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, 21 luglio 2021, n. 20819 che, intervenuta nella vicenda affrontata dalla già citata pronuncia del Tribunale Bergamo (sez. lav., 30 marzo 2018, est. Bertoncini), nel confermare l'impianto dei precedenti gradi di giudizio ha tuttavia operato una correzione del disposto motivazionale, considerato erroneo nella parte in cui ha ricondotto la risarcibilità del danno da discriminazione alla categoria dei danni punitivi.
In particolare, la sentenza delle sezioni unite riconduce al referente eurounitario (ovverosia all'art. 17 dir. 2000/78/Ue) la disposizione di diritto interno che conferma la risarcibilità del danno non patrimoniale in materia di condotte discriminatorie (l'art. 28 comma 5 d.lgs. 150/2011), ribadendo la natura eminentemente deterrente-dissuasiva dei rimedi finalizzati a garantire l'effettività della tutela in conformità al principio fondamentale del diritto comunitario (art. 47 CDFUE), ed arrivando a concludere che “il risarcimento del danno non patrimoniale che viene qui in rilievo si caratterizza per una connotazione dissuasiva, che esula dai cd danni punitivi”.
Nella stessa direzione si muovono due altre pronunce della Corte di cassazione, sez. lav., n. 31071 del 2 novembre 2021 e n. 28646 del 15 dicembre 2020 che, nel confermare le rispettive pronunce di condanna in appello al risarcimento dei danni da discriminazione (si tratta delle già esaminate sentenze Corte d'appello Trento, sez. lav., 23 febbraio 2016 e Corte d'appello Brescia, sez. lav., n. 529/2014), ribadiscono la natura ontologicamente preventivo-dissuasiva del rimedio risarcitorio in conformità alla normativa europea, riconoscendo legittimità alla liquidazione ultra-compensativa del danno sulla base dei parametri della “gravità della discriminazione e del discredito connesso alle dichiarazioni diffamatorie” (Cass., sez. lav., 2 novembre 2021 n. 31071) nonché del prestigio, della pubblica notorietà, della risonanza mediatica e dell'atteggiamento soggettivo del discriminante, che non aveva mai smentito le proprie dichiarazioni omofobiche (Cass., sez. lav., 15 dicembre 2020, n. 28646).
Si tratta, per parafrasare le considerazioni svolte in analoga materia dalle Sezioni Unite (Cass., sez. un., 15 marzo 2016, n. 5072, par. 13), di un'opera di integrazione in via interpretativa, orientata dalla conformità comunitaria, che vale a dare maggiore consistenza ed effettività al danno risarcibile.
La “polifunzionalità” del sistema di responsabilità civile, sempre più frequentemente delineata dalla giurisprudenza di legittimità nella tripartizione tra funzione riparatorio-compensativa, deterrente-dissuasiva e sanzionatorio-punitiva (ex multis Cass., sez. un., 5 luglio 2017, n. 16601; Cass., sez. lav., 2 novembre 2021, n. 31071, par. 10; Cass., sez. lav., 15 dicembre 2020, n. 28646, par. 7.6) (12), ha quale suo correlato strutturale il “polimorfismo” del danno risarcibile. Se alla funzione compensativa corrisponde la risarcibilità dei soli danni diretta ed immediata conseguenza dell'evento lesivo (in quanto provati dal danneggiante), al contrario la funzione preventivo-dissuasiva e quella punitivo-sanzionatoria richiamano un “anticipo” della tutela risarcitoria, che scatta “automaticamente” alla mera lesione della posizione giuridica soggettiva tutelata dalla norma violata (il cosiddetto danno-evento): in questo caso, pertanto, il danno è presunto, sussistendo in re ipsa nell'accertata condotta lesiva. Ecco dunque acquisire piena attuazione il principio di effettività, che ha proprio la “funzione di anticipare la soglia della tutela apprestata fino al punto in cui non vi siano vittime della discriminazione reali ma solo potenziali” (Cass., sez. un., n. 16601/2017, cit.).
