La riunione fittizia può rilevare anche in sede di collazione
14 Giugno 2022
Massima
La riunione fittizia, prevista dall'art. 556 c.c., non è necessariamente legata all'esperimento dell'azione di riduzione, ma è operazione sempre necessaria, nel concorso con eredi legittimari, ogni qual volta sia rilevante stabilire quale sia nel caso la disponibile, come nel caso di concorso di legittimari con uno di essi, al quale il testatore abbia lasciato genericamente la stessa disponibile; ai fini del calcolo della disponibile ex art. 556 c.c., sono sempre assoggettate a riunione fittizia tutte le donazioni, a chiunque fatte, indipendentemente dalla qualità di congiunto, di erede o di estraneo del donatario; la dispensa dalla collazione sottrae il donatario del conferimento ma non importa l'esclusione del bene donato dalla riunione fittizia ai fini della determinazione della porzione disponibile. Il caso
Un soggetto - avente tre figli Primo, Seconda e Terzo - muore lasciando tutto il suo patrimonio per testamento in parti uguali ai medesimi; in vita, però, questi aveva effettuato alcune donazioni a favore di Primo, una a Seconda ed un'altra ancora alla nipote Primina figlia di Primo. Seconda adiva il Tribunale di Termini Imerese ottenendo declaratoria di nullità per incapacità naturale del de cuius tanto di tutte donazioni quanto del testamento e per l'effetto una pronuncia che procedeva alla divisione della massa ereditaria (comprensiva dei cespiti oggetto delle donazione affette da nullità) in tre porzioni da attuarsi mediante sorteggio. Avverso la pronuncia di primo grado veniva proposto appello da Primo e Primina in conseguenza del quale la Corte d'Appello di Palermo: con sentenza non definitiva, ma poi confermata in Cassazione, ha dichiarato la validità sia del testamento sia delle donazioni; con ulteriore sentenza ha accertato che le donazioni fatte a Primo eccedessero la disponibile imponendogli il conferimento dell'eccedenza ai sensi dell'art. 737, comma 2, c.c. e disponendo la prosecuzione del giudizio per la divisione dei beni residui, tolti quelli prelevati a seguito della collazione; infine, con sentenza definitiva, disponeva la divisione degli stessi beni residui mediante vendita all'asta. Primo e Primina ricorrevano, allora, in Cassazione fondando le proprie doglianze su cinque motivi, il primo del quale riguardava la violazione e falsa applicazione degli artt. 556, 537, 737 c.c., in quanto a detta dei ricorrenti la Corte d'Appello: a) non includendo nel conteggio volto a stabilire la disponibile la donazione fatta in favore della nipote Primina, sulla motivazione che la stessa non fosse compresa fra i soggetti tenuti a collazione, ignorava che la riunione fittizia dovesse comprendere tutte le donazioni a prescindere dalla qualifica del donatario; b) pur riconoscendo che le donazioni fatte al figlio Primo fossero tutte non soggette a collazione, stante l'espressa previsione di dispensa a suo favore, sosteneva poi che il donatario fosse tenuto a conferire - ex art. 737, comma 2, c.c. - l'eccedenza delle stesse rispetto alla disponibile; c) nel calcolare l'importo dell'eccedenza in questione, ha espunto dal conteggio le donazioni fatte a Primo (in quanto dispensato) ed a Primina (in quanto non tenuta a collazione) così diminuendo il totale sul quale calcolare l'eventuale eccedenza a carico di Primo. Degli ulteriori quattro motivi la pronuncia in commento non fornisce dettagli di sorta, presumibilmente per l'assorbenza del primo rispetto agli altri. La questione
La vertenza in questione è pervicacemente imperniata sul rapporto tra il calcolo dei valori in giuoco da effettuare ai fini dell'accertamento della lesione di legittima e su quello, invece, espletando in ottica collatizia, le cui aree operative - seppur in parte sovrapponibili - godono di autonomi spazi. Per comprendere la portata della pronuncia in commento occorre una breve disamina dei concetti di lesione di legittima e di obbligo di collazione. Le soluzioni giuridiche
