Sì alla continuazione fra appropriazione indebita e bancarotta fraudolenta (sempre che non si tratti di condotte identiche)

17 Maggio 2022

In sede di incidente di esecuzione, quando si debba valutare il riconoscimento di una continuazione fra condotte di appropriazione indebita e successivi fatti di bancarotta commessi ai danni della medesima persona giuridica, il giudice deve valutare la distanza cronologia dei fatti...
Massima

In sede di incidente di esecuzione, quando si debba valutare il riconoscimento di una continuazione fra condotte di appropriazione indebita e successivi fatti di bancarotta commessi ai danni della medesima persona giuridica, il giudice deve valutare la distanza cronologia dei fatti – prendendo tuttavia in considerazione, con riferimento ai reati di bancarotta, il momento in cui le condotte delittuose sono state tenute e non quando è intervenuta la dichiarazione di fallimento – nonché il comune danno patrimoniale e l'identità del contesto caratterizzato dall'attività imprenditoriale svolta, procedendo (non ad una considerazione parcellizzata di ciascun elemento, ma) ad una valutazione complessiva di tutti i dati disponibili (rammentando altresì come il legislatore con la previsione di cui all'art. 219, comma 2 n. 1, R.D. n. 267 del 1942 abbia espresso un tendenziale favore per il riconoscimento di una continuazione fra i diversi fatti illeciti posti in essere in una medesima procedura).

Il caso

In sede in indagini, il GIP del Tribunale di Milano respingeva la richiesta per il riconoscimento di una continuazione tra i reati giudicati con diverse sentenze relative a due reati di appropriazione indebita, commessi in danno di due diverse società, mediante ripetute condotte commesse, nel primo caso, tra il 22 luglio e il 18 novembre 2011 e, nel secondo caso, tra il 25 gennaio 2011 e il 31 maggio 2012; la seconda sentenza, pronunciata ai sensi dell'art. 444 c.p.p., concerneva condotte di bancarotta in relazione al fallimento di una delle due società già danneggiate dalla condotta di appropriazione indebita, dichiara fallita il 26 novembre 2015. Le ragioni del rigetto erano rinvenute nell' ampio distacco cronologico tra le condotte di appropriazione e la dichiarazione di fallimento, nell'assenza di elementi che consentissero di ritenere che già all'epoca delle condotte di appropriazione indebita il condannato avesse preordinato di alterare o sottrarre la contabilità per impedire la successiva ricostruzione del movimento degli affari né di non impedire l'aggravarsi del dissesto; inoltre, il giudice dell'esecuzione aveva evidenziato come la parte, pur potendolo, non aveva avanzato nel secondo giudizio di cognizione l'istanza di riconoscimento della continuazione con il reato già giudicato e, pur gravata da onere di allegazione di specifici elementi a sostegno dell'istanza, si era limitata "ad una pedissequa elencazione di elementi oggettivi".

In sede di ricorso per cassazione la difesa chiedeva l'annullamento dell'impugnata ordinanza sostenendo che il giudice non aveva adeguatamente valutato come il dato cronologico relativo alla vicinorietà delle vicende andasse valutato in riferimento all'epoca di commissione delle condotte che costituiscono l'elemento oggettivo dei reati di appropriazione e fallimento e non con riferimento alla data della sentenza di fallimento. Dagli atti di indagine, e dalla relativa sentenza, in ordine ai reati fallimentari era desumibile che la mancata tenuta delle scritture contabili era iniziata contestualmente alle condotte di appropriazione indebita, che, nel procedimento per bancarotta, erano state qualificate come operazioni dolose di distrazione; nel procedimento per bancarotta, infatti, l'imputazione relativa alle condotte distrattive era stata stralciata e trattata in diverso procedimento definito con sentenza di non doversi procedere per bis in idem.

Le questioni giuridiche

La procedura per il riconoscimento della continuazione in fase esecutiva è prevista dall'art. 671 c.p.p., il quale nel corso del tempo è stato interpretato in senso sempre più ampio dalla giurisprudenza.

