La nozione di abitualità del comportamento nell'interpretazione dell'art. 131-bis c.p.

28 Aprile 2022

Il presente lavoro, traendo spunto da una recentissima sentenza di legittimità sulla nozione di precedenti penali ai fini del riconoscimento della speciale causa di non punibilità ex art. 131-bis c.p., fornisce una panoramica della giurisprudenza di legittimità più significativa in materia di abitualità del comportamento criminoso, che costituisce il fattore ostativo più discusso dall'entrata in vigore del d.lgs. n. 28/2015, che ha introdotto la norma nel codice vigente.
Il caso di specie e la questione giuridica sottesa

Con la sentenza qui annotata la Corte di legittimità ha espresso il principio di diritto secondo cui la condizione ostativa, prevista dall'art. 131-bis c.p., della non abitualità del comportamento, consistente nella commissione di più reati della stessa indole, non sussiste sulla sola base della esistenza di precedenti penali – anche numerosi – occorrendo invece che l'imputato risulti essere stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, oppure abbia commesso più reati della stessa indole.

La sentenza chiarisce un importante tassello dell'articolato mosaico esegetico in ordine alla nozione di abitualità del reato, che configura il principale elemento ostativo al riconoscimento della peculiare causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto.

Giova rammentare che, in ossequio al disposto normativo, il giudice dovrà verificare, per l'applicazione dell'esimente in parola, che – in disparte la non esorbitanza del reato da specifici margini edittali – le modalità della condotta e l'esiguità del danno o del pericolo (valutate ex art. 133 c.p.) consentano di ritenere l'offesa di particolare tenuità.

Al contempo, si esclude il riconoscimento della causa di non punibilità in parola quando ricorrano le circostanze o gli eventi indicati dal comma secondo dell'art. 131-bis c.p., poiché in questi casi è lo stesso legislatore a ritenere che l'offesa non possa dirsi particolarmente tenue.

Inoltre, si esclude l'applicazione dell'esimente quando il comportamento sia “abituale”.

A tale riguardo, è più esplicito il comma terzo della disposizione, il quale chiarisce che il comportamento è abituale quando: a) l'autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza; b) egli abbia commesso più reati della stessa indole (anche se ciascun fatto isolatamente considerato sia di particolare tenuità); c) il reato abbia ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.

Nel corso degli anni dall'entrata in vigore della norma, introdotta dal d.lgs. n. 28/2015, la giurisprudenza ha avuto modo di approfondire gli aspetti sub b) e c), chiarendo le nozioni di pluralità di reati della stessa indole e di condotte plurime, abituali e reiterate.

I reati della stessa indole quali fattori ostativi al riconoscimento della causa di non punibilità

Sul primo aspetto, la Corte di legittimità si è espressa, in via di principio, nel senso che l'imputato si ritiene aver commesso più reati della stessa indole quando abbia realizzato, oltre al fatto contestato, e anche successivamente a esso, plurime violazioni della stessa disposizione incriminatrice o violazioni di più norme incriminatrici sostenute dalla stessa ratio punendi (Cass. pen., sez. un., 25 febbraio 2016, n. 13681; Cass. pen., sez. III, 25 giugno 2021, n. 24857; Cass. pen., sez. V, 29 ottobre 2020, n. 29961; Cass. pen., sez. VI, 19 febbraio 2020, n. 6551; Cass. pen., sez. II, 16 luglio 2018, n. 32577), con ciò riprendendo implicitamente la nozione di cui all'art. 101 c.p. che individua la medesimezza dell'indole nella presenza, nei casi concreti, di caratteri fondamentali comuni nei diversi reati consumati (Cass. pen., sez. III, 16 aprile 2021, n. 18154; Cass. pen., sez. V, 28 novembre 2018, n. 53401; Cass. pen., sez. IV, 4 maggio 2017, n. 27323).

