La liquidazione del danno morale prescinde dalla durata della sopravvivenza: possibili riflessi sui criteri di liquidazione tabellari e giurisprudenziali

Ludovico Berti
03 Maggio 2022

La Cassazione precisa che nella liquidazione del danno da sofferenza soggettiva non si deve tener conto della durata della sopravvivenza. Tale principio, unitamente agli altri che sono stati recentemente affermati a sostegno dell'autonomia di tale danno, possono mettere in discussione la tenuta dei criteri previsti per la liquidazione del danno non patrimoniale, del danno da premorienza, del danno parentale e di quello terminale.
Introduzione

La recente decisione della Sesta Sezione dalla Cassazione civile n. 12060 del 13 aprile 2022, ha affrontato il tema della rilevanza della durata della vita con riferimento alla liquidazione del danno da sofferenza soggettiva, affermando che, contrariamente al danno alla salute cd. biologico che attenendo alle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato destinate a proiettarsi nel futuro, soggiace ad un criterio di liquidazione che tiene necessariamente conto della durata effettiva della vita del soggetto, la sofferenza patita dalla sfera morale del leso, si verifica nel momento stesso in cui l'evento dannoso si realizza, sicché nella sua liquidazione si deve far riferimento al momento dell'evento dannoso ed alle caratteristiche indicate, mentre non vi incidono fatti ed avvenimenti successivi, quali la morte del soggetto leso.

Ne consegue che il riferimento “alla durata della sofferenza” che sovente si legge nelle decisioni che affrontano il tema della personalizzazione del danno da sofferenza soggettiva (v. fra le varie Cass. 21060/2016; Cass. 16993/2015; Cass. Sez. Lav. 2251/2012; Cass. sez. lav. 1072/2011), “non deve intendersi come correlato alla permanenza in vita del danneggiato, ma quale parametro dell'intensità, e cioè dei termini nei quali la sofferenza è rimasta permanente nel tempo o ha subito evoluzioni”, dovendosi escludere “che il valore dell'integrità morale possa stimarsi in una mera quota minore del danno alla salute” e di poter ricorrere “a meccanismi semplificativi di tipo automatico”, come a suo tempo sancito dalla richiamata Cass. 1361/2014.

Ponendosi in continuità con la importante decisione della Terza Sezione della Cassazione n. 25164 del 2020 (oggetto anche del Focus L. BERTI, “Liquidazione del danno non patrimoniale: le nuove istruzioni della cassazione sull'uso della tabella di Milano”) la Sesta Sezione, ribadisce “la non più discutibile diversa ontologia” del danno morale rispetto al danno alla salute che, quale massima espressione della dignità umana, deve liquidarsi secondo “un attendibile criterio logico-presuntivo” che si fondi sulla “corrispondenza, su di una base di proporzionalità diretta, della gravità della lesione rispetto all'insorgere di una sofferenza soggettiva” giacché tanto più grave risulterà “la lesione della salute, tanto più il ragionamento inferenziale consentirà di presumere l'esistenza di un correlato danno morale inteso quale sofferenza interiore, morfologicamente diversa dall'aspetto dinamico relazionale conseguente alla lesione della stessa”.

Considerazioni

Da questa decisione, e da altre che, più o meno, recentemente hanno riguardato il danno da sofferenza soggettiva, per altro in parte richiamate in motivazione (v. Cass. 1361/2014; Cass. 25164/2020), emergono i seguenti principi:

  • esiste una ontologica differenza fra danno da sofferenza soggettiva e danno alla salute dinamico-relazionale alla quale conseguono diversi criteri di accertamento e di liquidazione (Cass. 12060/2022; Cass. 7513/2018);
  • è in contrasto con l'art. 1226 c.c., la postulazione di una funzione decrescente del risarcimento, essendo il danno biologico permanente, per sua stessa definizione, destinato a rimanere stabile nel tempo a differenza di quello da sofferenza che, comunque entro certi limiti, può affievolirsi grazie alla capacità di adattamento dell'essere umano (Cass. 41933/2021).
  • il valore del danno da sofferenza soggettiva prescinde dalla durata effettiva della sopravvivenza (n. 12060/2022);
  • la liquidazione del danno da sofferenza soggettiva avviene attraverso un criterio logico-presuntivo proporzionale alla gravità della lesione (Cass. 25164/2020);
  • il valore della sofferenza soggettiva non può essere stimato in una mera quota minore del danno alla salute (Cass. 1361/2014; SSUU 26972/2008);
  • nella liquidazione del danno da sofferenza soggettiva non è possibile ricorrere a meccanismi semplificativi di tipo automatico (Cass. 1361/2014; SSUU 26972/2008);
  • con riferimento alla liquidazione del danno non patrimoniale, la tabella di Milano ha efficacia paranormativa, concretizzando il criterio della liquidazione equitativa di cui all'art. 1226 c.c. (Cass. n. 12060/2022; Cass. 25164/2020).

