I reati contro il patrimonio culturale fanno ingresso nel codice penale

26 Maggio 2022

Con la legge 9 marzo 2022, n. 22, in G.U. 22 marzo 2022, n. 68, recante “Disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale”, è stato inserito nel codice penale il Titolo “VIII-bis”.
La tutela penale dei beni culturali dalla Costituzione al Codice penale. Premessa.

Con la legge 9 marzo 2022, n. 22, in G.U. 22 marzo 2022, n. 68, recante “Disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale”, è stato inserito nel codice penale il Titolo “VIII-bis”.

Tale corpus trova un referente nell'art. 9 della Costituzione, che, dopo l'assegnazione alla Repubblica del compito di promuovere «lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica», nel secondo comma risolutamente aggiunge «Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico nazionale».

Dal complesso (sistematico) dei due commi si evince che non si tratta solo di attenzione verso cose, beni o interessi, ma del riconoscimento alla cultura del compito di formazione intellettuale dell'individuo attraverso processi educativi in senso ampio: paesaggio e patrimonio storico e artistico sono dunque strumenti di cultura. (G. Demuro, I delitti contro il patrimonio culturale nel codice penale: prime riflessioni sul nuovo titolo VIII bis, in www.sistemapenale.it, p. 2).

Con il richiamo costituzionale ai beni culturali nell'art. 9 Cost., che va letto unitamente alle disposizioni agli artt. 33, 34, 117 e 118 Cost., può dirsi che la Repubblica italiana abbia definitivamente acquisito l'identità di “Stato di cultura”. (F. Mantovani, Lineamenti della tutela penale del patrimonio artistico, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1976, p. 55; M. Bellacosa, Patrimonio archeologico, storico e artistico nazionale (e tutela penale del), 1990, in Enc. giur. Treccani, XXII, Roma, 1990., p. 1; Sandulli, La tutela del paesaggio nella Costituzione, in Riv. giur. dell'edilizia, II, 1967, p. 69).

Dunque la previsione dei reati contro il patrimonio culturale nel codice penale è in grado di porre in particolare risalto la centralità di tale bene giuridico e gli attribuirebbe speciale evidenza in una tavola di valori la cui difesa è irrinunciabile per la società. La collocazione subito dopo i delitti contro l'economia pubblica, l'industria ed il commercio non appare del tutto coerente con il bene protetto. Sarebbe stata invero preferibile la collocazione insieme o subito dopo il titolo dedicato ai delitti contro l'ambiente, dato che con questo bene giuridico il patrimonio culturale condivide l'essenza di bene-mezzo per la salvaguardia e lo sviluppo della personalità umana (G. Demuro, La riforma dei reati contro il patrimonio culturale: per un sistema progressivo di tutela, in www.sistemapenale.it, 1 ss.). Tale assunto giustifica dunque la trattazione subito dopo i delitti contro l'ambiente.

I delitti contro il patrimonio culturale sono stati concentrati nel nuovo Titolo VIII bis del Libro II del codice penale, nel quale il legislatore ha, in parte, introdotto nuove fattispecie, che si distinguono dai corrispondenti reati contro il patrimonio per la specificità dell'oggetto materiale, e, in parte, trasferito alcuni delitti già presenti nel codice dei beni culturali e del paesaggio, che sono stati contestualmente abrogati (il riferimento è agli artt. 170, 173, 174, 176, 177, 178 e 179 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42). È stata poi introdotta la nuova contravvenzione di cui all'art. 707-bis c.p. e sono stati modificati, al fine di eliminare i previgenti riferimenti ai beni di interesse storico o artistico, gli artt. 635 e 639 c.p.

Il complessivo trattamento sanzionatorio è stato notevolmente inasprito, non solo per l'innalzamento degli intervalli edittali delle singole fattispecie, semplici o aggravate, ma anche per l'estensione a tali delitti della confisca, diretta o per equivalente, ex art. 518-duodevicies c.p. e della confisca allargata ex art. 240-bis c.p., e per la previsione della responsabilità della persona giuridica per i reati commessi nel suo interesse (art. 25-sexiesdecies d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231).

Tra i motivi ispiratori vi è l'esigenza di conformarsi alla Convenzione - adottata dal Consiglio d'Europa il 19 maggio 2017 - volta a prevenire e combattere il traffico illecito e la distruzione di beni culturali, nel quadro dell'azione dell'Organizzazione per lalotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata (c.d. Convenzione di Nicosia, In argomento cfr. E. Mottese, La lotta contro il danneggiamento e il traffico illecito di beni culturali nel diritto internazionale. La convenzione di Nicosia del Consiglio d'Europa, Giappichelli, Torino 2020, 28 ss.).

Il concetto di bene culturale o paesaggistico dovrebbe emergere chiaro dalla lettura del d.lgs. n. 42/2004. La formulazione, per accumulazione, dei contenuti delle due classi propone però difficoltà al lettore. Possiamo convenire che l'art. 2 d.lgs. n. 42/2004, cercando di porre in luce le ragioni fondanti il peculiare regime giuridico degli uni e degli altri, propone come connotato principale un loro valore intrinseco: sono beni culturali le cose mobili o immobili che suscitano «interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico» o individuate dalla legge o in base alla legge «quali testimonianze aventi valore di civiltà»; sono beni paesaggistici gli immobili «costituenti espressione dei valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio» o come tali individuati dalla legge. (Cfr. M. S. Giannini, I beni culturali, in Riv. trim.dir. pubbl., 1976, pp. 5 ss, ora in Scritti, Milano, 2005, vol. VI, pp. 1003 ss.).

Le tutele apprestate risentono di ulteriori distinguo proposti dagli artt. 10 ed 11, che delineano le classi dei beni qualificati ex lege (per i quali non occorre alcuna verifica “contenutistica”); quelli appartenenti a soggetti pubblici (lato sensu), meritevoli di preservazione per il loro intrinseco valore; quelli appartenenti a privati che si siano visto impresso il bollo della dichiarazione di interesse culturale. Ulteriori beni classificati sono suscettibili di specifiche tutele ai sensi dell'art. 11.

Il riformatore del 2022 ha ritenuto poi necessario precisare che analoga tutela penalistica debba riservarsi a quei manufatti, contenutisticamente culturali, “appartenenti allo Stato, in quanto rinvenuti nel sottosuolo o nei fondali marini”.

Il chiarimento non fa altro che trasporre una giurisprudenza granitica (ex multis, Cass. pen., sez. III, n. 37861/2017), secondo cui antichità ed oggetti artistici o monete «devono considerarsi beni culturali non solo quando abbiano carattere di rarità o di pregio, ai sensi dell'art. 10 comma 4 lett. b) d.lgs. n. 42/2004, ma anche quando, a prescindere dall'accertamento della presenza di tali caratteri, siano state ritrovate nel sottosuolo o sui fondali marini, costituendo in tal caso, in forza dell'art. 91 comma primo del medesimo d.lgs., per definizione, «cose d'interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico o artistico” che appartengono al patrimonio indisponibile dello Stato».

In termini generali va ricordato che l'art. 3, modificando il tessuto del d.lgs. n. 231/2001, innesta due nuove norme “incriminatrici”: l'art. 25-septiesdecies, che gradua in modo crescente la responsabilità in caso di commissione dei delitti di cui agli artt. 518-novies c.p.(rubricato Violazioni in materia di alienazioni di beni culturali), 518-ter c.p., 518-decies c.p. e 518-undecies c.p. (rubricati rispettivamente Appropriazione indebita, Importazione illecita e Uscita o esportazione illecite di beni culturali), 518-duodecies c.p. e 518-quaterdecies c.p. (che descrivono il primo il danneggiamento di beni culturali ed il secondo la Contraffazione di opere d'arte), 518-bis c.p., 518-quater c.p. e 518-octies c.p. (rispettivamente furto e ricettazione, falso in scrittura privata, relativi a beni culturali); l'art. 25-quinquiesdecies che prevede la responsabilità, più grave delle altre, in caso di commissione dei delitti di cui agli artt. 518-sexies c.p.e 518-terdecies c.p. (riciclaggio e, il secondo, Devastazione e saccheggio di beni culturali e paesaggistici).

L'art. 4 conferisce nuovi poteri in materia cautelare reale agli “addetti alla sorveglianza dell'area protetta”, ritoccando a tal fine l'art. 30 comma 3 della l. n. 394/1991 (Legge quadro sulle aree protette).

Le singole fattispecie

La riforma si pone come obiettivo quello di creare nuovi delitti in sostanziale continuità normativa con pregresse incriminazioni, la cui ragion d'essere si rinviene nella specificazione dell'oggetto delle condotte, il bene culturale, che radica una maggiore severità edittale.

Tale specialità giustifica invero, nella generalità dei casi, un incremento della minaccia edittale, non sempre peraltro del tutto proporzionale (cfr. C. Cost. n. 40/2019), considerando che i delitti da cui i nuovi modelli originano erano già severamente puniti.

Se questa era, però, l'esigenza, sarebbe stato possibile delineare un'aggravante comune legata alla tipologia dell'oggetto dell'agire criminoso, evitando, da un lato, di moltiplicare le fattispecie di incriminazione, con tutto ciò che ne deriva dal punto di vista di una sistema penale simbolico ed ipertrofico, e creando, dall'altro, uno strumento idoneo a perseguire l'idea di un incremento della minaccia quale che sia la struttura dell'illecito che incide sull'oggetto ritenuto meritevole di peculiare tutela (A. Martini, In G.U. la tutela del patrimonio culturale: le modifiche al codice penale, in QG, 23.3.2022).

Il legislatore ha optato per l'impostazione secondo cui l'autonomia strutturale dei nuovi delitti, prevenendo di conseguenza che il quid pluris di offesa implicito alla natura del bene che ne costituisce l'oggetto, non potesse essere neutralizzato dal giudizio di comparazione tra circostanze eterogenee. Detto altrimenti, «si temeva che una qualche insensata attenuante, magari generica, potesse essere ritenuta da un giudice tale da rendere inefficace la maggior minaccia» (A. Martini, In G.U. la tutela del patrimonio culturale: le modifiche al codice penale, cit.).

