Diritto alle origini

Sabina Anna Rita Galluzzo
18 Maggio 2022

L'autrice esamina la delicata questione dell'accesso alle proprie origini tra tutela della madre che ha deciso di non essere nominata e diritto del figlio alla propria identità personale.
Inquadramento

La legge 184/1983, “Diritto del minore a una famiglia”, come modificata dalla l.149/2001, riconosce al minore adottato il diritto a essere informato di tale sua condizione e di accedere, divenuto adulto, ai dati relativi all'identità dei suoi genitori d'origine (art.28).

È questo uno dei punti più innovativi e più discussi, introdotti dalla l.149/2001 che uniforma il nostro ordinamento alla Convenzione de L'Aja del 1993 (ratificata con l. 476/1998) sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale, secondo la quale le autorità competenti di ciascuno Stato contraente devono conservare con cura le informazioni in loro possesso sulle origini del minore, in particolare quelle relative all'identità della madre e del padre, e devono assicurare l'accesso del minore a tali informazioni, con l'assistenza appropriata (art. 30).

Ai sensi del citato art. 28 pertanto l'adottato, può accedere a informazioni che riguardano la sua origine e l'identità dei genitori biologici:

  • raggiunta l'età di venticinque anni,
  • raggiunta la maggiore età, se sussistono gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salute psico-fisica.

È necessaria comunque l'autorizzazione del Tribunale per i Minorenni che assume tutte le informazioni di carattere sociale e psicologico, al fine di valutare che l'accesso a tali dati non comporti grave turbamento all'equilibrio psico-fisico del richiedente. L'autorizzazione non è richiesta per l'adottato maggiore di età, quando i genitori adottivi sono deceduti o divenuti irreperibili.

Possono inoltre accedere alle informazioni concernenti l'identità dei genitori biologici:

  • i genitori adottivi, quali esercenti la responsabilità genitoriale su autorizzazione del tribunale per i minorenni, solo se sussistono gravi e comprovati motivi,
  • il responsabile di una struttura ospedaliera o di un presidio sanitario ove ricorrano i presupposti della necessità e della urgenza e vi sia grave pericolo per la salute del minore.
L'ordinamento internazionale

Il diritto di conoscere le proprie origini deriva direttamente dalla Convenzione sui diritti del fanciullo siglata a New York nel 1989 e ratificata dall'Italia con l.176/1991 che all'art. 7 stabilisce che il fanciullo ha diritto, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori ed a essere allevato da essi. La Convenzione stabilisce inoltre che gli Stati Parti si impegnano a rispettare il diritto del fanciullo a preservare la propria identità, ivi compresa la sua nazionalità, il suo nome e le sue relazioni famigliari, e che qualora un fanciullo sia illegalmente privato degli elementi costitutivi della sua identità o di alcuni di essi, gli Stati Parti devono concedergli adeguata assistenza e protezione affinché la sua identità sia ristabilita il più rapidamente possibile (art 8).

La volontà della donna di non essere nominata

L'aspetto più problematico si ha peraltro nel caso in cui la madre al momento del parto abbia dichiarato di non voler essere nominata. Il diritto di accesso alle informazioni relative ai genitori biologici infatti trova un limite nel diritto all'anonimato che la legge riconosce alla partoriente. In particolare il d.P.R. 396/2000 all'art. 30 stabilisce che quando la madre al momento del parto dichiara di non voler essere nominata le persone tenute ad effettuare la dichiarazione di nascita (uno dei genitori, un procuratore speciale, il medico, l'ostetrica o altra persona che ha assistito al parto), hanno l'obbligo di rispettare la sua volontà. Il codice in materia di dati personali (d.lgs 196/2003, art. 93) inoltre stabilisce all'art. 93 che le informazioni che rendono identificabile la madre non possono essere rilasciate se non sono trascorsi cento anni dalla formazione del certificato di nascita o di assistenza al parto.

