Antropologia forense: cosa, chi, come e quando

Paola Magni
25 Agosto 2016

L'antropologia forense è quella disciplina delle scienze forensi che coniuga i fondamenti dell'osteologia (conoscenza delle ossa dal punto di vista macroscopico e microscopico) e dell' antropologia fisica (studio dell'uomo a partire dalla sua evoluzione biologica, delle sue caratteristiche fisiche e dimorfismi, fino ai meccanismi tafonomici che intercorrono dalla sua morte al ritrovamento del corpo) ai contesti giudiziari.
Abstract

L'antropologia forense è quella disciplina delle scienze forensi che coniuga i fondamenti dell'osteologia (conoscenza delle ossa dal punto di vista macroscopico e microscopico) e dell' antropologia fisica (studio dell'uomo a partire dalla sua evoluzione biologica, delle sue caratteristiche fisiche e dimorfismi, fino ai meccanismi tafonomici che intercorrono dalla sua morte al ritrovamento del corpo) ai contesti giudiziari.

Pertanto questa materia trova applicazione nell'analisi di resti umani compromessi, parzialmente o totalmente scheletrizzati, carbonizzati, ripescati in acqua o contesti in cui dall'analisi dell'apparato scheletrico si possa giungere all'identificazione personale, alla definizione dell'epoca della morte, all'analisi di eventuali lesioni scheletriche presenti al fine di determinarne la causa di morte e la dinamica dell'evento. Non ultimo, l'antropologia forense trova un'ulteriore applicazione nell'analisi antroposomatica e antropometrica di soggetti ritratti in immagini fotografiche e di videosorveglianza.

Introduzione

Le scienze forensi, oggi, hanno raggiunto un livello specializzazione elevato, per cui si sono gradualmente distinte discipline volte a rispondere ai quesiti della giustizia in modo sempre più fine e mirato, seguendo quelli che sono gli orientamenti internazionali.

L'antropologia da sempre studia l'uomo dal punto di vista sociale, culturale e fisico. L'antropologia forense, nello specifico trae il suo spunto principale dall'osteologia e dall'antropologia fisica, per rispondere a quesiti inerenti:

  • diagnosi di specie (resti umani o animali?);
  • determinazione del profilo antropologico (origine razziale, sesso, età, statura) ed eventuali altre caratteristiche che possano ricondurre all'identificazione;
  • determinazione del profilo antropologico del vivente a fini identificativi per comparazione con quello determinato dall'analisi dei resti umani;
  • analisi di eventuali lesioni presenti sulle ossa per determinare la causa di morte e la dinamica dell'evento lesivo;
  • analisi dei resti umani e del contesto di sopralluogo correlato a tali resti per la determinazione dell'epoca della morte.

L'applicazione giudiziaria di un'analisi di antropologia forense vede, inoltre, l'analisi di eventuali caratteri presenti sul corpo che possano avere un valore antropologico anche di tipo socio-culturale (es. tatuaggi, deformazioni, ecc.) di potenziale utilità sia nell'identificazione del cadavere, sia nell'analisi di immagini fotografiche o di videosorveglianza.

In quest'ultimo contesto l'antropologia forense vede ampio spazio grazie all'analisi di caratteristiche morfologiche e metriche del volto e del copro (antropometria, antroposomatica).

La figura professionale e i contesti operativi

In Italia gli antropologi che possano essere definiti davvero “forensi” sono pochissimi. Tra i requisiti più importanti, oltre ad una formazione base di tipo medico-scientifico e di lesività sull'osso dal punto di vista clinico, medico-legale e radiologico, vi è quello relativo una conoscenza delle materie giuridiche, fondamentale per il contesto quotidiano di lavoro. A ciò deve unirsi inevitabilmente una preparazione specifica e mirata ai resti umani altamente compromessi o decomposti ma molto spesso non ‘antichi' che si presentano piuttosto diversi per caratteristiche, mineralizzazione dell'osso, lesività e tipologia di approccio.

Il termine forense, quindi, qualora non venga adottato impropriamente, dovrebbe sottintendere il compimento di un percorso lungo, mirato e articolato atto ad integrare il proprio bagaglio di base per arrivare a completare tutti quegli aspetti della materia che, applicati in modo serio, scientifico e aggiornato secondo gli standard internazionali, possano essere messi con efficacia al servizio della giustizia e del processo penale.

L'antropologia forense, proprio per la sua peculiarità, necessita di una formazione specifica che si inserisce in modo autonomo, in contesti interdisciplinari con altre scienze forensi quali ad esempio la medicina legale, l'entomologia forense, ecc.

