"Canapa legale". I limiti di produzione e vendita della cannabis light
14 Dicembre 2018
Abstract
In questo articolo vengono presi in considerazione tutti gli obblighi e gli adempimenti che riguardano i coltivatori e commercianti dei prodotti di libera vendita derivati dalla canapa ad uso agrotecnico, nelle diverse varietà legali coltivate attualmente in Italia, oltre alle diverse problematiche riscontrate in sede di analisi dei prodotti ottenuti. Normativa di riferimento
La normativa sopra citata rimanda a un lungo elenco di varietà ammesse a catalogo, nel quale devono rientrare le specie coltivate dal singolo agricoltore e poste successivamente in commercio. Sulla etichetta o certificato relativo ai semi impiegati, che l'agricoltore deve obbligatoriamente conservare, è indicata la denominazione della varietà ammessa.
Contrariamente a quanto avveniva tempo fa, la coltivazione delle varietà previste dalla normativa sopra citata è consentita senza necessità di autorizzazione, fermo restando la possibilità di controllo da parte della PG nei confronti del coltivatore diretto o della azienda agricola, che deve essere in possesso di tutti i generici requisiti a norma di legge per il settore.
Come già ricordato, il coltivatore deve conservare i cartellini della semente acquistata e delle relative fatture di acquisto da rivenditore autorizzato, per un periodo non inferiore a dodici mesi. Non è inoltre ammessa la riproduzione per via agamica (fatte salve specifiche autorizzazioni o eccezioni di legge). In biologia, la riproduzione agamica, naturale o artificiale, consiste nella coltivazione di individui o cellule con identico patrimonio genetico (cloni): sono esempi di clonazione naturale quelli derivanti dall'utilizzo di una propagginazione di una pianta, ovvero una talea. Nello specifico si definisce talea, il frammento di una pianta appositamente tagliato e sistemato nel terreno o nell'acqua per rigenerare le parti mancanti, dando così vita ad un nuovo esemplare con identico patrimonio genetico. In agraria, la parte di una pianta capace di emettere radici, adoperata perciò per rigenerare un nuovo individuo nella cosiddetta riproduzione per taleao semplicemente talea: è una forma di moltiplicazione vegetativa, che permette di conservare le caratteristiche della pianta da cui deriva, e per questo è molto usata in frutticoltura e in floricoltura; la parte utilizzata è di solito un ramo provvisto di almeno una gemma, ma anche le radici, quando queste sono capaci di formare gemme (t. radicale). In una circolare del 23 maggio 2018, il Ministero delle politiche alimentari e forestali ha indicato che «qualora all'esito del controllo il contenuto complessivo di THC della coltivazione risulti superiore allo 0,2% ed entro il limite dello 0,6%, nessuna responsabilità è posta a carico dell'agricoltore che ha rispettato le prescrizioni di cui alla presente legge». Non vi sono però indicazioni né riguardanti la figura dell'importatore né quella del commerciante, ma viene unicamente menzionato l'agricoltore. È ragionevole quindi consigliare per queste figure l'approccio più conservativo possibile ovvero di operare ponendosi come limite una concentrazione media di THC nel lotto di produzione non superiore allo 0,2%. Le molecole di principale interesse contenute nella Canapa a uso agrotecnico
Quando si parla di canapa leggera o legale, è necessario considerare le quantità percentuali di due molecole, tra le varie, presenti nel vegetale: il THC che come sappiamo (da precedente articolo) rappresenta il principio attivo ad effetto stupefacente, che in questo prodotto dovrebbe essere quasi assente o comunque presente in una bassissima percentuale (sotto lo 0,2% secondo la attuale normativa, con un limite di tolleranza per i coltivatori fino allo 0,6%), e il CBD che rappresenta la il principio attivo non stupefacente, che può essere presente a percentuali variabili, solitamente tra il 2-3% sino ad un 10% in peso del prodotto (si parla di infiorescenze di canapa in questo caso), raramente in quantità superiori.
Attenzione però:
Al fine di poter prevedere queste sensibili variazioni, i laboratori analisi dedicati a questo settore dovrebbero applicare delle metodiche dedicate alla misura del valore minimo (iniziale) di THC e CBD espresso dal vegetale, del valore massimo teoricamente raggiungibile nel tempo e del conseguente valore medio. Quanto sopra esposto considerando che il THC, così come il CBD, sono inizialmente presenti nel vegetali nella loro forma acida THC-A e CBD-A che tendono con il tempo a trasformarsi nella forma più conosciuta THC e CBD, per poi degradare in CBN.
