Comunione legale: amministrazione e responsabilitàFonte: Cod. Civ. Articolo 159
20 Aprile 2022
Inquadramento
* Bussola aggiornata da V. Tagliaferri e F. Bava
In virtù della legge di riforma 19 maggio 1975, n. 151, il regime ordinario della famiglia è divenuto quello della comunione legale dei beni (art. 159 c.c.) e cioè, in difetto di diverse convenzioni, stipulate ex art. 162 c.c., quanto acquistato dai coniugi successivamente al matrimonio, anche separatamente (salve le eccezioni di cui all'art. 179 c.c.), entra automaticamente a far parte della comunione disciplinata ex lege, dagli artt. 177 e ss. c.c. Sui beni della comunione legale s'instaura la c.d. proprietà solidale o comunione senza quote (in tal senso si è espressa C. cost. 17 marzo 1988, n. 311). Ciò significa che, a differenza di quanto avviene nella comunione ordinaria, nei rapporti con i terzi ciascun coniuge, mentre non ha diritto di disporre della propria quota, può tuttavia disporre dell'intero bene comune, ponendosi il consenso dell'altro coniuge (richiesto dal comma 2, art. 180 c.c. per gli atti di straordinaria amministrazione), quale atto in grado di rimuove un limite all'esercizio del potere dispositivo sul bene stesso. La regola generale in tema di amministrazione dei beni della comunione legale è prevista dall'art. 180 c.c., in forza del quale ciascuno dei coniugi può compiere da solo gli atti di ordinaria amministrazione. Occorre, invece, il consenso di entrambi i coniugi sia per il compimento di atti eccedenti l'ordinaria amministrazione sia anche per la stipula di contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento nonché per la rappresentanza in giudizio delle relative azioni. Peculiare, inoltre, il regime di responsabilità di cui agli artt. 186, 187, 188, 189, 190 c.c. Invero, dal combinato disposto degli artt. 186 e 190 c.c., si evince che i beni della comunione legale rappresentano la garanzia dei debiti della famiglia, mentre quelli dei singoli coniugi rappresentano una garanzia sussidiaria e parziale, nel solo caso d'insufficienza dei beni della comunione stessa. Comunione legale e comunione ordinaria
Al lume di quanto previsto ex art. 159 c.c., la comunione legale costituisce il regime patrimoniale legale della famiglia, in mancanza di diversa convenzione ex art. 162 c.c. che venga dichiarata dai coniugi all'atto di celebrazione del matrimonio ovvero successivamente da essi stipulata «in ogni tempo», purché nelle forme e nei modi previsti ex lege. I coniugi, invero, possono optare per la separazione dei beni, e, dunque, per l'instaurazione di una comunione ordinaria, che consiste nella proprietà plurima parziaria sui beni oggetto della comproprietà pro quota, disciplinata ex art. 1100 e ss. c.c.. In tali casi, la quota rappresenta oggetto del diritto individuale e limite di disposizione del potere sui beni stessi. Ne consegue che un atto di disposizione avente ad oggetto l'intero bene facente parte della comunione ordinaria è inefficace. La comunione legale, invece, ha una struttura ontologica diversa. Un contributo fondamentale alla ricostruzione della comunione legale quale comunione senza quote, è stato offerto dalla Corte costituzionale, con la nota sentenza Mengoni (C. cost n. 17 marzo 1988, n. 311). La Corte evidenzia che le strutture normative profondamente distinte della comunione legale e della comunione ordinaria, escludono la riconducibilità dell'una nello schema dell'altra. La comunione legale è, infatti, «una comunione senza quote, dove i coniugi non sono individualmente titolari di un diritto di quota, bensì solidalmente titolari, in quanto tali, di un diritto avente per oggetto i beni della comunione». Tale regime determina la proprietà solidale di entrambi i coniugi sui beni della comunione, ove la quota non è un elemento strutturale, ma ha soltanto la funzione di stabilire la misura entro cui i beni della comunione possono essere aggrediti dai creditori particolari (art. 189 c.c.), la misura della responsabilità sussidiaria di ciascuno dei coniugi con i propri beni personali verso i creditori della comunione (art. 190 c.c.), e infine la proporzione in cui, sciolta la comunione, l'attivo e il passivo saranno ripartiti tra i coniugi o i loro eredi (art. 194 c.c.). I coniugi, quindi, sono proprietari in solido dei beni della comunione legale, in guisa che ciascuno di essi può essere considerato titolare per intero di ogni bene e, conseguentemente, esercitare le facoltà che costituiscono il contenuto del suo diritto. Nei rapporti con i terzi, ciascun coniuge ha il potere di disporre dei beni della comunione e pertanto, l'acquisto del terzo deve essere considerato, anche in difetto di consenso congiunto dei coniugi, a domino. Amministrazione