Bilanciamento di interessi

La tematica coinvolge diversi e contrapposti interessi, tutti meritevoli di tutela, sul cui bilanciamento sono più volte intervenute dottrina e giurisprudenza. Da una parte si pone la donna e il suo diritto all'oblio, interpretato dalla giurisprudenza sia come diritto a essere dimenticata che come diritto a dimenticare (Cass. 7093/2022). Dall'altra parte peraltro vi è il diritto, sancito dalla legge, di colui che è stato abbandonato alla nascita di avere notizie sulle proprie origini. Quello all'identità personale è, sottolinea la giurisprudenza, un diritto fondamentale riconosciuto a ciascun essere umano, che segue innanzitutto una logica identitaria, ma può nascere anche da un bisogno di salvaguardia della salute e della vita del richiedente, sotteso alla necessità di individuare, ad esempio, particolari patologie di tipo genetico, per le quali sia necessaria un'anamnesi familiare (Cass. 22497/2021). Coinvolti in tale bilanciamento vi possono essere peraltro anche ulteriori ed eventuali figli o parenti della madre che potrebbero aver interesse a non veder turbata la vita familiare.

Non si dimentichi inoltre che scopo primario della norma che consente alla donna di non essere nominata in occasione del parto è, come ricordato anche dalla giurisprudenza, quello di contrastare la scelta abortiva (Cass.15024/2016).

L'intervento della CEDU

Fondamentale in tale contesto è stato un intervento della Corte europea dei diritti dell'uomo che ha condannato l'Italia dichiarando contraria alla Convenzione dei diritti umani una legislazione, che senza operare alcun bilanciamento di interessi, impedisce a chi è stato abbandonato alla nascita di conoscere le proprie origini (CEDU, 25 settembre 2012, G. c. Italia, ric. n. 33783).

I giudici europei in particolare sottolineano che l'Italia, offre alla madre un diritto ad un anonimato assoluto, diritto che lede il contrapposto diritto del figlio a conoscere le proprie origini violando così l'articolo 8 della Convenzione europea relativo alla tutela della vita privata e familiare. È invece necessaria, si precisa, una valutazione delle circostanze del caso e il raggiungimento di un giusto equilibrio tra i diritti contrapposti, evitando ogni automatismo.

La Corte costituzionale e l'interpello

Sulla spinta della giurisprudenza europea è intervenuta la Corte Costituzionale con una sentenza che ha mutato l'assetto legislativo. La Corte in particolare, dichiarando l'illegittimità costituzionale dell'art. 28 l. 184/1983, ha affidato al giudice, nel caso di richiesta del figlio, il compito, di interpellare la donna che abbia dichiarato di non voler essere nominata, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione. La Consulta in particolare ha sottolineato i profili di irragionevolezza nell'irreversibilità dell'anonimato della madre biologica, prevedendo la possibilità di un interpello di questa da attuarsi all'interno di un procedimento caratterizzato dalla massima riservatezza (Corte cost. 278/2013).

La giurisprudenza italiana

Successivamente a tale intervento la giurisprudenza ha riconosciuto l'obbligo per il giudice, di fronte al ricorso del figlio, di provvedere alla identificazione della madre biologica e all'interpello della stessa. La scelta del segreto sull'identità della madre, diviene così una scelta reversibile e non più assoluta. Si tratta però ancora di una scelta che riceve tutela dal nostro ordinamento, occorrendo sempre operare, come precisa la Cassazione, il giusto bilanciamento tra il diritto della madre all'anonimato ed il diritto del figlio a conoscere le proprie origini (Cass. 22497/2021).

Problematico peraltro è stato il fatto che alla sentenza della Corte Costituzionale citata non sono seguite le opportune modifiche legislative volte a specificare il procedimento che consenta alla donna, che ha partorito nell'anonimato, di revocare l'originaria dichiarazione.

In proposito è intervenuta la Corte di Cassazione a Sezioni Unite sottolineando che, anche in assenza di una disciplina procedimentale attuativa della pronuncia della Corte Costituzionale, il giudice, su richiesta del figlio desideroso di conoscere le proprie origini, può interpellare la madre che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata, ai fini di una revoca della sua dichiarazione. È pertanto compito del giudice predisporre, caso per caso, le modalità procedimentali più opportune e idonee ad assicurare la massima riservatezza e il massimo rispetto della dignità della donna; sempre nella consapevolezza che il diritto del figlio trova un limite insuperabile nella volontà della madre di non voler essere conosciuta (Cass. S.U. 1946/2017).

