Ricusazione del giudice: legittimazione del difensore quando l'incompatibilità si manifesta in udienza

08 Giugno 2022

Con una recente pronuncia la Corte di cassazione ha confermato il suo orientamento in materia di legittimazione a proporre dichiarazione di ricusazione quando la causa della stessa si è verificata in udienza, indirizzo secondo cui anche in questo caso – e in quello ancora più problematico in cui la parte ricusante non sia personalmente presente in udienza – non è sufficiente il semplice mandato difensivo, occorrendo la procura speciale ovvero un mandato specifico.
Premessa

Con la sentenza n. 10759 dell'8 marzo 2022, la III sezione della Corte di cassazione ha confermato il suo orientamento in materia di legittimazione a proporre dichiarazione di ricusazione quando la causa della stessa si è verificata in udienza, indirizzo secondo cui anche in questo caso – e in quello ancora più problematico in cui la parte ricusante non sia personalmente presente in udienza – non è sufficiente il semplice mandato difensivo, occorrendo la procura speciale ovvero un mandato specifico.

La Corte di cassazione, in particolare, ha affermato che «l'onere di formulare la dichiarazione prima del termine dell'udienza qualora la causa di ricusazione sorga nel corso della stessa udienza spiega i suoi effetti anche per l'imputato che, per sua libera scelta, decida di non partecipare al processo, potendo egli conferire procura speciale al difensore attraverso un atto che contenga, ex ante, un generale riferimento alle cause di ricusazione che dovessero sorgere nel corso del procedimento».

Con tale posizione viene rigettato il ricorso degli imputati, che, riferendosi al preciso caso in cui la causa della ricusazione si sia verificata in udienza, avevano invece sostenuto la sufficienza del mandato defensionale.

La ricusazione. Le cause.

Per il tramite della ricusazione, le parti dichiarano di non accettare il giudice dinanzi al quale pende il loro giudizio, dolendosi della parzialità dello stesso, valutato in quanto persona fisica.

È un dato evidente e noto, in particolare, che le ragioni che legittimano tale istanza, tanto nel processo penale, quanto in quello civile, sono tutte legate alla mancanza di neutralità della persona fisica del magistrato.

In particolare, l'art. 37 c.p.p. individua le cause di ricusazione suddividendole in due gruppi: nel primo (lett. a) rientrano circostanze che danno luogo anche al diritto/dovere di astensione e che sono individuate con un certo livello di dettaglio dall'art. 36, lett. a), b), c), d), e), f) e g), cui l'art. 37 c.p.p. rimanda, mentre il secondo si configura quando il giudice «nell'esercizio delle funzioni e prima che sia pronunciata sentenza […] ha manifestato indebitamente il proprio convincimento sui fatti oggetto dell'imputazione».

Si tratta di una formula ampia e residuale, comprensiva di situazioni non tipizzabili, né prevedibili ex ante, la cui valutazione e il cui prudente apprezzamento sono rimessi al singolo giudice.

La Corte costituzionale, con la pronuncia n. 283/2000, ha dichiarato l'illegittimità di questa disposizione «nella parte in cui non prevede che possa essere ricusato dalle parti il giudice che, chiamato a decidere sulla responsabilità di un imputato, abbia espresso in altro procedimento, anche non penale, una valutazione di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto».

Con tale pronuncia l'ambito di applicazione della norma in commento è stato esteso anche a manifestazioni intervenute nell'ambito dello svolgimento fisiologico di altri procedimenti. L'ipotesi presa in considerazione è che uno stesso giudice abbia in precedenza giudicato la medesima persona per il medesimo fatto nello svolgimento delle sue funzioni in altra sede.

La peculiarità di questa evenienza è che il pronunciamento rientra nella fisiologia dell'attività giurisdizionale; il giudice ricusato, in altre parole, si è espresso svolgendo legittimamente e debitamente il suo ruolo istituzionale.

Il Giudice delle leggi ha preso atto che anche questa eventualità menoma il principio di imparzialità e, dunque, necessita del rimedio della ricusazione.

Tale sentenza si pone nel solco tracciato dalla stessa Corte, nello stesso anno, quando, trattando della astensione, e in particolare dell'art. 36, comma 1, lett. h), c.p.p. ha chiarito che il riferimento alla convenienza deve leggersi in modo estensivo, come inclusivo non solo di «situazioni private del giudice», ma altresì relativo alla «attività giurisdizionale che egli abbia svolto, legittimamente, in altri procedimenti» (Corte cost., 20 aprile 2000, n. 113).

Per l'assetto attuale, quindi, tanto l'astensione, quanto la ricusazione, possono avere luogo anche quando il difetto di imparzialità si sia manifestato in occasione ovvero in relazione ad altro procedimento.