Sul punto, una parte della giurisprudenza ha affermato che, nel caso di violazioni di norme incriminatrici diverse, occorre una compiuta analisi dei motivi che avevano retto le precedenti condanne, senza che possa aprioristicamente stabilirsi l'identità, in astratto, del movente per tutti i reati al vaglio. Infatti, in un caso relativo al confronto tra due reati di detenzione di stupefacenti a fini di spaccio per i quali l'imputato aveva già subìto condanna annotata al casellario giudiziale e una fattispecie di tentato furto, la Corte ha annullato la sentenza con cui il giudice di merito aveva negato la possibilità per l'imputato di beneficiare della causa di non punibilità ex art. 131-bis c.p., e aveva rinviato a tale giudice affinché accertasse, «con specifica indagine […] le circostanze di fatto attestanti che i reati in materia di stupefacenti, per i quali l'imputata è stata condannata, fossero stati commessi a scopo di lucro» (Cass. pen., sez. V, 30 maggio 2018, n. 53401).

Proseguendo nella disamina, occorre chiarire che il beneficio non potrà essere accordato quando il reo abbia commesso almeno due illeciti della medesima indole, mentre costui potrà andare esente da pena quando ne abbia commesso soltanto uno (Cass. pen., sez. IV, 19 dicembre 2018, n. 57355); in quest'ultimo caso, però, è evidente che l'annotazione della nuova condanna senza pena sul casellario giudiziale costituirà fattore ostativo per il riconoscimento della esimente in un eventuale successivo procedimento per un reato della medesima indole.

Come già adombrato, l'analisi del giudicante – mirante a verificare il fattore ostativo legato alla pluralità di reati della stessa indole – si appunterà, in via principale, sulle risultanze di cui al casellario giudiziale aggiornato, nel quale risulteranno annotate le condanne per reati sia precedenti che successivi alla data di commissione del fatto contestato; l'interprete analizzerà così l'eventuale sussistenza di reati definitivamente accertati, fondati sulla violazione della medesima norma incriminatrice o di norme incriminatrici diverse ma accomunate da tratti fondamentali con quella al vaglio.

Precisa la giurisprudenza di legittimità che costituisce decisione da tenere in conto nello svolgimento di questa analisi l'eventuale archiviazione per un reato ai sensi dell'art. 131-bis c.p. la quale andrà infatti, proprio a tal fine, annotata sul casellario (Cass. pen., sez. un., 30 maggio 2019, n. 38954). Il principio, tra l'altro, vale anche per le sentenze emesse nel merito ex art. 131-bis c.p., le quali vanno parimenti annotate nel casellario giudiziale e incluse nella valutazione sulla pluralità degli illeciti della medesima indole (Cass. pen., sez. un., 25 febbraio 2016, n. 13681).

Inoltre, fa parte dei provvedimenti giudiziali valutabili ai fini ostativi l'applicazione di pena su richiesta delle parti ex artt. 444 ss. c.p.p.; come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità più recente e accorsata, in essa è presente un accertamento implicito e non dichiarato della responsabilità penale per il fatto contestato, che si scorge innanzitutto dalla impossibilità per il giudice di prosciogliere l'imputato ai sensi dell'art. 129 c.p.p. (arg. ex art. 444 comma 2 c.p.p.) e, inoltre, dal fatto che l'imputato, chiedendo l'ammissione al rito, rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l'accusa e non nega la propria responsabilità; oltretutto, militano in tal senso l'equiparazione legislativa della sentenza di patteggiamento alla sentenza di condanna, la sua suscettibilità di revisione ex art. 630 comma 1, lett. a), c.p.p., e la sua efficacia nel giudizio di responsabilità disciplinare innanzi alle pubbliche autorità ai sensi dell'art. 653 c.p.p. (Cass. pen., sez. II, 9 novembre 2021, dep. 2022, n. 2484; Cass. pen., sez. VI, 3 dicembre 2019, dep. 2020, n. 605; Cass. pen., sez. II, 21 giugno 2018, n. 44190; Cass. pen., sez. III, 23 novembre 2016, dep. 2017, n. 35757).

Riflessione peculiare è riservata al rapporto tra la pluralità di reati della medesima indole e l'istituto della recidiva: si esclude una relazione biunivoca o di sovrapposizione dogmatica tra le nozioni in esame.

In primo luogo, si riscontra tra le stesse un divariodi tipo cronologico, atteso che, mentre la recidiva si applica necessariamente a fatti commessi “dopo” reati per cui sia già intervenuta condanna irrevocabile, la pluralità di reati della stessa indole può avere per oggetto anche reati commessi successivamente ai fatti di causa e per cui sia intanto già intervenuta condanna irrevocabile.