Se questi sono i principi che la Cassazione ha sviluppato con riferimento al danno da sofferenza soggettiva è opportuno verificarne la compatibilità con i criteri di liquidazione di formazione pretoria e giurisprudenziale maggiormente in uso presso i nostri tribunali.

I.- Il danno non patrimoniale alla salute

La decisione della Cass. n. 12060/2022 conferma la funzione paranormativa della tabella milanese con riferimento al danno non patrimoniale che, tra l'altro, dopo la pubblicazione di Cass. 25164/2020, ha subito una rivisitazione grafica che ne ha reso ancora più facile l'applicazione alla luce della sancita autonomia del danno da sofferenza soggettiva.

Nessun dubbio può quindi sussistere sulla prevalenza del criterio meneghino nella liquidazione di tale danno.

Tuttavia, se si considera che la recente sentenza pur postulando la supremazia della tabella di Milano nella liquidazione del danno non patrimoniale, esclude la rilevanza della durata effettiva della vita nella liquidazione del danno da sofferenza e richiama Cass. 1361/2014 laddove esclude che tale danno possa essere liquidato in una mera quota del danno alla salute, alcuni dubbi surgono sulla compatibilità di tali principi con i criteri tabellari, in ragione delle contraddizioni che tali affermazioni di principio sembrano contenere.

Prima fra tutte, escludere la liquidazione del danno da sofferenza come mera quota del danno alla salute, se è concettualmente accettabile e comprensibile in ragione dell'autonomia accertativa e liquidativa sancita dalla Cassazione, rischia di porre in discussione in criterio tabellare dove, nel rispetto di quanto postulato dalla lett. e), secondo comma dell'art. 138 Cod. Ass., il danno da sofferenza è liquidato in una quota del danno biologico.

Inoltre, il fatto che la liquidazione di tale danno sia comunque collegata a quella del danno alla salute, che attenendo alla sfera dinamico-relazionale tiene imprescindibilmente conto della durata presunta o effettiva della vita, comporta che applicando la tabella, anche la liquidazione del danno da sofferenza in una percentuale del biologico, sia di riflesso collegata a tale parametro, ponendosi in contrasto con il principio affermato da Cass. n. 12060/2022 che vede la sofferenza scollegata dal dato temporale.

Da una parte, quindi, si rinnova la “fiducia” alla Tabella di Milano per la liquidazione del danno non patrimoniale e, dall'altra, si affermano principi in apparente contrasto con il criterio liquidativo in essa contenuto.

II.- Il danno da sofferenza soggettiva

La recente decisione della Cass. n. 12060/2022 richiamando il precedente n. 25164/2020, stabilisce che il danno da sofferenza soggettiva venga liquidato attraverso l'utilizzo di un criterio logico-presuntivo che quale elemento noto da utilizzare nel ragionamento inferenziale assuma la “gravità della lesione” giacché più è grave la lesione, più è possibile presumere che la vittima abbia sofferto.

Nulla di nuovo rispetto al precedente del 2020 ma non si può negare l'affermazione di criteri di accertamento e liquidazione del danno da sofferenza che ancora una volta “dipendono” dal danno alla salute, nonostante se ne affermi l'ontologica differenza.

Inoltre, la decisione del 2020 richiama anche il notorio e le massime di esperienza elevandole, assieme alle presunzioni, a prove principe del danno da sofferenza che però, anche se liquidato in funzione della gravità della lesione ed in una percentuale (=quota) del danno dinamico-relazionale, e quindi contrariamente ai principi oggi sanciti dalla giurisprudenza, non deve soggiacere a “meccanismi semplificativi di tipo automatico”.

