Audizione protetta e raccolta delle prime dichiarazioni delle vittime in condizioni di particolare vulnerabilità (Sit)
21 Settembre 2016
Abstract
Nell'ambito giuridico la figura dello psicologo forense è sempre più spesso coinvolto anche nelle primissime fasi di un procedimento giudiziario con il ruolo di ausiliario o di perito/consulente del magistrato. In particolare, nell'ambito delle prime indagini, la professionalità e le conoscenze del professionista possono essere di estrema utilità nell'ausilio della raccolta della testimonianza. Se la valutazione delle verbalizzazioni del testimone, la strutturazione delle domande nell'interrogatorio, la valutazione degli indicatori di menzogna sono attività che attengono all'ambito della psicologia della testimonianza dell'adulto (si veda BRAMANTE LAMARRA, Psicologia forense: i colloqui e le interviste investigative; Id., La psicologia della testimonianza. Accuratezza e rappresentazione della realtà), queste risultano ancora più rilevanti qualora il testimone o la vittima è nello specifico un minore o una persona in condizioni di particolare vulnerabilità in quanto le caratteristiche psicologiche del soggetto potrebbero incidere proprio nelle modalità nelle quali è avvenuta la fissazione del ricordo, la sua rievocazione nonché, soprattutto, relativamente la sua capacità di riportare a terzi fatti ed eventi. Con il termine audizione protetta viene usualmente indicata l'escussione di un minore o di persona in condizioni di vulnerabilità, presunta vittima di maltrattamento o abusi sessuali, nella fase dell'incidente probatorio che si espleta nel corso delle indagini preliminari o nell' udienza preliminare su richiesta del pubblico ministero o dall'indagato/imputato. L'incidente probatorio infatti rappresenta un'assunzione anticipata di una prova (art. 392 c.p.p.), quando vi siano ragioni di urgenza o ricorra il rischio di pregiudizio della prova se rinviata alla fase naturale del dibattimento (CIRIO-FRANCOMANO-PAGANO). L'audizione protetta in effetti comprende in modo più esteso, anche altre attività e fasi tra le quali l'acquisizione di sommarie informazioni testimoniali e la valutazione da parte del perito dell'idoneità a testimoniare. Nei paragrafi successivi verranno presentate prassi e metodologia cui lo psicologo forense dovrebbe attenersi relative alla Sit e all'audizione protetta in incidente probatorio, ove il ruolo ricoperto è quello essenzialmente di ausiliario della polizia giudiziaria, del P.M. o del giudice (con le relative implicazioni e limiti di competenza) e la finalità è quella di recuperare quanto più possibile informazioni fruibili in termini forensi. Per quanto riguarda la valutazione dell'idoneità alla testimonianza si ritiene di approfondire l'argomento in seguito in un articolo specifico, in quanto si riferisce concettualmente ad una valutazione del testimone in termini clinici e, di conseguenza, all'accertamento (e incidenza) o all'esclusione, di menomazioni o alterazioni patologiche della memoria, del pensiero, della percezione, dell'affettività e/o di altre funzioni psichiche (relativamente la suggestionabilità per esempio) tali da inficiare il ricordo, la capacità di rievocazione e/o la capacità di trasferirne ad altri i contenuti in modo corretto. Tale disamina e valutazione infatti implica molteplici approfondimenti (relativi per esempio all'idoneità alla testimonianza generica e specifica) in sede peritale, con modalità e procedure che necessitano un'ampia disamina. Sit e audizione protetta: prassi e metodologia condivisa
