L'archeologia forense: l'importanza di un corretto scavo sulla scena del crimine

Rosa Maria Di Maggio
Pier Matteo Barone
14 Luglio 2016

L'archeologia forense è l'applicazione di principi e delle metodologie archeologiche per individuare e recuperare elementi di prova entro i confini del sistema di giustizia penale o per l'uso in cause civili, operando come disciplina a sé stante. Le persone autorizzate a condurre indagini archeologiche forensi sono addestrate nelle tecniche archeologiche tradizionali ma sono abbastanza flessibili nel loro approccio per adattare questi metodi ai diversi contesti forensi che si possono presentare nei procedimenti penali o civili.
Abstract

L'ambito dell'attività dell'archeologo forense è vario. Quello più famoso ed anche più richiesto è l'utilizzo delle tecniche di lettura ed interpretazione delle tracce materiali e dei contesti proprie della disciplina archeologica in ambito medico-legale ed in particolare nell'analisi della scena del crimine, per il riconoscimento e la classificazione dei reperti, l'identificazione della loro provenienza ed epoca e per la ricostruzione della disposizione spaziale di persone o oggetti in un determinato luogo e momento e la sequenza temporale di azioni antropiche e naturali avvenute sulla scena di un crimine.

Meno famoso ma altrettanto importante è l'utilizzo dell'archeologo forense per dimostrare la provenienza di reperti archeologici ed opere d'arte oggetto di scavi clandestini o di traffici illeciti, di redigere perizie e valutazioni su danni al patrimonio culturale e su reperti archeologici ed opere d'arte posti sotto sequestro. Con tale dicitura si indica anche l'attività professionale che svolgono in tale settore, in ambito giudiziario o extragiudiziario, gli archeologi a tutela del patrimonio culturale in qualità di periti o consulenti della magistratura, degli inquirenti, delle forze dell'ordine, degli avvocati e delle altre figure, di istituzioni, di enti locali o di privati.

Introduzione

L'archeologia ha applicazione in campo forense quando vi è non solo la necessità di ricercare e localizzare sepolture clandestine e di recuperarne i resti ma anche in occasione di occultamento di prove, inquinanti e qualsiasi altro materiale sottoterra. La sequenza di operazioni che portano alla localizzazione ed al recupero di resti è suddivisibile in tre fasi principali. Una ricognizione preliminare del presunto luogo di seppellimento, volta alla localizzazione del punto esatto in cui compiere l'indagine, la fase di scavo vero e proprio e la documentazione ed il recupero dei resti man mano che questi vengono scavati.

I compiti dell'archeologo consistono nell'eseguire uno scavo, documentando accuratamente ogni passaggio, e nel recuperare in modo ottimale gli oggetti rinvenuti, siano essi resti umani o materiali di altra natura. In un contesto forense, può rivelarsi importante sapere come rimuovere in modo corretto eventuali resti umani e non, anche se, sovente, nei siti di scavo è molto facile rinvenire semplicemente ossa sparse o denti che sono stati prelevati e spostati da animali necrofagi predatori. Il recupero dei resti con tecniche di archeologia forense possono fornire informazioni circa le modalità di deposizione-occultamento del cadavere e permettere il ritrovamento di indizi utili alle forze investigative.

Lo scavo archeologico è un'operazione distruttiva; di conseguenza, la necessità di documentare in modo completo ogni singolo avanzamento ha sempre rappresentato un fattore di importanza estrema. Nel corso degli anni sono state, quindi, elaborate e perfezionate metodologie sempre più accurate aventi come principale scopo quello di massimizzare il numero delle informazioni ottenibili dal sito d'indagine. Tale approccio risulta essere particolarmente indicato ed utile nel contesto forense, dove il sito di rinvenimento costituisce la scena di un crimine e le informazioni in esso custodite possono rivelarsi di fondamentale importanza per la ricostruzione degli eventi ed il buon esito delle indagini. Una buona documentazione di scavo può essere redatta da operatori di polizia giudiziaria opportunamente preparati; tuttavia, l'analisi dello scavo e dei resti, l'interpretazione dei dati ed il coordinamento delle successive operazioni di recupero rimangono prerogativa esclusiva degli specialisti in archeologia forense.

L'archeologia forense

L'archeologia è lo studio del passato umano, antico e recente, attraverso i resti materiali. A partire da resti fossili di milioni di anni fa appartenuti ai nostri primi antenati umani in Africa fino agli edifici odierni del XX secolo, l'archeologia analizza i resti fisici del passato alla ricerca di una visione ampia e globale della cultura umana.