In secondo luogo, la recidiva non integra automaticamente la pluralità di reati della medesima indole.

Posizione privilegiata occupa l'istituto della recidiva reiterata specifica, che costituisce ex se circostanza ostativa al riconoscimento della causa di non punibilità in esame.

In effetti, occorre osservare che, ove il caso al vaglio giudiziale costituisca la terza violazione di norma incriminatrice analoga, vale a dire un reato della medesima indole di quelli commessi in precedenza e già giudicati con sentenza irrevocabile, la corretta contestazione di tale recidiva lascia emergere ex actis la sussistenza del requisito della pluralità di reati della stessa indole.

Oltretutto, dalla lettura delle pronunzie di legittimità sul tema, emergerebbe un secondo motivo per cui l'istituto della recidiva reiterata specifica debba essere considerato strutturalmente incompatibile con la particolare tenuità del fatto: infatti, secondo la suprema Corte, posto che la tenuità dell'offesa va pur sempre valutata in base ai canoni di cui all'art. 133 comma 1, c.p. – che annovera anche la colpevolezza (cfr. Cass. pen., sez. IV, 8 settembre 2021, n. 34630) – l'applicazione all'imputato di questo tipo di recidiva si atteggia proprio a elemento sintomatico di un'accentuata pericolosità sociale e di una particolare intensità del grado di colpevolezza, incompatibili in radice con un giudizio di trascurabilità dell'offesa complessiva al bene giuridico tutelato (Cass. pen., sez. V, 19 ottobre 2020, dep. 2021, n. 1489; cfr. anche Cass. pen., sez. III, 16 novembre 2016, n. 33299).

Andrebbe infine precisato che, nel caso in cui il giudice ritenga di non riconoscere la recidiva reiterata specifica, il secondo argomento ostativo verrebbe meno, ma la causa di non punibilità potrebbe comunque essere esclusa quando il pubblico ministero abbia originariamente contestato detta recidiva sulla base della esistenza, nel casellario giudiziale, di precedenti per reati della medesima indole, in quanto in grado di attestare quella serialità delle condotte che costituisce la ratio della esclusione dell'esimente (Cass. pen., sez. VI, 28 marzo 2017, n. 26867).

Infine, la Corte di legittimità si è soffermata sulla nozione di “commissione” di più reati della stessa indole,di cui all'art. 131-bis comma 3, c.p.

Come evidenziato dal giudice della nomofilachia, il termine “commesso” di cui al predetto comma non è utilizzato invano: esso sottintende la non necessità di una condanna definitiva che cristallizzi la condotta illecita, e consente pertanto di ritenere sufficienti dati e informazioni, a disposizione del giudicante, che suffraghino (almeno) la consumazione di reati della stessa indole.

Sul punto, infatti, si è affermato che la pluralità dei reati può essere desunta non solo da condanne irrevocabili, ma anche da un vaglio incidentale che il giudice può compiere in merito a denunce e precedenti di polizia a carico dell'imputato; essi non potranno da soli costituire indice sintomatico della serialità ostativa all'applicazione della esimente, dovendo l'interprete verificare il contenuto e gli elementi fattuali emergenti dagli atti, le eventuali allegazioni difensive in ordine alla sussistenza di scriminanti o cause di non punibilità della condotta, nonché gli esiti delle segnalazioni e, dunque, della loro iscrizione nel registro delle notizie di reato e dell'avvio di un procedimento penale (Cass. pen., sez. VI, 16 febbraio 2021, n. 10796; Cass. pen., sez. IV, 7 luglio 2021, n. 25748; Cass. pen., sez. VI, 9 gennaio 2020, n. 6551; Cass. pen., sez. IV, 15 novembre 2018, n. 51526; Cass. pen., sez. III, 22 febbraio 2017, n. 36616). Neppure il giudice potrà ritenere sussistente la condizione ostativa del comportamento abituale sulla sola base di testimonianze da cui sia emersa la reiterazione da parte dell'imputato di condotte identiche a quella di cui all'imputazione (Cass. pen., sez. II, 11 luglio 2018, n. 41774).