Il furto di beni culturali (art. 518–bis c.p.)

Il primo comma dell'art. 518-bis introduce nel codice penale due autonome fattispecie di reato per il caso in cui il furto abbia ad oggetto beni culturali.

Prima dell'entrata in vigore della nuova norma, il fatto era punito ai sensi dell'art. 624 c.p., eventualmente aggravato ex art. 625, comma 1, n. 7 c.p., in ragione della riconduzione dei beni culturali nel novero dei beni suscettibili di fruizione pubblica. Rispetto a tale fatto, si è al cospetto di un fenomeno di continuità normativa.

La dottrina aveva più volte evidenziato l'inadeguatezza di tali disposizioni per la tutela dei beni culturali «sia perché non sempre era configurabile la circostanza aggravante (come nel caso, ad esempio, di furto di beni culturali di proprietà privata e non pubblica), sia perché l'applicazione della circostanza poteva essere sempre esclusa dal bilanciamento della stessa con altre circostanze attenuanti sia, infine, perché non considerava la specificità di tale tipo di furto, parificandolo irragionevolmente a quello degli autoveicoli parcheggiati sulla pubblica via o a quello di beni esposti nei supermercati» (G. Demuro, La riforma dei reati contro il patrimonio culturale: per un sistema progressivo di tutela, cit.).

La prima parte del primo comma dell'art. 518-bis c.p. ha la medesima struttura del delitto di furto ex art. 624 e punisce chi si impossessa di un bene culturale mobile altrui, sottraendolo a chi lo detiene, al fine di trarre profitto per sé o per altri.

Entrambi i delitti sono caratterizzati dal presupposto dell'altrui detenzione, dalla condotta di sottrazione e di impossessamento, nonché dal riferimento nell'oggetto materiale del reato a una cosa mobile altrui e dal dolo specifico del fine di profitto.

Diverso, invece, è il bene giuridico protetto dalle due norme incriminatrici e per l'oggetto materiale del reato, costituito all'art. 518-bis c.p. da un bene culturale mobile.

La nuova fattispecie prende finalmente in considerazione la culturalità del bene, alla quale si affianca nella seconda parte del primo comma l'interesse all'appartenenza pubblica del patrimonio storico, artistico e archeologico. (G. Demuro, I delitti contro il patrimonio culturale nel codice penale: prime riflessioni sul nuovo titolo VIII bis, in www.sistemapenale.it, p. 2).

Va sul punto ricordato che la giurisprudenza ha osservato che le norme penali volte ad assicurare la tutela dei c.d. beni culturali garantiscono l'interesse della collettività a godere e fruire di tutto ciò che materialmente attesta la civiltà nazionale nelle varie espressioni culturali di tutte le epoche (Cass. pen., n. 6199/1993) e che la predetta tutela abbraccia non solo il patrimonio storico-artistico-ambientale la cui valenza culturale è oggetto di formale dichiarazione, ma anche i beni protetti in virtù del loro intrinseco valore, indipendentemente dal previo riconoscimento da parte della autorità competente (Cass.pen., n. 45841/2012).

La Suprema Corte ha precisato che l'aggettivo “culturale” deve considerarsi una sintesi linguistica di tutte le possibili articolazioni della culturalità: artistica, storica, archeologica, etnoantropologica, archivistica e bibliografica. Ha, poi, accolto una nozione sostanziale di bene culturale, in luogo di quella meramente formale, chiarendo che l'impostazione secondo la quale sussiste un'equazione per cui il bene culturale va identificato solo nella cosa già dichiarata di interesse culturale all'esito delle procedure previste dagli artt. 12 e 14 d.lgs. n. 42/2004 non trova riscontro, né nella lettera della legge né in argomenti di tipo sistematico (Cass. pen., n. 10468/2017).

La norma incrimina sia il furto del bene culturale appartenente al privato sia di quello di proprietà dello Stato, in quanto rinvenuto nel sottosuolo o nei fondali marini.

L'art. 91, comma 1, d.lgs. n. 42/2004 dispone, infatti, che le cose indicate nell'articolo 10, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo o sui fondali marini, appartengono allo Stato e, a seconda che siano immobili o mobili, fanno parte del demanio o del patrimonio indisponibile, ai sensi degli articoli 822 e 826 del codice civile.

In merito ai beni culturali appartenenti ad enti pubblici la giurisprudenza (Cass. pen., n. 24988/2020) ha stabilito che non è necessario procedere all'accertamento del cosiddetto interesse culturale, né occorre che i medesimi presentino un particolare pregio o siano qualificati come culturali da un provvedimento amministrativo. Ai fini dell'integrazione del reato de quo, infatti, è sufficiente che la “culturalità” sia desumibile dalle caratteristiche oggettive dei beni, derivante da tipologia, localizzazione, rarità o altri analoghi criteri, e la cui prova può desumersi o dalla testimonianza di organi della p.a. o da una perizia disposta dall'autorità giudiziaria (Cass. pen., n. 35226/2007).

Il carattere culturale del bene, quale elemento costitutivo del tipo legale, deve essere ricompreso anche nell'oggetto del dolo, occorrendo pertanto la consapevolezza del carattere culturale del bene.

Il delitto è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 927 a euro 1.500, dunque con la medesima pena prevista per il furto aggravato ex art. 625 c.p., ma non è consentito come sopra detto il bilanciamento tra circostanze, trattandosi di fattispecie autonoma di reato.

La fattispecie è speciale rispetto al furto aggravato, in quanto l'oggetto materiale del reato è costituito dal bene culturale, che rientra nell'ambito della categoria generale delle cose mobili, e si caratterizza per un regime intertemporale di continuità normativa, con applicazione ex art. 2 comma 4 c.p. della lege più favorevole.

La seconda parte del primo comma punisce l'impossessamento di beni culturali appartenenti allo Stato rinvenuti nel sottosuolo o nei fondali marini. Si tratta di un'ipotesi di reato già prevista all'art. 176 d.lgs. n. 42/2004 («Impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato»), che è stato contestualmente abrogato e rispetto al quale vi è continuità normativa.

La giurisprudenza (Corte appello Palermo sez. IV, 5 febbraio 2021, n. 605) ha precisato che «il reato d'impossessamento illecito di beni culturali non si configura se il soggetto attivo ha tenuto un atteggiamento meramente passivo nei confronti della acquisita disponibilità del bene. È necessario, infatti, che l'agente ponga in essere un'azione a mezzo della quale abbia appreso la cosa spostandola dal luogo in cui si trovava in origine per collocarla sotto il proprio dominio esclusivo (è stato assolto, pertanto, l'imputato trovato in possesso di una moneta d'oro di valore storico artistico e archeologico, perché gli era pervenuta per via ereditaria. Tale modalità di acquisizione, infatti, esclude l'attuazione da parte sua di un'azione di impossessamento del bene)».

Rispetto al furto di beni culturali, la fattispecie in esame è caratterizzata dalla mancanza della condotta di sottrazione.

La norma considera l'ipotesi in cui i beni non siano detenuti dallo Stato, ma si trovino nel sottosuolo o nei fondali marini e lo Stato ne sia proprietario soltanto in forza del disposto dell'art. 91 d.lgs. n. 42/2004, ai sensi del quale «i beni culturali da chiunque e in qualunque modo ritrovati nel sottosuolo o sui fondali marini, appartengono allo Stato e, a seconda che siano immobili o mobili, fanno parte del demanio o del patrimonio indisponibile, ai sensi degli artt. 822 e 826 c.c.».

Il dolo deve ricomprendere la natura culturale del bene.

La pena è la stessa prevista per la prima ipotesi (reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 927 a euro 1.500) ed è assai più elevata di quella in precedenza prevista all'art. 176 d.lgs. n. 42/2004 (reclusione fino a tre anni e multa da euro 31 a euro 516,50).

Nel caso in cui ricorra una o più delle circostanze aggravanti previste per il delitto di furto all'art. 625 si applica la pena della reclusione da quattro a dieci anni e della multa da euro 927 a euro 2.000.

La stessa pena si applica se il delitto previsto nella seconda parte del primo comma è commesso da chi abbia ottenuto la concessione di ricerca prevista dalla legge (cfr. art. 89 d.lgs. n. 42/2004).

Ulteriori circostanze sono previste quali aggravanti all'art. 518-sexiesdecies c.p., e quali attenuanti all'art. 518-septiesdecies c.p., per le attenuanti.

Sussiste concorso di reati tra la contravvenzione che persegue le ricerche archeologiche in difetto di concessione (art. 175 d.lgs. 42/2004) ed il delitto di furto di beni culturali appartenenti allo Stato nella parte in cui riproduce il disposto dell'abrogato art. 176 d.lgs. n. 42/2004. Di conseguenza nel caso in cui le ricerche abbiano avuto esito positivo, e l'autore si sia impossessato di quanto rinvenuto, questi è soggetto a pena per l'uno e l'altro reato (Cass. pen., n. 6432/2007; Cass. pen., n. 44967/2007).

L'appropriazione indebita di beni culturali (art. 518-ter c.p.)

La disposizione in esame tutela il patrimonio culturale, nella parte relativa ai beni culturali. Tali beni costituiscono l'oggetto materiale del reato e sono definiti all'art. 2 d.lgs. n. 42/2004, quali cose immobili e mobili che, secondo le specificazioni contenute agli artt. 10 e 11 d.lgs. n. 42/2004, «presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà».

L'art. 25-sexiesdecies d.lgs. n. 231/2001 sancisce la responsabilità amministrativa dell'ente in relazione alla commissione del delitto di cui all'art. 518-ter c.p.

Si tratta di fattispecie caratterizzata da omogeneità strutturale rispetto all'art. 646 c.p., avendo con essa in comune: 1) il presupposto del possesso; 2) la condotta di appropriazione; 3) il requisito dell'altruità del bene mobile; 4) il dolo specifico del fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto.