Premessa Per quanto attiene al concetto di lesione di legittima, nel nostro sistema la libertà di disposizione del proprio patrimonio - sia per testamento sia per atto liberale - non è assoluta dato che si «scontra» con i diritti riconosciuti ai legittimari (id est, coniuge/unito civilmente, figli e, in mancanza di questi, ascendenti). Emblematiche del conflitto sono tre norme: l'art. 457, comma 3, c.c. ai sensi del quale «le disposizioni testamentarie non possono pregiudicare i diritti che la legge riserva ai legittimari»; l'art. 553 c.c. ai sensi del quale «le disposizioni testamentarie eccedenti la quota di cui il defunto poteva disporre sono soggette a riduzione nei limiti della quota medesima»; l'art. 554, comma 1, c.c. ai sensi del quale «le donazioni, il cui valore eccede la quota della quale il defunto poteva disporre, sono soggette a riduzione fino alla quota medesima». Giova precisare come disposizione lesiva non sia affatto nulla e/o annullabile, ma che possa essere giudizialmente dichiarata in tutto o in parte inefficace (Cass., sez. II, 5 gennaio 2018, n. 168; Cass., sez. II, 27 ottobre 2008, n. 25834; Cass., sez. II, 6 marzo 1992, n. 2708; Cass., 19 giugno 1981, n. 4024; Cass., 8 ottobre 1971, n. 2771). Se dovessimo immaginare l'intero patrimonio dell'ereditando come una torta, all'interno della stessa sarebbero individuabili due fette delle quali una (la c.d. legittima) deve essere per forza attribuita a determinati soggetti, mentre l'altra (la c.d. disponibile) è liberamente assegnabile senza vincoli di sorta. Ma come si accerta se vi è stata lesione di legittima? Al netto delle questioni squisitamente procedurali, occorre quantificare una sorta di «base imponibile» (la famosa torta della quale si è detto) in relazione alla quale poi verificare se ogni legittimario abbia ricevuto o meno quanto gli spetta in base alle percentuali sancite dagli artt. 537 e ss.: a ciò si arriva grazie alla riunione fittizia prevista dall'art. 556 c.c. mediante la quale non vi è nessuno spostamento patrimoniale, ma semplicemente si «fotografano» i valori sulla base dei quali si potrà stabilire se il legittimario sia stato o meno pregiudicato (detta operazione viene tradizionalmente sintetizzata nella formula addizionale Relictum - Debiti + Donatum). Se ad esempio Tizio, che in vita aveva fatto un'unica donazione ad un estraneo per un valore di 100, muore vedovo e senza testamento lasciando due figli Tizietto e Tizietta, un asse ereditario di 300 e debiti per 100, l'operazione di riunione fittizia, è così strutturata: Relictum (300) - Debiti (100) + Donatum (100) = 300, di modo che il valore della legittima per ciascun figlio - ex art. 537, comma 2, c.c. di 1/3 ciascuno - è pari a 100, mentre il valore della disponibile è pari a 100. Per quanto attiene al concetto di obbligo di collazione, l'art. 737 c.c. impone a determinati soggetti (figli e loro discendenti nonchè coniuge/unito civilmente) di conferire nella massa ereditaria da dividere quanto ricevuto per donazione dal defunto, il tutto al fine di garantire un trattamento paritario tra i medesimi. Un esempio può facilitare la comprensione dell'istituto: si immagini che Tizio, vedovo e con due figli Caio e Sempronio, abbia in vita donato a Caio due appartamenti a Mantova del valore di euro 60.000 ciascuno e che al momento del decesso ab intestato sia proprietario di due appartamenti a Milano del valore di euro 60.000 ciascuno; ebbene alla morte di Tizio, tra Caio e Sempronio si instaurerà una comunione avente ad oggetto i soli due appartamenti a Milano, tuttavia ove i fratelli intendessero addivenire allo scioglimento della stessa sarebbe doveroso tenere conto anche del fatto che Caio ha già ricevuto beni per euro 120.000, altrimenti sarebbe evidente l'asimmetria della vicenda divisionale. Detto obbligo può sempre essere effettuato per imputazione, cioè prelevando dalla massa divisionale beni di valore inferiore avendo il donatario già ricevuto attribuzioni in altra sede (per rifarsi all'esempio suddetto, Sempronio preleverà dalla massa i due appartamenti di Milano dato che beni di ugual valore Caio li aveva già ricevuti) ovvero, se si tratta di immobili - purchè ancora nel patrimonio del defunto e che