Il punto su mutatio ed emendatio libelli
25 Maggio 2022
Inquadramento
Com'è noto, nella prima udienza di trattazione ex art. 183 c.p.c., l'attore può proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto, nonchè chiedere di essere autorizzato a chiamare in causa un terzo, ai sensi degli artt. 106 e 269, co. 3, c.p.c., se l'esigenza è sorta dalle difese del convenuto. In particolare, l'art. 183, comma 5, c.p.c. consente all'attore di proporre una nuova domanda (cd. reconventio reconventionis) purchè questa sia conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni (da intendersi in senso stretto) proposte dal convenuto, introducenti una situazione ulteriore rispetto a quella individuata con la citazione (Cass. civ., n. 9880/2016; Cass. civ., n. 25409/2013), e non attribuisce, invece, la facoltà di proporre domande nuove che l'attore avrebbe potuto proporre con la citazione stessa (Cass. civ., n. 498/2017). In altri termini, la nuova domanda o la nuova eccezione dell'attore devono presentarsi come consequenziali, e quindi configurarsi come una controiniziativa necessaria per replicare all'eccezione o domanda del convenuto (Cass. civ., n. 15211/2018). Ad. es., il creditore, che agisce nei confronti del fideiussore per sentire dichiarare la validità ed efficacia del contratto di garanzia, qualora il convenuto eccepisca che la garanzia contrattuale non è operativa per mancato pagamento del premio dovuto dal debitore garantito, può chiedere alla prima udienza di trattazione il risarcimento del danno conseguente alla lesione del ragionevole affidamento sull'efficacia della fideiussione (Cass. civ., n. 2038/2010). Al di fuori delle predette ipotesi, nella prima udienza, nonché nella prima memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c., le parti possono solo precisare e modificare le domande, eccezioni e conclusioni già formulate. Tuttavia, l'individuazione della linea di demarcazione tra domanda “nuova” e domanda “modificata” è stata oggetto, negli ultimi anni, di un'ampia rivisitazione da parte della giurisprudenza, alla luce dei principi processual-costituzionali di economia processuale e ragionevole durata del processo. Tesi tradizionale sulla distinzione tra emendatio e mutatio libelli
In linea di principio, “precisare” vuol dire soltanto esplicitare, senza mutare i fatti principali allegati, quanto già contenuto nelle precedenti difese. La precisazione delle domande e delle eccezioni consiste essenzialmente nell'allegazione dei fatti secondari (ad es., si precisa che l'immobile di cui si è chiesto il rilascio comprende anche un certo locale prima non menzionato). “Modificare” significa, invece, introdurre nuovi fatti storici principali, ed è attività consentita purché non porti al mutamento del diritto dedotto in giudizio. Non è sempre agevole stabilire quando la precisazione/modificazione (emendatio libelli) superi il livello oltre il quale diviene mutamento (mutatio libelli), di per sé vietato (se non alla prima udienza di trattazione e nell'ipotesi in cui la nuova domanda – cd. reconventio reconventionis - dipenda dall'attività compiuta dal convenuto). Secondo l'insegnamento tradizionale, si ha una nuova domanda quando viene cambiato anche solo uno degli elementi costitutivi oggettivi della stessa, ossia il petitum o la causa petendi (Cass. civ., n. 18688/2007), mentre, ad es., la diversa quantificazione o specificazione della pretesa, fermi i fatti costitutivi, rappresenta una mera emendatio (Cass. civ., n. 9266/2010), così come la diversa interpretazione o qualificazione giuridica del medesimo fatto costitutivo del diritto (Cass. civ., n. 11763/1990). In particolare, per quanto attiene alla causa petendi, rileva la distinzione tra diritti autodeterminati (es. diritti reali), in relazione ai quali è possibile allegare in giudizio una diversa fattispecie costitutiva (ad es., è possibile dedurre inizialmente un acquisto a titolo originario della proprietà e, in seguito, un acquisto del medesimo diritto a titolo derivativo, senza con ciò mutare la causa petendi: Cass. civ., n. 29231/2019; Cass. civ., n. 24483/2017; Cass. civ., n. 3192/2003), e diritti eterodeterminati (es. diritti di credito), per i quali l'indicazione di un nuovo fatto costitutivo equivale a formulazione di una nuova domanda. Sicchè, in ordine alla differenza tra emendatio libelli (modifica