- La madre incapace

La giurisprudenza ha così più volte precisato che il diritto a conoscere l'identità della madre deve essere contemperato con la persistenza della volontà di questa di rimanere anonima e deve essere esercitato secondo modalità che ne proteggano la dignità, tenendo dunque in considerazione la salute della donna e la sua condizione personale e familiare.

Si è infatti in più occasioni presentato il caso della madre che, dopo molti anni è risultata incapace di esprimere la propria opinione in relazione alla richiesta del figlio, perché è nel frattempo intervenuta una malattia che ha compromesso le sue facoltà mentali o perché già in origine, al momento della nascita, versava in stato di incapacità.

Si sottolinea in proposito come l'esigenza, evidenziata all'art. 28, comma 6, l. 184/1983, di evitare che l'accesso alle notizie sulle proprie origini biologiche procuri “grave turbamento dell'equilibrio psico-fisico del richiedente” (l'adottato), riguarda anche la madre biologica. L'indicazione normativa, infatti, precisa la giurisprudenza, deve valere per tutte le posizioni coinvolte nella vicenda, cosicché la ricerca della madre naturale e il contatto con la stessa ai fini dell'interpello riservato devono essere gestiti “con la massima prudenza ed il massimo rispetto, oltre che della libertà di autodeterminazione, della dignità della donna” (Cass. 22497/2021). Se, per un verso, deve consentirsi al figlio di interpellare la madre biologica al fine di sapere se intenda revocare la propria scelta, per altro verso occorre tutelare anche l'equilibrio psico-fisico della genitrice (Cass. 7093/2022). Fondamentale risulta pertanto la volontà della donna, e la tutela del suo stato emotivo.

- Il decesso della madre

L'orientamento giurisprudenziale consolidato afferma che “la tutela del diritto all'anonimato della madre deve essere massimaper tutta la durata della vita della stessa. Dopo la sua morte peraltro, la situazione si fa più complessa in quanto la donna, in una simile ipotesi non può più essere interpellata.

In proposito la giurisprudenza ha sottolineato che la tutela dell'anonimato della donna non può esaurirsi con la sua morte in quanto coinvolge altre persone, figli e congiunti della stessa. Peraltro, in una simile situazione cambiano i valori di rango costituzionale da bilanciare e “l'esigenza di tutela dei diritti degli eredi e discendenti della donna che ha optato per l'anonimato non può che essere recessiva rispetto a quella del figlio che rivendica il proprio status”. La morte della madre naturale non si può tradurre nella definitiva perdita della speranza di conoscere le proprie origini biologiche e pertanto il diritto dell'adottato ad accedere alle informazioni concernenti la propria origine e l'identità della madre biologica sussiste e può essere concretamente esercitato anche se la stessa sia deceduta e non sia quindi possibile procedere alla verifica della perdurante attualità della scelta di conservare il segreto (Cass. 22838/2016). Una differente soluzione si sottolinea determinerebbe, la cristallizzazione di tale scelta e la definitiva perdita del diritto fondamentale del figlio alla costruzione della propria identità (Cass. 15024/2016).

Secondo la Cassazione pertanto, il diritto all'anonimato della donna deve essere massimamente tutelato fino a quando la stessa è in vita, a meno che, interpellata dal giudice non decida di cambiare opinione. Nel periodo successivo alla sua morte, invece, la tutela del diritto del figlio a rivendicare le proprie origini diventa prevalente (Cass. 19824/2020).

Il diritto di conoscere l'identità dei fratelli

La giurisprudenza ha avuto modo di precisare come la possibilità di conoscere la propria origine e l'identità dei genitori biologici, e di rintracciarli, comporta l'eventualità che il richiedente entri in contatto anche con altri suoi stretti congiunti naturali, quali, i fratelli. Di conseguenza è stata ritenuta ammissibile anche la richiesta di informazioni riguardante direttamente i fratelli biologici dell'adottato previo interpello di questi ultimi mediante procedimento giurisdizionale idoneo ad assicurare la massima riservatezza ed il massimo rispetto della dignità dei soggetti da interpellare, al fine di acquisirne il consenso all'accesso alle informazioni richieste o di constatarne il diniego (Cass. 6963/2018). Si è in proposito sottolineato che un'interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata della norma può valorizzare il richiamo al diritto di accedere alle informazioni sulla propria origine in modo da includervi oltre ai genitori biologici, anche i più stretti congiunti come i fratelli e le sorelle ancorché non espressamente menzionati dalla norma. La natura del diritto e la funzione di primario rilievo nella costruzione dell'identità personale che viene riconosciuta alla scoperta della personale genealogia biologico-genetica, induce ad accogliere tale interpretazione estensiva.