“Danni punitivi” e riserva di legge
Facciamo ora il punto di questa breve ricognizione giurisprudenziale.
Abbiamo visto come la giurisprudenza di merito, nel riconoscere il risarcimento del danno da discriminazione, non rifugga da alcune ambiguità terminologiche: in effetti, nonostante in molti casi i giudici applichino il rimedio risarcitorio avendo ben presente la finalità e la funzione preventivo-dissuasiva, tuttavia spesso fanno riferimento anche alla natura “sanzionatoria” del rimedio applicato (cfr., ex multis, Tribunale Napoli, sez. lav., 26 novembre 2021, n. 5192, cit.; Corte d'appello Milano, sez. lav., 1° settembre 2021, n. 1067, cit.; Tribunale Bergamo, sez. lav., 30 marzo 2018, est. Bertoncini, cit.).
Abbiamo altresì esaminato sia la giurisprudenza comunitaria sia quella di legittimità che hanno opportunamente chiarito come nell'ambito delle discriminazioni, se da un lato è generalmente ammesso il risarcimento con funzione dissuasiva per via dell'interpretazione comunitariamente conforme dettata dalle direttive recepite dalla legislazione antidiscriminatoria, al contrario la finalità punitiva-sanzionatoria (di cui il cosiddetto “danno punitivo” è manifestazione) è espressamente consentita solo nell'ipotesi della ritorsione prevista dall'art. 28 comma 6 d.lgs. 150/2011 (cfr. Cass. sez. un., 5 luglio 2017, n. 16601, cit.; conf., Cass., sez.I. ord., 15 dicembre 2020, n. 28646, par. 7.6, cit.).
Al di fuori dei casi di rappresaglia discriminatoria o molesta, pertanto, non vi è oggi nessuno spazio per articolare nell'ordinamento giuridico una risposta sanzionatoria e punitiva –almeno dal punto di vista della responsabilità civile- tenuto conto che “ogni imposizione di prestazione personale esige una intermediazione legislativa, in forza del principio legislativo di cui all'articolo 23 Cost. (correlato agli artt. 24 e 25), che pone una riserva di legge quanto a nuove prestazioni patrimoniali e preclude un incontrollato soggettivismo giudiziario” (Cass., sez. un., 5 luglio 2017, n. 16601, cit.).
In definitiva, laddove il potere equitativo del giudice nella determinazione del danno da discriminazione sia operato con modalità anche afflittive, l'operazione ermeneutica dovrebbe considerarsi chiaramente al di fuori del rigoroso perimetro delineato dalle sezioni unite, in considerazione del fondamentale e cogente principio di legalità anche delle prestazioni patrimoniali richieste dall'ordinamento.
E' il caso di aggiungere, al termine di questa analisi, che proprio recependo l'indicazione delle sezioni unite e con la finalità di attuare gli standard minimi prescritti dalla Convenzione ILO 190, il legislatore italiano ha recentemente presentato una innovativa proposta di legge (si tratta del disegno di legge AS 2358 del 4 agosto 2021, per cui si rimanda a EGE, TAMBASCO, La tolleranza zero contro violenza e molestie lavorative: una rivoluzione in arrivo?, Il Giuslavorista, 1° ottobre 2021), prevedendo l'espressa introduzione nell'ordinamento giuridico delle sanzioni civili, recte dei danni punitivi.La proposta di legge, in particolare, si muove nel solco tracciato dalle sezioni unite e nel pieno rispetto del principio di legalità definito dall'art. 23 Cost.: tipicità (previsione di una specifica fattispecie), proporzionalità (definizione di un minimo e di un massimo edittale) (13) ed adeguatezza (commisurazione della sanzione civile alla particolarità del caso concreto) (14); ciò, con ogni evidenza, al fine di conferire da un lato maggiore certezza e prevedibilità alla liquidazione del danno in chiave sanzionatoria, contenendo il potere discrezionale del giudice entro specifici limiti edittali e, dall'altro, allo scopo di rendere anche effettivamente dissuasivo il rimedio risarcitorio, stabilendo un minimo edittale particolarmente elevato (15).