Appariva, in effetti, distonica una diversa interpretazione (e dunque estensione) tra astensione e ricusazione, considerata la loro contiguità.

Con riferimento alla ricusazione, in particolare, stando al quadro definito dall'intervento della Corte costituzionale, assumono rilevanza, da un lato, le esternazioni avvenute al di fuori del procedimento in cui si procede, ancorchè del tutto coerenti con la funzione in quel momento svolta e, dall'altro alto, le esternazioni avvenute all'interno del procedimento, ma queste ultime solo in quanto indebite.

In quest'ultimo caso, diventa allora dirimente che la esternazione non sia parte ordinaria della funzione concreta svolta dal giudice, cioè sia, appunto, come espressamente richiesto dalla norma, indebita.

Per giurisprudenza consolidata, il pronunciamento del giudice è indebito in quanto non richiesto necessariamente dalla mansione che viene svolta.

Tale eventualità si può verificare in due casi: che l'attività in cui l'esternazione si innesta sia del tutto avulsa rispetto alla sequenza procedimentale, o che il giudice ricusato stesso svolgendo una funzione propria del giudizio pendente dinanzi a lui, ma, cionondimeno, la manifestazione del suo pensiero non costituisse un passaggio necessario per portare a termine l'attività (cfr. Cass. pen., sez. un., 27 settembre 2005, n. 41263 e, più recentemente, tre le altre, Cass. pen., sez. VI, 11 ottobre 2017, n. 15858)

La legittimazione per presentare dichiarazione di ricusazione. La particolare ipotesi che la causa si verifichi in udienza.

Tanto chiarito in termini generali e venendo alla questione trattata dalla sentenza in commento, si deve muovere dal dato normativo, e segnatamente dall'art. 38, comma 4 c.p.p., che afferma che: «la dichiarazione, quando non è fatta personalmente dall'interessato, può essere proposta a mezzo del difensore o di un procuratore speciale».

La giurisprudenza, con orientamento consolidato, e confermato dalla pronuncia che si annota, afferma la necessità della procura speciale (tra le altre, Cass. pen., sez. I, 26 maggio 2009, n. 24099), muovendo – oltrechè dal dato letterale – dalla natura personalissima della dichiarazione di ricusazione.

Ad una prima lettura, sembra allora abrogato in via ermeneutica il riferimento della norma al difensore («a mezzo del difensore o di un procuratore speciale»).

In effetti, confrontando l'atto in questione con altri, per la cui presentazione la legge richiede la procura speciale, non si rinvengono altri riferimenti disgiuntivi al difensore del tipo di quello di cui all'art. 38, comma 4 c.p.p., nonostante anch'essi – secondo interpretazioni consolidate – rientrino nella categoria degli atti personalissimi.

Si pensi, ad esempio, alla costituzione di parte civile, per il cui esercizio, l'art. 76 c.p.p. abilita anche il procuratore speciale («l'azione civile nel processo penale è esercitata, anche a mezzo di procuratore speciale…»). La congiunzione “anche” a ben vedere introduce la legittimazione del procuratore speciale, in alternativa rispetto a quella personale della parte, vantando, il difensore, un ruolo autonomo rispetto all'esercizio dell'azione, che è quello di difesa e rappresentanza, una volta che la costituzione in giudizio è già avvenuta.

Analogamente avviene in materia di rimessione del processo (art. 46, comma 2 c.p.p.), di giudizio abbreviato (art. 438, comma 3 c.p.p.) e di applicazione della pena su richiesta delle parti (art. 446, comma 3 c.p.p.).

In tutti questi casi, come si vede, la legge impone che la volontà della parte non sia filtrata dal difensore; in altre parole, vista la delicatezza delle materie, le richieste in commento devono essere avanzate dalla parte in modo completamente consapevole, che significa che il difensore non si può surrogare al suo assistito nel prendere la decisione.

In ulteriori e diversi termini, il difensore è legittimato ad assumere, per conto della parte e sostituendosi alla stessa, svariate decisioni e ad assumere svariate iniziative (si pensi alla gestione dell'udienza, alla formulazione delle richieste istruttorie, ecc.); in questi casi il legislatore processuale, anche in considerazione della natura tecnica di siffatte scelte, le ha rimesse all'iniziativa (eventualmente anche) autonoma del difensore. Vi sono ipotesi, invece, nelle quali l'ordinamento ha voluto assicurare la partecipazione diretta della parte, sicchè, come rilevato, ha preteso che l'istanza sia formulata direttamente dalla stessa oppure da procuratore speciale.

È ben noto, infatti, che la funzione della procura speciale, avendo un oggetto determinato e specifico, è quella di attribuire al procuratore la rappresentanza del conferente con riferimento al preciso atto (o, al più, ai precisi atti) che nella stessa vengono indicati; è chiaro allora come tale atto presupponga una volontà consapevole della parte, che assicura la partecipazione della stessa nella decisione.