della domanda) e mutatio libelli (mutamento della domanda), in giurisprudenza si è, ad es., ritenuta ammissibile la richiesta di risarcimento per equivalente allorché sia stato inizialmente richiesto il risarcimento in forma specifica (Cass. civ., n. 12168/2017), mentre invece integra domanda nuova la proposizione di una domanda di risoluzione per inadempimento dopo aver chiesto nell'atto introduttivo il solo risarcimento del danno (Cass. civ., n. 17144/2006) o la riduzione del prezzo (Cass. civ., n. 4248/2010). Prima del “revirement” del 2015, di cui si dirà in prosieguo, era, quindi, ius receptum che la emendatio libelli fosse ravvisabile quando non si incideva nè sulla causa petendi (ma solo sull'interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto), nè sul petitum (se non nel senso di meglio quantificarlo per renderlo idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere). Al contrario, era assolutamente inammissibile quella modificazione della domanda che si risolvesse in una mutatio libelli, ricorrente quando si avanzava una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un petitum diverso e più ampio oppure una causa petendi fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima, così ponendo al giudice un nuovo tema d'indagine e spostando i termini della controversia. E ciò in quanto, al di fuori della reconventio reconventionis che nasca dalle difese del convenuto, l'attore, al più tardi con la prima memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c., può solo precisare e modificare le domande già formulate con l'atto introduttivo. Tale conclusione, apparentemente univoca nell'affermazione teorica della distinzione tra mutatio ed emendatio, ha generato nella pratica una situazione ben più complessa, atteso che, non di rado, pur non contravvenendo espressamente al descritto principio, si è giunti a ritenere sostanzialmente ammissibili anche domande che presentavano invece mutamenti in ordine ai suddetti elementi modificativi (ad es., la modifica della iniziale domanda di risoluzione del contratto per inadempimento con l'aggiunta di una domanda subordinata di adempimento del contratto, ritenuta una emendatio libelli). Con la pronuncia a Sezioni Unite n. 12310/2015, la Suprema Corte ha, però, superato l'impostazione tradizionale e, finendo per attenuare la distinzione tra emendatio e mutatio libelli, ha sostenuto, in un'ottica di economia processuale, che la modificazione della domanda ammessa a norma dell'art. 183 c.p.c. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi identificativi della medesima sul piano oggettivo (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti in ogni caso connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, e senza che, per ciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l'allungamento dei tempi processuali, atteso che la domanda modificata sostituisce la domanda iniziale e non si aggiunge ad essa, interviene nella fase iniziale del giudizio e non comporta tempi superiori a quelli già preventivati dal medesimo art. 183 c.p.c. Inoltre, il convenuto, sapendo che una simile modifica potrebbe intervenire, non si trova rispetto ad essa come dinanzi alla domanda iniziale e, comunque, ha a disposizione un congruo termine per potersi difendere e controdedurre anche sul piano probatorio. Il nuovo intervento compositivo si era reso necessario in considerazione, soprattutto, dei mutamenti del quadro normativo di riferimento ad opera del legislatore - anche costituzionale - e dei corrispondenti mutamenti nella giurisprudenza di legittimità, soprattutto a Sezioni Unite (pur se non specificamente riferibili alla problematica predetta e riguardanti, in una prospettiva più generale, non solo la disciplina dei nova nel processo ma anche le problematiche collegate, ad es. quelle relative all'ambito ed ai limiti del rilievo officioso nel processo dispositivo, soprattutto in tema di patologie negoziali, e quelle “proiettive” correlate all'ombra lunga del giudicato implicito), “nella consapevolezza che l'esegesi della normativa processuale deve sempre salvaguardare la coerenza circolare del sistema e che l'intervento nomofilattico compositivo è necessario quante volte occorra riportare a sintesi univoca e manifesta il tormentato processo di adeguamento dell'ermeneutica giuridica al contesto legislativo e