Il futuro della responsabilità civile, oggi, si muove quindi nell'ambito della lotta alle discriminazioni e alle molestie sui luoghi di lavoro, lungo l'accidentato percorso tracciato dalla giurisprudenza e dalla legislazione nazionale, comunitaria ed internazionale.
Note
(1) Riteniamo che, al netto delle pur innovative considerazioni svolte dal giudicante in motivazione, nella quantificazione del danno liquidato (12.000,00 euro) possa avere inconsapevolmente influito un “effetto ancoraggio” legato al valore della richiesta svolta dalla ricorrente (20.000,00 euro), su cui poi il giudice potrebbe aver effettuato, nell'esplicazione del processo decisionale, un “aggiustamento” verso il basso; sull'anchoring bias nelle decisioni si rimanda al noto studio di KAHNEMAN, Pensieri lenti e veloci, Milano, Mondadori, 2012, pp. 159 e ss.; si veda, nell'ampia letteratura sul tema, FORZA, MENEGON, RUMIATI, Il giudice emotivo, Bologna, Il Mulino, 2018; GIUSBERTI, BENSI, NORI, Oltre ogni ragionevole dubbio. Decidere in Tribunale, Roma-Bari, Laterza, 2012, p. 12-13; GULOTTA, EGNOLETTI, NICCOLAI, PAGANI, Tendenze generali e personali ai bias cognitivi e la loro ricaduta in campo forense: fondamenti e rimedi, in Sistema Penale, 11 giugno 2021, https://sistemapenale.it/it/articolo/gulotta-et-al-bias-cognitivi-campo-forense.
(2) Si tratta di espressione utilizzata in una pronuncia del Tribunale di Varese, sez. Luino, 27 febbraio 2012, n. 31, est. Buffone, secondo cui “La lesione del diritto alla salute e la lesione del diritto a non subire discriminazioni, costituiscono autonomi strappi a situazioni giuridiche soggettive e, dunque, autonomo deve essere il ristoro”.
(3) Il riferimento al “danno ingiusto”, ovverosia all'evento lesivo della situazione giuridica rilevante, è stato con il tempo esteso dalla dottrina e dalla giurisprudenza alla violazione dei diritti assoluti, dei diritti relativi e alla lesione di interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico, desumibile dal dovere di solidarietà sociale (art. 2 Cost.) o da altri doveri parimenti rilevanti a livello costituzionale, si veda BERTI, Nesso di causalità ed elemento soggettivo, in Il danno alla persona, a cura di CASSANO, Milano, Giuffrè Lefebvre, 2022, p. 54 e ss.
(4) La distinzione tra danno-evento e danno-conseguenza coincide, sostanzialmente, nella considerazione del “danno sotto due profili diversi: come evento lesivo, e come insieme delle conseguenze risarcibili; e per entrambi, si pone un problema di riconduzione al fatto del responsabile, e quindi di nesso di causalità”, SALVI, La responsabilità civile, Milano, Giuffrè Lefebvre, 2019, p. 232. A sua volta, il problema della causalità “si presenta sotto un duplice aspetto: il primo, che attiene al nesso causale tra condotta del soggetto agente, a lui imputabile a titolo di dolo o colpa, e l'evento che va considerato e risolto alla stregua degli artt. 40 e 41 c.p., pacificamente applicabili in materia civile; il secondo che, presupponendo integro lo schema ora delineato (condotta-nesso causale-evento), attiene alla derivazione causale del danno, di cui pretende essere il risarcimento, dall'evento che è disciplinato dall'art. 1223 c.c.”, Cass. sez. un., 26 gennaio 1971, n. 174; si veda anche BERTI, Nesso di causalità ed elemento soggettivo, in Il danno alla persona, a cura di CASSANO, cit., p. 8 e ss., in cui la distinzione tra danno-evento e danno conseguenza è speculare alla bipartizione tra causalità materiale (funzionale all'ascrivibilità dell'evento lesivo all'autore della condotta) e causalità giuridica (funzionale invece alla delimitazione delle conseguenze pregiudizievoli giuridicamente rilevanti). La distinzione tra danno-evento e danno-conseguenza, tuttavia, è definita da una parte della giurisprudenza “una mera sovrastruttura teorica” (Cass., sez. un., 21 febbraio 2002, n. 2515), rilevando in ogni fattispecie di responsabilità civile unicamente “un evento (il fatto dannoso), e le sue conseguenze (il danno risarcibile), ed è questa la ragione della duplice rilevanza della causalità”, SALVI, La responsabilità civile, Milano, Giuffré Lefebvre, 2019, p. 232.