Il THC (o Delta9-THC) è il principio attivo stupefacente contenuto principalmente nelle infiorescenze e resina della Cannabis da Droga e in minima parte anche nella Canapa ad uso agrotecnico, non vi sono infatti grosse differenze da un punto di vista morfologico tra le varie specie vegetali (v. Il contenuto di THC nella Canapa a uso agrotecnico). Spesso inoltre possono essere rinvenute delle qualità intermedie, difficili da distinguere, se non per via analitica.
Il THC è il prodotto di una lunga serie di passaggi di biosintesi o trasformazione chimica, che avvengono all'interno dei vegetali sopra citati, anche dopo la raccolta e che continuano anche quando le varie componenti della pianta sono stati essiccati e lavorati per ottenere i diversi prodotti: resina, olio, infiorescenze essiccate, ecc. Il THC è solamente uno dei molteplici prodotti dei vegetali considerati ed è inizialmente presente nelle infiorescenze delle piante, resina, foglie e nei prodotti da essi derivati sotto forma di THC-Acido, che con il passare del tempo, anche in funzione della luce e del calore ambientale si trasforma in THC, che a sua volta si decompone in un altra sostanza denominata CBN.
Questo susseguirsi di trasformazioni chimiche nel corso del tempo che, ricordiamo, continuano anche nel prodotto finito e già confezionato, rendono molto difficile certificare il contenuto di THC in un determinato prodotto. Di fatto, l'analisi di un prodotto derivato dalla Cannabis da Droga e dalla Canapa ad uso agrotecnico consente di fornire una "fotografia" del contenuto di THC in quel preciso momento che, in relazione alla metodica analitica utilizzata, può variare da laboratorio a laboratorio. Ma soprattutto è bene ricordare che tale contenuto è inevitabilmente destinato a variare nel corso del tempo, in aumento o in diminuzione, in relazione allo stato di maturazione o invecchiamento del prodotto, sino a scomparire del tutto, similmente a come avviene per un vino pregiato, che ha una fase di maturazione, anche dopo essere stato imbottigliato, dove esprime gradualmente tutte le sue caratteristiche organolettiche sino a toccare un punto ottimale, per poi decadere inevitabilmente nel corso tempo per trasformarsi in aceto.. Per quanto sopra esposto, i vari laboratori analisi preposti alle analisi dei prodotti cannabici ad uso lecito o illecito, tendono, se possibile, a scaldare i campioni in verifica, per ottimizzare la estrazione di THC dal vegetale o prodotto in esame. Scaldando infatti si dovrebbe favorire la trasformazione di tutto o quasi il THC-Acido in THC. Il risultato di un eccessivo riscaldamento è rappresentato dalla decomposizione del THC in CBN. Si tratta quindi di un equilibrio molto, molto delicato.. Non stiamo parlando di un prodotto di sintesi chimica o semisintesi, come i derivati delle anfetamine nelle compresse ad uso illecito, oppure della cocaina, la cui determinazione è molto più semplice. I prodotti contenenti THC, e sostanze correlate, sono instabili per definizione. Spesso il riscaldamento degli estratti esaminati si opera all'interno degli strumenti analitici, nel corso della analisi medesima, altre volte prima di procedere agli accertamenti. Entrambe le metodologie vengono considerate in tal senso valide.
I risultati ottenuti a seguito della applicazione delle differenti metodiche analitiche possono essere espressi in vari modi. Solitamente per le esigenze delle Procure e dei Tribunali, per la determinazione del numero di dosi ricavabile in un contesto di uso o commercio illecito, i diversi laboratori tendono ad esprimere i propri risultati in termini di contenuto medio di THC, il che può rappresentare una valida sintesi tra il metodo utilizzato, il numero di campioni esaminati, il livello di maturazione del prodotto esaminato e il momento in cui è stato condotto l'esame. Tenendo conto che riesaminando lo stesso prodotto a distanza di tempo, possono ottenersi risultati differenti, anche se le analisi vengono condotte nel medesimo laboratorio, si tende a fornire una "fotografia" in termini di contenuto medio di THC del vegetale esaminato in quel momento, consapevoli della mutabilità temporale e ambientale che può generare variazioni, anche repentine nella composizione del prodotto (soprattutto nel periodo estivo, dove le temperature sono più alte). Si tenga inoltre in considerazione che il THC e i vari cannabinoidi derivati della canapa, attraversano indifferentemente quasi tutti gli involucri contenitori, carta, plastica, ecc. e con l'aumento della temperatura tendono ad evaporare (da qui l'odore pungente dei prodotti cannabici), il che complica ulteriormente la situazione. Per gli utenti privati, importatori e aziende che operano nel settore dei derivati della Canapa ad uso agrotecnico, sarebbe preferibile (ad opinione dello scrivente) fornire in fase di analisi, oltre al contenuto medio di THC, il contenuto minimo (corrispondente al THC naturalmente presente nel vegetale al momento dell'analisi, in assenza di riscaldamento) e il contenuto massimo esprimibile tramite riscaldamento del prodotto o dell'estratto, cercando di evitare per quanto possibile la decomposizione del THC così ottenuto. Quest'ultimo dato dovrebbe infatti rappresentare il massimo livello di THC ricavabile in quel momento dal vegetale o prodotto derivato. Questo intervallo potrebbe anche essere molto ampio, ma è in ogni caso fonte di maggior garanzia per il produttore, commerciante o utente privato, che si vede così maggiormente tutelato.
