Chiamata in causa

06 Maggio 2016

L'art. 106 del codice di rito, inserito nel libro primo, regola l'an dell'intervento (o chiamata) di terzo su istanza di parte e, all'uopo, stabilisce che ciascuna parte possa chiamare nel processo un terzo, al quale ritiene comune la causa o dal quale pretende di essere garantita. Il successivo art. 107 disciplina, invece, l'an dell'intervento per ordine del giudice. Più in generale, l'istituto si colloca nell'alveo dell'estensione (cumulo) soggettiva (successiva) del processo ovvero dell'intervento. Detto intervento può essere volontario o libero ex art. 105 c.p.c., quando avvenga per spontanea iniziativa dell'interessato, oppure coatto o condizionato, appunto quando sia invocato dalle parti ovvero disposto dal giudice. Per converso, gli artt. 269 e 270 c.p.c., inseriti nel libro secondo, dedicato al processo di cognizione, regolamentano il quomodo della chiamata, su istanza di parte ovvero iussu iudicis. Condizioni simili sono dettate dall'art. 420, nono e decimo comma, c.p.c. con riguardo alla chiamata di terzo nel processo del lavoro, sebbene in questo ambito il legislatore non operi una precisa distinzione tra le ipotesi dell'integrazione del contraddittorio verso il litisconsorte necessario pretermesso, dell'intervento coatto ad istanza di parte e dell'intervento su ordine del giudice, distinzione che seguirà le regole generali. In specie, l'art. 269, come sostituito - con decorrenza dal 30 aprile 1995 - dall'art. 29 della legge 26 novembre 1990, n. 353, dispone, al primo comma, che alla chiamata di un terzo nel processo, a norma dell'art. 106, la parte provveda mediante citazione a comparire nell'udienza fissata dal giudice istruttore, osservati i termini dell'art. 163 bis. Il secondo e il terzo comma stabiliscono le modalità della chiamata di terzo, rispettivamente su richiesta del convenuto e dell'attore. Con riguardo alla posizione del convenuto, qualora questi intenda chiamare un terzo in causa, deve, a pena di decadenza, farne dichiarazione nella comparsa di risposta e contestualmente chiedere al giudice istruttore lo spostamento della prima udienza, allo scopo di consentire la citazione del terzo nel rispetto dei termini dell'art. 163 bis. Ai sensi del combinato disposto degli artt. 166 e 167, ultimo comma, c.p.c., il convenuto deve depositare la comparsa di risposta contenente la chiamata di terzo almeno venti giorni prima dell'udienza di comparizione. All'esito, il giudice, entro cinque giorni dalla richiesta, provvede con decreto a fissare la data della nuova udienza. Detto decreto è comunicato dal cancelliere alle parti costituite. Quindi, la citazione è notificata al terzo a cura del convenuto.Con riferimento alla posizione dell'attore, ove, a seguito delle difese svolte dal convenuto nella comparsa di risposta, insorga l'interesse dell'istante a chiamare in causa un terzo, l'attore deve, a pena di decadenza, chiederne l'autorizzazione al giudice istruttore nella prima udienza. Qualora il giudice conceda l'autorizzazione, fissa una nuova udienza, allo scopo di consentire la citazione del terzo nel rispetto dei termini dell'art. 163-bis. La citazione è quindi notificata al terzo, a cura dell'attore, entro il termine perentorio stabilito dal giudice. I termini perentori eventuali di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c. per l'integrazione del thema decidendum e del thema probandum, attraverso il deposito delle memorie assertive e istruttorie, sono fissati dal giudice nell'udienza di comparizione del terzo, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 269 c.p.c., come sostituito, con decorrenza dall'1 marzo 2006, dall'art. 2 della legge 28 dicembre 2005, n. 263.
Inquadramento

L'art. 106 del codice di rito, inserito nel libro primo, regola l'an dell'intervento (o chiamata) di terzo su istanza di parte e, all'uopo, stabilisce che ciascuna parte possa chiamare nel processo un terzo, al quale ritiene comune la causa o dal quale pretende di essere garantita. Il successivo art. 107 disciplina, invece, l'an dell'intervento per ordine del giudice. Più in generale, l'istituto si colloca nell'alveo dell'estensione (cumulo) soggettiva (successiva) del processo ovvero dell'intervento. Detto intervento può essere volontario o libero

ex

art. 105 c.p.c.