Diverso è, invece, il bene giuridico protetto e l'oggetto materiale della condotta, costituito all'art. 646 dal denaro o da una cosa mobile e all'art. 518-ter c.p. da un bene culturale mobile.

Il carattere culturale del bene, quale elemento costitutivo della tipicità, deve essere ricompreso anche nell'oggetto del dolo, occorrendo pertanto la consapevolezza del carattere culturale del bene.

Il fatto è punito con la reclusione da uno a quattro anni ed è procedibile d'ufficio, in ciò distinguendosi dall'appropriazione indebita comune che è procedibile a querela di parte, ma è punita con una pena inferiore, compresa tra due e cinque anni di reclusione.

Ricorre una circostanza aggravante a effetto comune (aumento fino a un terzo) nel caso in cui il fatto sia commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario (art. 518-ter comma 2 c.p.).

Ulteriori circostanze sono previste quali aggravanti all'art. 518-sexiesdecies c.p., e quali attenuanti all'art. 518-septiesdecies c.p., per le attenuanti.

Il delitto di pone in rapporto di specialità con l'appropriazione indebita comune in quanto l'oggetto materiale del reato è costituito dal bene culturale, che rientra nell'ambito della categoria generale delle cose mobili.

Ricettazione di beni culturali (art. 518-quater c.p.)

La disposizione tutela il bene giuridico patrimonio culturale, nella parte relativa ai beni culturali.

L'art. 25-sexiesdecies d.lgs. n. 231/2001, sancisce la responsabilità amministrativa dell'ente in relazione alla commissione del delitto di cui all'art. 518-quater c.p.

La struttura del delitto di cui all'art. 518-quater c.p. è analoga a quella della ricettazione ex art. 648 c.p., dalla quale si distingue in ragione del differente bene giuridico protetto dalle due norme incriminatrici e per l'oggetto materiale della condotta, costituito all'art. 518-quater c.p. dai beni culturali, che segna un connotato di specialità.

Il reato di cui all'art. 518-quater c.p., come nell'ipotesi base, si configura qualora il bene culturale provenga dalla precedente commissione di un altro delitto.

La ricettazione non si realizza qualora il bene culturale acquistato o comunque ricevuto provenga da una contravvenzione o da un illecito amministrativo.

La disposizione, infatti, si riferisce testualmente a “beni culturali provenienti da qualsiasi delitto”.

Trattasi, come la fattispecie di cui all'art. 648 c.p., di reato a forma vincolata, integrato da una delle seguenti condotte descritte dalla norma:

  1. Acquistare: il termine acquistare deve essere inteso in senso ampio, ricomprendente non soltanto il risultato di una compravendita, ma anche a qualsiasi altro modo, che potrà essere a titolo oneroso o gratuito, idoneo a fare conseguire all'agente il possesso della cosa di provenienza delittuosa. Pertanto la condotta si sostanzia ogni attività negoziale il cui effetto giuridico consista nel fare entrare la cosa nella sfera giuridico-patrimoniale dell'agente.
  2. Riceve: la ricezione può avvenire a qualsiasi titolo, e deve comportare l'uscita del bene culturale dal possesso dell'autore del reato principale. A differenza del concetto di acquisto, che può riferirsi anche ad una relazione meramente giuridica fra il soggetto agente e la cosa, la ricezione implica un'effettiva trasmissione del possesso della cosa stessa, che deve necessariamente entrare nella sfera di disponibilità dell'agente.
  3. Occulta: tale condotta presuppone necessariamente un acquisto o una ricezione de bene culturale di provenienza delittuosa e può consistere in una qualsiasi attività idonea a nascondere il bene culturale, sottraendolo alle ricerche dell'autorità.
  4. Intromettere nel fare acquistare, ricevere o occultare il bene culturale: l'intromissione si verifica quando il soggetto attivo pone in essere una mediazione fra la persona che possiede il bene culturale di provenienza delittuosa ed un terzo, interessato all'acquisto, che potrà anche essere in buona fede, ignorando la provenienza delittuosa delle cose. Non è necessario che la mediazione abbia un esito positivo, ovvero che si concretizza nell'acquisto, nella ricezione o nell'occultamento da parte del terzo. Si tratta, infatti, di un reato istantaneo.

A differenza di quanto previsto all'art. 648 c.p., inoltre, il reato presupposto della ricettazione di beni culturali deve essere necessariamente un delitto doloso e non anche un delitto colposo o una contravvenzione.

La provenienza da delitto sussiste anche quando l'autore del delitto presupposto non è imputabile o non è punibile ovvero quando manca una condizione di procedibilità riferita a tale delitto (art. 518-quater comma 3 c.p., che ricalca la previsione dell'art. 648 comma 5 c.p.).

Il carattere culturale del bene deve essere ricompreso anche nell'oggetto del dolo, occorrendo pertanto la consapevolezza di tale particolare carattere del bene.

Va rammentato che le Sezioni Unite (Cass. pen., n. 12433/2009) hanno riconosciuto la compatibilità del dolo eventuale con il delitto di ricettazione. Secondo la Suprema Corte, infatti, è possibile ravvisare il dolo eventuale quando l'agente, pur rappresentandosi la provenienza delittuosa della res (rectius del bene culturale), non avrebbe agito diversamente anche nell'eventualità che di tale provenienza delittuosa avesse avuto la certezza. Occorre, inoltre, che vi sia più di un semplice motivo di sospetto, rispetto al quale il soggetto agente potrebbe avere un atteggiamento psicologico di disattenzione o di mero disinteresse. La situazione fattuale deve, infatti, essere di significato inequivoco e determinare nell'agente una scelta consapevole tra l'agire, ovvero accettare l'eventualità di commettere il reato de quo, e il non agire.

La dottrina ha rilevato l'importanza del summenzionato arresto giurisprudenziale in considerazione della peculiarità dell'oggetto dell'acquisto. La natura artistica, storica, archeologica o demoetnoantropologica del bene culturale può suscitare, infatti, un sospetto sulla legittimità della provenienza in qualsiasi persona di media levatura intellettuale (G. Demuro, La riforma dei reati contro il patrimonio culturale: per un sistema progressivo di tutela, cit.).

Il delitto è punito con la reclusione da quattro a dieci anni e con la multa da euro 1.032 a euro 15.000; dunque, con una pena più grave di quella prevista all'art. 648 comma 1 c.p. (reclusione da due ad otto anni e multa da euro 516 a euro 10.329).

Ricorre una circostanza aggravante a effetto comune (aumento fino a un terzo), prevista al secondo comma della norma in commento, nel caso in cui il reato presupposto sia il delitto di rapina aggravata (art. 628 comma 3 c.p.) o di estorsione aggravata (art. 629 comma 2 c.p.).

Ulteriori circostanze per il delitto in commento sono previste all'art. 518-sexiesdecies c.p., per le aggravanti, e all'art. 518-septiesdecies c.p., per le attenuanti, ai quali si rinvia per il relativo esame.

Il delitto di pone in rapporto di specialità con la ricettazione comune in quanto l'oggetto materiale del reato è costituito dal bene culturale, che rientra nell'ambito della categoria generale delle cose mobili. Sussiste tra le fattispecie continuità normativa.

Impiego di beni culturali provenienti da delitto (art. 518-quinquies c.p.)

Anche questa fattispecie tutela il patrimonio culturale, nella parte relativa ai beni culturali ed anche in questo caso la struttura del delitto ricalca quella dell'impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita ex art. 648-ter c.p., da cui si differenzia per il bene protetto e per l'oggetto materiale, costituito all'art. 518-quinquies c.p. dai beni culturali provenienti da delitto.

Gli elementi costitutivi sono sostanzialmente i medesimo di cui all'art. 648-ter c.p.

Va ricordato che la giurisprudenza ha precisato che la nozione di attività economica o finanziaria è desumibile dal «combinato disposto degli artt. 2082, 2135 e 2195 c.c. e che con essa ci si vuole riferire non solo all'attività produttiva in senso stretto, ossia a quella diretta a creare nuovi beni o servizi, ma anche all'attività di scambio e distribuzione dei beni sul mercato nonché ad ogni altra attività che possa rientrare in una di quelle elencate nelle ora menzionate norme del codice civile» (Cass. pen., n. 33076/2016).

A differenza di quanto previsto all'art. 648-ter c.p., il reato presupposto deve essere necessariamente un delitto e non anche una contravvenzione. Il reato sussiste anche quando l'autore del delitto presupposto non è imputabile o non è punibile ovvero quando manca una condizione di procedibilità riferita a tale delitto (art. 518-quinquies comma 2 c.p.).

Il carattere culturale del bene deve ricadere nel fuoco del dolo.

Il fatto è punito con la reclusione da cinque a tredici anni e con la multa da euro 6.000 a euro 30.000; dunque, con una pena più grave di quella prevista all'art. 648-ter comma 1 c.p. (reclusione da quattro a dodici anni e multa da euro 5.000 a euro 25.000).

Si applicano le circostanze aggravanti previste all'art. 518-sexiesdecies c.p. e le circostanze attenuanti previste all'art. 518-septiesdecies c.p.

Il delitto di pone in rapporto di specialità con l'impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita comune in quanto l'oggetto materiale del reato è costituito dal bene culturale, che rientra nell'ambito della categoria generale dei beni. Sussiste tra le fattispecie continuità normativa.

Riciclaggio di beni culturali (art. 518-sexies c.p.)

Come per le precedenti fattispecie, ad essere tutelato è il patrimonio culturale, nella parte relativa ai beni culturali.

Agli ufficiali di polizia giudiziaria operanti sotto copertura nelle indagini per il delitto di cui all'artt. 518-sexies c.p. si applica la causa di non punibilità prevista all'art. 9 comma 1 l. n. 146/2006. L'art. 25-duodvicies d.lgs. n. 231/2001 sancisce la responsabilità amministrativa dell'ente in relazione alla commissione del delitto di cui all'art. 518-sexies c.p.