L'archeologia forense è l'applicazione di principi e delle metodologie archeologiche per individuare e recuperare elementi di prova entro i confini del sistema di giustizia penale o per l'uso in cause civili, operando come disciplina a sé stante.

Le persone autorizzate a condurre indagini archeologiche forensi sono addestrate nelle tecniche archeologiche tradizionali ma sono abbastanza flessibili nel loro approccio per adattare questi metodi ai diversi contesti forensi che si possono presentare nei procedimenti penali o civili. Competenze integrate e considerazioni al di fuori dei parametri di archeologia tradizionale sono: il possesso di una conoscenza di base delle forze dell'ordine e delle procedure legali (così come la capacità di cooperare in modo produttivo con personale delle forze dell'ordine), la capacità di condurre in modo efficiente ed efficace le indagini sotto tempi stretti e sotto l'attenzione dei media, così come la possibilità di navigare abilmente in situazioni che si discostano dalla tradizionale esperienza archeologica, come ad esempio in presenza di una sepoltura che include la conservazione dei resti di tessuti molli.

La sequenza di operazioni che portano alla localizzazione, contestualizzazione ed al recupero di resti sepolti è suddivisibile in tre fasi principali. Una ricognizione preliminare del presunto luogo di seppellimento, volta alla localizzazione e contestualizzazione ambientale del punto esatto in cui compiere l'indagine, la fase di scavo vero e proprio e la documentazione ed il recupero dei resti man mano che questi vengono scavati.

La ricognizione, la contestualizzazione e la localizzazione prevedono l'interpretazione del territorio al fine di ricercare un presumibile sito di seppellimento e vengono svolte mediante l'utilizzo di diversi strumenti, sia a grande che a piccola scala. Per esempio, le fotografie aeree possono facilmente fornire importanti informazioni circa l'area da indagare (anomale variazioni nella copertura vegetale su ampie aree o cambiamenti nella morfologia del suolo) ed il loro utilizzo nelle fasi preliminari di una ricognizione può rivelarsi efficace, consentendo un notevole risparmio di tempo ed energie. A scala locale, vengono applicate le tecniche geofisiche che permettono una più precisa localizzazione del target sepolto (Fig. 1).

Successivamente, i compiti dell'archeologo consistono nell'eseguire uno scavo, documentando accuratamente ogni passaggio, e nel recuperare in modo ottimale gli oggetti rinvenuti, siano essi resti umani o materiali di altra natura. In un contesto forense, può rivelarsi importante sapere come rimuovere in modo corretto eventuali resti umani, anche se, sovente, nei siti di scavo è molto facile rinvenire semplicemente ossa sparse o denti che sono stati prelevati e spostati da animali necrofagi predatori.

Il recupero dei resti con tecniche di archeologia forense possono fornire informazioni circa le modalità di deposizione-occultamento del cadavere e permettere il ritrovamento di indizi utili alle forze investigative. L'analisi del contesto, dello scavo e dei resti, l'interpretazione dei dati ambientali ed il coordinamento delle successive operazioni di recupero rimangono prerogativa esclusiva degli specialisti in archeologia. L'archeologia è un processo distruttivo e per questo si preferisce integrarlo con altre metodiche in maniera da passare da un'analisi non-distruttiva fino ad una più invasiva, al fine di ridurre al minimo la perdita di informazioni.

Per questo si possono sintetizzare tre obiettivi di base in una indagine forense archeologica. Il primo è la comprensione e interpretazione degli eventi tafonomici (la storia di un sito dopo che è stato creato attraverso la deposizione di resti). Eventi tafonomici sono i processi sia naturali (N-trasformazioni) che culturali (C-trasformazioni) che si verificano in un sito e alterano o trasformano esso nel tempo. Questi processi comprendono: N-trasformazioni, come il deflusso delle acque stagionali, alti livelli di attività animale o degli insetti, attività e crescita delle radici degli alberi; e C-trasformazioni, come scavo informale (a causa della mancanza di consapevolezza che la posizione è un luogo di attività criminali o un'azione di un civile), il deposito di rifiuti o altri oggetti estranei all'evento di deposizione, ed alti livelli di traffico umano che possono disturbare i contesti originali di deposizione. Comprendere ed essere in grado di interpretare le trasformazioni che questi processi provocano in un sito è essenziale per una corretta indagine archeologica.

Il secondo obiettivo principale è una ricostruzione degli eventi che hanno causato e sono avvenuti con la creazione del sito e la deposizione del corpo. Questo si realizza attraverso la raccolta degli elementi di disturbo di superficie e con metodi di scavo e la documentazione dettagliata e fotografica in tutte le fasi dell'indagine. Bisogna ricordare che l'indagine forense archeologica di un sito è intrinsecamente distruttiva e gli archeologi forensi devono quindi prendere tutte le precauzioni per preservare la massima quantità di prove e di informazioni di contesto possibili.