, quando avvenga per spontanea iniziativa dell'interessato, oppure coatto o condizionato, appunto quando sia invocato dalle parti ovvero disposto dal giudice. Per converso, gli

artt. 269

e

270 c.p.c.

, inseriti nel libro secondo, dedicato al processo di cognizione, regolamentano il quomodo della chiamata, su istanza di parte ovvero iussu iudicis. Condizioni simili sono dettate dall'

art. 420, nono e decimo comma, c.p.c.

con riguardo alla chiamata di terzo nel processo del lavoro, sebbene in questo ambito il legislatore non operi una precisa distinzione tra le ipotesi dell'integrazione del contraddittorio verso il litisconsorte necessario pretermesso, dell'intervento coatto ad istanza di parte e dell'intervento su ordine del giudice, distinzione che seguirà le regole generali. In specie, l'art. 269, come sostituito - con decorrenza dal 30 aprile 1995 - dall'

art. 29 della legge 26 novembre 1990, n. 353

, dispone, al primo comma, che alla chiamata di un terzo nel processo, a norma dell'art. 106, la parte provveda mediante citazione a comparire nell'udienza fissata dal giudice istruttore, osservati i termini dell'art. 163-bis. Il secondo e il terzo comma stabiliscono le modalità della chiamata di terzo, rispettivamente su richiesta del convenuto e dell'attore. Con riguardo alla posizione del convenuto, qualora questi intenda chiamare un terzo in causa, deve, a pena di decadenza, farne dichiarazione nella comparsa di risposta e contestualmente chiedere al giudice istruttore lo spostamento della prima udienza, allo scopo di consentire la citazione del terzo nel rispetto dei termini dell'art. 163 bis. Ai sensi del combinato disposto degli

artt. 166

e

167, ultimo comma, c.p.c.

, il convenuto deve depositare la comparsa di risposta contenente la chiamata di terzo almeno venti giorni prima dell'udienza di comparizione. All'esito, il giudice, entro cinque giorni dalla richiesta, provvede con decreto a fissare la data della nuova udienza. Detto decreto è comunicato dal cancelliere alle parti costituite. Quindi, la citazione è notificata al terzo a cura del convenuto.

Con riferimento alla posizione dell'attore, ove, a seguito delle difese svolte dal convenuto nella comparsa di risposta, insorga l'interesse dell'istante a chiamare in causa un terzo, l'attore deve, a pena di decadenza, chiederne l'autorizzazione al giudice istruttore nella prima udienza. Qualora il giudice conceda l'autorizzazione, fissa una nuova udienza, allo scopo di consentire la citazione del terzo nel rispetto dei termini dell'art. 163-bis. La citazione è quindi notificata al terzo, a cura dell'attore, entro il termine perentorio stabilito dal giudice. I termini perentori eventuali di cui all'

art. 183, comma

6

, c.p.c.

per l'integrazione del thema decidendum e del thema probandum, attraverso il deposito delle memorie assertive e istruttorie, sono fissati dal giudice nell'udienza di comparizione del terzo, ai sensi dell'ultimo comma dell'

art. 269

c.p.c.

, come sostituito, con decorrenza dall'1 marzo 2006, dall'

art. 2 della legge 28 dicembre 2005, n. 263

.

In precedenza, l'

art. 2 del d.P.R

. 17 ottobre 1950, n. 857

, intitolato «Disposizioni di coordinamento e di attuazione della

legge 14 luglio 1950, n. 581

», che ha ratificato il

d.lgs. 5 maggio 1948, n. 483

, aveva, a sua volta, sostituito il disposto originario dell'

art. 269

c.p.c.

e, in proposito, aveva previsto espressamente che la chiamata in causa, sia a cura del convenuto sia a cura dell'attore, fosse subordinata al potere (rectius alla previa autorizzazione) del giudice, qualora le parti non avessero direttamente citato in giudizio il terzo. Il nuovo testo dell'art. 269, di contro, allude espressamente all'autorizzazione solo per la chiamata del terzo su istanza dell'attore.