Come per i delitti di cui agli artt. 518-bis, 518-quinquies e 518-septies c.p., la struttura del delitto in esame ricalca quella del corrispondente art. 648-bis c.p., da cui si distingue per bene giuridico protetto e per l'oggetto materiale della condotta, costituito dai beni culturali provenienti da delitto non colposo.

Per il resto, gli elementi costitutivi essenziali sono i medesimi dell'art. 648-bis c.p.

Il reato di cui all'art. 518-sexies c.p., come nell'ipotesi base, si configura qualora il bene culturale provenga dalla precedente commissione di un altro delitto (nel caso di specie non colposo) e rientra nella categoria delle norme penali a più fattispecie: prevede, infatti, più condotte illecite che sono alternativamente equivalenti o fungibili ai fini della sua integrazione, essendo sufficiente il compimento di una sola tra quelle descritte. Trattasi di reato a forma libera in quanto realizzabile attraverso un ampio novero di condotte al cui interno è possibile ricondurre tutte quelle attività dirette a neutralizzare o comunque ad intralciare l'accertamento dell'origine illecita dei proventi ricavati dalle attività delittuose.

La fattispecie si articola in due ipotesi: la prima consiste nella sostituzione o nel trasferimento del bene culturale proveniente da specifici delitti non colposi.

In particolare, la condotta di sostituzione consiste nella consegna del bene culturale in cambio di uno diverso. Si ha, invece, trasferimento quando l'intermediario, che è a conoscenza della provenienza illecita del bene culturale, lo trasferisce in altro luogo, in modo da renderne più difficile l‘identificazione.

La seconda opera, invece, come clausola di chiusura della fattispecie, perché è volta ad incriminare qualsiasi condotta — distinta dalla sostituzione e dal trasferimento — che si esplica con delle modalità idonee a frapporre ostacoli all'identificazione del bene culturale di provenienza illecita specifica. In merito la giurisprudenza, valorizzando la natura del riciclaggio come reato a forma libera, ha ritenuto integrato il delitto nel caso di comportamenti diretti alla trasformazione parziale o totale del bene, ovvero ad ostacolare l'accertamento sull'origine della res, anche senza incidere direttamente, mediante alterazione die dati esteriori, sulla cosa in quanto tale (Cass. pen., n. 17771/2014).

A differenza di quanto previsto all'art. 648-bis c.p., il reato presupposto del riciclaggio di beni culturali deve essere necessariamente un delitto doloso e non anche un delitto colposo o una contravvenzione.

Il reato sussiste anche quando l'autore del delitto presupposto non è imputabile o non è punibile ovvero quando manca una condizione di procedibilità riferita a tale delitto (art. 518-quater comma 3 c.p.).

Il carattere culturale del bene deve essere ricompreso nell'oggetto del dolo.

Il fatto è punito con la reclusione da cinque a quattordici anni e con la multa da euro 6.000 a euro 30.000 (la pena prevista all'art. 648-bis comma 1 c.p. è della reclusione da quattro a dodici anni e della multa da euro 5.000 a euro 25.000).

Il secondo comma dell'art. 518-sexies c.p. introduce una circostanza attenuante ad effetto comune (diminuzione fino a un terzo) se i beni culturali provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.

Al delitto in commento si applicano le circostanze aggravanti previste all'art. 518-sexiesdecies c.p. e le circostanze attenuanti previste all'art. 518-septiesdecies c.p.

Il delitto si pone in rapporto di specialità con il riciclaggio comune in quanto l'oggetto materiale del reato è costituito dal bene culturale, che rientra nell'ambito della categoria generale dei beni.

Sussiste tra le fattispecie continuità normativa.

Autoriciclaggio di beni culturali (art. 518-septies c.p.)

L'autoriciclaggio di beni culturali tutela il patrimonio culturale.

Agli ufficiali di polizia giudiziaria operanti sotto copertura nelle indagini per il delitto di cui all'artt. 518-septies c.p. si applica la causa di non punibilità prevista all'art. 9 comma 1 l. n. 146/2006.

Con una costante della legge in esame, la struttura del delitto ricalca quella del corrispondente delitto contro il patrimonio previsto all'art. 648-ter.1 c.p., da cui si differenzia per il bene giuridico protetto e per l'oggetto materiale della condotta, costituito dai beni culturali provenienti dalla commissione di delitto non colposo.

Gli elementi costitutivi sono in buona sostanza i medesimi di cui all'art. 648-ter.1 c.p.

Si tratta di un delitto di pericolo concreto: occorre, infatti, valutare concretamente l'idoneità della condotta posta in essere dall'agente ad impedire l'identificazione della provenienza del bene culturale proveniente dalla commissione del delitto presupposto.

A differenza di quanto previsto all'art. 648-ter.1 c.p. il reato presupposto dell'autoriciclaggio di beni culturali deve essere necessariamente un delitto doloso e non anche un delitto colposo o una contravvenzione. Il reato sussiste anche quando l'autore del delitto presupposto non è imputabile o non è punibile ovvero quando manca una condizione di procedibilità riferita a tale delitto (art. 518-sexies comma 3 c.p. richiamato dal quarto comma della disposizione).

È esclusa la punibilità, fuori dei casi previsti dal primo e dal secondo comma, delle condotte per cui i beni sono destinati alla mera utilizzazione e al godimento personali (art. 518-septies comma 3 c.p.).

Il carattere culturale del bene deve essere ricompreso nell'oggetto del dolo, occorrendo pertanto anche la consapevolezza di tale particolare carattere del bene.

Il fatto è punito con la reclusione da tre a dieci anni e con la multa da euro 6.000 a euro 30.000 (la pena prevista all'art. 648-ter.1 comma 1 c.p. è della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a euro 25.000).

Il secondo comma dell'art. 518-septies c.p. prevede una circostanza attenuante (con pena della reclusione da due a cinque anni e della multa da euro 3.000 a euro 15.000) se i beni culturali provengono dalla commissione di un delitto non colposo punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.

Si applicano le circostanze aggravanti previste all'art. 518-sexiesdecies c.p. e le circostanze attenuanti previste all'art. 518-septiesdecies c.p., ai quali si rinvia per il relativo esame.

Il delitto di pone in rapporto di specialità con l'autoriciclaggio comune in quanto l'oggetto materiale del reato è costituito dal bene culturale, che rientra nell'ambito della categoria generale dei beni.

Sussiste tra le fattispecie continuità normativa.

Falsificazione in scrittura privata relativa a beni culturali (art. 518-octies c.p.)

Anche tale delitto è stato introdotto dalla l. n. 22/2022.

L'art. 25-septiesdecies d.lgs. n. 231/2001 sancisce la responsabilità amministrativa dell'ente in relazione alla commissione del delitto di cui all'art. 518-octies c.p.

Il primo comma incrimina la falsificazione di una scrittura privata avente ad oggetto beni culturali mobili.

Oggetto materiale del reato è una scrittura privata relativa a beni culturali mobili. Va rammentata in proposito la previsione dell'art. 64 d.lgs. n. 42/2004 che impone a chi eserciti «l'attività di vendita al pubblico, di esposizione a fini di commercio o di intermediazione finalizzata alla vendita di opere di pittura, di scultura, di grafica ovvero di oggetti d'antichità o di interesse storico od archeologico» l'obbligo «di consegnare all'acquirente la documentazione che ne attesti l'autenticità o almeno la probabile attribuzione e la provenienza delle opere medesime» ovvero, in mancanza, «di rilasciare, con le modalità previste dalle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, una dichiarazione recante tutte le informazioni disponibili sull'autenticità o la probabile attribuzione e la provenienza».

I beni culturali mobili sono come visto definiti all'art. 2 d.lgs. n. 42/2004, per cui si rinvia al paragrafo n. 1.

La condotta tipica consiste nel formare, in tutto o in parte, una scrittura privata falsa o nell'alterare, distruggere, sopprimere od occultare, in tutto o in parte, una scrittura privata vera. A differenza dell'abrogata ipotesi di cui all'art. 485 c.p., tali condotte integrano di per sé il delitto, senza che sia richiesto che l'agente usi ovvero lasci che altri facciano uso del documento; non è, pertanto, necessario che l'atto privato fuoriesca dalla sfera di disponibilità dell'autore della contraffazione o dell'alterazione.

L'elemento soggettivo è costituito dal dolo specifico del fine di far apparire lecita la provenienza del bene.

Il delitto è punito con la pena della reclusione da uno a quattro anni.

Il secondo comma punisce chi, senza essere concorso nella falsificazione, fa uso della scrittura privata falsa.

L'elemento soggettivo in tal caso è il dolo generico.

La pena è fissata nella reclusione da otto mesi a due anni e otto mesi.

Si applicano le circostanze aggravanti previste all'art. 518-sexiesdecies c.p. e le circostanze attenuanti previste all'art. 518-septiesdecies c.p., ai quali si rinvia per il relativo esame.

Violazioni in materia di alienazione di beni culturali (art. 518-nonies c.p.)

L'art. 518-novies c.p. riscrive le fattispecie delittuose previste nel previgente art. 173 d.lgs. n. 42/2004, modificandone alcuni elementi costitutivi e aggravandone il trattamento sanzionatorio (ora fissato nella reclusione da sei mesi a due anni e nella multa da euro 2.000 a euro 80.000).

La fattispecie prevista al n. 1 punisce le condotte di alienazione o immissione sul mercato non autorizzate di beni culturali. Rispetto al previgente art. 173, comma 1, n. 1, d.lgs. n. 42/2004, la nuova disposizione introduce la condotta di immissione sul mercato di beni culturali, non prevista nella previgente disposizione e dunque irretroattiva, ed elimina il rinvio espresso agli artt. 55 e 56 d.lgs. n. 42/2004 per l'individuazione dei casi di alienazione non autorizzata di beni.

L'autorizzazione a cui la norma fa riferimento la norma incriminatrice è, pertanto, non più solo quella che consente di derogare al divieto di alienazione di beni culturali fissato agli artt. 55 e 56, ma più ampiamente ogni ipotesi di mancanza di autorizzazione che venga richiesta dalla normativa di settore.