Come si spiega, allora, il riferimento dell'art. 38, comma 4 c.p.p. tanto al difensore, quanto al procuratore speciale?

La sentenza in commento, in linea con l'orientamento dominante, risponde a questa domanda affermando la sufficienza di un mandato defensionale, purchè caratterizzato dalla specificità dell'oggetto: non basta, cioè il mandato generico, ma occorre che tale atto contenga un riferimento specifico alla volontà di ricusare («La previsione (…), secondo cui "la dichiarazione, quando non è fatta personalmente dall'interessato può essere proposta a mezzo del difensore o di un suo procuratore speciale" sta a sottolineare (…) che non necessariamente è richiesta la forma della procura speciale, ben potendo a questa supplire il conferimento di espresso mandato purché idoneo a riferire la ricusazione alla parte personalmente)».

Anche ricorrendo a questa soluzione, tuttavia, non si comprende la ragione per la quale il legislatore abbia ritenuto equiparate le due forme di legittimazione (il mandato specifico e la procura speciale) e nemmeno la differenza tra i due atti.

Inoltre, si deve sottolineare che la norma si riferisce al semplice difensore, senza attribuirgli ulteriori connotazioni, lasciando pensare al difensore munito di mandato generico.

La consolidata interpretazione giurisprudenziale conduce anche ad altre, più profonde, riflessioni.

Ammettere la legittimazione a proporre ricusazione anche a fronte di un mandato difensivo, ancorchè specifico, sembra porsi in irrimediabile contrasto con la personalità dell'atto, che giustifica la procura speciale. Quest'ultima, infatti, come si è rilevato, risponde all'esigenza che la scelta sia consapevolmente condivisa dalla parte.

Orbene, immaginando in concreto un mandato specifico, si dovrebbe pensare di includere nel mandato difensivo, una voce relativa alla possibilità di proporre la ricusazione in relazione al procedimento per cui il mandato viene conferito; la attribuzione di questo potere, però, è tendenzialmente precedente rispetto al verificarsi della causa della ricusazione, atteso che si colloca nel momento in cui viene conferito il mandato, sicchè giammai la parte potrà avere cognizione di quanto giustifica, poi, in concreto, la ricusazione.

Inoltre, a ben vedere, viene altresì aggirata la previsione dell'art. 38, comma 4 c.p.p., per cui la procura speciale deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi precisi della ricusazione. Con questa previsione il legislatore ha imposto un onere ulteriore rispetto a quelli di cui all'art. 122 c.p.p., dimostrando di nutrire un particolare interesse e una particolare sensibilità verso la personalità dell'atto di ricusazione.

Ipotizzando, invece, che il conferimento avvenga quando il fatto si è già verificato e che, quindi, abbia ad oggetto quello specifico fatto, allora, la differenza rispetto alla procura speciale non giustifica la previsione legislativa di entrambi gli atti e rischia di diventare meramente formale.

Dalla formulazione letterale della norma, sembra piuttosto che il legislatore abbia voluto legittimare alla dichiarazione di ricusazione il difensore, ma che abbia lasciato aperta l'alternativa che la parte si avvalga di un procuratore speciale.

Si spiega così, l'impiego, da un lato, della disgiunzione o per legare difensore e procuratore e dall'altro lato dell'articolo indeterminativo per introdurre il lemma ‘procuratore': il difensore può avanzare dichiarazione di ricusazione e, in alternativa, a tale adempimento è altresì legittimato un procuratore speciale.

Sul punto, la pronuncia in commento ha, invece, affermato che «l'utilizzo della disgiuntiva "o" non vale affatto a conferire un'autonoma, parallela, legittimazione del difensore, che, come ribadito dall'univoca interpretazione di questa Corte sulla scia della sentenza chiarificatrice delle Sezioni Unite (Cass. pen., sez. un., 5 ottobre 1994, n. 18 Battaggia, Rv. 199805), può certamente proporre istanza di ricusazione nella veste di rappresentante a condizione, però, che sia munito di espresso mandato, pure se non nelle forme della procura speciale».

In questo contesto sarebbe agevole riferirsi alla procura preventiva, di cui all'art. 37 disp. att. c.p.p., cioè una procura speciale sottoposta alla condizione sospensiva che i presupposti di quel dato istituto che viene “delegato” si verifichino.

Sembra, tuttavia, che la richiesta indicazione dei motivi della ricusazione, di cui all'art. 38, comma 4 c.p.p., osti all'applicazione di tale istituto. In altre parole, appare praticamente impossibile indicare i motivi della ricusazione quando gli stessi non si sono ancora verificati.