Infine, sulla base delle prove che il registro di questo materiale fornisce per la ricostruzione e la storia tafonomica del sito, un investigatore è in grado di realizzare il terzo obiettivo, quello di una interpretazione consapevole degli eventi che stanno attorno alla deposizione della persona deceduta, che sarà di aiuto nella risoluzione del caso.

Risulta, quindi, evidente come gli archeologi specializzati nelle indagini forensi forniscono alle forze dell'ordine una completa ricostruzione della scena crimine con la possibilità di indagare sia casi che sono spesso molto distanti temporalmente, sia scene del crimine ancora “calde” e molto recenti, mantenendo comunque gli stessi elevati standard di recupero prove e risoluzione.

Dottrina e protocolli

Per lavorare nel campo forense, le competenze archeologiche di base devono essere ben al di là di quelle accademiche. Questo non include solo conoscere alla perfezione le tecniche di scavo ma anche quelle di indagine pre-scavo (cartografia, analisi di terreni, e telerilevamento) e post-scavo. Il fattore più importante, quindi, è che l'archeologo abbia una vasta base di esperienza. Gli archeologi che hanno sempre lavorato su un singolo tipo di sito e/o su una singola area geografica possono avere una esperienza sviluppata all'interno di questi parametri ma sono impreparati per la varietà delle situazioni incontrate solitamente nel lavoro forense. Gli archeologi hanno bisogno di essere pronti a realizzare scavi in pozzi, campi aperti, zone boschive, ripari sotto roccia, grotte, in zone combuste e non, latrine, discariche di rifiuti, contesti urbani (come sottoservizi, infrastrutture, edifici, ecc.) e cimiteri.

Queste sfide evidenziano un tema fondamentale, ovvero la necessità di flessibilità ed esperienza in una enorme vastità di tipologie di sito. Il lavoro forense non è il posto giusto per essere iniziati alla riesumazione del materiale scheletrico o per analizzare discariche abusive. Il lavoro procede ad un ritmo troppo veloce per imparare lentamente ed il risultato è troppo importante per rischiare che i principianti facciano errori sul sito.

Anche una forte preparazione in osteologia per l'archeologo è utile. Per esempio, nei siti con numerosi resti scheletrici non univoci, essi sono spesso separati sulla base sia della disposizione spaziale, che dell'età, che del sesso dell'individuo. Se i resti non sono ben catalogati, in quanto vengono rimossi dal terreno rapidamente e senza attenzione, le probabilità di errore negli esami post-mortem diventano molto più grandi.

Infine, gli archeologi che si impegnano nel lavoro forense hanno bisogno di una conoscenza approfondita delle tipologie di manufatti che possono essere incontrate. Nel lavoro forense, questo significa che hanno bisogno di una solida base in armi moderne, comuni per l'area in cui si sta lavorando, una conoscenza di base degli esplosivi e delle munizioni. Nella riesumazione dei morti in guerra, questa conoscenza si estende anche alle granate, mine antiuomo ed altri ordigni esplosivi, che necessitano di identificazione e documentazione. Questa particolare conoscenza in questo ambito permette di ottenere un duplice scopo: quello di identificare e circoscrivere ordigni inesplosi e quello di mantenere integra la propria la sicurezza personale mantenendoli tali.

Necessaria è, poi, anche una vasta conoscenza della moderna cultura materiale, così come il suo utilizzo e la sua storia. Tutti i tipi di oggetti moderni devono essere riconosciuti nei frammenti tipicamente presenti nei siti di carattere forense. Questo include non solo la cultura propria dell'archeologo sul campo, ma anche e soprattutto quella di tutti gli altri gruppi etnici che potrebbero essere presenti nel sito indagato. Per esempio, nelle culture più note (per la maggior parte di noi) è comune, per le persone sposate, indossare un anello al quarto dito della mano sinistra: questi anelli spesso recano iscrizioni con le date e le iniziali dei nomi delle persone coinvolte.

Se questo è un esempio molto semplice, non possiamo comunque sminuire la necessità di familiarizzare con la cultura materiale di altre etnie. Per esempio, un piccolo pacchetto contenente un pezzo di carta ripiegato può essere un amuleto con una preghiera musulmana, indizio che potrebbe aiutare a far luce sull'etnia, la religione e, forse, l'identificazione di chi lo indossa.