culturale in trasformazione”. Alla luce di tali nuovi principi, si è quindi ritenuta ammissibile la modifica, nel primo termine ex art. 183, comma 6, c.p.c., della iniziale domanda di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto ex art. 2932 c.c. in domanda di accertamento del già avvenuto effetto traslativo (Cass., Sez. Un., n. 12310/2015; nonché le successive, conformi, Cass. civ., n. 23131/2015, Cass. civ., n. 816/2016, Cass. civ., n. 4322/2019, Cass. civ., n. 14369/2019). I risultati ermeneutici così raggiunti risultano, secondo le Sezioni Unite, in completa consonanza sia con l'esigenza - ripetutamente perseguita nel codice di rito, talora anche attraverso modifiche della disciplina sulla competenza - di realizzare, al fine di una maggiore economia processuale ed una migliore giustizia sostanziale, la concentrazione nello stesso processo e dinanzi allo stesso giudice delle controversie aventi ad oggetto la medesima vicenda sostanziale (basti pensare alle disposizioni codicistiche in tema di connessione e riunione dei procedimenti), sia, più in generale, con i valori funzionali del processo come via via enucleati, nel corso degli ultimi anni, dalla dottrina e dalla giurisprudenza - soprattutto a Sezioni Unite - di legittimità. In sintesi, secondo il nuovo orientamento inaugurato nel 2015, non può esservi mutamento della domanda allorquando restino immutate le parti nonchè il bene della vita in relazione al quale è richiesta tutela, pur in presenza di un ipotetico concorso di norme, legali o convenzionali, a presidio dell'unico diritto azionato (Cass. civ., n. 9333/2016), sicché rientra nella emendatio, ad es.: a) il mutamento della domanda risarcitoria a titolo contrattuale in domanda risarcitoria a titolo di responsabilità aquiliana, se basata sulla medesima vicenda sostanziale (Cass. civ., n. 22540/2018); b) nell'azione risarcitoria esperita nei confronti del proprietario di un'unità condominiale (nella specie, per danni conseguenti a perdite idriche provenienti da tubazioni), la successiva deduzione della qualità di condomino del convenuto (Cass. civ., n. 9692/2020); c) la modificazione dell'originaria domanda risarcitoria, formulata da un investitore nei confronti dell'intermediario finanziario, in quella di risoluzione per inadempimento, tenuto conto che entrambe le richieste riguardavano la stessa operazione di compravendita titoli ed erano fondate sull'allegazione dei medesimi comportamenti inadempienti dell'intermediario (Cass. civ., n. 13091/2018); d) la modificazione dell'originaria domanda di accertamento della nullità di un contratto di intermediazione finanziaria o di acquisto di strumenti finanziari in domanda di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, ove, in particolare, non siano mutati gli elementi di fatto introdotti in giudizio (Cass. civ., n. 3254/2018; Cass. civ., n. 816/2016); e) la mera indicazione di ulteriori vizi della cosa appaltata rispetto a quelli indicati in citazione, permanendo un chiaro e stabile collegamento con la questione concreta oggetto del contendere (Cass. civ., n. 14815/2018); f) la modifica in corso di causa della domanda originaria, anche in tema di diritti cd. eterodeterminati, mediante l'allegazione di un diverso fatto costitutivo, che ne comporti la sostituzione con una nuova domanda ad essa alternativa (Cass. civ., n. 18956/2017); g) il mutamento quantitativo della domanda riconvenzionale proposta dall'opponente a decreto ingiuntivo e riconnessa all'intervenuta rescissione del contratto rispetto alla precedente domanda di risoluzione, trovando la richiesta del riconoscimento di un maggiore importo fondamento nella medesima situazione sostanziale dedotta in giudizio con l'atto introduttivo (Cass. civ., n. 26782/2016); h) la modifica dell'originaria domanda di responsabilità ex art. 2043 c.c. in quella ex art. 2050 c.c., presupponendo tali domande un unico fatto costitutivo, la causazione del danno, ed un elemento reciprocamente specializzante, dato dal criterio d'imputazione alternativo che, in un caso, è la colpa, e, nell'altro, lo svolgimento di un'attività pericolosa (Cass. civ., n. 10513/2017); i) in un giudizio intentato in origine nei confronti di una struttura sanitaria per ottenere il risarcimento dei danni subiti per avere contratto l'epatite C in conseguenza di una trasfusione di sangue, la