Il legislatore ha ritenuto che l'amministrazione dei beni della comunione legale, al pari della rappresentanza, spetti disgiuntamente ad entrambi i coniugi, qualora si tratti di atti di ordinaria amministrazione. Per gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, nonché la stipula di contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento e la rappresentanza in giudizio per le relative azioni, è necessario che i coniugi operino congiuntamente. Valido criterio discretivo tra atti di gestione ordinaria e straordinaria, è individuato nella capacità degli atti che eccedono l'ordinaria amministrazione di alterare la composizione e la struttura del patrimonio comune e, quindi, le condizioni di vita della famiglia stessa. In tali casi, il consenso dell'altro coniuge non è un negozio (unilaterale) autorizzativo nel senso di atto attributivo di un potere, bensì è un atto in grado di rimuovere un limite all'esercizio di un potere (Cass., sez. II,14 gennaio 1997, n. 284). Il consenso è requisito di regolarità e validità del procedimento di formazione dell'atto di disposizione e, dunque, della manifestazione del consenso negoziale, la cui mancanza (ove si tratti di bene immobile o di bene mobile registrato), si traduce in un vizio dell'atto stesso, da far valere con azione di annullamento ex art. 184 c.c. In altri termini, l'atto di disposizione del singolo coniuge è effettuato a domino, da un comproprietario solidale titolare di un potere pieno, in base, tuttavia, ad un titolo viziato, contro il quale è possibile agire mediante azione di annullamento (ex plurimis, Cass., sez. I, 29 ottobre 2008, n. 25984). Il coniuge pretermesso può, quindi, chiedere l'annullamento entro un anno dal giorno in cui abbia avuto conoscenza dell'atto di disposizione o dal giorno della sua trascrizione. Nel caso in cui sia mancata la trascrizione o il coniuge non ne abbia avuto conoscenza, il termine prescrizionale di un anno decorre dal giorno dello scioglimento della comunione. Il legislatore ha ritenuto di bilanciare l'interesse del coniuge pretermesso alla conservazione del proprio diritto e quello generale alla certezza dei traffici giuridici, individuando un termine prescrizionale ridotto rispetto a quello generale ex art. 1442 c.c. (cinque anni). L'azione, tuttavia, non può essere esperita nemmeno entro il termine prescrizionale, nel caso in cui il coniuge pretermesso abbia convalidato l'atto, espressamente o tacitamente. Decorso inutilmente il termine di un anno, il coniuge pretermesso non solo non potrà più agire per ottenere l'annullamento, bensì non potrà nemmeno proporre eccezione nè domanda riconvenzionale (Cass., sez. II, 27 ottobre 2003, n. 16099; Cass., sez. I, 8 gennaio 2007, n. 88). A fronte dell'ottenuto annullamento, vale per i terzi la regola di cui art. 1445 c.c., in forza della quale sono fatti salvi i diritti acquistati in buona fede a titolo oneroso, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di annullamento. Nel caso in cui l'atto di disposizione abbia ad oggetto beni mobili, il coniuge che ha agito senza il consenso dell'altro è obbligato, su istanza di quest'ultimo, a ricostruire la comunione nello stato in cui era prima del compimento dell'atto o, qualora non sia possibile, al pagamento per l'equivalente. Intervenuta, ai sensi dell'art. 184 c.c., la condanna alla ricostituzione della comunione legale nello status quo ante, l'altro coniuge ha diritto di agire in executivis sul patrimonio individuale del primo, non allo scopo di vendere i beni pignorati per soddisfarsi sul ricavato, bensì al solo fine di ottenere la ricostituzione dell'originaria consistenza patrimoniale della comunione (Cass., sez., III,14 novembre 