Il rinvenimento di un cadavere, infatti, prevede l'aprirsi di diverse tipologie di scenario: cadaveri carbonizzati, in avanzato stato di decomposizione, ripescati dall'acqua, ritrovati in aperta campagna, mummificati, depezzati, corpi o resti scheletrici occultati da tempo, ecc.
Può essere utile, quindi, ricorrere a tele disciplina ogniqualvolta ci sia l'opportunità o la necessità di trarre informazioni dal contesto di ritrovamento dei resti umani, dall'apparato scheletrico o da caratteristiche antropologiche di varia natura.

Per questo a volte non è sufficiente la presenza del solo medico legale e vi è la necessità di reclutare specialisti in grado di intervenire in modo appropriato già a partire dal sopralluogo, senza intralciare il lavoro delle forze dell'ordine, per recuperare, preservare e consolidare elementi importanti per il proseguimento delle indagini e, successivamente, per completare l'analisi dei resti ritrovati.

Talvolta perdere le informazioni fornite dal contesto o reperti ossei di piccole dimensioni (es. un frammento o un osso di piccolissime dimensioni come possono essere quelli della mano, disperso nel terreno) può significare perdere irrimediabilmente alcune risposte. Il metodo di sepoltura stesso e l'esatta collocazione delle ossa, una rispetto all'altra, se non registrato in modo preciso e congruo comporta una inevitabile perdita di informazioni (ad esempio – ma non solo – le ipotesi inerenti la postura del corpo o un eventuale suo spostamento).

Nel soggetto vivente, l'antropologo forense, grazie all'analisi radiografica dello sviluppo osseo di alcuni distretti corporei (es. polso, clavicola, ecc.) è in grado di fornire una stima dell'età in tutti quegli ambiti giuridici ove sia necessario stabilire se un soggetto sia maggiorenne o minorenne (es. imputabilità, pedofilia, ecc.) o se abbia raggiunto una soglia di età prestabilita. Quest'ultima valutazione raggiunge la sua completezza qualora venga integrata con un'altra fondamentale disciplina: l'odontologia forense, dal momento che in età giovanile lo sviluppo dentale permette di aumentare notevolmente il livello di affidabilità della stima dell'età.

Le competenze relative all'analisi delle videosorveglianze e delle caratteristiche antroposomatiche e antropometriche, a loro volta, richiedono l'utilizzo di strumenti informatici e un approccio matematico non sempre scontato e non sempre appartenente alla formazione dell'antropologo. Pertanto, per quanto possa sembrare una precisazione banale, diventa importante approfondire il curriculum personale del singolo professionista per capire se egli sia il più idoneo a intervenire nel contesto specifico.

L'analisi dei resti e il profilo antropologico

Il mondo scientifico internazionale ha da tempo tracciato degli standard che partono dal sopralluogo, per un idoneo repertamento dei resti umani, fino all'analisi dei resti in laboratorio per l'applicazione di metodi idonei alla diagnosi dei diversi elementi del profilo antropologico. Ciò permette la determinazione di quegli elementi che caratterizzano l'identità dell' individuo (origine razziale, sesso, età, statura. ecc.): una sorta di identikit utile a fornire informazioni sulla possibile identità del soggetto al fine di poterne compiere la ricerca fra le persone scomparse.

Numero minimo di soggetti

Nei resti commisti il numero minimo di soggetti è determinato principalmente su base morfologica ossea, partendo dal presupposto che in ogni soggetto esitano ossa pari e simmetriche e ossa impari. A seguito di un corretto inventario scheletrico e assegnazione topografica di ogni elemento osseo e dall'analisi dimensionale, colorimetrica, ecc si può ragionevolmente dedurre se uno specifico elemento osseo appartenga ad un soggetto di cui siano già presenti altri elementi ossei. Il giudizio può essere di compatibilità, esclusione o indeterminazione.

Diagnosi di origine razziale

L'area geografica di provenienza dell'individuo non è di facile determinazione dallo scheletro, soprattutto perché la diagnosi si basa su metodi statistici che valutano la presenza di determinate caratteristiche in alcuni gruppi etnici che tuttavia, al loro interno, presentano una grande variabilità. La principale fonte di informazioni è data dal cranio e da alcune caratteristiche dentali in assenza delle quale tale diagnosi risulta non attendibile.

Diagnosi di sesso

Il dimorfismo sessuale è visibile in modo più o meno marcato in diversi distretti dello scheletro adulto. Si tratta di metodi macroscopici che hanno come oggetto il bacino in primis e il cranio, raggiungendo una precisione massima del 95-98%.
L'assenza di alcuni elementi ossei riduce drasticamente tale indice probabilistico. È comunque da intendere che la diagnosi di sesso è basata sulla prevalenza di caratteristiche morfologiche maschili o femminili sui resti in oggetto, su base statistica e pertanto soggetta ad errore statistico.