Si tratta di reato di pericolo astratto, posto a tutela del bene tutelato dell'«interesse pubblico alla tutela, valorizzazione e fruizione di beni culturali, posto in pericolo da un'alienazione non autorizzata» (G. Demuro, La riforma dei reati contro il patrimonio culturale: per un sistema progressivo di tutela, cit.).

Il numero due della disposizione tipizza la fattispecie di omessa denuncia, nel termine di trenta giorni, degli atti di trasferimento della proprietà o della detenzione di beni culturali. La previsione è «volta a garantire il controllo sulla dislocazione dei beni e a consentire l'esercizio, in caso di alienazioni a titolo oneroso, del diritto di prelazione previsto all'art. 60 d.lgs. n. 42/2004» (A. Martini, In G.U. la tutela del patrimonio culturale: le modifiche al codice penale, cit.).

L'ultima fattispecie, prevista al n. 3 è costituita dalla consegna di un bene culturale soggetto a prelazione da parte dell'alienante prima del decorso del termine di sessanta giorni dalla ricezione della denuncia di trasferimento, fissato per l'esercizio del diritto di prelazione.

La norma sanziona quindi la violazione del quarto comma dell'art. 61 d.lgs. n. 42/2004, che vieta la consegna della cosa in pendenza della condizione sospensiva del contratto di alienazione costituita dal mancato esercizio del diritto di prelazione.

Si presuppone che l'alienazione autorizzata e denunciata, culmini in una consegna del bene prima della scadenza «del termine di sessanta giorni» per l'esercizio della prelazione.

Va rammentato che l'art. 173 d.lgs. n. 42/2004 aveva avuto una limitata ma non trascurabile applicazione. Si segnalano, in particolare: Cass. pen., n. 44578/2016 che, non ponendosi scrupoli connessi ad un possibile bis in idem sostanziale, sanciva che il delitto di omessa denuncia concorresse con la truffa aggravata ai danni dello Stato, rappresentando l'omissione strumento fraudolento cui conseguono i tre eventi del 640 c.p.; Cass. pen., n. 45841/2012 aveva poi chiarito come la tutela fosse apprestata anche in riferimento a beni la cui valenza culturale non era stata preventivamente sancita; chiariva Cass. pen., n. 42516/2008 come dovessero ritenersi libere soltanto le transazioni su cose «di modesto valore o ripetitive, o conosciute in molti esemplari o non considerare rarissime, ovvero di cui esiste un notevole numero di esemplari tutti uguali»; i delitti, concludeva, Cass. pen., n. 21400/2005, avevano infatti come bene giuridico non un demanio formale, ma il «patrimonio storico artistico ambientale ... reale».

Quanto all'elemento soggettivo, le fattispecie sono punite a titolo di dolo generico.

Si applicano le circostanze aggravanti previste all'art. 518-sexiesdecies c.p. e le circostanze attenuanti previste all'art. 518-septiesdecies c.p.

Importazione illecita di beni culturali (art. 518-decies c.p.)

L'art. 518-decies c.p. introduce nell'ordinamento italiano il delitto di importazione illecita di beni culturali, trattandosi dunque di norma irretroattiva. Nonostante i riconoscimenti internazionali, difettava nell'ordinamento interno una disposizione penale specifica che punisse la condotta di illecita importazione, fattispecie che veniva ricondotta nell'ambito di applicazione ora della normativa sul contrabbando ora dei delitti contro il patrimonio previsti nel codice penale, segnatamente nella ricettazione.

La fattispecie è caratterizzata da una clausola di sussidiarietà relativa all'applicazione del delitto nelle ipotesi di concorso dell'autore del fatto nei reati previsti agli artt. 518-quater, 518-quinquies, 518-sexies, 518-septies c.p.

Oggetto materiale del reato sono i beni culturali: 1) provenienti da delitto; 2) rinvenuti a seguito di ricerche svolte senza autorizzazione, ove prevista dallo Stato in cui il rinvenimento ha luogo; 3) esportati da altro Stato in violazione della legge in materia d protezione del patrimonio culturale di quello Stato.

La condotta tipica è costituita dalla importazione, ovvero dall'introduzione nel territorio dello Stato.

L'elemento soggettivo è il dolo generico.

La pena è della reclusione da due a sei anni e multa da euro 258 a euro 5.165.

Si applicano le circostanze aggravanti previste all'art. 518-sexiesdecies c.p. e le circostanze attenuanti previste all'art. 518-septiesdecies c.p.

Uscita o esportazione illecite di beni culturali (art. 518-undecies c.p.)

L'art. 518-undecies c.p., al primo comma riproduce la fattispecie già prevista all'art. 174 d.lgs. n. 42/2004, che è stato contestualmente abrogato e rispetto al quale si colloca in soluzione di continuità normativa.

La condotta tipica consiste nel trasferimento all'estero senza attestato di libera circolazione o licenza di esportazione di: beni culturali, cose di interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale o archivistico o altre cose oggetto di specifiche disposizioni di tutela ai sensi della normativa sui beni culturali.

La disposizione va interpretata alla luce della normativa extrapenale che disciplina l'esportazione di beni culturali e, in particolare, del disposto dell'art. 65 d.lgs. n. 42/2004, che distingue tra beni per cui vige un divieto assoluto di esportazione, beni la cui esportazione è soggetta ad autorizzazione e beni liberamente esportabili. La licenza di esportazione riguarda, invece, i trasferimenti di beni al di fuori dell'Unione Europea, come regolati anche dal Reg. CE n. 116/2009 del Consiglio relativo all'esportazione di beni culturali.

La previsione, come detto, era già parte integrante del previgente sistema repressivo (art. 174 d.lgs. n. 42/2004), ben consapevole delle fragilità del nostro paese a fronte di tentativi di depredazioni culturali. Con la sola particolarità di prevenire il rinvio a regole espresse del T.U., il comma 1 dell'art. 518-undecies c.p. ricalca integralmente il delitto preesistente, raddoppiando, però, le pene edittali detentive e moltiplicando per sedici quella pecuniaria massima. Ciò che rileva non è, in sostanza, la esportabilità del bene, che, sia pure con oneri assai complessi, può essere consentita (cfr. art. 74 d.lgs. n. 42/2004, in riferimento ai beni di cui all'Allegato A lett. b), ma la circostanza che si sia fatto uscire il bene senza sottoporsi al necessario vaglio preventivo (che avrebbe potuto portare ad un provvedimento ostativo od autorizzativo).

Se poi l'esportazione implica un trasferimento del bene extra UE, entra in gioco il Reg. CE n. 116/2009, che (art. 2) riserva tale possibilità a soggetti che dispongano di apposita licenza, prevedendo poi (art. 9) che ad ogni violazione corrisponda una sanzione efficace, proporzionata e dissuasiva. Come precisa Cass. pen. n. 17814/2019, ai sensi dell'art. 65 comma 4 d.lgs. n. 42/2004 devono considerarsi di libera circolazione e quindi liberamente esportabili (se extra UE da chi dispone di adeguata licenza) alcuni beni culturali minori ed in particolare l'arte contemporanea, cioè «le opere di pittura, di scultura, di grafica e qualsiasi oggetto d'arte d'autore vivente o la cui esecuzione non risalga a oltre cinquant'anni» e non sia definibile, sia pure per il suo valore, di particolare interesse culturale (così Cass. pen., n. 39517/2017).

L'elemento soggettivo è il dolo generico.

La dottrina ha osservato, con riferimento al previgente art. 174 d.lgs. n. 42/2004, che la pregnante componente normativa della fattispecie in esame solleva numerose problematiche con riferimento all'elemento soggettivo e, in particolare, «alla rilevanza dell'eventuale errore dell'agente che vada a cadere vuoi sulla qualificabilità del bene come "culturale" vuoi sulle complesse regole amministrative in materia di esportazione» (A. Visconti, La repressione del traffico illecito di beni culturali nell'ordinamento italiano. Rapporti con le fonti internazionali, problematiche applicative e prospettive di riforma, in Leg. pen., 2021, 49).

Il trattamento sanzionatorio è aggravato rispetto alla previgente fattispecie, da ritenersi più favorevole, e determinato nella misura della reclusione da due a otto anni e della multa fino a euro 80.000.

Il secondo comma della disposizione introduce due ulteriori fattispecie di reato, punite con la stessa pena prevista dal primo comma.

La prima è integrata dalla condotta di chi omette di far rientrare nel territorio nazionale, alla scadenza del termine, i medesimi beni indicati al primo comma, per i quali sia stata autorizzata l'uscita o l'esportazione temporanea.

La seconda è integrata dalla condotta di chi rende dichiarazioni mendaci al fine di comprovare al competente ufficio di esportazione, ai sensi di legge, la non assoggettabilità di cose di interesse culturale ad autorizzazione all'uscita dal territorio nazionale (A. Martini, In G.U. la tutela del patrimonio culturale: le modifiche al codice penale, cit., il solleva perplessità in ordina alla proporzione del trattamento sanzionatorio ed al rispetto del principio di offensività).

Si applicano le circostanze aggravanti previste all'art. 518-sexiesdecies c.p. e le circostanze attenuanti previste all'art. 518-septiesdecies c.p.

Distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici (art. 518-duodecies c.p.)

Con l'introduzione dell'art. 518-duodecies c.p. il legislatore ha inteso superare i principali problemi sollevati dalla dottrina e riscontrati nella pratica dall'applicazione, in caso di danneggiamento del patrimonio culturale, dei delitti contro il patrimonio di cui all'art. 635 comma 2 n. 1 c.p. e all'art. 639, comma 2 c.p. (ipotesi che sono state contestualmente abrogate), colmandone le rispettive lacune (G. Demuro, La riforma dei reati contro il patrimonio culturale: per un sistema progressivo di tutela, cit.).