Ad esempio, è pacifico che la clausola di salvezza relativa alla pronuncia negativa del giudice di merito opera solo ed esclusivamente quando il giudice in sede cognitiva abbia affrontato ed escluso ex professo la sussistenza della unicità del disegno criminoso (Cass., Sez. VI, 6 novembre 2003, Provenzano, in Mass. Uff., n. 227345) per cui il mancato esame nel merito della sussistenza del reato continuato non comporta giudicato negativo sul punto (di contro, la pronuncia del giudice dell'esecuzione di rigetto di richiesta di applicazione della continuazione preclude la riproposizione della richiesta, quand'anche limitata ad alcuni soltanto dei reati considerati dalla pronuncia (Cass., Sez. I, 3 marzo 2011, D.M., in Mass. Uff., n. 249913. Secondo GAITO, Concorso formale e reato continuato nella fase dell'esecuzione penale, in Riv. It. Dir. Pen. Proc., 1989, 1003, “l'omissione della decisione ... non equivale ad esclusione dell'esistenza del medesimo disegno criminoso; inoltre, poiché il silenzio è di per sé equivoco e non può essere interpretato a capriccio, è da ritenere che soltanto ad una statuizione negativa espressa possa essere ricollegata la preclusione ad ulteriori rivalutazioni della vicenda”).

Inoltre, si tende a consentire al giudice dell'esecuzione di conoscere - ai soli fini della verifica del preteso disegno criminoso - fatti e circostanze ulteriori rispetto a quelle conosciute e considerate in sede cognitiva. Toni e contenuti dell'art. 671 in parola d'altronde riconoscono al giudice dell'esecuzione la possibilità di applicare la disciplina del concorso formale o del reato continuato e quindi gli consentono di rivalutare i singoli fatti-reato già definitivamente giudicati, considerando nuovamente, da un angolo prospettico limitato, i singoli crimina che l'istante assume legati da un vincolo psicologico e teleologico.

Quanto al presupposto per il riconoscimento della continuazione, ovvero la sussistenza in capo al responsabile di un medesimo disegno criminoso, si è precisato che “la mera inclinazione a reiterare violazioni della stessa specie, anche se dovuta ad una determinata scelta di vita, o ad un programma generico di attività delittuosa da sviluppare nel tempo secondo contingenti opportunità, non integra di per sè l'unitaria e anticipata ideazione di più condotte costituenti illecito penale, già insieme presenti alla mente del reo, che caratterizza l'istituto disciplinato dall'art. 81, secondo comma, cod. pen. (Cass., sez. I, 24 settembre 2014, n. 39222, in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi la sentenza impugnata che aveva escluso la continuazione tra i reati di tentato omicidio e di maltrattamenti commessi nei confronti di due diverse donne con le quali l'imputato intratteneva parallele relazioni sentimentali, entrambe caratterizzate da comportamenti vessatori e violenti).

Con riferimento agli indici probatori rivelatori della sussistenza del requisito in discorso, si è precisato che “l'omogeneità delle violazioni e la contiguità temporale di alcune di esse, seppure indicative di una scelta delinquenziale, non consentono, da sole, di ritenere che i reati siano frutto di determinazioni volitive risalenti ad un'unica deliberazione di fondo (Cass., sez. III, 20 novembre 2013, n. 3111, relativa ad una pluralità di delitti di violenza sessuale e atti sessuali con minorenni, nella quale la Corte ha ritenuto immune da censure l'esclusione del medesimo disegno criminoso fondata sull'approfittamento da parte dell'imputato delle occasioni fornitegli dai diversi e distinti rapporti di conoscenza con i padri delle vittime). Nel deliberare in ordine al riconoscimento della continuazione il giudice deve verificare che i reati siano frutto della medesima, preventiva risoluzione criminosa, tenendo conto se l'imputato, in concomitanza della relativa commissione, era tossicodipendente, se il suddetto stato abbia influito sulla commissione delle condotte criminose alla luce di specifici indicatori quali a) la distanza cronologica tra i fatti criminosi; b) le modalità della condotta; c) la sistematicità ed abitudini programmate di vita; d) la tipologia dei reati; e ) il bene protetto; f) l'omogeneità delle violazioni; g) le causali; h) lo stato di tempo e di luogo; i) la consumazione di più reati in relazione allo stato di tossicodipendenza (ex multis, Cass., sez. II, 21 dicembre 2012, n. 49844).

Quanto alla distanza temporale fra i delitti da ritenere avvinti dal vincolo della continuazione, si ritiene che “l'elevato arco di tempo all'interno del quale sono stati commessi più reati (nella specie, dieci anni) non esime il giudice dall'onere di verificare se la continuazione possa essere riconosciuta con riferimento a singoli gruppi di reati commessi, all'interno di tale arco, in epoca contigua, tenuto conto degli ulteriori indici rappresentati dalla similare tipologia, dalle singole causali e dalla contiguità spaziale. (In Cass., sez. I, 18 febbraio 2019, n. 7381 la Corte ha precisato che l'esigenza di tale verifica sussiste se e nei limiti in cui l'interessato abbia dedotto l'evenienza del medesimo disegno criminoso anche per singoli gruppi di reati, enucleandoli ed allegando gli indici rivelatori della corrispondente continuazione parziale).