In evidenza

L'

art. 106 c.p.c.

indica le seguenti due fattispecie, legittimanti la chiamata in causa del terzo: la comunanza di causa e la ricorrenza di una forma di garanzia. Occorre indagare la specifica consistenza di detti presupposti, che - attraverso una clausola generale - raggruppano ipotesi tipizzate dal legislatore e sparse nell'ordinamento giuridico.

Comunanza di causa

La comunanza di causa costituisce espressione empirica ed elastica e genera una connessione oggettiva e impropria nel giudizio. Segnatamente questa fattispecie è integrata quando il convenuto richieda la chiamata in causa di altro convenuto, quale effettivo legittimato passivo rispetto alla domanda spiegata dall'attore: c.d. laudatio actoris. In questa evenienza opera il principio di estensione automatica della domanda proposta dall'attore verso il terzo chiamato in causa da parte del convenuto, in guisa del fatto che il terzo sia individuato come unico responsabile nei confronti dell'attore e invece dello stesso convenuto chiamante. Sicché, quando il convenuto sostenga che il terzo chiamato sia l'effettivo titolare passivo della pretesa dedotta in giudizio dall'attore, il giudice, quando ne ricorrano le condizioni sostanziali, può condannare direttamente il terzo a vantaggio dell'attore, senza che quest'ultimo sia onerato di ampliare, sul piano subiettivo, la domanda anche verso il terzo chiamato (cfr.

Cass.

civ., sez.

Lav.,

7 giugno 2011, n. 12317

;

Cass.

civ., sez.

II,

29 dicembre 2009, n. 27525

). L'estensione automatica della domanda esige che il convenuto chiami in causa il terzo, non al fine di far valere nei suoi confronti un rapporto di garanzia avente causa petendi diversa da quella dedotta dall'attore, ma al fine di ottenere la propria liberazione e l'individuazione del chiamato quale unico e diretto responsabile (cfr. Cass. civ., sez. U., 11 giugno 1973, n. 1672;

Trib. Reggio Emilia 6 novembre 2012, n. 1857

), essendovi - in tal caso - un collegamento tra la posizione sostanziale dell'attore e del terzo chiamato, sicché la chiamata assolve il compito di supplire al difetto di citazione in giudizio, da parte dell'attore, del soggetto indicato dal convenuto come obbligato in sua vece e l'estensione automatica della domanda originaria ha così, come indispensabile presupposto, l'unicità del rapporto controverso, realizzandosi solo un ampliamento della controversia in senso soggettivo (divenendo il chiamato parte del giudizio in posizione alternativa con il convenuto) e in senso oggettivo (inserendosi l'obbligazione del terzo dedotta dal convenuto verso l'attore in alternativa rispetto a quella individuata dall'attore).

In evidenza

Ad esempio, ricorre un'ipotesi di chiamata in causa del terzo per comunanza di causa quando il danneggiato a seguito di un incidente avvenuto su tratto autostradale per invasione improvvisa della strada da parte di un animale da pascolo evochi in giudizio a titolo risarcitorio l'ente tenuto alla manutenzione di quel tratto, il quale a sua volta chiami in causa il pastore che aveva la custodia dell'animale, sostenendo che il tratto di strada interessato era munito di regolare recinzione che impediva l'ingresso di animali, recinzione recisa dal pastore che aveva la custodia delle pecore.

I presupposti della comunanza di causa si distinguono da quelli dell'integrazione del contraddittorio nel caso in cui sia pretermesso un litisconsorte necessario: nel primo caso è individuato un legittimato sostanziale passivo, quale effettivo responsabile per i fatti addotti nell'atto introduttivo del giudizio e tenuto in vece dell'originario convenuto; nel secondo il terzo concorre con l'originario convenuto nella responsabilità per tali fatti (

Cass.

civ., sez.

III, 21 gennaio 2016, n. 1049

;

Cass. civ., sez.