Innanzitutto, come già supra rilevato, l'oggetto materiale del reato è stato esteso all'intero patrimonio culturale, comprensivo dei beni culturali e di quelli paesaggistici. Esso riguarda, inoltre, non solo i beni "altrui", ovvero di proprietà di terzi, ma anche i beni "propri" dell'autore del reato, con ciò estendendo l'ambito di applicazione della norma, rispetto alle previgenti fattispecie di danneggiamento, anche alle ipotesi di danneggiamento della cosa propria. Va, infatti, ricordato che il d.lgs. n. 42/2004 limita le facoltà di godimento e disposizione del proprietario sia sui beni culturali, dettando una serie di misure di protezione e conservazione (artt. 20 ss. d.lgs. n. 42/2004), che sui beni paesaggistici, prevedendo il controllo e la gestione dei beni soggetti a tutela (artt. 146 ss. d.lgs. n. 42/2004), in vista della conservazione degli stessi e della loro accessibilità a favore della collettività.

La condotta è a forma libera e la sua descrizione riprende la formulazione dell'art. 635 c.p., con l'aggiunta del riferimento alla non fruibilità del bene. Essa consiste, dunque, nel distruggere, disperdere, deteriorare, rendere in tutto o in parte inservibili o non fruibili i beni. La non fruibilità del bene fa riferimento a quelle condotte che non consentono il godimento estetico del bene (Martini, In G.U. la tutela del patrimonio culturale: le modifiche al codice penale, in QG, 23.3.2022); per la descrizione delle altre condotte si rinvia sub art. 635 c.p.

Il delitto è a dolo generico.

La pena è della reclusione da due a cinque anni e della multa da euro 2.500 a euro 15.000.

Il comma 2 della disposizione introduce una fattispecie autonoma e meno grave di danneggiamento, applicabile infatti fuori dei casi previsti al primo comma (stante la espressa clausola di riserva) e punita meno severamente (reclusione da sei mesi a tre anni e multa da euro 1.500 a euro 10.000).

L'oggetto materiale è il medesimo previsto al primo comma: beni culturali o paesaggistici propri o altrui.

La condotta è integrata dal deturpamento o imbrattamento di tali beni, ovvero dalla destinazione dei beni culturali a un uso incompatibile con il loro carattere storico o artistico ovvero pregiudizievole per la loro conservazione o integrità. Tali condotte, di cui non sempre è agevole la distinzione dalle ipotesi previste al primo comma, anticipano la tutela penale a un momento antecedente alla vera e propria lesione dell'integrità del bene, configurando un reato di pericolo.

Al delitto in commento si applicano le circostanze aggravanti previste all'art. 518-sexiesdecies c.p. e le circostanze attenuanti previste all'art. 518-septiesdecies c.p., ai quali si rinvia per il relativo esame.

L'ultimo co. dell'art. 518-duodecies c.p. subordina la concessione della sospensione condizionale della pena al ripristino dello stato dei luoghi o alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo non determinato, comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna. Trattasi di previsione che subordina la concessione del beneficio all'imposizione di specifici obblighi ripristinatori, secondo una scelta legislativa già adottata per altre fattispecie di reato e, in particolare, per il danneggiamento aggravato (art. 635 ult. comma c.p.) e il deturpamento e imbrattamento aggravato (art. 639 ult. comma c.p.).

Da notare che non è espressamente richiesto che vi sia la non opposizione del condannato alla subordinazione del beneficio allo svolgimento di attività non retribuita a favore della collettività. Tale assenza di opposizione è da ritenersi comunque sempre necessaria, anche nell'ipotesi in commento, sulla base delle norme costituzionali poste a tutela della libertà personale e dell'art. 4 Cedu che vieta i lavori forzati od obbligatori.

Il delitto di pone in rapporto di specialità con il danneggiamento ex art. 635 c.p. e con quello di deturpamento e imbrattamento ex art. 639 c.p. in quanto l'oggetto materiale del reato è costituito dal bene culturale o da quello paesaggistico.

Devastazione e saccheggio di beni culturali e paesaggistici (art. 518-terdecies c.p.)

L'518-terdecies c.p. ricalca l'art. 419 c.p., in relazione alla rilevanza penale della realizzazione di fatti di devastazione o di saccheggio aventi ad oggetto il patrimonio culturale o gli istituti o luoghi di cultura.

Per comprendere il senso dei due eventi di danno risulta utile confrontarsi con l'esperienza giurisprudenziale in tema di applicazione dell'art. 419 c.p.

La norma, infatti, descrive un delitto contro l'ordine pubblico indicendo la Suprema Corte a concludere che la stessa gravità del danno prodotto alle cose sia “indifferente” alla integrazione della fattispecie, con la conseguenza (Cass. pen., n. 11912/2019) che ove consegua «anche un danno di rilevante gravità patrimoniale», il delitto risulterebbe aggravato ai sensi dell'art. 61 n. 7 c.p.

È utile ricordare che la giurisprudenza (Cass. pen., n. 43264/2018) si è impegnata in uno sforzo di interpretazione letterale dei concetti: integra devastazione, si legge «qualsiasi azione, posta in essere con qualsivoglia modalità, produttiva di rovina, distruzione o anche di un danneggiamento - comunque complessivo, indiscriminato, vasto e profondo - di una notevole quantità di cose mobili o immobili, tale da determinare non solo un pregiudizio del patrimonio di uno o più soggetti, e con esso il danno sociale conseguente alla lesione della proprietà privata, ma anche un'offesa e un pericolo concreti dell'ordine pubblico, inteso come buon assetto o regolare andamento del vivere civile, cui corrispondono, nella collettività, l'opinione e in senso della tranquillità e della sicurezza».

Il reato è di pericolo concreto, come quello previsto all'art. 419 c.p., con anticipazione della tutela penale alle condotte idonee a mettere in pericolo il patrimonio culturale.

Il delitto è configurabile fuori dei casi di concorso con il delitto di devastazione, saccheggio e strage previsto all'art. 285 c.p., stante la clausola di sussidiarietà espressa.

L'elemento soggettivo è il dolo generico.

La pena è della reclusione da dieci a sedici anni.

Si applicano le circostanze aggravanti previste all'art. 518-sexiesdecies c.p. e le circostanze attenuanti previste all'art. 518-septiesdecies c.p.

Il delitto di pone in rapporto di specialità con la devastazione e saccheggio comune in quanto l'oggetto materiale del reato è costituito dal bene culturale o paesaggistico o un istituto o luogo di cultura.

Sussiste tra le fattispecie continuità normativa.

Contraffazione di opere d'arte (art. 518-quaterdecies c.p.)

L'art. 518-quaterdecies c.p. ha trasposto nel codice penale il disposto dell'art. 178 d.lgs. n. 42/2004 che è stato contestualmente abrogato ed in relazione al quale sussiste continuità normativa.

Il successivo art. 518-quinquiesdecies c.p. (in cui è trasferita nel codice penale la previgente disposizione dell'art. 179 d.lgs. n. 42/2004) delimita e precisa l'ambito di applicazione del delitto, individuando i casi di non punibilità della contraffazione.

Il delitto ha carattere plurioffensivo: esso tutela la fede pubblica, ma altresì la regolarità e correttezza degli scambi nel mercato artistico e dell'antiquariato, con particolare riferimento alla tutela dei consumatori (G. Demuro, La riforma dei reati contro il patrimonio culturale: per un sistema progressivo di tutela, cit.).

Il delitto è punibile anche se commesso all'estero in danno del patrimonio culturale nazionale, ai sensi dell'art. 518-undevicies c.p.

L'art. 25-septiesdecies d.lgs. n. 231/2001 sancisce la responsabilità amministrativa dell'ente in relazione alla commissione del delitto di cui all'art. 518-quaterdecies c.p.

L'art. 518-quaterdecies c.p.è norma a più fattispecie.

Sono disciplinate quattro ipotesi di reato, che riprendono la formulazione delle lett. a-d dell'art. 178 d.lgs. n. 42/2004, punite tutte con la pena della reclusione da tre mesi a quattro anni e della multa da euro 103 a euro 3.099:

  1. La prima fattispecie punisce la contraffazione, alterazione o riproduzione di un'opera di pittura, scultura o grafica, ovvero di un oggetto di antichità o di interesse storico od archeologico. È richiesto il dolo specifico del fine di trarne profitto. Sul piano offensivo, il delitto manifesta un'anima articolata: esso da un lato tutela certo i privilegi del titolare dei diritti sull'opera, ma non di meno antepone ad essi l'esigenza che il diffondersi di contraffazioni non leda l'immagine del nostro patrimonio artistico: per questo neppure i titolari dei diritti sono ammessi ad eseguire contraffazioni (Cass. pen., n. 26072/2007). Non assumono valore, poi, considerazioni inerenti alla sopravvivenza dell'autore o al tempo di esecuzione dell'opera, come in passato chiarito da Cass. pen., n. 11096/2008 per la quale la tutela penale vale anche per le «opere di autori viventi o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquant'anni rispetto al reato contestato». Vale piuttosto la pena di sottolineare come il legislatore abbia perso l'occasione di contemplare nella tutela tutte le molteplici modalità di espressione dell'arte contemporanea, non sempre agevolmente riconducibili nei recinti di pittura, scultura e grafica. Sul piano della interpretazione letterale, infine, si può concludere che la condotta di contraffazione implichi la produzione di un'opera facendola apparire originale, quella di riproduzione la creazione da un originale di una sua imitazione come tale non riconoscibile, quella di alterazione inerisca soltanto i connotati identificativi dell'opera, risultando altrimenti integrato il delitto di danneggiamento;
  2. La seconda considera la condotta di chi, anche senza aver concorso nella contraffazione, alterazione o riproduzione, pone in commercio, o detiene per farne commercio, o introduce a questo fine nel territorio dello Stato, o comunque pone in circolazione, come autentici, esemplari contraffatti, alterati o riprodotti di opere di pittura, scultura, grafica o di oggetti di antichità, o di oggetti di interesse storico od archeologico. Le copie, per poter essere di libera commercializzazione, devono infatti porre in adeguata evidenza la loro natura di non originale (Cass. pen., n. 13966/2014). Il delitto non è punibile, in quanto impossibile per inidoneità della condotta, solo allorché si tratti di un falso grossolano «ictu oculi riconoscibile da qualsiasi persona di comune discernimento ed avvedutezza senza che si possa far riferimento né alle particolari cognizioni né alla competenza specifica di soggetti qualificati, né alla straordinaria diligenza di cui alcune persone possono essere dotate» (Cass. pen., n. 42122/2019);
  3. La terza ipotesi di reato punisce chiunque, conoscendone la falsità, autentica opere od oggetti contraffatti, alterati o riprodotti. Come noto, benché la dottrina sia portata a valorizzare il dato che quella attestazione altro non sia che species del genus raggiro, la giurisprudenza tende ad attribuire rilevanza sia al profilo di disvalore contro la fede pubblica che a quello contro il patrimonio (in tal senso Cass. pen., n. 13966/2014);
  4. Infine, il n. 4 punisce chiunque, con un mezzo diverso dalla autenticazione (mediante altre dichiarazioni, perizie, pubblicazioni, apposizione di timbri od etichette o con qualsiasi altro mezzo), accredita o contribuisce ad accreditare, conoscendone la falsità, come autentiche opere od oggetti contraffatti, alterati o riprodotti.