Inoltre, anche una vasta conoscenza delle tecniche di conservazione dei reperti è necessaria per il lavoro forense. Gran parte del materiale riscontrato in casi forensi sarà materiale estremamente deperibile che di solito non fa parte di un normale ambito archeologico, come l'abbigliamento, i documenti personali, denaro cartaceo ed oggetti religiosi o etnici. Questo materiale rischia il veloce deperimento e può avere bisogno di un immediato ed ampio intervento di stabilizzazione del degrado, conservazione e messa in sicurezza per l'asporto ed il successivo trasporto nei laboratori di analisi.

Ovviamente, l'archeologo ha bisogno di lavorare in questi contesti collaborando con gli altri esperti delle investigazioni scientifiche, garantendo la professionalità, la cura e la cautela necessarie per acquisire prove senza comprometterle.

La casistica archeologica, quindi, alla stessa stregua delle tecniche, è estremamente utile nel lavoro investigativo, con particolare riguardo al contesto. Infatti si trovano molte più informazioni all'interno del contesto in cui è stato rinvenuto un oggetto piuttosto che nel solo oggetto stesso. Il contesto può includere altri manufatti, peculiarità locali ed ambienti naturali (Fig. 2).

Lo scavo stratigrafico sulla scena del crimine

Il successo di uno scavo archeologico inizia ben prima del ritrovamento del corpo o del sito da investigare. Bisogna seguire un protocollo ben definito, formare il personale con l'aiuto di esperti e comprare la strumentazione adeguata. Ogni caso ha le sue peculiarità ma generalmente per rispondere alle prime due esigenze, sarebbe opportuno seguire in linea di massima lo schema riportato nella tabella seguente.

Linee generali da seguire nell'ambito di uno scavo

Definire la giurisdizione

1. Chi è il responsabile del caso?

2. Nel caso in cui i resti risultino di carattere archeologico e non forense, chi è il responsabile?

Valutazione del caso

Creare un piano d'azione, una lista del personale esperto e l'elenco del materiale necessario, partendo da domande del tipo:

1. Quant'è il numero potenziale di sepolture presenti?

2. Quanti siti forensi sono stati sicuramente identificati?

3. Quante persone o manufatti sono coinvolti?

4. I siti sono molto recenti o no?

Schema di scavo

1. Obiettivo: ricostruire le attività passate sulla scena del crimine, recuperare e documentare ogni evidenza pre-scavo.

2. Coordinare il personale, individuare le pertinenze ed i compiti, e gestire i materiali/mezzi a disposizione.

3. Scavo

4. Pulire e/o riparare i materiali usati.

5. Controllo della documentazione acquisita.

6. Completare le mappe di scavo.

7. Sigillare le prove acquisite.

8. Compilare un report finale.

Conclusione delle operazioni

1. Completare tutta la documentazione.

2. Creare delle copie, se necessario, prima di sottometterle al responsabile del caso.

Passando alla fase di scavo vera e propria, durante l'indagine si presuppone che l'archeologo forense sia a conoscenza della composizione del suolo presente sulla scena del crimine al fine di valutare a prima vista ciò che risulta anomalo. La formazione del suolo può essere causata da una serie di fattori materiali, climatici, topografici, biologici e temporali che concorrono a caratterizzarlo quasi univocamente.

Il suolo ha una serie di differenze macroscopicamente rilevabili come il colore, la tessitura, la granulosità e la struttura che lo rendono facilmente identificabile. Il cambiamento di una di queste componenti, congiuntamente con determinate modifiche chimiche legate alla decomposizione degli elementi organici sepolti, è visibile nel momento in cui si inizia lo scavo stratigrafico.

Lo scavo stratigrafico costituisce il metodo elaborato dall'archeologia per raccogliere e documentare i dati, disponibili in un determinato sito, riguardo alle attività umane che vi hanno avuto luogo e all'ambiente con cui hanno interagito.