successiva domanda, avanzata nella memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c., volta ad accertare che l'attore era stato contagiato dal virus non con tale trasfusione, ma per effetto di una “generica infezione nosocomiale nel periodo di degenza” (Cass. civ., n. 4031/2021). Invece, in un giudizio di revocazione ordinaria di un atto di disposizione patrimoniale, la S.C. ha ritenuto non ammissibile la sostituzione dell'originaria domanda tesa a conseguire la declaratoria di inefficacia dell'atto di cessione di un credito avente titolo negoziale, con altro di natura risarcitoria derivante da illecito aquiliano, tenuto conto che il credito su cui l'attrice mirava a basare la proposta azione revocatoria era non solo diverso per titolo da quello originario, ma anche connotato da un incerto collegamento con la vicenda già posta all'esame dell'adito giudice (Cass. civ., n. 14369/2019). In base a tale nuovo indirizzo interpretativo, quindi, il discrimen tra domanda nuova – inammissibile, se non sia “conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni del convenuto” e se non formulata entro la prima udienza ex art. 183 c.p.c. – e domanda modificata va rinvenuto nel carattere ampliativo del thema decidendum che presentano le domande nuove rispetto invece al carattere sostitutivo della modifica, nel senso che la domanda “nuova” si aggiunge a quella originariamente formulata, mentre la domanda “modificata” si sostituisce a quella originaria (Cass. civ., n. 16807/2018), non essendo invece ricavabile dalle norme processuali alcuna differenza quanto alla possibilità di variazione degli elementi identificativi fondamentali (causa petendi, petitum), egualmente consentita ad entrambe le domande (Cass. civ., n. 29619/2017). Opinando diversamente, e dunque persistendo nel seguire l'orientamento giurisprudenziale tradizionale, si costringerebbe “la parte che abbia meglio messo a fuoco il proprio interesse e i propri intendimenti in relazione ad una determinata vicenda sostanziale - eventualmente anche grazie allo sviluppo dell'udienza di comparizione - a rinunciare alla domanda già proposta per proporne una nuova in un altro processo, in contrasto con i principi di conservazione degli atti e di economia processuale, ovvero a continuare il processo perseguendo un risultato non perfettamente rispondente ai propri desideri ed interessi, per poi eventualmente proporre una nuova domanda (con indubbio spreco di attività e risorse) dinanzi ad un altro giudice il quale dovrà conoscere della medesima vicenda, sia pure sotto aspetti in parte dissimili”. La dottrina che ha condiviso il nuovo orientamento pretorio ha coniato la significativa espressione di “domande complanari” (Consolo C., Le S.U. aprono alle domande “complanari”: ammissibili in primo grado ancorchè (chiaramente e irriducibilmente) diverse da quella originaria cui si cumuleranno, in Corr. giur., 2015, 7, 968 ss.) per indicare le domande tra loro “alternative”, e quindi concorrenti, fondate sulla medesima vicenda sostanziale, ossia sull'identità dell'episodio socio-economico di fondo, da cui origina un concorso di pretese con un unico petitum oppure con diversi petita conseguenti a diverse qualificazioni della causa petendi. Non si dubita, tuttavia, che detta modificazione della domanda, qualora avvenga dopo la scadenza del termine ex art. 183, comma 6, n. 1, c.p.c., risulti inevitabilmente inammissibile, e che, qualora formulata per la prima volta in appello, costituisca un novum anch'esso inammissibile, perché vietato dall'art. 345, comma 1, c.p.c. (Cass. civ., n. 27566/2017). In generale, la giurisprudenza ritiene che la questione della novità della domanda risulti del tutto sottratta alla disponibilità delle parti, essendo diretta ad evitare ampliamenti del thema decidendum, e dunque posta a tutela non solo dell'interesse di parte ma anche dell'interesse pubblico al corretto e celere andamento del processo, con la conseguenza che la stessa è rilevabile d'ufficio dal giudice a prescindere dal consenso manifestato dalla controparte (Cass. civ., n. 24040/2019; Cass. civ., n. 13769/2017; Cass. civ., n. 7214/2013). Il nuovo intervento delle Sezioni Unite nel 2018