non siano stati ipotecati - in natura cioè con conferimento da parte del donatario di quanto ricevuto nella massa ereditaria (per rifarsi all'esempio suddetto, Caio conferirà nella massa i due immobili di Mantova cosicchè la divisione avrà ad oggetto una massa «maggiorata» composta da quattro appartamenti). La scelta sulla modalità di collazione compete al donatario senza che il donante possa limitare detta facoltà decisionale imponendo una specifica modalità di collazione (Cass., sez. II, 20 marzo 2015, n. 5659; Cass. 4 agosto 1982, n. 4381). Fin qui le due aree concettuali paiono del tutto autonome dato che una attiene al potere dispositivo del de cuius ed una agli equilibri interni tra i coeredi: ma le stesse possono intersecarsi? La risposta affermativa deriva dall'art. 737 c.c. il cui primo comma consente al donante di dispensare il donatario dal procedere con la collazione (così favorendolo rispetto agli altri coeredi), ma il cui secondo comma sancisce che la dispensa de quo possa operare nei soli limiti della sola quota disponibile (dato che, se così non fosse, sarebbe agevole vanificare le prerogative riconosciute ai legittimari). In assenza di precisazioni normative, è pacifico che l'esenzione possa avvenire tanto in sede di donazione quanto in una successiva disposizione testamentaria, tuttavia la genesi della dispensa influisce sul regime della sua revocabilità: ove inserita in una donazione, la dispensa ha natura contrattuale, per cui non potrebbe essere successivamente revocata da un solo contraente (Cass., sez. II, 1 ottobre 2003, n. 14590; Cass., 7 maggio 1984, n. 2752); ove prevista in un testamento, invece, essa è fatalmente soggetta al principio - peraltro irrinunciabile ex art. 679 c.c. - di revocabilità da parte del testatore. Pur non richiedendo la legge formule sacramentali, la giurisprudenza ha reputato inidonea allo scopo la clausola con la quale il donante stabilisca (genericamente) che la donazione venga fatta in conto di legittima e, per l'eventuale eccedenza, in conto della disponibile (Cass., sez. II, 10 febbraio 2006, n. 3013; Cass., sez. II, 18 marzo 2000, n. 3235; Cass., sez. II, 2 febbraio 1979; Trib. Ravenna, 10 luglio 2019). Ancora una volta i numeri possono agevolare la comprensione del fenomeno della dispensa da collazione entro o oltre i limiti della disponibile. Esempio di dispensa consentita: Tizio muore senza testamento lasciando i due figli Tizietto (cui non aveva fatto donazioni in vita) e Tizietta (cui aveva fatto una donazione in vita per un valore di 50 con dispensa dalla collazione) ed un asse ereditario di 250, di modo che il valore della legittima per ciascun figlio - exart. 537, comma 2, c.c. di 1/3 ciascuno - è pari a 100 ed il valore della disponibile è pari a 100; ebbene, a Tizietta spetta un valore di 175 (cioè 125 pari al mezzo del relictum + la donazione già ricevuta da 50), ma Tizietto non è comunque leso da detta dispensa, poiché percepirebbe un mezzo del relictum (cioè 125) che è superiore alla legittima. Esempio di dispensa non consentita: Tizio muore senza testamento lasciando i due figli Tizietto (cui non aveva fatto donazioni in vita) e Tizietta (cui aveva fatto una donazione in vita per un valore di 150 con dispensa dalla collazione) ed un asse ereditario di 210, di modo che il valore della legittima per ciascun figlio - ex art. 537, comma 2, c.c. di 1/3 ciascuno - è pari a 120 ed il valore della disponibile è pari a 240; ebbene, a Tizietta spetterebbe un valore di 255 (cioè 105 pari ad un mezzo del relictum + la donazione già ricevuta da 150), ma detta dispensa (effettuata per una donazione di valore 150) lederebbe la legittima di spettanza di Tizietto, poichè la metà del relictum pari a 105 non sarebbe capiente per soddisfarne le di lui ragioni pari a 120, di modo che la dispensa a favore di Tizietta potrebbe operare per il solo valore di 135, cosicchè Tizietto riuscirà ad ottenere la propria legittima (120) riducendo (di 15) la donazione a favore di Tizietta. Ciò doverosamente premesso, la sentenza impugnata ha indebitamente sovrapposto le quantificazioni propedeutiche