II, 18 febbraio 2015, n. 3225

). La chiamata di terzo per comunanza di causa è rimessa all'iniziativa delle parti, l'ordine di integrazione del contraddittorio per la ricorrenza di una fattispecie di litisconsorzio necessario può essere disposto dal giudice d'ufficio ai sensi dell'

art. 102 c.p.c.

Garanzia

La chiamata in causa in garanzia postula, invece, che il convenuto, all'esito della domanda principale spiegata dall'attore, proponga un'altra domanda contro il terzo per essere garantito da costui nell'ipotesi di accoglimento della domanda principale. La garanzia può essere propria o impropria. Si realizza un'ipotesi di garanzia propria quando il nesso tra le due domande sia espressamente previsto dalla legge: in specie, è specificamente regolamentato il collegamento sostanziale tra la posizione sostanziale vantata dall'attore e quella del terzo chiamato in garanzia (cfr.

Cass.

civ., sez.

III,

30 novembre 2011, n. 25581

). Viceversa, la garanzia è impropria quando il nesso tra rapporti o situazioni giuridiche soggettive non sia disciplinato dalla legge, ma operi in via di mero fatto. Così, la posizione dell'assicuratore per la responsabilità civile, al di fuori dell'ambito dell'assicurazione obbligatoria, integra un'ipotesi di garanzia propria, atteso che il nesso tra la domanda principale del danneggiato e la domanda di garanzia dell'assicurato verso l'assicuratore è riconosciuto, sia dalla previsione espressa della possibilità di chiamare in causa l'assicuratore, sia dallo stesso regime dei rapporti tra i tre soggetti contenuto nell'

art. 1917, secondo comma, c.c.

(cfr. Cass. civ., sez. un., 26 luglio 2004, n. 13968). Allo stesso modo, costituisce un'ipotesi di garanzia propria la chiamata in causa, a cura del debitore solidale citato in giudizio dal creditore, dell'altro coobbligato solidale, allo scopo di esercitare l'azione di regresso

ex

art. 1299 c.c.

(cfr. Cass. civ., sez. III, 9 agosto 1973, n. 2316). Segnatamente, ricorre l'ipotesi di garanzia propria quando l'azione di regresso proposta contro il garante si basa sullo stesso titolo dedotto a fondamento della domanda principale, ovvero quando sussiste una connessione obiettiva di titoli fra la domanda principale e quella accessoria. Si ha, invece, garanzia impropria quando la chiamata in causa sia diretta a riversare sul terzo gli effetti della domanda dell'attore, in base ad un titolo distinto, autonomo e indipendente da quello principale o connesso solo in via occasionale (cfr.

Cass.

civ., sez.

Lav., 16 aprile 2014, n. 8898

;

Cass.

civ., sez.

I,

30 settembre 2005, n. 19208

;

Cass.

civ., sez.

III,

8 agosto 2002, n. 12029

; Cass. civ., sez. u., 20 gennaio 1976, n. 157).

Sul piano interpretativo, nel giudizio di risarcimento dei danni, la chiamata del convenuto che rivendichi il difetto della sua legittimazione passiva, verso il terzo nei cui confronti non sussista alcun rapporto contrattuale, va intesa come chiamata del terzo responsabile e non come chiamata in garanzia impropria (cfr.

Cass.

civ., sez.

III,

7 ottobre 2011, n. 20610

).

Diversamente da quanto accade nel caso di chiamata in causa per comunanza, quando il terzo sia evocato in giudizio dal convenuto come obbligato solidale o in garanzia, propria o impropria, è necessaria la formulazione di un'espressa e autonoma domanda verso il terzo e non opera il principio dell'estensione automatica (cfr.

Cass. civ., sez.

III, 5 marzo 2013, n. 5400

;

Cass. civ., sez.

III,

8 novembre 2007, n. 23308

).

Chiamata su istanza del convenuto

Secondo l'orientamento tradizionale,

allorché la chiamata in causa sia chiesta con la comparsa di risposta dal convenuto prima dell'udienza di trattazione, ai sensi dell'

art. 269 c.p.c.

, il giudice è tenuto a fissare una nuova udienza, senza alcuno spazio delibativo, sempre che si verifichi che la comparsa di risposta sia stata depositata nei termini, a pena di decadenza della chiamata, e che sia stato chiesto lo spostamento della prima udienza (cfr.