2013, n. 25625). Nel caso di rifiuto di un coniuge alla stipulazione di un atto di straordinaria amministrazione, l'altro coniuge può rivolgersi al giudice, che provvede in sede di volontaria giurisdizione (Cass., sez. II, 11 settembre 1991, n. 9513), per ottenere l'autorizzazione al compimento dell'atto ogniqualvolta esso sia necessario nell'interesse della famiglia o dell'azienda coniugale. In caso d'impedimento o assenza di uno dei due coniugi, il legislatore ha previsto una deroga alla necessità del consenso congiunto per atti di straordinaria amministrazione, ogniqualvolta l'urgenza dell'atto giustifichi il ricorso a questa modalità, tenuto conto dell'impossibilità in concreto di prestazione del consenso da parte di chi è assente o impedito. In tali casi, invero, anche in mancanza di procura, il coniuge può compiere - previa autorizzazione del giudice e con le cautele eventualmente da questo stabilite - gli atti necessari. L'autorizzazione prevista dall'art. 182, comma 1, c.c., presuppone un impedimento di carattere temporaneo e transeunte, mentre in caso d'impedimento di carattere permanente si deve ricorrere all'esclusione del coniuge dall'amministrazione, ex art. 183, comma 1, c.c., ovvero al procedimento d'interdizione, se l'impedimento è determinato da abituale capacità di intendere e di volere (App. Milano, 7 marzo 2003). Per quanto concerne, invece, l'amministrazione dei beni personali del coniuge, che non rientrano nella comunione legale ovvero nel fondo patrimoniale, si applicano le disposizioni di cui artt. 185 e 217 c.c., ai sensi del quale ciascun coniuge ha il potere di godere ed amministrare i beni di cui è esclusivo titolare. Nell'ambito dell'autonomia negoziale riconosciuta dall'ordinamento, ciascun coniuge è libero di assumere obbligazioni, congiuntamente o separatamente. Nei confronti dei terzi, le norme di cui agli artt. 186 - 190 c.c. dettano una disciplina peculiare rispetto all'art. 2740 c.c., in ordine alla responsabilità patrimoniale per l'adempimento delle obbligazioni. Invero,il legislatore ha distinto tra obbligazioni della comunione legale,ex art. 186 c.c.,per le quali il creditore può soddisfarsi prioritariamente sui beni della comunione legale ed, in via sussidiaria sui beni personali di ciascuno dei coniugi nella misura della metà del credito (art. 190 c.c.) ed obbligazioni personali,per le quali il creditore può agire, invece, sui beni personali del coniuge - debitore e soltanto in via sussidiaria su quelli facenti parte della comunione legale, ma solo nei limiti della quota del coniuge obbligato (art. 189 c.c.). Ebbene, dal combinato disposto degli artt. 186 e 190 c.c., si evince che i beni della comunione legale rappresentano la garanzia dei debiti della famiglia, mentre quelli dei singoli coniugi rappresentano una garanzia sussidiaria e parziale nel caso d'insufficienza dei beni della comunione (Trib. Pescara, 23 aprile 2012). L'estensione della responsabilità patrimoniale individuale, tuttavia, non avviene in maniera generale e indiscriminata ma si fonda su un sistema di alternatività e graduazione tra beni della comunione legale e beni personali in relazione all'obbligazione contratta, con particolare riferimento alla rilevanza concreta concernente ora il bene oggetto di comunione legale ex art. 186 lett. a) e b) ora la natura stessa dell'obbligazione ex art. 186 lett. c) e d). L'art. 186 c.c. individua i creditori della comunione, in un elenco che l'orientamento dominante considera tassativo. I beni della comunione rispondono: - di tutti i pesi ed oneri gravanti su di essi al momento dell'acquisto (ipoteche, pegni e privilegi, ma anche ogni genere di oneri reali e obbligazioni propter rem, gli usi civici ed i vincoli urbanistici); - di tutti i carichi dell'amministrazione (contributi condominiali, le spese di gestione, custodia, assicurazione e manutenzione dei beni comuni) - delle obbligazioni contratte dai coniugi anche separatamente nell'interesse della famiglia. L'obbligo imposto dall'art. 147 c.c. ad entrambi i coniugi di mantenere, educare ed istruire la prole comune si riverbera nei rapporti esterni con la conseguenza che, ove trattasi di obbligazioni derivanti dal soddisfacimento di esigenze