Trattandosi di corpo del reato, deve essere ordinata la confisca di tutti gli esemplari contraffatti, a meno che essi non siano parte del patrimonio della “vittima”, di colui che li ha acquistati credendoli veri. I beni confiscati non potranno neppure essere venduti in sede di asta dei corpi di reato.

Il comma 2 dell'art. 518-quaterdecies c.p. riprende il disposto del comma 4 dell'art. 178 d.lgs. n. 42/2004. Proprio in applicazione di quella disposizione la giurisprudenza (Cass. pen., n. 30687/2021) ha inteso chiarire che si tratta di una confisca obbligatoria che “non è assimilabile” a quella di cui al comma 2 n. 2 dell'art. 240 c.p., dato che non incide su cose “di natura intrinsecamente criminosa”. Essa, per questo, presuppone, se disposta in mancanza di una condanna «un accertamento incidentale del fatto reato, e, pertanto, della falsità/contraffazione dell'opera».

Il sottosistema è chiuso dall'art. 518-quinquiesdecies c.p. che delinea casi di non punibilità dei delitti di cui all'articolo precedente. Invero, dato che essa si si fonda sulla espressa dichiarazione di non autenticità delle cose trattate, si tratta piuttosto di una mera constatazione della non tipicità di quei fatti.

Si applicano le circostanze aggravanti previste all'art. 518-sexiesdecies c.p. e le circostanze attenuanti previste all'art. 518-septiesdecies c.p.

L'art. 518-quaterdecies c.p. prevede la confisca obbligatoria degli esemplari contraffatti, alterati o riprodotti delle opere o degli oggetti indicati nel primo comma, salvo che si tratti di cose appartenenti a persone estranee al reato.

Delle cose confiscate è vietata, senza limiti di tempo, la vendita nelle aste dei corpi di reato.

In caso di condanna o di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. è anche applicabile la confisca, diretta o per equivalente, prevista all'art. 518-duodevicies c.p.

Il possesso ingiustificato di strumenti per il sondaggio del terreno o di apparecchiature per la rilevazione dei metalli (art. 707-bis c.p.)

Con la legge 9 marzo 2022, n. 22, in G.U. 22 marzo 2022, n. 68, recante “Disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale” è stata inserita nel codice penale la contravvenzione di cui all'art. 707-bis c.p., che punisce «chi è colto in possesso di strumenti per il sondaggio del terreno o di apparecchiature per la rilevazione dei metalli, dei quali non giustifichi l'attuale destinazione, all'interno di aree e parchi archeologici, di zone di interesse archeologico, se delimitate con apposito atto dell'amministrazione competente, o di aree nelle quali sono in corso lavori sottoposti alle procedure di verifica preventiva dell'interesse archeologico secondo quanto previsto dalla legge».

Si tratta di un reato di possesso e di sospetto, con funzione dunque preventiva.

In ordine ai metal detectors, apparecchi sofisticati per il rilevamento di metalli nel sottosuolo, da tempo presenta carattere urgente la regolamentazione dell'utilizzo di essi. Tali apparecchi, non sempre utilizzati con spirito hobbistico, costituiscono oggi il principale strumento di lavoro dei c.d. tombaroli. Il loro impiego provoca gravi danni, anche involontari, in primo luogo perché essi non possono selezionare con precisione l'oggetto della ricerca e pertanto segnalano spesso la presenza di oggetti in metallo insignificanti, e poi perché vengono utilizzati nei pressi o all'interno di strutture, in ceramica o pietra, che nel corso della ricerca possono subire danni irreparabili.

Permangono molti dubbi sull'opportunità di simili modelli di incriminazione perché potenzialmente lesivi del principio di materialità e di offensività.

Sotto tale profilo, in tema di applicazione dell'art. 707 c.p., il Supremo Collegio ha manifestato di recente non poche perplessità, statuendo l'assoluta necessità che l'accusa dimostri «per assicurare una lettura costituzionalmente coerente della disposizione incriminatrice, […] l'attuale destinazione dello strumento» verifica che deve risultare tanto più penetrante e concreta «quanto più l'oggetto incriminato non presenti in sé caratteristiche di evidente destinazione allo scopo dell'apertura o della forzatura delle serrature, al fine di render effettivo il riscontro circa il pericolo concreto e attuale contro il patrimonio che testimonia la determinatezza della fattispecie incriminatrice oltre il mero dato del possesso».

Permangono infine le perplessità legate al rovesciamento dell'onere probatorio, imponendo la norma a chi si trovi in quelle condizioni ed in quei luoghi di provare la legittimità delle ragioni che ne ispirano la presenza (Cass. pen., n. 52523/2016).

La confisca (art. 518-octiesdecies c.p.)

Analizzando le disposizioni di carattere generale, con la lettera a) dell'art. 1) si provvede ad una mera opera di coordinamento, aggiungendo al già ricco catalogo dei delitti per i quali è doverosa, ex art. 240-bis c.p., la confisca allargata, “per sproporzione”, per equivalente, quelli ora coniati dagli artt. 518 da quater a septies c.p.

La misura reale non attinge, in tal caso, necessariamente i beni culturali oggetto del reato.

Per essi provvede ora il nuovo art. 518-duodevicies c.p., dal contenuto complesso (A. Martini, In G.U. la tutela del patrimonio culturale: le modifiche al codice penale, cit.).

Al comma 1 (che prende il posto un tempo occupato dall'art. 174 comma 3 d.lgs. n. 42/2002) si contempla, indipendentemente dai contenuti della decisione giudiziale, la confisca doverosa delle cose che hanno costituito oggetto del reato di esportazione illecita (nuovo art. 518-undecies c.p.), a meno che non appartengano ad un terzo a quel delitto estraneo (precisazione quanto mai opportuna anche alla luce della recentissima Corte di giust. UE, sez. I, n. 393/2021) ed evidentemente vittima, in un momento precedente, di una qualche sottrazione.

Il predecessore normativo era stato interpretato dalla Suprema Corte (Cass. pen., n. 11269/2019) nel senso che ove si leggeva che “soggetto estraneo al reato” non potesse considerarsi chiunque, anche non avendo concorso in esso, ne abbia tratto vantaggi o utilità. Nella sua struttura la norma assimila i beni culturali alle cose oggetto di contrabbando. In caso di estinzione del reato (per una qualsiasi ragione) provvederà (la norma dice “procede”, indicativo imperativo) il giudice dell'esecuzione (A. Martini, In G.U. la tutela del patrimonio culturale: le modifiche al codice penale, cit.).

Il secondo comma della disposizione prevede, in caso di condanna per uno dei delitti previsti al Titolo VIII bis del Libro II del codice (introdotto dall'art. 1, comma 1, lett. b, l. n. 22/2022) o di sentenza di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. per uno di tali delitti, la confisca obbligatoria e diretta delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, nonché delle cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo.

È fatto salvo il caso in cui le cose appartengano a persona estranea al reato.

Nel caso in cui non sia possibile la confisca diretta di tali beni, il terzo comma consente la confisca per equivalente del denaro, dei beni o delle altre utilità delle quali il reo abbia la disponibilità, anche per interposta persona, per un valore corrispondente al prezzo o al profitto del reato.

La disposizione presuppone un distinguo tra beni culturali oggetto del reato, per i quali consegue (nel caso detto) ineluttabile confisca, e «le cose che servirono o furono destinate a commettere il reato» e quelle «che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo» (sempre se non appartengano a terze persone).

Per le seconde, il comma 2 dello stesso nuovo articolo reitera la scelta di sancire la obbligatorietà della confisca, ma pure sempre in caso di sentenza di condanna o di sentenza di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., innovando al regime alternato di facoltatività e doverosità preveduto dai commi 1 e 2 dell'art. 240 c.p. (A. Martini, In G.U. la tutela del patrimonio culturale: le modifiche al codice penale, cit.).

Invero, il concetto di bene “oggetto del reato” non sembra dotato di una propria nitida identità. Considerando la implicita struttura del delitto presupposto, la c.d. esportazione di beni culturali, la questione potrebbe risultare però frutto di una mera scelta linguistica. Ciò che, infatti, regge integralmente il giudizio di disvalore è la natura della cosa oggetto della condotta. L'essere quelle cose beni culturali appare quindi strumentale al disvalore del delitto, connotato altrimenti da un agire considerato con favore dalla vigente normativa mercantilistica. Se ne potrebbe allora dedurre che si tratti di beni il cui peculiare e specifico “uso” (l'esportazione, appunto) “costituisce reato” ai fini dell'applicabilità della confisca (misura di sicurezza) obbligatoria ai sensi dell'art. 240, comma 2 n. 2 c.p. (A. Martini, In G.U. la tutela del patrimonio culturale: le modifiche al codice penale, cit.).