Cass.

civ., sez.

VI

-

III, 7 maggio 2013, n. 10579

).

Peraltro, la

Corte di

Cassazione a Sezioni U

nite 23 febbraio 2010, n. 4309

, i

n rapporto alla fattispecie relativa al giudizio di merito, quanto alla mancata concessione dell'udienza chiesta dai convenuti, per chiamare in causa i terzi corresponsabili dei danni verso i quali intendevano agire in regresso, ha escluso che il giudice di merito avesse violato i principi del giusto processo, potendo tali parti agire successivamente, a tutela delle loro posizioni soggettive, direttamente nei confronti degli aventi causa. L'orientamento è stato ripreso anche dalla giurisprudenza successiva (cfr.

Cass. civ., sez.

III, 12 maggio 2015, n. 9570

;

Cass.

civ., sez.

VI

-

V, 21 gennaio 2015, n. 1112

;

Cass.

civ, sez.

Lav., 4 dicembre 2014, n. 25676

;

Cass.

civ., sez.

I, 28 marzo 2014, n. 7406

;

Cass.

civ., sez.

I, 25 giugno 2013, n. 15919

).

Le Sezioni

Unite

hanno escluso qualsiasi spazio deliberativo del giudice nel disporre la chiamata in causa del terzo solo quando ricorra un'ipotesi di litisconsorzio necessario

ex

art. 102 c.p.c.

Chiamata del terzo nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo

In ordine all'istituto della chiamata in causa del terzo nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, quando il giudizio ordinario a cognizione piena sia introdotto da citazione, si fronteggiano, sia nella giurisprudenza di legittimità che di merito, due orientamenti.

SUBORDINAZIONE DELLA CHIAMATA DEL TERZO DA PARTE DELL'OPPONENTE ALL'AUTORIZZAZIONE GIUDIZIALE: ORIENTAMENTI A CONFRONTO

Secondo il primo orientamento, maggioritario, la chiamata in causa del terzo, a cura dell'opponente, postula l'istanza di autorizzazione, da avanzare a pena di decadenza nella citazione introduttiva del giudizio, poiché il terzo non può essere evocato in giudizio né direttamente, attraverso la citazione estesa anche al terzo, oltre che al beneficiario del provvedimento monitorio, né attraverso la richiesta di spostamento dell'udienza

ex

art. 269, comma 2, c.p.c., con l'effetto che il giudice dovrebbe disporre sull'autorizzazione alla prima udienza di comparizione e trattazione (Cass. civ., sez. I, 19 ottobre 2015, n. 21101; Cass. civ., sez. III, 1 marzo 2007, n. 4800; Cass. civ., sez. II, 16 luglio 2004, n. 13272; Cass. civ., sez. III, 27 gennaio 2003, n. 1185; Cass. civ., sez. Lav., 5 marzo 2002, n. 3156; Cass. civ., sez. I, 27 giugno 2000, n. 8718; e nella giurisprudenza di merito: Trib. Reggio Emilia 7 giugno 2012; Trib. Varese 5 febbraio 2010).

Orientamento maggioritario: necessaria l'istanza di autorizzazione

Secondo l'orientamento minoritario, invece, la chiamata del terzo può avvenire direttamente, a cura dell'opponente, mediante citazione anche del terzo, senza che la relativa chiamata sia subordinata ad un provvedimento autorizzativo del giudice (Cass. civ., sez. III, 20 ottobre 2006, n. 22528; implicitamente Cass. civ., sez. I, 5 maggio 1999, n. 4470; Cass. civ., sez. III, 2 aprile 1975, n. 1188; Cass. civ., sez. II, 5 giugno 1959, n. 1689; e nella giurisprudenza di merito: Trib. Torino 8 ottobre 2008; Trib. Torino 26 febbraio 2008; Trib. Torino 22 novembre 2001; Trib. Firenze 5 luglio 2001)

Orientamento minoritario: non necessaria l'istanza di autorizzazione

Quanto al primo orientamento, si esclude che l'

opponente a decreto ingiuntivo che intenda chiamare in causa un terzo possa direttamente citarlo per la prima udienza, dovendo questi chiedere al giudice, nell'atto di opposizione, di essere a ciò autorizzato, determinandosi, in mancanza, una decadenza rilevabile d'ufficio ed insuscettibile di sanatoria per effetto della costituzione del terzo chiamato, ancorché questi non abbia, sul punto, sollevato eccezioni, in quanto il principio della non rilevabilità di ufficio della nullità di un atto per raggiungimento dello scopo si riferisce esclusivamente all'inosservanza di forme in senso stretto, e non di termini perentori, per i quali vigono apposite e distinte norme (cfr.