E' evidente come sia complicato sostenere la non automaticità del danno da sofferenza in presenza di una grave lesione se non si conferisce il giusto valore alle allegazioni di parte che, in un sistema così congegnato, rappresentano il discrimen fra un danno-evento ed un danno-conseguenza, poiché dobbiamo ritenere che, a prescindere della gravità della lesione, il presupposto per poter consentire al giudicante di presumere la presenza e l'entità della sofferenza, non è tanto la richiesta di parte (senza la quale non è neppure dato discorrere), ma la specifica e puntuale allegazione delle conseguenze sofferenziali interiori ed esteriori.

Senza la corretta e tempestiva attività allegativa di parte, il riconoscimento del danno da sofferenza soggettiva pur in presenza di una grave lesione idonea a sostenere la prova presuntiva di un importante pregiudizio, non può che concretizzarsi in un automatico riconoscimento del danno da sofferenza e quindi nell'ammissione di un danno in re ipsa contrario quindi ai principi probatori che governano il risarcimento del danno.

III.- Il danno da premorienza

La recente sentenza della Terza Sezione della Cassazione n. 41933 del 2021 ha bocciato il criterio di liquidazione del danno da premorienza, ossia subito da un soggetto che deceda per cause diverse dalla lesione prima di ottenere la liquidazione del risarcimento, previsto dalla Tabella di Milano, preferendo una liquidazione che si fonda su di un criterio proporzionale perché più idoneo a garantire uguali importi risarcitori in situazioni caratterizzate da periodi di sopravvivenza uguali (per un approfondimento si rinvia al Focus LINK L. BERTI, “Morte non causata dalle lesioni: i criteri di liquidazione del danno da premorienza fra tabelle pretorie e principi giurisprudenziali, in questa rivista).

Se i principi affermati dalla citata sentenza vengono letti insieme a quelli affermati dalla recente Cass. n. 12060/2022, si potrebbe giungere a ritenere che il criterio proporzionale postulato dalla Suprema Corte valga solamente per liquidare il danno dinamico-relazionale cd. biologico e non per il diverso danno da sofferenza che, quale autonomo pregiudizio, se allegato, viene accertato secondo uno schema logico presuntivo e liquidato, ad equità, in proporzione alla gravità della lesione.

È evidente infatti che ogni criterio esistente per la liquidazione del danno da premorienza, proporzionale compreso, tiene conto della durata effettiva della vita e quindi di quell'elemento dal quale, secondo la Suprema Corte, si deve prescindere nella liquidazione del danno da sofferenza.

IV.- Il danno terminale

I criteri tabellari previsti dalla Tabella di Milano per la liquidazione del danno terminale, che come paventato nel citato Focus sul danno da premorienza, alla luce di Cass. 41933/2021 soffrono già della previsione di un risarcimento in funzione decrescente con il passare del tempo, appaiono ancor più messi in crisi dalla recente Cass. n. 12060/2022 che:

  1. sancendo l'ontologica differenza fra danno da sofferenza e danno dinamico-relazionale, escludendo la liquidazione del danno da sofferenza in una mera quota del danno alla salute e il ricorso a meccanismi semplificativi automatici di liquidazione, implicitamente boccia l'unitarietà posta alla base dello schema tabellare (peraltro contraria al dettato delle SSUU 15350/2015);
  2. scollegando la liquidazione del danno da sofferenza alla durata della sopravvivenza implicitamente sconfessa la durata limitata a 100 giorni che la tabella meneghina prevede come durata massima di tale danno;

Alla luce di tali considerazioni, è forse il caso di ipotizzare come corretta una liquidazione disgiunta del danno biologico terminale e di quello da sofferenza soggettiva (catastrofale o da lucida agonia che dir si voglia), il primo secondo la tabella di Milano ed il secondo non come sua quota ma ad equità ed in proporzione alla gravità della lesione o meglio, in questo caso, dell'intensità e durata della sofferenza, (quest'ultima però intesa come precisato da Cass. n. 12060/2022 quale parametro della prima “e cioè dei termini nei quali la sofferenza è rimasta permanente nel tempo o ha subito evoluzioni”)?

V.- Il danno da perdita di congiunto

Le affermazioni di principio della Cassazione, a ben vedere, possono comportare riflessi anche nei confronti dei criteri a punti ritenuti validi dalla stessa giurisprudenza per la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale (Cass. 10579/2021; Cass. 7770/2021; Cass. 33005/2021; Cass. 26300/2021), visto che l'attribuzione del punteggio avviene in modo decrescente con il crescere dell'età sulla base della logica considerazione che più avanti con l'età si è, minore sarà il periodo di vita residua con il quale si dovrà convivere con il pregiudizio conseguente alla perdita.