L'audizione protetta e, ancor prima, la Sit, identificano nell'ambito della psicologia forense, due fasi del procedimento penale estremamente importanti e delicate, sia in quanto definiscono il lavoro dell'ausiliario/consulente psicologo nell'ambito della testimonianza nelle prime fasi delle indagini e nella acquisizione della prova (incidente probatorio) con tutte le implicazioni inerenti la normativa e la procedura in ambito giuridico, sia in quanto ausiliare nel difficile compito di rapportarsi con un minore o con una persona in condizione di vulnerabilità, nella fase della raccolta del suo racconto inerente fatti visti o subìti relativi a presunti abusi. Alla delicatezza e complessità dei casi si accompagna la necessità di inserire i princìpi del giusto processo nell'attuazione di tali attività; principi che si riferiscono in primis sia alla trasparenza di quanto svolto in ogni fase del procedimento, sia alla accuratezza e alla correttezza procedurale (giuridica) e metodologica (psicologica) di chi tali testimonianze raccoglie. La Sit infatti si può considerare a tutti gli effetti la prima attività di raccolta delle informazioni direttamente dal testimone o dalla vittima, un primo importantissimo momento in cui si cristallizzano le verbalizzazioni, in concomitanza con l'evento e, in linea generale, nel modo più spontaneo e meno “rielaborato” da parte del minore. In considerazione del fatto che numerosi studi hanno verificato che il tempo e la ripetizione del racconto incidono già di per sé nella rielaborazione del ricordo stesso del minore, ricordo che “perde” o peggio, “acquisisce” nuovi elementi, le prime informazioni verbalizzate (e l'audizione protetta poi) assumono un'importanza rilevante nel “fissare” quanto dichiarato nel procedimento penale. La Sit si svolge esclusivamente all'interno delle indagini preliminari, su incarico del pubblico ministero, coadiuvato dalla polizia giudiziaria, al fine di raccogliere elementi per le indagini (insieme ad altre eventuali testimonianze) e per addivenire all'individuazione di un indagato. La polizia giudiziaria per conto del P.M. o lo stesso magistrato si avvalgono in questa fase di un esperto (psicologo o medico) che possa essere di ausilio nel raccogliere la testimonianza del minore presunta vittima di abusi sessuali. Gli artt. 351 e 362 c.p.p. nello specifico sono i riferimenti che normano la raccolta della testimonianza del minore o di persona vulnerabile in ausilio e supporto tecnico della P.G. al fine di tutelare il minore o persona vulnerabile. In particolare il riferimento è alla figura dell'esperto ex art. 351, comma 1-ter, c.p.p. in ausilio alle attività di polizia giudiziaria per la raccolta delle sommarie informazioni di vittime minorenni o adulte in condizioni di particolare vulnerabilità, articolo che prevede […] 1-ter. Nei procedimenti per i delitti previsti dagli articoli 572, 600, 600 bis, 600 ter, 600 quater, 600 quater 1, 600 quinquies, 601, 602, 609 bis, 609 quater, 609 quinquies, 609 octies, 609 undecies e 612 bis del codice penale, la polizia giudiziaria, quando deve assumere sommarie informazioni da persone minori, si avvale dell'ausilio di un esperto in psicologia o in psichiatria infantile, nominato dal pubblico ministero. Tale necessità è stata evidenziata nel tempo per la delicatezza e la complessità che presuppone il caso in cui la presunta persona offesa, oltre ad essere spesso l'unica fonte di accusa, sia un soggetto particolarmente debole per la giovanissima età o, comunque, per la ancora fragile struttura di personalità; con il d.lgs. 212/2015 è stato inserito a tal fine l'art. 90-quater c.p.p, rubricato Condizioni di particolare vulnerabilità, che individua le condizioni, oltre l'età e lo stato d'infermità o di deficienza psichica da cui è desumibile la vulnerabilità di una vittima, ai fini di stabilire le misure di protezione più adeguate. Ciò ha imposto particolari attenzioni sia nell'approccio istruttorio alla vittima/testimone, sia nella valutazione della prova correlata alla sua capacità di testimoniare intesa come la sua attitudine psicofisica a rievocare gli eventi nel loro nucleo essenziale, a collocarli nel tempo e nello spazio, senza incorrere in processi di auto o eterosuggestione oppure di esaltazione o fantasia, frutto di