Cass. civ., sez.

I, 29 ottobre 2015, n. 22113

;

Cass. civ., sez.

II, 14 maggio 2014, n. 10610

).

Si osserva che le premesse del ragionamento ivi sviluppato, ai fini di raggiungere la conclusione anzidetta, non appaiono coerenti con la soluzione offerta del problema. Ora, se l'opponente è comunque convenuto in senso sostanziale, non ha senso che la chiamata del terzo sia condizionata da un provvedimento di autorizzazione, posto che nei giudizi ordinari, qualora il convenuto intenda chiamare in causa un terzo, basta che formuli la richiesta nella comparsa di costituzione e risposta tempestivamente depositata (salvo che non si aderisca all'indirizzo prima delineato e oggetto di critica). In questo caso, il giudice non ha alcun potere di non autorizzare la chiamata, ma dovrà limitarsi a verificare che la comparsa sia stata tempestivamente depositata almeno venti giorni prima dell'udienza fissata in citazione e che sia stata fatta espressa istanza di spostamento dell'udienza di prima trattazione ex art. 269, comma 2, c.p.c. (viceversa, l'autorizzazione, quale provvedimento discrezionale del giudice, è richiesta quando sia l'attore a richiedere la chiamata del terzo, all'esito della costituzione del convenuto, ex art. 269, comma 3, c.p.c.). Poiché nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo non ha senso richiedere lo spostamento dell'udienza, in quanto è lo stesso opponente-convenuto in senso sostanziale a fissare nella citazione l'udienza di prima comparizione e trattazione, è più coerente con le linee generali del sistema che sia l'opponente stesso a citare direttamente, oltre al ricorrente che ha ottenuto il rilascio del decreto, anche il terzo che si intende chiamare in causa. Né questo meccanismo viola il principio di necessaria corrispondenza tra parti della fase monitoria e parti della fase di opposizione a cognizione piena, poiché l'ingiunto-opponente deve indefettibilmente evocare in causa il beneficiario-ingiungente, quale parte necessaria del giudizio, ed eventualmente può citare differenti parti, ma appunto in qualità di terzi. Tra l'altro, la necessità che la chiamata in causa del terzo, da parte dell'opponente, sia subordinata ad un provvedimento autorizzativo del giudice (peraltro, a senso unico, poiché non sembra che il giudice possa valutare le ragioni poste a fondamento della chiamata), da rilasciare all'udienza di prima trattazione, si pone altresì in contrasto con il principio di economia processuale, poiché l'opponente dovrebbe comunque attendere l'udienza di prima trattazione per ottenere l'autorizzazione e successivamente dovrebbero essere concessi gli ulteriori termini di legge per la citazione del terzo ex art. 163-bis c.p.c. (90+90), con inutile dispendio di tempi (rispetto alla soluzione ben più semplice della citazione diretta e immediata, oltre che dell'opposto, anche del terzo). Il riferito raddoppiamento dei termini non sarebbe certo in sintonia con il fine di garantire la ragionevole durata che la subordinazione della chiamata all'autorizzazione del giudice mira teoricamente a realizzare.

Recentemente (cfr. Cass. civ., sez. III, 15 maggio 2012, n. 7526

) la Cassazione, con specifico riguardo al giudizio di opposizione introdotto con atto avente la forma del ricorso, sembra avere aperto il campo alla conclusione che precede, avendo sostenuto che il decreto di fissazione dell'udienza, senza alcuna puntualizzazione sui destinatari della notifica, autorizza implicitamente l'opponente ad evocare in giudizio sia l'opposto sia il terzo.

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