Le condotte plurime, abituali e reiterate quali fattori ostativi al riconoscimento della causa di non punibilità

Venendo invece alla ascrivibilità alla nozione di comportamento abituale delle condotte “plurime, abituali e reiterate” di cui all'art. 131-bis c.p., esse paiono distinguersi dalla pluralità di reati della stessa indole in quanto, mentre quest'ultima sembra afferire alla storia criminale dell'imputato (imponendo una verifica “esterna” al procedimento), le prime paiono attenere alla natura del fenomeno criminoso specificamente ascritto all'imputato nella vicenda giudiziaria al vaglio (imponendo una verifica “interna” al procedimento). Detto altrimenti, quando il reato ascritto all'imputato nell'ambito del procedimento sub iudice abbia ad oggetto condotte plurime, abituali o reiterate, il fatto non potrà dirsi di particolare tenuità.

Si tratta, a voler sintetizzare ulteriormente, di verificare la compatibilità tra la causa di non punibilità in esame e i cd. reati di durata, classe di illeciti ampia e atta a ricomprendere tutte le ipotesi in cui il singolo fenomeno criminoso, per la speciale morfologia che gli è propria, si snodi attraverso un lasso temporale dogmaticamente rilevante (reato abituale in senso tecnico, reato permanente, continuazione di reati, reato a consumazione prolungata).

Orbene, la giurisprudenza risulta compatta nell'affermare la rispondenza dei reati abituali e di quelli a consumazione prolungata alla più volte citata categoria ostativa.

È noto che il reato è abituale proprio quando il soggetto agente pone in essere nel tempo più condotte omogenee o eterogenee, anche da sole non costituenti reato, le quali raggiungono, in virtù del proprio succedersi e sedimentarsi nella sfera soggettiva della vittima, uno stadio intollerabile di offensività tale da configurare un illecito penale (e assorbire in sé l'illiceità eventualmente già prevista dalla legge penale per le singole condotte medio tempore poste in essere).

Il fondamento della sanzione penale si regge, in questo caso, sulla strutturale pluralità di comportamenti che, cumulandosi, innescano la lesione del bene giuridico tutelato.

Dunque, l'integrazione del reato abituale richiede essa stessa la reiterazione della condotta tipica, ostativa al giudizio sulla tenuità ex art. 131-bis c.p., senza necessità di esplicita motivazione (Cass. pen., sez. V, 28 febbraio 2017, n. 14845; medesime considerazioni valgono per il reato solo eventualmente abituale, cfr. in tema di molestie ex art. 660 c.p., Cass. pen., sez. I, 5 novembre 2018, dep. 2019, n. 1523).

La Corte di cassazione non ha dubbi nemmeno sul reato a consumazione prolungata e sulla sua incompatibilità con l'esimente in esame. In effetti, lo schema della consumazione prolungata può informare tutti quei reati istantanei che, per la peculiare capacità di estrinsecazione naturalistica della condotta vietata, possono realizzarsi mediante il frazionamento di elementi tipici della fattispecie e la loro venuta a esistenza in tempi diversi (da ciò il nome, alternativo, di reati a esecuzione frazionata).

Sul punto, la Corte di legittimità ha confermato che detto frazionamento dell'azione in tempi diversi costituisce il nucleo fondante di quella pluralità delle condotte ostativa all'applicazione della causa di non punibilità ex art. 131-bis c.p. (Cass. pen., sez. VI, 6 febbraio 2020, n. 12073). D'altronde, in alcuni casi, la consumazione prolungata consegue non soltanto l'effetto di completare l'impalcatura criminosa della fattispecie, ma anche quello di approfondire e aggravare l'offesa al bene giuridico tutelato (Cass. pen., sez. VI, 1° luglio 2020, n. 22523).

Discorso diverso per il reato permanente e per la continuazione di reati.

Orbene, la natura giuridica del reato permanente si fonda su una iniziale condotta, perfezionativa degli elementi strutturali contenuti nella norma incriminatrice, cui consegue una perdurante compressione dell'interesse giuridico leso o messo in pericolo, sino al momento di consumazione finale, che coincide con la riespansione del bene giuridico e con la cessazione della situazione antigiuridica.