immaturità ovvero di patologie mentali (Cassazione penale sez. III, 24 giugno 2010 n. 28731). In tal senso, al fine di tutelare sia la presunta vittima da metodiche istruttorie che possano considerarsi per lei traumatiche, sia il rigore nella valutazione della prova ed in ottemperanza a quanto previsto dall'art. 35, comma 1, lett.c) della legge 172/2012 di ratifica della convenzione di Lanzarote, si è perfezionata la prassi in modo da evitare quelle modalità di escussione, che possano inficiare la genuinità del ricordo o la sua corretta esposizione. L'art. 35, comma 1, lett.c) della legge 172/2012 infatti indica la necessità che l'audizione sia condotta da un esperto, limitando questo vincolo all'audizione condotta dal pubblico ministero in sede di Sit. Va sottolineato comunque che nell'assunzione della testimonianza, benché, come ormai anche a livello normativo sia previsto ricorrere all'assistenza di un esperto nelle tecniche di ascolto del minore, il giudice rimane sempre il dominus assoluto e garante del principio del contraddittorio e della correttezza delle attività svolte al fine di non inficiare la genuinità della prova. In tal senso l'attività dell'ausiliario non può prescindere da quanto sopra e l'escussione della presunta vittima minorenne o in condizione di vulnerabilità (la cui definizione attiene a condizioni specificatamente previste anche se non sempre chiaramente condivise. Si vedano i criteri guida individuati nel d.lgs. 212/2015, nonché l'art. 1 d.lgs. 24/2014), dovrà avvenire nel pieno rispetto dei principi fondamentali della testimonianza e con una attenzione particolare alla metodologia scientifica di riferimento (formulazione di domande chiare e corrette, non suggestive o induttive, valutazione dell'eventuale effetto compiacenza, ecc.) per una esaustiva e corretta formazione della prova, evitando confusione nella sua attività e nella sua area di competenza, sovrapponendo per esempio il ruolo di esperto a quello investigativo/giudicante che non gli compete (principi validi anche per l'audizione protetta). Dal punto di vista pratico è importante che il bambino, l'adolescente o la vittima in condizioni di vulnerabilità vengano ascoltati in una struttura idonea che possa ridurre lo stress derivante dal colloquio e che ciò avvenga il più tempestivamente possibile sia ovviamente per quanto riguarda la Sit (subito dopo l'avvenuta segnalazione), sia successivamente per l'audizione protetta. Tale modalità dovrebbe garantire infatti la tutela del minore nei termini sia di rendere l'ascolto il meno stressante possibile, sia di raccogliere la testimonianza secondo metodi e procedure efficaci e corrette, in modo che venga ridotto il numero delle interviste ed evitando fenomeni di rielaborazione e di contaminazione del ricordo, attraverso modalità non suggestive né inducenti. La comunità scientifica ha ampiamente analizzato gli elementi intervenienti nella testimonianza del minore, elementi ed implicazioni che possono influenzare, se non correttamente affrontati e valutati, la fruibilità in termini forensi della testimonianza stessa. In tal senso ormai da molti anni, specialisti del settore hanno indicato buone prassi e linee guida basate su conoscenze scientifiche ormai condivise, ampiamente riconosciute in senso trasversale dalle professionalità coinvolte nel processo (magistrati, psicologi, medici, avvocati, ecc.) dando luogo a convenzioni a tutela sia del minore vittima/testimone, sia delle istanze di formazione della prova e del diritto al contradditorio previste. La più famosa, la Carta di Noto (nei suoi ulteriori aggiornamenti del 2002 e del 2011) ha evidenziato in modo preciso la necessità di prassi consolidate e di attenzione particolare a elementi incisivi e peculiari relativi all'escussione di un minore sia relativamente le competenze che l'ausiliario deve possedere, sia relativamente la metodologia (modalità e strumenti) utilizzabili.