Non può quindi negarsi che, anche in questo caso, la liquidazione del danno da sofferenza viene di riflesso collegata alla durata ipotetica della sopravvivenza tanto che sono molteplici le decisioni, che da oggi dovremmo considerare errate perché in violazione dell'art. 2059 c.c., che ne diminuiscono l'entità in ragione del fatto che il superstite sia deceduto prima della liquidazione del danno parentale, quanto affermato dalla recente Cass. n. 12060/2022 (per ora pressoché isolata) può condurre a ritenere che il danno da sofferenza per la perdita del rapporto parentale, prescindendo dalla durata effettiva della vita, comporta che il pregiudizio subito da un novantottenne per la perdita del figlio sessantacinquenne debba ritenersi equivalente a quello subito dal sessantenne per la perdita del figlio quindicenne.

Conclusioni

Il processo giurisprudenziale che la Suprema Corte di Cassazione ha intrapreso dal 2018 finalizzato a ridare autonoma dignità accertativa e liquidativa al danno da sofferenza soggettiva per correggere gli errori applicativi dei principi sanciti dalle ormai storiche Sezioni Unite di San Martino del 2008 compiuti nel successivo decennio, anche con la complicità della Tabella milanese che ne ha inglobato il valore in quello del danno biologico, è ormai sfociato in principi da tutti recepiti e che potremmo definire pacifici.

Una volta postulata l'autonomia del danno da sofferenza soggettiva, la questione è quella di capirne la compatibilità con i criteri di accertamento e liquidazione maggiormente in uso rappresentati dalle Tabelle di Milano che, sentenza dopo sentenza, stanno subendo attacchi su ogni fronte, attraverso l'affermazione di principi che rischiano di condurre alla capitolazione delle tabelle più diffuse in Italia e non tanto con riferimento al danno non patrimoniale alla salute che anzi, dopo aver recepito i suggerimenti di Cass. n. 25164/2020, sembra ancora ricevere l'avvallo della Suprema Corte, quanto piuttosto con riferimento agli altri danni in cui la componente morale assume un importante valore, come il danno parentale, quello da premorienza e, probabilmente, anche quello terminale.

Infatti, se il criterio meneghino del danno parentale è stato definitivamente cassato per prevedere una forbice talmente ampia da non garantire una sua omogenea applicazione nei vari fori italiani e quello sul danno da premorienza è stato bocciato (da un indirizzo ancora minoritario) perché sarebbe inidoneo a garantire uguali risarcimenti ad uguali sopravvivenze, è intuibile, visti i principi di diritto affermati, un prossimo attacco alla tabella sul danno terminale.

Sia chiaro, non si intende in alcun modo criticare il percorso giurisprudenziale intrapreso dalla Suprema Corte che è pregevolmente volto a creare un sistema che consenta una più ragionata ponderazione dei pregiudizi lesi grazie ad una più attenta attività di tutti i soggetti coinvolti, ma l'attacco ai criteri maggiormente in uso nel nostro paese senza una chiara e certa alternativa rischia di aggravare ancor di più la diversa ma ugualmente importante problematica che la pluralità di criteri risarcitori comporta, rappresentata dalla disomogeneità delle decisioni.

Ad oggi, vista l'assenza di criteri di legge certi e la coesistenza di diverse tabelle di stampo pretorio e di criteri giurisprudenziali, si ha che il danno non patrimoniale alla salute soggiace al criterio meneghino, quello parentale è riconducibile al criterio di cui alla tabella romana, il danno da premorienza al criterio proporzionale di stampo giurisprudenziale e quello terminale non si sa, con il dubbio se il danno da sofferenza soggettiva sia già compreso nelle relative liquidazioni tabellari o, come sembra sempre di più delinearsi quanto meno con riferimento al danno da sofferenza soggettiva cd. “pura”, soggiaccia ad una liquidazione extratabellare ad equità.

Un tale quadro, che costringe gli interpreti a districarsi fra criteri risarcitori disomogenei, comporta il rischio di condurre il sistema risarcitorio nell'incertezza e cioè a decisioni difformi rispetto a casi analoghi, e quindi a situazioni contrarie al principio di equità, e richiederebbe, ancora una volta, l'intervento nomofilattico delle Sezioni Unite.