Operando un ulteriore passo in avanti, le Sezioni Unite (sent. n. 22404/2018) hanno, più recentemente, statuito che, nel processo introdotto mediante domanda di adempimento contrattuale, è ammissibile la domanda di indennizzo per ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c. (tradizionalmente considerata domanda “nuova”, rispetto a quella contrattuale, per diversità sia del petitum che della causa petendi) se formulata, in via subordinata (e, quindi, non necessariamente in sostituzione di quella originaria di adempimento contrattuale), con la prima memoria istruttoria di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., qualora si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, trattandosi di domanda comunque connessa per incompatibilità a quella originariamente proposta. E' stato così completato il regime di proponibilità della domanda “complanare”, superando qualche incertezza riconducibile al precedente arresto del 2015, con cui le Sezioni Unite avevano ritenuto ammissibile la domanda alternativa solo se formulata, nel limite temporale di cui alla prima memoria istruttoria, in sostituzione di quella originariamente proposta, da intendersi così implicitamente rinunciata. In sostanza, la sentenza n. 22404/2018 ha ritenuto di dare continuità alla pronuncia n. 12310/2015 che, superando in senso evolutivo il criterio della valutazione relativa alla invarianza degli elementi oggettivi (petitum e causa petendi) della domanda, aveva spostato l'attenzione dell'interprete sull'inerenza delle domande alla medesima vicenda sostanziale sottoposta all'esame del giudice. Pertanto, poiché la domanda di adempimento contrattuale e la domanda di ingiustificato arricchimento si riferiscono alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, intesa come unica vicenda in fatto che delinea un interesse sostanziale, attengono al medesimo bene della vita, tendenzialmente inquadrabile in una pretesa di natura patrimoniale, e sono legate da un rapporto di connessione “di incompatibilità”, non solo logica, ma normativamente prevista (atteso il carattere sussidiario dell'azione ex art. 2041 c.c. sancito dall'art. 2042 c.c.), tale rapporto giustifica ancor di più il ricorso al simultaneus processus (conf. Cass. civ., n. 27620/2020). Alla luce delle ulteriori precisazioni fornite nel 2018, si è ritenuta ammissibile - nelle successive pronunce di legittimità - la modificazione dell'originaria domanda di pagamento di canoni di locazione in quella di indennità per occupazione sine titulo, proposta in via subordinata a seguito dell'eccezione di nullità del contratto ad opera del convenuto (Cass. civ., n. 4322/2019), mentre è stata reputata domanda nuova ed ulteriore, rispetto a quella originaria di mero accertamento della natura locatizia del contratto, la richiesta declaratoria di illegittimità dell'avvenuta estromissione dai locali con conseguente loro riconsegna (Cass. civ., n. 31078/2019). In definitiva, allo stato, la domanda “complanare” non deve necessariamente sostituirsi a quella originaria, ma può ad essa cumularsi, sia pure in via subordinata al mancato accoglimento della prima, atteso che ciò che rende ammissibile l'introduzione in giudizio da parte dell'attore di un diritto diverso da quello originariamente fatto valere, oltre la barriera preclusiva segnata dall'udienza ex art. 183 c.p.c. (e che, quindi, consente di distinguere la domanda che tale diritto deduce dalla reconventio reconventionis di cui al co. 5 del medesimo art. 183 c.p.c.), è il carattere della teleologica “complanarità”, dovendo pertanto tale diritto attenere alla medesima vicenda sostanziale già dedotta, correre tra le stesse parti, tendere alla realizzazione (almeno in parte) dell'utilità finale già avuta di mira con l'originaria domanda (salva la differenza tecnica di petitum mediato) e rivelarsi, di conseguenza, incompatibile con il diritto per primo azionato (in tal senso, in motivazione, Cass. civ., n. 18546/2020; conf. Cass. civ., n. 3571/2021). Secondo l'orientamento tradizionale, l'ingiungente-opposto non può far valere in sede di opposizione domande nuove rispetto a quella di adempimento contrattuale posta alla base della richiesta di provvedimento monitorio, salvo quelle conseguenti alle domande ed alle eccezioni in senso stretto proposte dall'opponente, determinanti un ampliamento dell'originario thema decidendum fissato dal ricorso ex art. 633 c.p.c. (Cass. civ., n. 27124/2018; Cass. civ., n. 8582/2013), atteso che, in tale ultima ipotesi, venendosi