Osservazioni

Il ricorso è stato accolto con annullamento, con rinvio, dell'ordinanza impugnata.

La sentenza, prima di esaminare il caso di specie, richiama i principi che presiedono al giudizio sulla continuazione, ricordando come nel procedimento ai sensi dell'art. 671 c.p.p. al giudice dell'esecuzione sia demandato un giudizio, proprio della sede di cognizione, in ordine alla riconducibilità dei reati oggetto della istanza ad un comune disegno criminoso.

Quanto alla nozione di "medesimo disegno criminoso", la sentenza lo definisce come la “rappresentazione, in capo al soggetto agente, della futura commissione dei reati, e dunque di elemento, che attiene alla sfera psicologica del soggetto, risalente a un momento precedente la commissione del primo fra i reati della serie considerata”. E' proprio l'esistenza di un tale unitario momento deliberativo di più reati che giustifica un trattamento sanzionatorio più favorevole e discrezionalmente determinato, non secondo i limiti edittali individuati da ciascuna fattispecie incriminatrice, bensì nel rispetto delle regole di cui all'art. 81 c.p..

Quanto al contenuto della rappresentazione delle future condotte criminose, va osservato che, da una parte, non può riguardare una scelta di vita, che implica la reiterazione di determinate condotte criminose, né una generale tendenza a porre in essere determinati reati: la dedizione al delitto, il ricorso abituale ai proventi dell'attività criminosa e la soggettiva inclinazione a commettere gravi delitti dolosi sono connotazioni proprie del profilo soggettivo del reo che determinano, ai sensi degli artt. 102-108 c.p., un più grave trattamento sanzionatorio, e quindi risultano incompatibili con l'istituto della continuazione fra reati. Dall'altra, la nozione di continuazione non può ridursi all'ipotesi che tutti i singoli reati siano stati dettagliatamente progettati e previsti, in relazione al loro graduale svolgimento, nelle occasioni, nei tempi, nelle modalità delle condotte, giacché siffatta definizione di dettaglio, oltre a non apparire conforme al dettato normativo - che parla soltanto di "disegno" - e a non risultare necessaria per l'attenuazione del trattamento sanzionatorio, non considera la variabilità delle situazioni di fatto e la loro prevedibilità normalmente solo in via di larga approssimazione.

Alla luce di ciò, la decisione in parola riconosce come sufficiente, per applicare il disposto di cui all'art. 81 c.p., la sussistenza di una programmazione e deliberazione iniziale di una pluralità di condotte delineate ("disegnate") in vista di un unico fine. La programmazione può essere, perciò, ab origine anche priva di specificità, purché i reati da compiere risultino previsti almeno in linea generale - con l'inevitabile riserva di "adattamento" alle eventualità del caso - come mezzo diretto al conseguimento di un unico scopo o intento, parimenti prefissato e sufficientemente specifico (nello stesso senso, Corte cost., sentenza n. 183 del 2013 secondo cui il giudizio sulla continuazione fra reati richiede sia accertato che il soggetto agente, prima di dare inizio alla serie criminosa, abbia avuto una rappresentazione, almeno sommaria, dei reati che si accingeva a commettere e che detti reati siano stati ispirati ad una finalità unitaria).

Quanto all'accertamento circa l'esistenza di questo momento ideativo e deliberativo comune a più reati occorre far riferimento ai principi ed alla normativa in tema di prova indiziaria. In particolare, andranno considerati il contesto di tempo e di luogo, le modalità esecutive, la comunanza di correi, il bene giuridico, in una valutazione analitica, quanto alla specifica rilevanza di ciascuno, e complessivo, ed al contempo unitaria.

Quanto alla ripartizione dell'onere probatorio nel giudizio ai sensi dell'art. 671 c.p.p., è ricorrente in giurisprudenza l'affermazione secondo cui l'istante, in sede esecutiva, avrebbe l'onere di allegare gli elementi che dovrebbero fondare il riconoscimento della continuazione anche in considerazione della circostanza che l'accertamento circa il momento ideativo e deliberativo del reato è spesso, in ragione della sua non rilevanza, trascurata nell'accertamento di merito, per cui è interesse della parte rappresentare ed evidenziare al giudice gli elementi significativi – che non risultano dalle decisioni da eseguire - dell'esistenza di un disegno criminoso comune a più reati. Tuttavia, secondo la decisione in esame, nel caso di specie non si è di fronte ad un vero e proprio onere probatorio, bensì di un mero interesse della parte con la conseguenza che l'inerzia di questa circa l'allegazione di elementi specifici a sostegno dell'istanza non può, di per sé, essere valorizzata dal giudice in senso negativo all'accoglimento della stessa.