(5) Cass., sez. un., 15 marzo 2016, n. 5072, che in materia di illegittima successione di contratti a termine nel pubblico impiego ha dichiarato l'applicabilità in via analogica della sanzione prevista dall'art. 32 comma 5 l. 183/2010. Disposizione che, nel prevedere automaticamente nel caso di violazione delle norme imperative il risarcimento del danno in misura ricompresa tra 2,5 e 12 mensilità, istituisce un rimedio con funzione dissuasiva e al contempo sanzionatoria della violazione della disposizione comunitaria, in cui il danno è presunto (dunque il danneggiato è esonerato dalla prova) entro un minimo ed un massimo predeterminato ex lege. Si parla, in questo caso, di “danno comunitario”, ovverosia di disposizione che colma un deficit di tutela delle disposizioni comunitarie, predisponendo un meccanismo di tipo sanzionatorio-punitivo.
(6) Si riprende una felice espressione coniata dalla Corte costituzionale (sentenza 139/2019) la quale, interrogata sulla questione di legittimità costituzionale dell'articolo 96 terzo comma del codice di procedura civile rispetto alla riserva di legge dettata dall'art. 23 Cost. (relativamente alla quantificazione equitativa del danno da lite temeraria), ha affermato che “il legislatore, esercitando la sua discrezionalità particolarmente ampia nella conformazione degli istituti processuali (ex plurimis, sentenza n. 225 del 2018), ha fatto affidamento sulla giurisprudenza che, nell'attività maieutica di formazione del diritto vivente, soprattutto della Corte di cassazione (sentenza n. 102 del 2019), può specificare – così come ha già fatto – il precetto legale”.
(7) Quando nel presente contributo si parla di risarcimento del danno da discriminazione, si fa implicitamente riferimento anche alla categoria delle molestie, legislativamente equiparate alle discriminazioni (art. 2 comma 3 d.lgs. 215/2003; art. 2 comma 3 d.lgs. 216/2003; art. 26 comma 1 e 2 d.lgs. 198/2006; art. 55-bis comma 4 e 5 d.lgs. 198/2006). Sulla ontologica natura in re ipsa del danno non patrimoniale da discriminazione, si veda anche GUARISO, I provvedimenti del giudice, in Il nuovo diritto antidiscriminatorio, a cura di BARBERA, Milano, Giuffrè, 2007, p. 602, secondo cui nella discriminazione “un restringimento pratico e visibile delle potenzialità vitali non può mai mancare [...] il danno non patrimoniale è a tal punto intrinsecamente connesso alla stessa fattispecie illecita da suggerire una riconsiderazione dell'ormai quasi rimossa nozione del danno in re ipsa”; di natura speciale della responsabilità risarcitoria da discriminazione, che cumulerebbe la funzione riparatoria con quella sanzionatorio-afflittiva, parla VINCIERI, I danni alla persona del discriminato, in La Responsabilità civile, ottobre 2009, pp. 840 e ss.
(8) Per un commento della pronuncia, si veda PACCHIANA PARRAVICINI, Brevi note sui profili processuali della discriminazione indiretta: onere della prova ed apparato sanzionatorio, RIDL, fasc. 4, 2020, p. 673; MARASCO, Sulla funzione sanzionatoria del risarcimento del danno da discriminazione, Giustiziacivile.com, 15 giugno 2020.