L'inevitabilità degli effetti ablativi si mostra nella sua completezza considerando la previsione del comma 3: si prevede in esso che il giudice, quando non è possibile provvedere alla confisca a norma del secondo comma, ordini (debba ordinare) la c.d. confisca per equivalente, colpendo anche beni dei quali il soggetto abbia disponibilità per interposta persona (A. Martini, In G.U. la tutela del patrimonio culturale: le modifiche al codice penale, cit.).

L'ultimo comma della norma prevede, infine, che l'autorità giudiziaria, su richiesta degli organi di polizia, affidi in custodia giudiziale a tali organi le navi, le imbarcazioni, i natanti e gli aeromobili, le autovetture e i motocicli sequestrati in operazioni di polizia giudiziaria a tutela dei beni culturali perché vengano impiegati in attività di tutela dei medesimi beni (A. Martini, In G.U. la tutela del patrimonio culturale: le modifiche al codice penale, cit.).

Circostanze aggravanti (art. 518-sexiesdecies c.p.)

L'art. 518-sexiesdecies c.p. delinea un sistema di circostanze aggravanti per tutti i delitti previsti dal “presente titolo”. Si tratta di aggravanti speciali ad effetto speciale proporzionale (la pena è aumentata da un terzo alla metà).

La rilevante gravità del danno pone in tal caso il problema della convivenza con l'aggravante comune di cui all'art. 61 n. 7 c.p., ad effetto proporzionale ordinario (A. Martini, In G.U. la tutela del patrimonio culturale: le modifiche al codice penale, cit.). Alla conclusione che si tratti di una norma speciale, «sembra porsi di ostacolo la considerazione che il danno, nei delitti in questione, non sempre è suscettibile di una sua chiara quantificazione per equivalente, come del resto conferma, implicitamente, il comma 1 dell'art. 518-septiesdecies c.p.» (A. Martini, In G.U. la tutela del patrimonio culturale: le modifiche al codice penale, cit.). Le risorse culturali e paesaggistiche si sottraggono ad una loro precisa valorizzazione, assurgendo profili di rilevanza che trascendono il danno monetizzabile e rilevano, piuttosto, come grado di compromissione del bene tutelato.

La commissione del fatto «nell'esercizio di un'attività professionale, commerciale, bancaria o finanziaria». Il disvalore si coglie sul piano della pericolosità oggettiva, per i beni tutelati, di un agire organizzato e gestito in modo professionale, non risultando invece richiesto alcun requisito formale (Cass. pen., n. 39474/2008). L'aggravante appare in tal senso apparentata con quella del n. 11 dell'art. 61 c.p., implicando un abuso di una posizione alla quale sono connessi poteri e doveri. In tal caso, precisa il comma 2 della disposizione, il soggetto qualificato subirà la pena accessoria dell'interdizione dall'esercizio della propria attività (art. 30 c.p.) e la sentenza di condanna sarà pubblicata ai sensi dell'art. 36 c.p. (A. Martini, In G.U. la tutela del patrimonio culturale: le modifiche al codice penale, cit.).

L'autore del fatto è pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio investito del dovere di conservare e tutelare quei beni. Se l'aggravante comune di cui all'art. 61 n. 9 c.p. esplicita che il soggetto qualificato deve abusare dei propri poteri, la nuova aggravante prescinde da questo. La divergenza è «però più apparente che sostanziale, dato che il modello comportamentale descritto dai delitti del Titolo VIII bis è sempre illecito rispetto ai doveri che conseguono al ruolo» (A. Martini, In G.U. la tutela del patrimonio culturale: le modifiche al codice penale, cit.).

Fatto commesso «nell'ambito dell'associazione per delinquere di cui all'art. 416 c.p.». La formula è “particolarmente ambigua” (A. Martini, In G.U. la tutela del patrimonio culturale: le modifiche al codice penale, cit.). Commettere un reato “nell'ambito” di un'associazione per delinquere è «espressione che può intendersi in almeno due differenti significati: si tratta di uno dei delitti scopo dell'associazione o si tratta di un delitto strumentale all'esistenza, sopravvivenza od operatività della struttura organizzativa» (A. Martini, In G.U. la tutela del patrimonio culturale: le modifiche al codice penale, cit.).

Come rilevato in dottrina «entrambe le prospettazioni sono plausibili, tanto più che nel corso dei lavori di elaborazione della riforma si è deciso di lasciare per strada la disposizione che coniava, sul modello dell'art. 452-quaterdecies c.p., il delitto di Attività organizzata per il traffico illecito di beni culturali, per sua natura associativo. In attesa di verificarne i modi di applicazione, possiamo allo stato convenire che la formula non possa leggersi nel senso che sia sufficiente ad integrare la nuova aggravante il mero fatto che l'autore sia “altrimenti” associato per delinquere» (A. Martini, In G.U. la tutela del patrimonio culturale: le modifiche al codice penale, cit.).

Nel caso in cui i delitti siano commessi nell'esercizio di un'attività professionale o commerciale, il secondo comma della disposizione in commento dispone l'applicazione della pena accessoria dell'interdizione da una professione o da un'arte prevista all'art. 30, nonché della pubblicazione della sentenza penale di condanna ex art. 36 c.p. (A. Martini, In G.U. la tutela del patrimonio culturale: le modifiche al codice penale, cit.).

Circostanze attenuanti (art. 518-septiesdecies c.p.)

L'art. 518-septiesdecies c.p., contempla due attenuanti.

La prima appare ad effetto fisso, per quanto non eccedente quello ordinario: la pena, infatti, è sempre diminuita di un terzo, e non sino ad un terzo, allorché il delitto “cagioni un danno” o “comporti un lucro” di speciale tenuità, purché l'evento costitutivo dannoso o pericoloso sia di speciale tenuità. Se la ponderazione dell'evento dannoso o pericoloso appare da apprezzare in una prospettiva che prescinde da una sua monetizzabilità, i primi due sembrano inevitabilmente attratti in quel contesto. Si tratterà dunque di procedere su due piani paralleli, contemperando due distinti profili: il primo valoriale e non necessariamente patrimoniale, il secondo modulato sugli effetti economici dell'agire illecito, per chi ha subito il fatto e per chi lo ha commesso (A. Martini, In G.U. la tutela del patrimonio culturale: le modifiche al codice penale, cit.).

La seconda attenuante, ad effetto proporzionale speciale (la pena è diminuita da un terzo a due terzi), è connessa all'atteggiamento collaborativo del colpevole (A. Martini, In G.U. la tutela del patrimonio culturale: le modifiche al codice penale, cit.).

Si tratta di un modello costruito avendo ben presente tre distinti esempi (A. Martini, In G.U. la tutela del patrimonio culturale: le modifiche al codice penale, cit.): «l'attenuante di cui all'art. 416-bis.1 comma 3 c.p., in materia di associazioni di stampo mafioso, l'attenuante di cui al comma 7 dell'art. 73 d.P.R. n. 309/1990 ed una delle definizioni qualificanti il c.d. collaboratore di giustizia, contenuta nell'art. 2 comma 1 lett. a) l. 11 gennaio 2018 n. 6».

Un contributo efficace sia sul piano dei soggetti che sul piano degli effetti, ovvero un impegno assai oneroso (Cass. pen., n. 45434/2021, per l'applicazione del art. 416-bis.1 c.p.) richiede «l'accertamento del proficuo contributo alle indagini o dell'aiuto offerto per evitare conseguenze ulteriori dell'attività delittuosa» che, come tale, potrebbe risultare precluso a chi abbia avuto un ruolo di minima importanza nel concorso eventuale. In tal caso, peraltro, potrebbe trovare applicazione «l'attenuante ad effetto ordinario dell'art. 114 c.p., della quale viene esclusa in giurisprudenza la compatibilità solo con i reati associativi» (Cass. pen., n. 7188/2021).

Casi di non punibilità (art. 518-quinquiesdecies c.p.) e Fatto commesso all'estero (art. 518-noviesdecies c.p.)

L'art. 518-quinquiesdecies c.p. ha trasferito nel codice penale il previgente art. 179 d.lgs. n. 42/2004 che è stato contestualmente abrogato (A. Martini, In G.U. la tutela del patrimonio culturale: le modifiche al codice penale, cit.).

La causa di non punibilità prevista all'art. 9 comma 1 l. n. 146/2006 per gli ufficiali di polizia giudiziaria operanti sotto copertura si applica ora anche alle indagini svolte nei procedimenti per i delitti di cui agli artt. 518-sexies e 518-septies c.p.

La disposizione non introduce una speciale causa di esclusione della punibilità, bensì come visto delimita e precisa l'ambito di applicazione del delitto di cui all'art. 518-quaterdecies c.p.

Non rientrano, in particolare, nell'ambito di applicazione dell'art. 518-quaterdecies c.p., la riproduzione, detenzione, messa in vendita o diffusione in altro modo di copie di opere di pittura, di scultura o di grafica, ovvero di copie o imitazioni di oggetti di antichità o di interesse storico o archeologico, che siano dichiarate espressamente non autentiche, mediante annotazione scritta sull'opera o sull'oggetto o, quando ciò non sia possibile per la natura o le dimensioni della copia o dell'imitazione, mediante dichiarazione rilasciata all'atto dell'esposizione o della vendita.

La configurabilità del delitto è altresì escluda con riferimento ai restauri artistici che non abbiano ricostruito in modo determinante l'opera originale.

Infine, l'art. 518-noviesdecies c.p. estende la punibilità secondo la legge italiana ai reati contro il patrimonio culturale previsti al Titolo VIII-bis del Libro II del codice (introdotto dall'art. 1 comma 1 lett. b l. n. 22/2022) commessi interamente all'estero purché in danno del patrimonio culturale nazionale.

La previsione si ispira al principio della personalità passiva o della difesa, fondando l'applicazione della legge penale italiana sull'esigenza di tutela di interessi nazionali lesi da delitti da chiunque commessi anche interamente all'estero.

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