Provvedere alla raccolta di un numero così elevato di campioni (50) per ogni lotto deriva dalla necessità di ottenere risultati quanto più uniformi possibili. Infatti, analisi effettuate su una singola infiorescenza possono portare a risultanze sensibilmente differenti rispetto ad un altra infiorescenza prelevata all'interno di una stessa piantagione (particella). Trattandosi di un vegetale, ogni pianta può comportarsi in modo diverso, in funzione delle caratteristiche del terreno e della illuminazione nello specifico punto di raccolta. I campioni così raccolti vengono omogeneizzati in laboratorio ed avviati ad estrazione e analisi (meglio sarebbe procedere alla campionatura ad essiccazione dell'intero lotto già avvenuta, ovvero quando i vegetali hanno già perso gran parte della umidità, al fine di poter ottenere un dato analitico maggiormente rappresentativo del prodotto destinato al commercio). Si consiglia l'utilizzo di un metodo di analisi a freddo (HPLC-DAD o MS) perchè in grado di mantenere pressochè inalterate le caratteristiche degli estratti (il metodo di analisi contenuto nel regolamento sopra riportato CFG, si riferisce ad una tecnologia utilizzata sino agli anni novanta e oramai ampiamente superata sia sotto il profilo scientifico che normativo). Al termine della procedura descritta il produttore potrà accompagnare alla vendita i propri prodotti con tutta la documentazione necessaria, compresi i certificati di analisi. La medesima documentazione: certificati delle semenze, fatture e analisi, devono accompagnare tutti i prodotti di questo tipo commercializzati sul territorio nazionale o in ambito Ce. Il limite tra prodotto stupefacente e non stupefacente
Ma qual è il limite tra prodotto derivato dalla cannabis stupefacente e non stupefacente?
Esaminiamo attentamente le ultime circolari provenienti dai Ministeri della Sanità e Interno. Le stesse circolari rappresentano chiaramente come la legge n. 242/2016 non preveda la vendita delle infiorescenze per consumo personale attraverso il fumo o altra analoga modalità di assunzione. In particolare il Consiglio Superiore di Sanità, nel parere predisposto all'esito della seduta del 10 aprile 2018 «ritiene che tra le finalità della coltivazione della canapa industriale, previste dal comma 2, dell'art.2 della legge 242/2016, non è inclusa la produzione delle infiorescenze ne la vendita al pubblico e che, pertanto, la vendita dei prodotti contenenti o costituiti da infiorescenze di canapa, in cui è indicata in etichetta la presenza di "cannabis" o "cannabis light" o "cannabis leggera" […] comunque sia il contenuto percentuale di THC, pone certamente motivo di preoccupazione». Emerge inoltre come la nuova disciplina valorizzi principalmente la pianta per il suo contenuto in fibre, per le sue caratteristiche botaniche e per l'adattabilità ad impieghi innovativi, nella bioedilizia, per esempio. Laddove se ne presenti residualmente la possibilità di utilizzo per uso umano, all'interno cioè di alimenti e prodotti cosmetici, lo stesso legislatore ha sentito l'esigenza di fissare specificamente degli strettissimi limiti per tale impiego. Da qui si comprende chiaramente come la non punibilità prevista per il coltivatore, riservando solo allo stesso un'area di non responsabilità qualora il contenuto complessivo di THC della coltivazione risulti superiore allo 0,2%, ma entro il limite dello 0,6%, non sia estendibile al venditore di infiorescenze. Questo perchè mentre il coltivatore, con un approccio innovativo, potrà legittimamente e comprensibilmente contare su un istituto di salvaguardia che preservi, entro il limite dello 0,6% (e non oltre), il raccolto e l'investimento economico iniziale, non altrettanto può assicurarsi all'operatore commerciale che venda le infiorescenze e/o prodotti derivati. Per il rivenditore o il grossista ovvero il negoziante, che pongano scientemente in commercio le infiorescenze delle predette piante con concentrazioni di principio attivo tra lo 0,2% e lo 0,6%, sembra obbiettivamente venire meno l'esigenza di garantire una tutela giuridica parimenti a quella riservata al coltivatore. Di fatto in caso di superamento dello 0,2% la norma non prevede la distruzione delle piante se non oltre il limite dello 0,6%, piante e prodotti derivati che potrebbero essere riutilizzati per diversi scopi, quali ad esempio: la produzione di fibra, canapulo, polveri, cippato, oli o carburanti, materiale da bioingegneria, bioedilizia o florovivaismo, per i quali a poco rileverebbe la presenza di THC in concentrazioni superiori allo 0,2%. Nel caso si decida di destinare tali produzioni al settore alimentare (o cosmetico), così come previsto dall'art.5 della citata legge n.242/2016, si dovrà fare riferimento ai livelli massimi di THC ammessi negli alimenti (o cosmetici), così come previsti dalle norme tecniche nazionali e/o europee dedicate. Sarebbe troppo lungo approfondire ora anche questa parte, si tenga unicamente conto che per rientrare nei suddetti limiti sarebbe necessario diluire gli estratti o farine derivati da prodotti cannabici contenenti lo 0,2% di THC di diversi ordini di grandezza.