Altri interventi peraltro hanno, al contrario, negato l'accesso alle informazioni inerenti i fratelli nonché la stessa possibilità di interpellarli in merito.

ORIENTAMENTI A CONFRONTO

Non è possibile interpellare fratelli e sorelle

- Non si può procedere all'interpello dei fratelli al solo fine di apprendere la conoscenza o meno di tale vicenda perché ciò comporterebbe inevitabilmente la comunicazione di tale dato particolarmente sensibile (Trib. Min. Genova 13 maggio 2019).

Si all'accesso alle informazioni relative ai fratelli e alle sorelle

- L'adottato ha diritto di conoscere le proprie origini accedendo alle informazioni concernenti non solo l'identità dei propri genitori biologici, ma anche quelle delle sorelle e dei fratelli biologici adulti, previo interpello di questi ultimi (Cass. 6963/2018).

- Pur in difetto di specifiche previsioni, nella vigente disciplina, può essere autorizzato l'accesso alle informazioni sui fratelli biologici, con la prudente mediazione, il supporto e la guida discreta del Servizio sociale (Trib. Min Perugia 27 febbraio 2001).

Diritto di accesso ai dati sanitari della genitrice

Si sottolinea la distinzione tra il diritto a conoscere le origini e il diritto ad accedere alle informazioni sanitarie sulla salute della madre, al fine di accertare la sussistenza di eventuali malattie ereditarie trasmissibili. Quest'ultimo diritto, si precisa, avendo come finalità la tutela della vita o della salute del figlio adottato o di un suo discendente, può essere esercitato indipendentemente dalla volontà della donna e anche prima della sua morte, purché ne sia garantito l'anonimato “erga omnes”, anche dunque nei confronti del figlio (Cass. 22497/2021).

Morte dell'adottato

Si evidenzia inoltre che il diritto a conoscere l'identità dei genitori naturali è un diritto personalissimo, non avente natura e risvolti di carattere patrimoniale e non è pertanto suscettibile di essere trasmesso agli eredi, estinguendosi con la morte dell'adottato (Trib. Min Sassari 16.01.2003).

Casistica

Casistica

Mancanza di una procedura di interpello

- Pur in mancanza di una disciplina procedimentale il giudice, su richiesta del figlio, può interpellare la madre che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata, ai fini di una revoca della sua dichiarazione. (Cass. S.U. 1946/2017)

Decesso della madre

- Il diritto del figlio, di conoscere le proprie origini biologiche mediante accesso alle informazioni relative all'identità personale della madre sussiste anche dopo la morte della donna e non sia possibile procedere alla verifica della perdurante attualità della scelta di conservare il segreto, non rilevando nella fattispecie il mancato decorso del termine di cento anni ex art. 93 d.lgs. 196/2003 (Cass. 3004/2018; Cass.22838/2016).

- La morte della madre naturale non si può tradurre nella definitiva perdita della speranza di conoscere le proprie origini biologiche (Cass. 22838/2016).

- La tutela del diritto all'anonimato della madre, per tutta la durata della vita della stessa, deve essere, massima, dopo la sua morte non vi sono più elementi ostativi per la conoscenza del rapporto di filiazione e per la proposizione dell'azione ex art. 269 c.c.. (Cass. 19824/2020).

Incapacità della madre

- Il diritto all'interpello non può essere attivato qualora la madre versi in stato di incapacità, anche non dichiarata, e non sia pertanto in grado di revocare validamente la propria scelta (Cass. 7093/2022).

- La ricerca della madre naturale e il contatto con la stessa ai fini dell'interpello riservato devono essere gestiti con la massima prudenza ed il massimo rispetto, oltre che della libertà di autodeterminazione, della dignità della donna, tenendo conto della sua età, del suo stato di salute e della sua condizione personale e familiare. (Cass. 22497/2021)

Sommario