Un altro riferimento importante nell'ambito delle buone prassi condivise sono inoltre le Linee Guida Nazionali - L'ascolto del minore testimone (2010) che identificano, ancora e a supporto, la necessità che le competenze dell'esperto che dovrebbero necessariamente essere relative all'ambito della psicologia giuridica e in modo specifico a quello della testimonianza: L'esperto coinvolto in un accertamento tecnico deve essere in grado di dimostrare la specifica competenza in tema, da intendersi sia come conoscenza delle fondamenta scientifiche delle diverse discipline coinvolte sia dei criteri di riferimento giuridici. Deve essere inoltre in grado di produrre notizia documentata sulla sua specifica esperienza in ambito forense, sul suo curriculum formativo nel settore e su quello scientifico, incluse le eventuali pubblicazioni sull'argomento. Tali indicazioni si sono rese necessarie in quanto, considerata la peculiarità della attività psicologica in ambito forense relativa alla testimonianza, per il professionista incaricato all'escussione del minore non è sufficiente una generica competenza in tema di abusi all'infanzia, spesso riferita a psicologi o psichiatri infantili appartenenti alle équipe specialistiche deputate dalle aziende sanitarie alla presa in carico clinica di minori vittime di violenze fisiche o sessuali, in quanto l'atteggiamento terapeutico potrebbe facilmente scivolare in un atteggiamento “verificazionista” nei confronti dei presunti abusi, che può compromettere l'acquisizione corretta della testimonianza stessa. Va specificato infatti che l'incidente probatorio o l'acquisizione di informazioni testimoniali (Sit) non hanno infatti alcuna finalità clinica e l'esperto non deve colloquiare con il minore per “interpretare” dall'intervista “indicatori” relativi alle sue condizioni psicologiche. L'ascolto dovrà invece essere il più possibile neutrale, finalizzato a massimizzare le informazioni e minimizzando lo stress. In merito alla conduzione dell'intervista le Linee guida nazionali sull'ascolto del minore testimone riportano (art. 4.9): Creare un buon rapporto con il minore è premessa per un'efficace comunicazione. L'empatia rappresenta una qualità dell'atteggiamento dell'intervistatore atta a favorire la comunicazione ma non può divenire strumento diagnostico preponderante in un contesto giudiziario. In tal senso si intende sottolineare che non è corretto invocare il solo ascolto empatico”, qualificandolo come unico “strumento” per pervenire ad una corretta assunzione della prova dichiarativa. Inoltre, come indicato in entrambi i documenti (le Linee guida nazionali sull'ascolto del minore testimone e la Carta di Noto), la raccolta della testimonianza del minore dovrebbe avvenire attraverso l'utilizzo dei protocolli di intervista codificati e suggeriti dalla comunità scientifica quali per esempio la NICHD, la Step-Wise Interview e l'Intervista Cognitiva Modificata, protocolli semistrutturati adattabili nelle circostanze alle caratteristiche del minore (età, lessico, capacità di comprensione, ecc.). Prassi e utilizzo interviste semi-strutturate
L'obiettivo dell'audizione protetta è raccogliere tutte le informazioni possibili sui presunti fatti, senza indagare su altri episodi o situazioni non inerenti al caso. Compito dell'esperto mediante queste interviste è facilitare il racconto del minore, riducendo al minimo il rischio di suggestionarlo con domande induttive e cercando di evitare atteggiamenti preconcetti (bias) che potrebbero compromettere la stessa audizione. Come sottolineano Gulotta e Cutica La tendenza al verificazionismo implica che i professionisti che si occupano di abusi, se giudicano altamente probabile che dietro ogni denuncia si nasconda un abuso reale, allora tendano a sostenere che l'abuso si è verificato costruendo una sorta di barriere protettiva di fronte a controfatti (in Guida alla perizia in tema di abuso sessuale e alla sua critica, Giuffrè, 2009). Per tutte sono validi alcuni principi di base. Il setting dell'audizione protetta dovrebbe prevedere uno spazio neutro, in struttura specializzata in questo genere di operazioni delicate, provvista di due