l'opposto a trovare, a sua volta, nella posizione processuale di convenuto, non può essergli negato il diritto di difesa, rispetto alla nuova o più ampia pretesa della controparte, mediante la proposizione (eventuale) di una reconventio reconventionis che deve, però, dipendere dal titolo dedotto in causa o da quello che già appartiene alla stessa come mezzo di eccezione ovvero di domanda riconvenzionale (Cass. civ., n. 5415/2019, la quale ha confermato la decisione di appello che, in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, aveva dichiarato l'inammissibilità della reconventio reconventionis degli opposti poiché, concernendo il pagamento delle competenze spettanti al loro de cuius per incarichi diversi e ulteriori rispetto a quelli oggetto dell'originario ricorso da essi presentato, era priva di collegamenti con la domanda riconvenzionale dell'opponente, che riguardava il risarcimento dei danni per colpa professionale relativa, invece, ai contratti con riguardo ai quali era stata avanzata la richiesta monitoria; Cass. civ., n. 16564/2018). Tale orientamento deve, tuttavia, ritenersi superato, alla luce della significativa evoluzione che si è registrata, negli ultimi anni, nella giurisprudenza di legittimità in tema di ius variandi endoprocessuale, di cui si è detto nei paragrafi che precedono. Invero, nel giudizio ordinario di cognizione sono da considerarsi domande “nuove” quelle “ulteriori” o “aggiuntive”, mentre diverso è il caso in cui le domande iniziali vengono modificate, eventualmente anche in alcuni elementi fondamentali, senza aggiungersi alle domande iniziali, ma sostituendosi ad esse e ponendosi, rispetto alle medesime, in un rapporto di alternatività (come statuito dalla già richiamata Cass. civ., Sez. Un., n. 12310/2015). Tale ultimo principio, ormai acclarato, non può non applicarsi anche con riguardo al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il quale, come recentemente ribadito anche da Cass. civ., Sez. Un., n. 927/2022, costituisce un ordinario giudizio di cognizione, nel quale il giudice non deve limitarsi ad esaminare se l'ingiunzione sia stata legittimamente emessa, ma deve procedere ad una autonoma valutazione di tutti gli elementi offerti sia dal creditore per dimostrare la fondatezza della propria pretesa dedotta con il ricorso sia dall'opponente per contestarla (Cass. civ., n. 14486/2019; Cass. civ., n. 20613/2011). Ne consegue che anche al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è applicabile il principio secondo cui la modificazione della domanda ammessa può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l'allungamento dei tempi processuali (Cass. civ., n. 9668/2021, in relazione ad una fattispecie nella quale il pagamento era stato intimato in sede monitoria nei confronti di un soggetto nella sua qualità di garante del debitore, mentre nel corso del giudizio di opposizione la pretesa era stata poi fondata sul fatto che l'opponente risultava essere anche erede del debitore). Analogamente, Cass. civ., n. 3127/2021 ha riformato la decisione di appello che, in un'opposizione a decreto ingiuntivo, aveva ritenuto inammissibile la domanda ex art. 2041 c.c. avanzata, in via subordinata, con la memoria prevista dall'art. 183, comma 6, c.p.c., nei confronti di una ASL per il pagamento di somme relative ad attività di pronto soccorso, terapia intensiva e servizio di urgenza e emergenza medica. Da ultimo, Cass. civ., n. 9633/2022 ha sostenuto che il convenuto opposto può proporre con la comparsa di costituzione e risposta tempestivamente depositata una domanda nuova, diversa da quella posta a fondamento del ricorso per decreto ingiuntivo, anche nel caso in cui l'opponente non abbia proposto una domanda o un'eccezione riconvenzionale e si sia limitato a proporre eccezioni chiedendo la revoca del decreto opposto, qualora tale domanda si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, attenga allo stesso sostanziale bene della vita e sia connessa per incompatibilità a quella originariamente proposta, ciò rispondendo a finalità di economia processuale e di ragionevole durata del processo e dovendosi riconoscere all'opposto, quale attore in senso sostanziale, di avvalersi delle stesse facoltà di modifica della domanda riconosciute, nel giudizio ordinario, all'attore formale e sostanziale dall'art. 183 c.p.c. |