Il metodo è stato elaborato a partire dal concetto di stratigrafia individuato in geologia, per cui le rocce si depositano in strati sovrapposti, con quelle più antiche alla base e quelle via via più recenti che le vanno a coprire. In modo analogo gli strati di terreno che si erano via via depositati in un sito, permettevano di individuare la successione cronologica dei manufatti che vi erano rinvenuti. Ogni azione umana od ogni evento naturale, ha lasciato in un sito una traccia che si sovrappone alla situazione preesistente e costituisce una unità stratigrafica (U.S.). Le unità stratigrafiche presentano tra loro delle relazioni fisiche: il fossato "taglia" il terreno nel quale viene scavato, il muro "riempie" la sua fossa di fondazione, l'accumulo di immondizia "copre" la pavimentazione della strada e "si appoggia" al muro contro il quale è stato gettato, ecc. In senso inverso il terreno "è tagliato" dal fossato, la fossa di fondazione "è riempita", la pavimentazione della strada "è coperta" dall'immondizia ed infine, rispetto al muro, l'immondizia "gli si appoggia". Ciascuna di queste relazioni fisiche indica un rapporto cronologico: se il fossato taglia il terreno vuol dire che l'azione di scavare il fossato non può che essere avvenuta dopo l'evento di deposito del terreno in cui viene scavato. Il matrix di Harris (o matrice o diagramma stratigrafico) è la rappresentazione grafica dei rapporti stratigrafici tra U.S.; questo sistema, inventato nel 1973 a Winchester dall'archeologo Edward C. Harris, è quindi una sintesi visiva ed immediata di quanto trovato (Fig. 3).

Dottrina e protocolli

Schematizzando potremmo individuare tre momenti fondamentali in una stratificazione archeologica:

  1. deposizioni naturali preesistenti all'azione dell'uomo;
  2. stratificazione derivante dai processi costruttivi, distruttivi o di trasformazione antropici, corrispondenti alla fase di vita di un sito. All'interno della fase attiva antropica si possono inoltre trovare depositi naturali i) di vaste dimensioni (come alluvioni o altro) o ii) di minor entità, derivanti dall'azione di agenti naturali soprattutto meteorici e climatici (il lento degradare di strutture lignee, di muri ecc.) o biogenetici;
  3. deposizioni derivanti dal degrado posteriore all'abbandono, alla fine dell'attività antropica in un sito, dove nuovamente prendono il sopravvento gli agenti naturali.

Da questo semplice schema si può, quindi, comprendere come sia costantemente in atto un continuum interattivo tra uomo e natura. In questo processo si possono quindi identificare gli agenti, le azioni (o i processi) ed i materiali (che subiscono trasformazioni). Gli agenti possono essere la natura o l'uomo, le azioni (o i processi) possono ugualmente essere naturali o antropiche, l'esito delle azioni o dei processi si riscontra nei materiali (che formano il deposito sedimentario sia naturale che antropico) che originariamente sono comunque naturali e che possono subire trasformazioni in progressione tale da renderli totalmente antropici, cioè artificiali.

Gli agenti tramite le azioni (o i processi) sia naturali che antropiche portano sempre ad una rielaborazione, o tramite dislocazione di materiali o tramite una trasformazione: una rielaborazione tramite dislocazione comporta necessariamente un trasporto, cioè si toglie del materiale da un luogo per portarlo in un luogo diverso (azione antropica), oppure il materiale viene trasportato da un luogo ad un altro (azione idrica od eolica), o si sposta da una posizione ad un'altra (soprattutto per gravità). La trasformazione è relativa invece ad una modificazione dei materiali (causata da agenti naturali od antropici) senza dislocazione, cioè senza trasporto esterno.

Qualsiasi dislocazione presume in origine un'evidenza negativa (costituita dall'assenza del materiale deposto precedentemente, la traccia del materiale asportato) e, dopo il trasporto, un'evidenza positiva (materiale di apporto). La trasformazione produce invece un'evidenza "neutra", nel senso che avviene una rielaborazione di materiali senza che sia stata operata nessuna dislocazione di materiali.

Riassumendo si può quindi affermare che ogni apporto presuppone un asporto ed ogni asporto postula un apporto, mentre le trasformazioni sono il risultato di rielaborazioni senza trasporto di materiali (non presuppongono quindi nessun asporto). Schematicamente questo sta alla base della formazione di un deposito stratigrafico sia naturale che antropico.

Esiste un'ulteriore metodologia di scavo, oltre a quello stratigrafico, ovvero quello non stratigrafico, cioè arbitrario. Lo scavo arbitrario consiste in una rimozione indiscriminata e sommaria del terreno, cioè in uno sterro, eseguito allo scopo di mettere in luce strutture o di recuperare oggetti. La stratificazione archeologica non costituisce un elemento di interesse per questo tipo di procedimento: essa viene quindi distrutta per raggiungere l'obiettivo prefissato senza essere preventivamente interpretata. Tra i procedimenti di scavo arbitrari si colloca anche la pratica di scavo cosiddetto per livelli, che viene eseguito asportando porzioni orizzontali e parallele di terreno di spessore predeterminato, senza tener conto della realtà fisica dei diversi componenti della stratificazione e dei loro rapporti reciproci. Questo tipo di scavo parte dall'applicazione astratta della legge di sovrapposizione e dall'assunto per cui un reperto che si trovi ad una quota inferiore ad un altro deve essere necessariamente più antico del primo, secondo un procedimento logico da utilizzare con grande cautela in campo geologico ed assai spesso errato e fuorviante nel caso della stratificazione archeologica, che include, come visto, una fitta serie di azioni, positive e negative, di prevalente origine artificiale. Si comprende pertanto come lo scavo per livelli abbia trovato maggiore applicazione nell'indagine di stratificazioni di prevalente origine naturale, per le quali l'asportazione di porzioni di deposito per tagli successivi può consentire di ottenere informazioni utili sul processo formativo del deposito stesso e sulla sua durata.