stanze collegate da vetro-specchio unidirezionale o da monitor e da impianto di videoregistrazione a circuito chiuso. In una stanza viene collocato il minore con l'esperto per l'escussione; nell'altra stanza, nel caso dell'incidente probatorio, tutte le figure coinvolte ( avvocati, consulenti tecnici di parte, indagato, ecc.), in modo da ridurre al minimo il rischio di interferenza, contaminazione o semplice stress durante la narrazione. La prima fase della Sit e dell'audizione è considerata di familiarizzazione, un momento in cui minore ed esperto si presentano e si conoscono, attraverso argomenti e domande “neutre” che nulla hanno a che fare con i presunti fatti ma che rendono possibile al minore ambientarsi e conoscere la persona che condurrà l'audizione e allo psicologo di poter modulare lessico e modalità relazionali sulla base delle caratteristiche del minore. Uno dei problemi da affrontare comunque nelle fasi inziali è anche quello relativo a quali informazioni preliminari debbano essere fornite al minore riguardo l'audizione stessa, tenuto conto che probabilmente alcune informazioni possono essergli già state fornite da famigliari o operatori intervenuti nel frattempo. Importante è comprendere quali e se queste possano essere fuorvianti o destabilizzanti o poco comprensibili. Cosa comunicare dipende in considerazione soprattutto della sua età: se con un adolescente o un preadolescente si può procedere nel presentare le qualifiche dell'intervistatore (oltre che del giudice o del P.G.) e dei soggetti che si trovano nell'altra stanza e i loro ruoli, con bambini più piccoli è preferibile evitare di dare troppi riferimenti che possano non essere compresi o addirittura comportare confusione o spavento. Importantissimo però sarà, riassumendo quanto prescritto nelle linee guida (art. 3.10), spiegare al minore nelle modalità più idonee, che è necessario:
Dopo questa prima fase di conoscenza, può iniziare la vera e propria raccolta delle informazioni sui presunti fatti innanzitutto con il primo racconto libero e poi con le successive eventuali domande di approfondimento. Nell'audizione protetta una volta terminato il racconto e conclusa la prima parte dell'audizione il minore rimane nella stanza (magari con una figura neutra che fa compagnia al minore) per qualche minuto mentre l'esperto si reca nella stanza del giudice al fine di ricevere eventuali richieste di approfondimenti. Importante sottolineare che, durante l'audizione, non è auspicabile utilizzare bambole, pupazzi o disegni per facilitare il racconto sui presunti fatti, in quanto potrebbero rivelarsi strumenti poco obiettivi e troppo ambigui essendo collegati ad attività di gioco (e quindi di fantasia) la cui interpretazione potrebbe essere poco controllabile. La testimonianza, come ampiamente indicato dalla letteratura scientifica internazionale, deve implicare in modo prioritario il canale “verbale” (DE LEO, SCALI E CASO), ed in tal senso anche la giurisprudenza si è espressa: Sono stati impropriamente utilizzati bambolotti ed altri oggetti simbolici, con l'obiettivo di impegnare il minore in un gioco di ruoli fittizio, caratterizzato dal continuo scambio tra soggetti ed oggetti, senza considerare che, a quell'età, il piccolo F. non era assolutamente in grado di gestire i ripetuti passaggi dal piano simbolico a quello reale, né era capace di discriminare e interpretare le reazioni emotive attribuite al personaggio, non avendo alcuna padronanza della funzione riflessiva della teoria della mente (ossia della capacità di discriminare ed interpretare stati d'animo propri e altrui (tribunale di Salerno – Gip, n. 78/2014). Quanto sopra descritto dovrebbe essere assunto, ove possibile, in tutte le fasi di ascolto del minore, sia in corso di audizione protetta durante un incidente probatorio, sia, in generale alcuni dei punti, in sede di raccolta delle sommarie informazioni testimoniali. Si sottolinea che l'aspetto metodologico nella strutturazione della raccolta della testimonianza è estremamente importante per la validità della deposizione dei minori, sia soprattutto nei casi ove peraltro si evidenziano già in essere difficoltà di tipo