Si comprende dunque come il tema diventi delicato e complesso.

La questione si complica ulteriormente nell'eventualità che la causa della ricusazione si verifichi in udienza. L'art. 38 c.p.p. richiede che la dichiarazione sia formulata prima del termine dell'udienza. Sul punto, nel tentativo di coordinare questa disposizione con il termine di tre giorni previsto dalla stessa norma, in giurisprudenza è stato affermato che: «a prescindere dalla collocazione della sede del giudice competente a ricevere la dichiarazione di ricusazione, non potendo essere imposto alla parte di abbandonare l'udienza per presentare la dichiarazione di ricusazione nella cancelleria competente (v. Cass. pen., sez. I, n. 8247/2008, Bontempo, Rv. 239045), è solo onere della stessa di formulare in udienza la dichiarazione di ricusazione, con riserva di formalizzare tale dichiarazione nel termine di tre giorni previsto dall'art. 38 comma 2, primo periodo, c.p.p.» (Cass. pen., sez. un., 26 giugno 2014, n. 36847).

Pertanto, la parte è onerata di proporre la ricusazione immediatamente al giudice ricusato e, poi, di formalizzarla nei tre giorni successivi al giudice competente a decidere della ricusazione.

Come si vede, allora, in questo ambito il problema della legittimazione del difensore è ancora più delicato e pericoloso, scontrandosi con il diritto della parte a non partecipare personalmente a tutte le udienze.

Sul punto, in giurisprudenza è stato affermato che, quanto a legittimazione del difensore, nulla muta se la causa della ricusazione si verifica in udienza: anche la dichiarazione effettuata in udienza necessita del mandato specifico (Cass. pen., sez. III, 18 dicembre 2014, n. 12983). Secondo questa impostazione, dunque, è ammesso a ricusare il giudice il difensore munito di mandato specifico, contenente cioè, il generico riferimento al potere di ricusare.

Tale conclusione sembra quella sostenuta altresì dalla pronuncia in commento, laddove afferma che: «…l'onere di formulare la dichiarazione prima del termine dell'udienza qualora la causa di ricusazione sorga nel corso della stessa udienza spiega i suoi effetti anche per l'imputato che, per sua libera scelta, decida di non partecipare al processo, potendo egli conferire procura speciale al difensore attraverso un atto che contenga, ex ante, un generale riferimento alle cause di ricusazione che dovessero sorgere nel corso del procedimento».

Orbene, la eventualità che la causa della ricusazione si verifichi in udienza rende più che mai evidente l'inidoneità del mandato specifico a garantire la personalità dell'atto di ricusazione. Anche ipotizzando il conferimento di un mandato specifico al difensore, infatti, questo, proprio in quanto preventivo, non potrà mai esprimere il convincimento autonomo della parte a ricusare quel determinato giudice per quei determinati fatti, che è proprio quanto la personalità dell'atto mira ad assicurare.

Sembra doversi ammettere, allora, che l'art. 38, comma 4 c.p.p. pone l'interprete di fronte a una duplice alternativa: abrogare parzialmente la norma in questione e impedire – o, che è lo stesso, rendere incredibilmente difficoltoso – l'esercizio del diritto di ricusazione in udienza per la parte assente, oppure optare per una soluzione ermeneutica diversa da quella predicata dalla giurisprudenza.

Invero si potrebbe ritenere legittimato il solo difensore, in ragione delle argomentazioni riportate supra, che, come detto, in questa eventualità assumono ancora più vigore.

In modo meno rivoluzionario, si potrebbe accedere a una soluzione che sia sintetica dei valori in gioco, che sono la personalità dell'atto di ricusare e la libertà della parte di non partecipare personalmente a tutte le udienze. Si può ritenere, allora, che quando la norma fa riferimento al difensore, prende in esame proprio l'eventualità che la ricusazione vada formulata in udienza, sicché tale adempimento può essere utilmente compiuto anche dal difensore privo di mandato specifico o di procura speciale; resta fermo, però, l'onere di formalizzare la ricusazione con successivo atto, questo sì, corredato di procura speciale. È in quest'ultimo, infatti, che si radica la volontà (piena e consapevole) della parte di “ratificare” l'operato del difensore e renderlo effettivo, atteso che solo in questo momento il ricusante ha contezza dei fatti verificatisi e può dunque vantare un convincimento effettivo, che possa dirsi rispettoso della personalità dell'atto.

Tale ricostruzione, a ben vedere, oltre a rispettare la lettera della legge ed a sintetizzare gli interessi rilevanti, spiega la ragione per la quale il legislatore ha menzionato entrambe le figure, con un'espressione che diversamente resta piuttosto oscura («la dichiarazione…può essere proposta a mezzo del difensore o di un procuratore speciale»).

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