Lo scavo stratigrafico come detto, invece, non rimuove il terreno ma lo indaga; i singoli elementi che compongono la stratificazione vengono prima individuati e quindi asportati seguendo un ordine inverso a quello della loro deposizione: lo smontaggio della stratificazione implica dunque una sua distinzione analitica, che è premessa necessaria per una ricomposizione sintetica delle sue testimonianze lette alla luce delle relazioni spaziali, temporali e culturali che legano le diverse componenti del deposito. Nella pratica dello scavo arbitrario le dimensioni del taglio da effettuarsi nel terreno, la sua forma e la sua stessa ubicazione sono dettati dalla necessità di ottenere il massimo dei risultati con il minore sforzo umano ed economico.

Assume, quindi, sempre più importanza la ricostruzione cronologica degli eventi attraverso l'interpretazione del dato stratigrafico. Tale informazione risulta una datazione indiretta o relativa ma permette di dare una consequenzialità oggettiva degli eventi portati alla luce dall'archeologo forense.

Il grande vantaggio dello scavo stratigrafico, infatti, oltre che dalla sua accuratezza e dall'attenzione posta al contesto, è rappresentato dalle inferenze di tipo cronologico che si possono trarre dallo studio delle unità stratigrafiche, a differenza, come visto nel capitolo precedente, dello scavo arbitrario, indiscriminato e dannoso (Fig. 4).

Nella datazione relativa dello scavo, gli archeologi devono seguire due principi generali conosciuti come terminus post quem e terminus ante quem. Il primo, terminus post quem, indica una data dello strato sicuramente successiva al periodo in esame. In maniera opposta, il terminus ante quem indica una data dello strato che sicuramente precede il periodo in esame.

Per sottolineare l'importanza di tale datazione, è indicativo l'esempio riportato da MATTEO BORRINI nel suo volume L'Archeologia Forense del 2007. Quando era consulente della Procura della Repubblica di La Spezia furono rinvenute alcune ossa, identificate come umane, in un pianoro vicino ad un centro abitato, in associazione a materiale chiaramente moderno (cicche di sigaretta, un portachiavi, una pila degli anni 30-40); intervenendo con tecniche stratigrafiche per recuperare i corpi fu possibile notare i processi di sedimentazione e la pedogenizzazione del terreno che suggeriscono l'antichità dei resti. Inoltre l'identificazione dei microbradisismi e interventi edili novecenteschi consentirono di spiegare la comparsa in superficie delle ossa e la loro commistione con gli oggetti della metà del secolo scorso. Nello stesso contesto, se fosse stato applicato un recupero arbitrario con il concetto dei livelli predeterminati, i resti sarebbero stati attribuiti a occultamenti relativi al periodo bellico, con chiare implicazioni giudiziarie, oltre che ad un evidente errore di valutazione cronologica.

Una volta delimitato l'esatto contorno della zona di interesse, l'area ad essa limitrofa cambia status: da zona di ricerca diventa una vera è propria scena del crimine. L'archeologo forense, in accordo con le forze di polizia giudiziaria, realizzerà una documentazione fotografica ed un rilievo della superficie della zona soggetta ad indagine. Queste operazioni serviranno a contestualizzare la scena d'occultamento, nonché a mettere in luce possibili vie di accesso e di uscita che il reo può avere percorso, permettendo così di rilevare eventuali tracce e di repertare evidenze attinenti al caso.

La zona delle operazioni di scavo sarà recintata per una distanza di almeno 4 metri intorno alla zona d'interesse e l'accesso sarà consentito esclusivamente al personale coinvolto nelle operazioni di scavo e recupero. In questo modo si ridurrà la possibilità di inquinamento della scena ed al contempo si concederà all'archeologo lo spazio sufficiente per svolgere correttamente il suo lavoro e per mantenere il necessario livello di pulizia intorno alla sepoltura.

Dopo aver compiuto queste operazioni preliminari si procederà all'asportazione del riempimento secondo le modalità e con gli strumenti sopramenzionati.