cognitivo e/o emotivo (persona in condizioni di vulnerabilità). Per quanto riguarda poi la strutturazione dell'intervista consta di particolari elementi e regole atti a ridimensionare, per quanto possibile, i fenomeni di interferenza e di suggestione insiti nella comunicazione che con particolari soggetti (minori e/o con deficit o problematiche di tipo affettivo) possono influenzare e addirittura “convogliare” le risposte in qualche modo attese o sentite come tali dal testimone. In tal senso la comunità scientifica di riferimento ha evidenziato che l'utilizzo di domande aperte possano in generale coadiuvare il soggetto ad esprimere liberamente il pensiero e a fornire gli elementi per quanto conosciuti e di sua esperienza non avendo elementi di alcun genere che possano convogliarlo ad esprimere concetti o informazioni perché in qualche modo già contenuti nella domanda (domande suggestive) o perché più semplici da fornire (domande chiuse cui è possibile rispondere con un si o un no) tenendo conto che per un minore già in difficoltà relativamente la situazione e sotto pressione, è comprensibilmente importante riuscire a “soddisfare” quanto gli adulti si aspettano da lui (per esempio intuendo cosa vogliono che egli dica) e con il minor sforzo (spesso dire di sì è più semplice e sbrigativo e maggiormente soddisfacente per l'intervistatore – relativamente le domande chiuse). Nelle interviste semi-strutturate sopra menzionate, la formulazione delle domande è atta ad evitare per quanto possibile suggestioni, induzioni e interferenze insite nella modalità stessa di formularle, nella ricostruzione dei fatti oggetto di eventuale procedimento, nella ripetizione del racconto tenendo conto (nella testimonianza di soggetti di minore età):
Già nella Carta di Noto (nei suoi aggiornamenti) inoltre è attentamente considerata la modalità della formulazione delle domande e della conduzione dell'intervista ove si raccomanda di prestare particolare attenzione a:
Di per sé noi utilizziamo frequentemente tali tipologie di domande nell'ambito quotidiano (ma per gli adulti e in contesti neutri di fatto non influenzano in modo particolare la risposta) e proprio per questo motivo, se non opportunamente “formati” e specializzati, anche gli operatori possono loro malgrado utilizzarli durante l'audizione o la Sit. Per meglio definirle, come riportato da De Cataldo Neuburger e Gulotta, domande quali per esempio
possono essere fortemente suggestive se il minore ancora non ha parlato di tali fatti nella parte di intervista libera e generale, in quanto presuppongono già nella formulazione che qualcosa di particolare deve essere successo (nella n. 1), che Tizio ha fatto qualcosa (nella n. 2), che Tizio mi ha toccato (l'intervistatrice si aspetta una risposta affermativa) a prescindere da dove e come, Tizio mi ha toccato comunque vicino alle mutandine. Ad integrazione e specificazione di quanto sopra descritto riguardo i criteri generali delle interviste accreditate dalla comunità scientifica e relativamente le tipologie di domande utilizzabili o da attenzionare, a titolo esemplificativo, si riporta la struttura di una intervista accreditata e utilizzata dagli esperti di testimonianza infantile, la Stepwise Interview (Yuille e coll., 1993; 2002) che così si presenta. Fasi dell'intervista:
Infine è necessario prendere in considerazione alcune possibili fonti di errori quali:
Conclusioni
Nonostante una presa di posizione netta della letteratura scientifica sull'argomento, basata anche su numerosi confronti interdisciplinari e su una ampia casistica che ha evidenziato nel tempo le criticità insite nella raccolta e nell'utilizzo della testimonianza del minore, la discussione sulle prassi e sulle linee guida relative all'audizione protetta (e ancora più recentemente alla Sit), rimane un argomento attuale in cui ancora è auspicabile chiarire e “perfezionare” prassi (chi fa cosa) e utilizzo della indicazioni metodologiche sin qui acquisite dalla comunità scientifica di riferimento. Purtroppo ancora oggi alcune delle Sit e delle audizioni protette non rispondono ai semplici criteri sopra esposti, compromettendo non solo la testimonianza