primarie della famiglia , quali, in particolare, la cura della salute, deve riconoscersi il potere dell'uno e dell'altro coniuge, con efficacia verso i terzi (creditori), in virtù di un mandato tacito, di compiere gli atti occorrenti e di assumere le correlative obbligazioni con effetti vincolanti per entrambi, in deroga al principio secondo cui soltanto il coniuge che ha personalmente stipulato l'obbligazione risponde del debito contratto (Cass., sez. II,25 luglio 1992, n. 8995 e Trib. Cassino, 7 gennaio 2005). E' stato, tuttavia, escluso che costituisse obbligazione volta a soddisfare bisogni primari del figlio quella assunta per il pagamento della retta scolastica per l'iscrizione del figlio minore ad una scuola privata, compiuta da uno solo dei genitori (Cass., sez. III, 10 ottobre 2008, n. 25026). Infine, i beni della comunione rispondono delle obbligazioni contratte congiuntamente dai coniugi. Con tale espressione deve intendersi ogni ipotesi di obbligazione soggettivamente complessa e, dunque, non soltanto le obbligazioni solidali stricto sensu, bensì anche le parziarie ed indivisibili. Il legislatore ha inteso tutelare la tendenziale integrità dei beni della comunione legale dalla responsabilità patrimoniale per gli atti che uno solo dei coniugi abbia compiuto in violazione alle regole di amministrazione straordinaria (art. 189 comma 1 c.c.) oppure per il soddisfacimento d'interessi estranei alla famiglia (art. 189 comma 2 c.c.). In entrambi i casi i creditori particolari, debbono agire, in primo luogo, sui beni personali del coniuge - debitore e possono soddisfarsi sui beni della comunione in via sussidiaria, fino ad un valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato. In ordine alla scelta del tipo di procedimento esecutivo che il creditore particolare deve intentare per aggredire i beni della comunione legale, la Suprema Corte ha chiarito che la natura di comunione senza quote della comunione legale dei coniugi comporta che l'espropriazione, per crediti personali di uno solo dei coniugi, di un bene (o di più beni) in comunione abbia ad oggetto il bene nella sua interezza e non per la metà, con scioglimento della comunione legale limitatamente al bene staggito all'atto della sua vendita od assegnazione e diritto del coniuge non debitore alla metà della somma lorda ricavata dalla vendita del bene stesso o del valore di questo, in caso di assegnazione (Cass., sez. III, 14 marzo 2013, n. 6575). In ogni caso, il pignoramento per l'intero o pro quota del bene in comunione, effettuato nei confronti di uno solo dei coniugi, comporta l'indisponibilità dello stesso da parte dell'altro coniuge e la trascrizione del pignoramento, anche se effettuata nei confronti di uno solo dei coniugi, spiegherà comunque i suoi effetti nei confronti di entrambi (Trib. Potenza 16 maggio 2013). Alla luce di quanto sopra, come sostenuto anche dal Consiglio Nazionale del Notariato (Studio n. 31-2021/C, Le attuali criticità della comunione legale e la convenzione matrimoniale impeditiva dell'acquisto in comunione, Vera Tagliaferri), il sistema della comunione legale, seppur gravoso negli oneri pubblicitari, manifesta la sua coerenza con il sistema e la sua capacità di tutela, sia sotto il profilo interno sia sotto il profilo esterno della tutela dei creditori. In particolare, in relazione alla posizione di questi ultimi, la comunione legale non complica e non indebolisce in alcun modo la possibilità di soddisfazione, arricchendola anzi della maggior possibilità di recupero, poiché per i creditori individuali alla responsabilità ex 2740 c.c. del singolo si affianca quella del patrimonio comune mentre a quella dei creditori della comunione alla responsabilità della comunione si affianca la responsabilità sussidiaria del patrimonio personale. Quanto al profilo interno, infine, si deve evidenziare come i coniugi ricevano comunque una miglior tutela perché la separazione del patrimonio comune non comporta un carico individuale maggiore, ma anzi la certezza che la destinazione dell'interesse della famiglia abbia una tutela privilegiata e un utilizzo funzionale verificabile anche a posteriori. Casistica
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