Anche in questo caso siamo in presenza di un reato di durata, posto che la compressione del bene giuridico perdura per un tempo apprezzabile. Pertanto, sebbene a primo acchito la nozione stessa di permanenza, o di perduranza dell'offesa, sembrerebbe rievocare quella nozione di condotte plurime, abituali e reiterate – specie in virtù del fatto che spesso, per mantenere compresso il bene giuridico di riferimento, il soggetto agente tiene condotte naturalisticamente percepibili – la Corte di legittimità, con pronunzie recenti, ha ritenuto il reato permanente compatibile con la speciale causa di non punibilità ex art. 131-bis c.p., sfuggendo la permanenza al fattore ostativo richiamato, posto che, nel primo caso, non si assiste a una vera e propria replicazione o reiterazione di condotte illecite, bensì a una condotta illecita sostanzialmente unica.

Precisa però la Corte che il reato permanente risulta compatibile con la particolare tenuità del fatto solo quando la permanenza sia cessata: detto altrimenti, quando, al momento del giudizio, la permanenza non sia cessata, non sarà applicabile l'esimente in esame non perché la natura giuridica del reato integri i requisiti ostativi richiamati, ma perché non può considerarsi tenue un'offesa ancora perdurante.

Aggiunge inoltre il giudice della nomofilachia che la causa di non punibilità in parola sarà tanto più inapplicabile quanto più recente sia stato il tempo di consumazione del reato permanente (Cass. pen., sez. III, 8 ottobre 2015, n. 50215).

Una più articolata disputa giurisprudenziale, che ha di recente impegnato le Sezioni unite della Corte di cassazione, riguarda la compatibilità dell'istituto della particolare tenuità del fatto con la continuazione di reati, che si configura ai sensi dell'art. 81 comma 2 c.p. quando il soggetto agente, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, viola, anche in tempi diversi, più volte la medesima norma incriminatrice o norme incriminatrici diverse.

Anche in questo caso prima facie verrebbe da escludere sin da subito la coerenza tra i due istituti, in particolare perché risulterebbe ostico argomentare sulla non sussumibilità di più condotte illecite – rette nel tempo da una progettualità criminosa unica – nella nozione, ostativa, di condotte plurime, abituali, reiterate.

In effetti, secondo un primo filone giurisprudenziale, la continuazione tra reati sottintende una pluralità di reati, una reiterazione di illeciti, espressione di un comportamento abituale e di una devianza non occasionale, che integra il fattore ostativo su richiamato e che si pone in rotta di collisione con la trascurabile offensività che sorregge la ratio dell'esimente, rilevando l'unificazione del disvalore soltanto ai fini del computo del quantum sanzionatorio (Cass. pen., sez. III, 29 marzo 2018, n. 19159; Cass. pen., sez. VI, 13 dicembre 2017, dep. 2018, n. 3353; Cass. pen., sez. I, 24 ottobre 2017, n. 55450; Cass. pen., sez. III, 4 aprile 2017, dep. 2018, n. 776).

Altra parte della giurisprudenza di legittimità ha invece fornito una disamina più articolata, distinguendo a seconda delle tipologie di reato continuato.

Se la continuazione di reati è “sincronica”, cioè posta in essere nel medesimo contesto spazio temporale, senza dunque apprezzabile soluzione di continuità, nei confronti del medesimo soggetto passivo, il giudice ben potrà riconoscere la particolare tenuità del fatto attesa la sostanziale unicità del fenomeno criminoso, che potrà dirsi episodico nonostante la pluralità di illeciti consumati in sequenza (Cass. pen., sez. IV, 13 novembre 2019, dep. 2020, n. 10111; Cass. pen., sez. V, 15 gennaio 2018, n. 5358; Cass. pen., sez. V, 31 maggio 2017, n. 35590).

Più complesso il discorso laddove la continuazione di reati sia “diacronica”, annoverando più condotte illecite poste in essere in tempi diversi.

In questa seconda ipotesi, mentre una parte della giurisprudenza di legittimità si è riportata all'orientamento negativo sopra menzionato, rilevando come in questo caso i reati, essendo stati commessi in momenti spazio-temporali diversi, non denotino una volizione criminosa unitaria e circoscritta (Cass. pen., sez. III, 13 luglio 2021, n. 35630), altra impostazione esegetica ha fornito un'apertura basata su argomentazioni di carattere sistematico.