Teniamo presente, infine, che ogni operazione umana è selettiva, sia volontariamente che involontariamente, per questo il momento dello scavo, ed ancor di più quello della documentazione sono le fasi di massima perdita di informazioni, per quanto esteso sia il nostro apparato di recupero dati (Fig. 5). In questo senso bisogna avere una strategia ben precisa ed una particolare cura applicativa sul campo, per poter giungere successivamente alla massima dilatazione dei dati in nostro possesso, tramite la loro rielaborazione e la formulazione di ipotesi ricostruttive, per riuscire cioè a trasformare il sedimento in storia.

La provenienza ed il contesto sono estremamente importanti, senza i quali nessun elemento di prova può essere inserito correttamente nel puzzle del sito per arrivare ad una chiara e completa rappresentazione dell'atto di deposizione, degli eventi che lo circondano, e dell'identificazione delle persone coinvolte. Una volta che tutte le prove da un sito sono state recuperate e trattate secondo la corretta catena di comando, un sito in genere viene ricoperto (riempito con il terreno che è stato originariamente scavato dagli investigatori). Tuttavia, nonostante il riempimento, una cicatrice è spesso visibile nel tempo successivo nel sito di scavo nella forma di una depressione nella terra, per quanto lieve. Ciò è dovuto al fatto che non tutto il terreno e materiale rimosso viene sostituito, né è sostituito con lo stesso orientamento o compattazione che originariamente l'hanno caratterizzato.

Dottrina e protocolli

Sintetizzando, quindi, il recupero di prove sepolte o disperse in superficie si suddivide normalmente in 5 fasi principali:

  1. stabilire un datum e costruire una griglia di riferimento. Il datum è un punto di riferimento fisso vicino alla scena (come un grande albero o l'angolo di un edificio) che può essere ritrovato, se necessario, nel corso di successive indagini. Il sub-datum è invece un paletto di riferimento collocato vicino ai resti ad una distanza nota dal punto zero (datum). Le linee che corrono da est-ovest o nord-sud attraverso il sub-datum sono noti come linee di base. Una griglia di riferimento viene estrapolata da tali linee, attraversante il sito investigato. Questa griglia serve per organizzare tutte le successive attività di raccolta e di scavo. È suddiviso in unità quadrate generalmente di un metro e numerate in modo sequenziale. Anche se non tutte le unità sono necessariamente incluse nella scena, ad ogni punto del paesaggio può essere data una provenienza precisa misurandolo adeguatamente in riferimento al datum ed al sub-datum;
  2. visualizzare la superficie di indagine. Utilizzando rastrelli e cazzuole, tutti i detriti (foglie, bastoni, spazzatura) devono essere rimossi dalla superficie al fine di recuperare prove sparse e definire i limiti esatti di ogni elemento. La parte più superficiale del suolo (cotico erboso) viene rimosso con i detriti durante questa fase. Alcune prove (oggetti particolarmente piccoli o dispersi) possono essere raccolte in modo da non dimenticarsene nella fase successiva;
  3. scavare i resti. Ogni porzione di suolo che ricopre i resti di interesse forense viene rimossa secondo le procedure esposte precedentemente. Le ossa ed i manufatti vengono solitamente lasciati in situ fino alla completa messa in luce.
  4. raccogliere i resti. Le ossa ed i manufatti vengono raccolti in modo adeguato ed imbustati secondo la tipologia e la natura. Le informazioni riguardo la provenienza sono annotate direttamente sulla busta e su un registro di scavo, elencandovi tutte le prove.
  5. pulizia finale. Dopo aver rimosso le prove, il terreno al di sotto dei resti rimossi è raschiato con cazzuole e pale di taglio, al fine di individuare ulteriori elementi di prova. Il metal detector può essere impiegato per individuare rapidamente ulteriori oggetti metallici sotterranei.

Ovviamente, le caratteristiche specifiche di un caso possono richiedere adattamenti a questi concetti base. Esperti archeologi forensi sanno quando modificare le loro tecniche per adattarsi alle circostanze.

Case Report

Un esempio recente di archeologia forense, per identificare ciò che rimane dopo un disastro, è l'attacco terroristico a New York del 11 settembre 2001. Questa è stata una delle prime volte in cui gli archeologi forensi hanno lavorato a questo tipo di disastro, e ha mostrato al mondo i benefici dell'archeologia forense nello studio dei disastri.