Quanto ai rapporti fra la decisione di merito e la definizione della questione in oggetto in sede esecutiva, come è noto l'art. 671 c.p.p. prevede che la continuazione possa essere riconosciuta dal giudice dell'esecuzione "sempre che la stessa non sia stata esclusa dal giudice della cognizione". Questa previsione, tuttavia, va letta nel senso di consentirne l'applicazione solo in presenza di un'espressa pronuncia negativa circa la sussistenza della continuazione: infatti, anche se il giudice della cognizione può riconoscere d'ufficio la continuazione tra il reato rimesso alla sua cognizione e altro per cui l'imputato ha riportato in precedenza condanna divenuta definitiva, il giudicato si forma solo in relazione alle questioni decise dal giudice, e non anche in ordine alle questioni che non sono state devolute alla cognizione del giudice e che questi, pur potendole decidere d'ufficio, non ha esaminato, con la conseguenza che il silenzio sul punto non rileva ai sensi dell'art. 671 c.p.p. e quindi, anche ove fosse stato possibile, la mancata prospettazione dell'unitarietà del disegno criminoso in sede di cognizione non costituisce indice negativo della sua esistenza, che può essere quindi riconosciuta nella fase esecutiva.

Quanto alle scelte processuali compiute dalla difesa nel giudizio di cognizione - come il silenzio tenuto in ordine a dati fattuali che potrebbero essere rilevanti al fine del riconoscimento della continuazione ovvero la scelta di non formulare la richiesta ai sensi dell'art. 81 cod. pen. con riguardo a reati già giudicati -, le stesse non costituiscono di per sé dati rilevanti nel giudizio sulla continuazione, trattandosi di scelte dettate dall'interesse difensivo nel giudizio di cognizione, anche se il giudice dell'esecuzione deve fondare il proprio giudizio sulla base di quanto accertato nei giudizi di cognizione e quindi quelle scelte difensive possono incidere sulla formazione dei dati valutabili nel giudizio ai sensi dell'art. 671 c.p.p..

La Corte ritiene che a nessuno di questi principi si fosse adeguato il giudice di merito. Quanto all'onere probatorio, rilevanti nella definizione dell'ambito del giudizio richiesto al giudice dell'esecuzione, il provvedimento impugnato ha esplicitamente affermato esservi a carico della parte l'onere di provare l'identità del disegno criminoso comune a tutti i reati, onere che la giurisprudenza esclude, in coerenza con la natura del giudizio esecutivo che richiede l'iniziativa della parte, ma riserva al giudice un potere di iniziativa nell'istruzione probatoria, ove necessaria. L'illegittima impostazione metodologica seguita dal giudice dell'esecuzione è espressa anche dal rilievo negativo attribuito alla mancata richiesta della continuazione nel secondo giudizio di cognizione, successivo alla irrevocabilità della prima condanna e dalla negativa considerazione dei dati indicati nell'istanza originaria, i quali non erano stati valutati dal giudice che si era limitato ad esprimere un giudizio in ordine alla loro autonoma valenza probatoria.

Quanto alla valutazione del compendio probatorio, si conferma – in accordo con la difesa – che il dato cronologico è stato valutato in termini manifestamente illogici in quanto è stata considerata la data della sentenza di fallimento, che è un evento distinto e successivo, anche a notevole distanza di tempo, alla condotta dell'agente, mentre doveva essere considerata la data di commissione delle diverse condotte criminose. Quanto agli ulteriori elementi - concernenti il comune danno patrimoniale e l'identità del contesto caratterizzato dall'attività imprenditoriale svolta - il giudice dell'esecuzione ha espresso un giudizio negativo, a partire dalla considerazione parcellizzata di ciascun elemento, quando, invece, doveva essere compiuta una valutazione complessiva di tutti i dati disponibili. Viene fatto rilevare poi che il giudizio di "neutralità" del dato relativo all'attività imprenditoriale svolta - alcune condotte di appropriazione indebita erano state commesse quale presidente del consiglio di amministrazione della società poi fallita - non si confrontava con il parametro legale formulato dall'art. 219 legge fallimentare, laddove disciplina la così detta continuazione fallimentare, stabilendo che, qualora siano relative ad una medesima procedura fallimentare, ricorre la continuazione, in relazione alla quale la norma detta un trattamento sanzionatorio più favorevole rispetto alla previsione dell'art. 81 cod. pen., disciplina, si è precisato, applicabile sia nel giudizio di cognizione che in quello ai sensi dell'art. 671 c.p.p..