Alcune pronunzie, infatti, ricavano un effetto distorto dall'esclusione della causa di non punibilità in caso di continuazione di reati: in particolare, sarebbe indebolita la stessa portata del beneficio ex art. 81 comma 2 c.p., atteso che la medesima progettualità criminosa – individuando un unico momento in cui il soggetto agente si pone contro l'ordinamento e risultando i vari illeciti espressione di momenti prettamente esecutivi di quella deliberazione anticipata – sarebbe da un lato foriera dell'applicazione del beneficio sul piano dell'unificazione sanzionatoria ma osterebbe dall'altro all'esclusione della punizione (Cass. pen., sez. II, 10 settembre 2019, n. 42579; Cass. pen., sez. II, 7 febbraio 2018, n. 9495).

Inoltre, emergerebbe una ingiustificata disparità di trattamento rispetto al concorso formale di reati, chiaramente suscettibile di riconoscimento dell'esimente (in quanto non annoverabile in alcun modo tra i fattori ostativi), che di fatto presenta tratti somatici analoghi alla figura del reato continuato, fondandosi su un'unica volontà criminosa che si materializza nella commissione di più reati (Cass. pen., sez. V, 26 marzo 2018, n. 32626; Cass. pen., sez. III, 8 ottobre 2015, n. 47039).

Le riflessioni che precedono spianerebbero la strada alla astratta compatibilità tra i due istituti, poiché non potrebbe sostenersi l'automatica traduzione degli illeciti posti in continuazione nella serialità dell'attività criminosa o nell'abitudine del soggetto agente a violare la legge, essendo rimessa al giudice la valutazione su questa tendenza o inclinazione al crimine. Occorrerebbe dunque valutare il fatto nella sua globalità, avuto riguardo ai precedenti penali e giudiziari, alla natura degli illeciti unificati, alla loro gravità, alle modalità esecutive della condotta, all'intensità dell'elemento psicologico, al numero delle disposizioni di legge violate, alla durata temporale della violazione, agli interessi tutelati, ai motivi a delinquere (Cass. pen., sez. II, 27 gennaio 2020, n. 11531; Cass. pen., sez. II, 29 marzo 2017, n. 19932)

Di tale disputa giurisprudenziale ha recentemente dato atto la quinta Sezione della Corte di cassazione con l'ordinanza 8 ottobre 2021, n. 38174, con la quale la questione è stata rimessa alle Sezioni unite. Le stesse, con decisione di cui allo stato è stata resa nota soltanto l'informazione provvisoria, hanno statuito che «la pluralità di reati unificati nel vincolo della continuazione può risultare ostativa alla esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p. non di per sé, ma soltanto se è ritenuta, in concreto, dal giudice idonea ad integrare una o più delle condizioni previste tassativamente dalla suddetta disposizione per escludere la particolare tenuità dell'offesa o per qualificare il comportamento come abituale» (Cass. pen., sez. un., 27 gennaio 2022, informazione provvisoria).

In conclusione

Si nota come la giurisprudenza abbia nel tempo assunto posizioni più chiare e nette sul fattore ostativo della pluralità dei reati della stessa indole, mentre è risultata maggiormente divisa sul problema del riconoscimento della causa di non punibilità nel caso in cui il singolo reato al vaglio nel procedimento penale assuma l'etichetta dogmatica di reato di durata.

Infatti, in questo caso, unanimità di vedute si riscontra con riferimento ai reati abituali e a quelli a consumazione prolungata; massimamente controversa resta, a parere di chi scrive, la compatibilità tra continuazione di reati e art. 131-bis c.p. in quanto – sebbene allo stato occorra attendere le motivazioni delle Sezioni unite – si scorge ex ante la difficoltà di escludere la continuazione diacronica dal campo delle condotte plurime, abituali e reiterate, nonché di far rientrare la pluralità di illeciti commessi in tempi apprezzabilmente diversi nella nozione di occasionalità del reato.

Residua la categoria del reato permanente, sulla quale la Corte di legittimità non pare aver manifestato dubbi in ordine alla sua perfetta compatibilità con la particolare tenuità del fatto, sebbene la compressione prolungata del bene giuridico possa di fatto dipendere da una sequela di condotte, naturalisticamente percepibili, utili a protrarre l'effetto antigiuridico.

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