Il gruppo Forensic Archaeology Recovery (FAR) è stata costituito presso la Brown University di Providence e la sua intenzione era quella di individuare i resti sul luogo del disastro ed identificarli. In primo luogo, Richard Gould, il capo della squadra, ha voluto analizzare i resti della chiesa di St. Nicholas, che fu distrutta a Lower Manhattan durante l'attacco. La FEMA (Federal Emergency Management Agency) e la polizia di New York stavano lavorando sul caso e non hanno permesso loro di accedere al sito, perché FAR non aveva alcun permesso legale. I membri del gruppo istituirono allora ufficialmente il FAR, ottennero i permessi legali ed ottennero l'accesso al sito.

Nella primavera del 2002 concentrarono le loro indagini in Barclay Street. Hanno rimosso la spazzatura della zona e hanno fatto in modo di documentare qualsiasi prova possibile ed il relativo contesto. I detriti sono stati scavati a mano, setacciati, e poi messi in sacchetti sigillati etichettati come prova. È stata anche prodotta una notevole documentazione fotografica, e l'85% del sito è stato scavato (Fig. 6).

I risultati sono stati deludenti perché le ossa ritrovate non erano in grado di essere identificate come umane. Tra la spazzatura furono trovati documenti dell'aereo Boeing 767 realizzati nel 1991 ed alcuni vecchi computer. Non si poteva essere sicuri se i computer fossero stati smaltiti prima dell'attacco o meno, quindi non potevano essere utilizzati come prova.

Questa analisi del sito di un disastro recente ha dimostrato come gli archeologi forensi dovrebbero lavorare in luoghi di disastri con la necessità di rispondere rapidamente ad alcuni interrogativi e di trovare resti utili come prove.

In collaborazione con la FAR, in una seconda indagine i vigili del fuoco di New York hanno utilizzato il GPS per mappare 41 ossa questa volta umane risalenti al disastro. I resti sono stati trovati a Lower Manhattan e l'analisi del DNA è stato il principale strumento utilizzato per identificarli.

Nel febbraio del 2005, 1162 delle 2749 vittime dell'attacco al World Trade Center non sono state ancora identificate (ben il 42%). La notizia dei resti identificati è stata comunicata alle rispettive famiglie. Queste famiglie hanno scritto al FAR ed hanno comunicato loro come fossero grati agli archeologi coinvolti in questo tipo di studio.

Questo caso non solo ha dimostrato al pubblico come gli archeologi forensi sono necessari quando si verificano disastri e crimini, ma anche che quando si effettuano lavori in modo rapido e con l'appoggio dello Stato, molti più risultati possono essere ottenuti.

Criticità dell'indagine

Il futuro di una disciplina chiamata archeologia forense dipenderà dall'impegno dei suoi praticanti a mantenere alta la qualità, la competenza ed il livello professionale. In Italia purtroppo tale professionalità non è molto impiegata e gli archeologi forensi fanno fatica a dimostrare la loro importanza durante le indagini forensi. Al contrario, al di fuori dei confini italiani, l'archeologia forense non solo è disciplina tenuta in alta considerazione ma è prevista nei protocolli ufficiali di indagini giudiziari con grande vantaggio per il buon esito delle investigazioni. Per questo motivo si dovrebbe discutere le possibilità di un maggior impiego degli archeologi forensi in Italia, mediante una formazione capillare e professionale e l'utilizzo di organi internazionali che agiscano come guida e coordinamento nelle investigazioni internazionali.

In Italia, una soluzione potrebbe essere possibile combinando questi suggerimenti in un'unica direzione che porta a stilare un vademecum, come riportato in tabella.

Vademecum per un bravo archeologo forense

1.

Abilità nel capire i problemi archeologici; abilità nello studiare il territorio, scavarlo e documentarlo rapidamente.

2.

Familiarità con le più recenti tecniche di indagine durante la fase di pre-scavo, scavo e post-scavo; capirne i vantaggi ed i limiti.

3.

Conoscenza di base delle componenti dello scheletro umano ed il loro significato antropologico; familiarità con la terminologia tafonomica.

4.

Ampia conoscenza della criminologia.

5.

Ampia conoscenza del sistema giuridico.

6.

Abilità nel gestire un'indagine sia come singolo professionista che come squadra.

7.

Abilità nel fornire la documentazione scritta ed orale del caso ai superiori; capacità di sintesi puntuale e di ricostruzione precisa in aula.

8.

Capire quando è necessario l'intervento di un ulteriore esperto sulla scena del crimine.

9.

Disponibilità ad aggiornare costantemente le proprie competenze.

Guida all'approfondimento

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Affiliation

Pier Matteo Barone, Adjunct Professor – The American University of Rome, e Geoscienze Forensi Italia

Rosa Maria Di Maggio, Geologo forense – Geoscienze Forensi Italia, Team Geo Forense

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