Conclusioni

Che fra i delitti di appropriazione indebita e bancarotta fraudolenta possa sussister il vincolo della continuazione è quasi scontato, tant'è che vi sono indici normativi che depongono nel senso di riconoscere che nell'ambito delle procedure concorsuali la realizzazione di plurime condotte di aggressione agli interessi dei creditori è la norma, come presupposto dalla previsione di cui all'art. 219 , comma 2 n. 1, R.D. n. 267 del 1942, non a caso citato nella pronuncia in esame (su questa disposizione, cfr. Cass., sez. V, 31 luglio 2003, n. 32254, secondo cui “in tema di reati fallimentari, diversi episodi di bancarotta nell'ambito dello stesso fallimento ben possono atteggiarsi quali segmenti di un più ampio comportamento distrattivo in un'articolata condotta criminosa, come previsto quoad poenam dall'art. 219 legge fall., che si connota di propria e diversificante autonomia tale da rendere impossibile il riscontro della coincidenza fattuale, che costituisce il presupposto dell'applicazione dell'art. 669 cod. proc. pen.), in quanto il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale ha natura di reato a condotta eventualmente plurima, che può essere realizzato con uno o più atti, senza che la loro ripetizione, nell'ambito dello stesso fallimento, dia luogo ad una pluralità di reati in continuazione, non venendo meno il carattere unitario del reato quando le condotte previste dall'art. 216 legge fall. siano tra loro omogenee, perché lesive del medesimo bene giuridico, e temporalmente contigue (Cass., sez. V, 9 aprile 2021, n. 13382, che ha ritenuto unitaria la condotta di reato consistita in plurimi atti di distrazione di liquidità di un istituto di credito, mediante finanziamenti o affidamenti con scoperto, realizzati in continuità nel periodo antecedente la dichiarazione di insolvenza).

Fondamentale per questo orientamento è la sentenza Cass., sez. Un., 26 maggio 2011, n. 21039 per un commento della quale si vedano FASANI, La pluralità dei fatti di bancarotta nel medesimo fallimento, in Dir. Pen. Proc., 2011, 1477; SANTORIELLO, Pluralità di fatti di bancarotta: dalle Sezioni Unite una ricostruzione completa, in Soc., 2011, 1196; MENARDO, Pluralità delle condotte di bancarotta: muta l'orientamento della giurisprudenza, in Giur. It., 2012, 905; CAPUTO, Pluralità dei fatti di bancarotta e ricadute processuali: l'intervento delle sezioni unite, in Cass. Pen., 2012, II, 831.

Va tuttavia precisato che un'ipotesi di continuazione fra fatti di appropriazione indebita e condotte di bancarotta relative alla medesima persona giuridica può riscontrarsi solo quando i comportamenti materiali siano diversi (ad esempio, la bancarotta sia contestata con riferimento alla distruzione o cattiva tenuta della contabilità ovvero in relazione alla fattispecie di causazione dolosa del dissesto di cui all'art. 223, comma 2 n. 2, R.D. n. 267 del 1942). Diversamente, il giudicato formatosi con riferimento al delitto di cui all'art. 646 c.p. è ostativo alla celebrazione di un secondo giudizio per la bancarotta patrimoniale e ciò in quanto la possibilità di leggere, nella bancarotta, un fatto diverso rispetto all'appropriazione, sulla base degli elementi identitari del reato, tradizionalmente compendiati nella triade condotta, nesso causale, evento è stata esclusa dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 200 del 2016 (Cass., sez. V, 6 giugno 2018, n. 25651, che ha superato il precedente orientamento secondo cui il giudicato formatosi sull'appropriazione indebita non era ostativo alla celebrazione di un secondo giudizio per la bancarotta patrimoniale in quanto alla apparente unicità della condotta non corrispondeva l'unicità del fatto giacché "anche se la condotta è unica gli eventi possono essere plurimi e possono dare ontologicamente luogo a fatti che possono essere separatamente perseguiti”).

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