all'accertamento di un'eventuale lesione di legittima con le imputazioni inerenti al tema della collazione, dal cui obbligo - peraltro - il figlio Primo era stato dispensato. Ove una donazione non comporti, come nel caso in esame, l'obbligo di assoggettarla a collazione non significa affatto che la medesima debba essere espunta dalla riunione fittizia come - invece - asserito dal Giudice d'Appello: e ciò tanto per le liberalità effettuate a favore di Primo, quale soggetto dispensato dal donante (così il S.C.: «E' fin troppo ovvio, infatti, tenuto conto del carattere cogente delle norme sulla c.d. successione necessaria, che la dispensa dalla collazione non importa l'esclusione del bene donato dalla riunione fittizia, ai fini della determinazione della porzione disponibile»); quanto per quella a favore di Primina, quale soggetto non tenutovi ex lege non essendo coniuge/discendente in linea retta del donante (così il S.C.:«La Corte d'Appello, una volta riconosciuta l'esigenza di determinare la disponibile, doveva procedere alla riunione fittizia secondo quanto prescrive l'art. 556 c.c., in base al quale sono incluse nel calcolo tutte le donazioni, a chiunque fatte, indipendentemente dalla qualità di congiunto, di erede o di estraneo del donatario»). Gli Ermellini approfittano per riepilogare i passaggi che il Giudice di merito avrebbe dovuto effettuare nel caso alla sua attenzione: - in primo luogo, determinare il valore dei beni appartenenti al defunto al tempo della morte; - in secondo luogo, detrarre da detto importo l'ammontare dei debiti ereditari; - in terzo luogo, aggiungere il valore dei beni elargiti con atti di disposizione tra vivi a titolo gratuito; - in quarto luogo, imputare alla porzione legittima le donazioni ed i legati effettuati a favore del legittimario, salvo che questi ne sia stato espressamente dispensato purché nei limiti della disponibile. Vero è che nel caso di specie non era pendente - in quanto l'originaria domanda in tal senso era stata abbandonata da Seconda - un'azione di riduzione, ma ad ogni modo il donatario aveva diritto ad un corretto calcolo della disponibile al fine di stabilire entro quale limite la dispensa a suo favore potesse operare e la prospettazione delle suddette fasi logico-giuridiche permane imprescindibile per poter effettuare il corretto riparto divisionale. Stante quanto sopra il primo motivo di ricorso è stato accolto con la consequenziale necessità di rieffettuare i conteggi ai fini di una corretta collazione e dei pedissequi prelevamenti; da tale accoglimento ne è conseguito il travolgimento di tutto l'impianto divisorio con l'inutilità per il Collegio di esaminare gli ulteriori quattro motivi di gravame. Osservazioni
La (condivisibile) pronuncia de quo, pur non avendo analoghi precedenti in sede di legittimità, assume importanza più che altro in ottica chiarificatrice di classiche tematiche successorie, in quanto dall'evoluzione giudiziaria del contenzioso in esame era emersa una sfuocata miscellanea di differenti istituti aventi funzioni e limiti ben precisi. Se è vero che azione di riduzione e collazione in sede divisionale hanno una differente logica funzionale, dato che la prima tutela il legittimario da indebite lesioni del suo diritto perpetrata tramite atti dispositivi del de cuius mentre la seconda garantisce il rispetto degli equilibri divisionali attuando un collegamento tra le attribuzioni effettuate in vita dall'ereditando e la ripartizione del relictum, ciò non significa che si tratti di comparti tra loro impermeabili. Anello di congiunzione tra i due segmenti è dato, come detto, dall'istituto della dispensa da collazione la quale impone all'interprete di vagliarne la tenuta a fronte del comparto di norme volte a tutela della ragioni del legittimario che la volontà privata estrinsecatasi, appunto, nella volontà di dispensare dall'obbligo collatizio non può profanare. Una volta metabolizzato tale principio, i meccanismi della successione necessaria ben possono (rectius, devono) essere applicati anche ove il thema decidendum non sia strettamente quello del giudizio di riduzione. |