(9) Si rimanda a BIASI, Il “caso Ryanair” e l'ingresso del danno punitivo nel diritto del lavoro italiano, in Giurisprudenza italiana, 10/2018, p. 2196 e ss.
(10) CGUE, 10 luglio 1984, causa 14/83, Von Colson; CGUE, 22 aprile 1997, Urania; CGUE, 6 febbraio 2007, causa 54/07, Centrum; CGUE, 25 aprile 2013, causa 81/12Asociatia Accept; CGUE, 23 aprile 2020, causa 507/18, secondo cui “tali sanzioni devono, a norma dell'articolo 17 della direttiva 2000/78, essere effettive, proporzionate e dissuasive anche quando non vi sia alcuna persona lesa identificabile”; in senso difforme, sostenendo la logica compensativa del pieno ed integrale ristoro dei danni, CGUE, 17 dicembre 2015, causa 407/14, Camacho, oggetto di primo commento da parte di CALAFA', Sul risarcimento “dissuasivo” del danno da discriminazione nel diritto UE, in RIDL, 2, 2016, pp. 444 e ss.
(11) GUARISO, MILITELLO, La tutela giurisdizionale, in Aa.Vv., La tutela antidiscriminatoria. Fonti, strumenti, interpreti, Torino, Giappichelli, 2019, p. 481.
(12) In dottrina, si veda BIASI, Il “caso Ryanair” e l'ingresso del danno punitivo nel diritto del lavoro italiano, cit., p. 2201, il quale distingue tra funzione riparatorio/compensativa, sanzionatorio/dissuasiva e precipuamente afflittiva, il cui fulcro sono rispettivamente il danneggiato, la norma e il danneggiante.
(13) La predeterminazione di un minimo ed un massimo edittale entro cui il giudicante potrà commisurare la pena risponde alla necessità, avvertita negli ultimi anni anche nei paesi in cui i danni punitivi hanno avuto origine e diffusione, di evitare la variabilità dei risarcimenti spesso grossly excessive; per una panoramica dei punitive damages nel sistema statunitense, si rimanda allo studio di SUNSTEIN, HASTIE, PAYNE, SCHKADE, VISCUSI, Punitive damages – How juries decide, Chicago-London, The University of Chicago press, 2002.
(14) L'art. 7 comma 2 del DDL 2358 prevede che l'importo della sanzione civile dovrà essere liquidato dal giudice entro specifici e rigorosi parametri, rappresentati dalla gravità del fatto e delle eventuali conseguenze dannose, dalla condotta stragiudiziale e processuale del soggetto convenuto e dalle condizioni (economiche, sociali e personali) delle parti.
(15) Art. 7 comma 2 DDL 2358: “Nel caso di accertamento della violenza o delle molestie, il giudice nel provvedimento con cui liquida il danno riconosce a favore della vittima una somma ulteriore a titolo di sanzione nei confronti di ciascun soggetto convenuto in giudizio ed accertato quale responsabile della violenza o delle molestie, da liquidare in misura ricompresa tra un minimo di 20.000 euro e un massimo di 200.000 euro. L'importo della sanzione è determinato dal giudice avuto riguardo alla gravità del fatto accertato e delle eventuali conseguenze dannose, alla condotta stragiudiziale e processuale del soggetto convenuto in giudizio ed accertato responsabile e alle condizioni delle parti. La somma deve essere liquidata dal giudice in ogni caso e indipendentemente dall'accertamento del danno patrimoniale e non patrimoniale”.
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Sommario
La liquidazione del danno non patrimoniale da discriminazione nella sentenza del Tribunale di Napoli Nord, sez. lav., 26 novembre 2021, n. 5192: un criterio di quantificazione innovativo
Il decreto del Tribunale di Bologna, sezione lavoro, 31 dicembre 2021: danno da discriminazione e danno comunitario
La dissuasività del risarcimento del danno da discriminazione nelle procedure di selezione e assunzione: il decreto del Tribunale di Roma, sezione lavoro, 23 marzo 2022