i termini formali (ove vengano sottolineate le criticità metodologiche) ma la stessa rielaborazione del ricordo e la possibilità di recuperarne ancora la genuinità (avendone distorto il senso nel tempo e con interventi suggestivi), senza dimenticare che, nei casi più estremi, ciò può nel tempo e nelle reiterate verbalizzazioni, creare dei falsi ricordi e una situazione di vittimizzazione secondaria. Il codice di procedura penale non specifica le prassi da seguire durante l'incidente probatorio. Il solo articolo 498, comma 4, c.p.p. non può ritenersi sufficiente per stabilire cosa e come si dovrebbe fare e tale vuoto normativo ha dato adito ad una proliferazione di diverse prassi e modalità in uso nelle diverse realtà giudiziarie del territorio nazionale, oltre che tra gli specialisti. Relativamente le modalità procedurali che si possono riscontrare non vi è una linea comune da parte degli stessi magistrati o della polizia giudiziaria i quali possono, a seconda dei propri convincimenti personali, delegare all'esperto l'escussione del minore o, al contrario, ridurre il suo intervento a semplice presenza nella stanza ed eventuale coinvolgimento solo in alcune fasi dell'escussione. La metodologia sopra presentata si riferisce a quei criteri scientificamente condivisi sul tema degli abusi sessuali sui minori che la comunità scientifica (psicologica e psichiatrica) ha evidenziato e messo a confronto con le figure professionali che interagiscono in ambito giuridico. Ma purtroppo ancora frequentemente si assiste a situazioni in cui il rischio di non comprendere effettivamente “chi deve fare cosa” è presente, costituendo un vizio metodologico a monte che può danneggiare l'audizione e la stessa fruibilità della testimonianza. Riteniamo importante però sottolineare che per quanto riguarda l'ambito specialistico dello psicologo forense, la metodologia e l'utilizzo di strumenti accreditati nell'espletamento della propria attività di consulente risulta imprescindibile, stante le conseguenze per le parti coinvolte (indagati e presunte vittime). Inoltre è importante sottolineare che lo psicologo in queste fasi è chiamato a “facilitare” l'ascolto e a recuperare le informazioni in considerazione della peculiarità del “testimone” (per età o per caratteristiche cognitive ed emotive), attenendosi alle indicazioni relative alla psicologia della testimonianza, non a classificarne l'attendibilità o la credibilità (che attengono al giudice e si riferiscono a più complessi elementi correlati e verificati nel procedimento). Infine va considerato che criticità sono insite nella stessa modalità di espletamento dell'audizione protetta in quanto garantisce solo in parte in questa fase, il principio del contraddittorio, non avendo il consulente di parte la possibilità di integrare o approfondire alcune tematiche (intervenendo solo successivamente la Sit e solo per interposta persona nell'audizione protetta) con parole o modalità proprie del ausiliare del giudice (e abbiamo visto che la forma è anche sostanza nell'ambito della psicologia della testimonianza) diverse da quelle richieste. Infine imprescindibile (come evidenziano le linee guida sottoscritte da specialisti e associazioni del settore) è la competenza specifica del consulente, competenza che deve essere molto più approfondita di una generica formazione in ambito di psicologia clinica o dovuta solo ed esclusivamente all'esperienza, proprio al fine di evitare suggestioni e rielaborazioni nel testimone/vittima che non solo inficiano la “validità” della testimonianza stessa nel procedimento penale, ma possono indurre alla formazione di falsi ricordi e o di una vittimizzazione secondaria. Come sostiene MAZZONI (2011) talvolta un'esperienza trentennale può semplicemente rappresentare trent'anni in cui si compiono sempre gli stessi errori. Balabio, A.: “Il falso ricordo”. In: Gulotta, G., Camerini, G., B. (a cura di), Linee guida nazionali. L'ascolto del minore testimone. Giuffré, Milano 2014 Bull, R.: “Una corretta modalità di intervista con minori testimoni nel processo penale.” In Mazzoni, G., Rodriquenz, E. 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