Più in generale, le infiorescenze di canapa, e derivati, con tenore di THC superiore allo 0,5%, secondo giurisprudenza oramai consolidata, possono rientrare nella nozione di sostanze stupefacenti (DPR 309/90), (v. Corte di Cassazione - Sez. Unite, n. 28605/2008, Cass. Sez. IV, Sent. n. 21814/10, Cass. Sez. III, Sent. n. 40620/13, Cass. Sez. IV, Sent. n. 43184, Cass. Sez. VI, Sent. n. 16648/89, Biscardi): «[...] in materia di coltivazione non autorizzata di piante stupefacenti, una volta accertata l'idoneità di una pianta a produrre il THC che è l'elemento produttivo degli effetti psicotropi, essa deve essere considerata, agli effetti finali, alla stessa stregua di una "cannabis indica", a nulla rilevando la sua particolare, diversa denominazione, e la maggiore o minore concentrazione di principio attivo, purché non inferiore allo 0,5 per cento». Case report
1.
Le analisi condotte sul lotto sopra riportato hanno permesso di determinare una concentrazione di 9-THC Totale dello 0,51% ricadendo potenzialmente nella definizione di sostanza stupefacente (DPR 309/90), in tal caso il produttore potrebbe riutilizzare il prodotto per diversi scopi, tra quelli sopra citati: la produzione di fibra, canapulo, polveri, cippato, oli o carburanti, materiale da bioingegneria, bioedilizia o florovivaismo, per i quali a poco rileverebbe la presenza di THC in concentrazioni superiori allo 0,2%.
2.
Le analisi condotte sul lotto sopra riportato hanno permesso di determinare una concentrazione di 9-THC Totale dello 0,19% - ovvero un risultato ampiamente al di sotto dello 0,5%. Di conseguenza il prodotto certificato non è da considerarsi stupefacente, potendo essere pertanto venduto e impiegato nelle diverse modalità previste dalla normativa. Per quanto sopra esposto, la canapa sativa viene considerata non "drogante" sino ad un contenuto di THC inferiore allo 0.5% (e di conseguenza considerata come semplice merce), mentre poco oltre lo 0,5% di THC viene considerata sostanza "drogante" (anche se con effetti molto blandi, e di conseguenza considerata come sostanza stupefacente). Infine, l'introduzione nel territorio Nazionale di canapa sativa o prodotti derivati, anche se con tenore di THC < 0,2% proveniente da paesi extra UE come la Svizzera, in assenza del regolare versamento dei tributi previsti in fase di importazione, ovvero per contrabbando, rientrerebbe nella fattispecie di evasione Iva all'importazione (art. 70 DPR 633/72 e art. 282 DPR 43/73), per cui sono previste sanzioni amministrative erogate dalla Agenzia delle Dogane e Monopoli. In caso di superamento della soglia dello 0,2% tale merce sarebbe passibile di sequestro e distruzione, in particolare ove venga riscontrato il superamento della soglia dello 0,5%, da cui l'applicazione del Testo Unico DPR 309/90.
UNODC (United Nations Office on Drugs and Crime 2009): Recommended methods for the identification and analysis of cannabis and cannabis products; Brian F. Thomas et Al.: The Analytical Chemistry of Cannabis - Elsevier Ed. 2016 Baccini C: Sostanze d'abuso e tossico-dipendenze, Sorbona 1997; Mercuriali G: Tossicodipendenza: definizioni, patologia, quadri clinici, Edizioni ETS, Pisa, 1993; Malizia E: Le Droghe, Newtun Compton Editori, Roma, 1995; Atavico U, Macchia T: La determinazione delle droghe d'abuso, CLAS 1991; Clarke's: Analysis of Drugs and Poisons, Fourth Edition 2011. Le Basi Farmacologiche della Terapia; Goodman & Gilman ; J.G. Hardman |