Diagnosi di età

Nell'adulto tale valutazione si basa sull'usura macroscopica delle facce articolari di alcune articolazioni. Nel subadulto (bambino) la stima dell'età avviene su base dentale e può essere, a seconda dei casi, anche molto precisa. Gli elementi solitamente presi in considerazione sono: suture craniche, superfici articolari del bacino, coste, denti, nuclei di ossificazione.

Stima della statura

La statura viene determinata grazie ad equazioni di regressione presenti in letteratura basate sulla lunghezza delle ossa lunghe (prevalentemente femore e tibia). Molti autori riportano una riduzione di altezza dovuta all'invecchiamento.

Analisi di resti commisti

Nel caso di resti appartenenti a più soggetti si usa determinare un numero minimo di individui presenti. L'appartenenza ad uno piuttosto che all'altro soggetto viene determinata per mezzo della compatibilità con l'inventario scheletrico, della compatibilità dimensionale, della pigmentazione/grado di mineralizzazione.

PMI (Post Mortem Interval)

La diagnosi del PMI su scheletro secco, svincolato da un contesto di sepoltura primaria, è estremamente complicata. Sebbene molti autori concordino sulle difficoltà di questa valutazione, tuttavia si può distinguere indicativamente se le ossa siano recenti, vecchie o antiche. Le modalità per la valutazione del PMI si basano sulla fluorescenza UV o sulla valutazione generale delle condizioni dei reperti. La soglia tra queste categorie viene in genere stabilita rispettivamente intorno ai 10, 50 e 100 anni. La tradizionale analisi isotopica del C14 non è in grado di fornire informazioni utili a fini forensi poiché contempla un intervallo temporale di approssimativamente 80 anni ed è in grado di discernere soltanto tra resti di interesse archeologico e non. La ricerca scientifica, negli ultimi anni, ha affinato molto tale metodo restringendone l'intervallo diagnostico. Tuttavia tali metodi hanno costi elevati e tempi di risposta che spesso non si prestano alle esigenze dell'Autorità giudiziaria. Quindi, per questo stimare il PMI diventa estremamente importante ricavare il maggior numero possibile di informazioni dal sopralluogo, dalle caratteristiche di una eventuale inumazione e incrociare le informazioni di carattere antropologico/tafonomico con quelle ottenibili dalle altre branche delle scienze forensi quali la botanica, la geologia, l'entomologia, ecc.

Patologie e lesività

L'osso può raccontare molte cose. Alcune malattie sofferte in vita possono lasciare una traccia indelebile nell'osso e allo stesso modo traumi passati possono caratterizzare uno scheletro rendendolo ancora più unico. Allo stesso modo le lesioni venutesi a creare nelle immediatezze della morte possono fornire informazioni sul trauma subito, la sua natura accidentale o violenta, l'eventuale arma utilizzata e la conseguente dinamica dell'evento lesivo (es. precipitazioni, ferite e direzione di colpi da arma da fuoco, armi bianche, corpi contundenti, ecc.). L'antropologia forense contribuisce anche al riscontro di lesioni ossee prodottesi nel corso della vita dell'individuo e guarite. Il tessuto ha avuto il tempo di rigenerarsi e rimodellarsi creando il cosiddetto ‘callo osseo'. Sebbene la produzione di osso neoformato sia variabile, entro certi limiti l'analisi della produzione di questo callo osseo può aiutare a datare la lesione e in particolare a valutare la contestualità di lesioni multiple. Questo aspetto è particolarmente importante non solo nei resti umani ma anche nel cadavere ben conservato, qualora si voglia accertare maltrattamenti e abusi. Traumi multipli, con diversi stadi di guarigione, permettono di dedurre ragionevolmente eventi lesivi reiterati nel tempo.

Ricostruzione del volto

La ricostruzione del volto si basa sul principio che i tessuti molli si adattano all'andamento del cranio sottostante, unico per ogni individuo e adeguato al profilo antropologico precedentemente stilato. Infatti sulla base di quest'ultimo viene applicato, per ogni specifico punto anatomico del cranio, uno spessore, secondo specifiche tabelle studiate appositamente. Modellando sopra una copia del cranio muscoli e ghiandole si procede, strato dopo strato, fino a raggiungere il piano cutaneo ricostruendo le sembianze di un volto personalizzato per quel tipo di cranio. Pur non avendo la pretesa di essere l'esatto volto del soggetto a cui appartengono le ossa, questa ricostruzione raffigura le particolarità di quell'individuo nella speranza di sollecitare negli osservatori un riconoscimento che sfoci in segnalazione alle Autorità per le successive comparazioni a fini identificativi (dentale, antropologica, genetica).

Identificazione personale

Il processo identificativo è un vero e proprio puzzle in cui tutti gli elementi più o meno rilevanti convergono per fornire un complesso quadro di probabilità: dal profilo antropologico, agli indizi raccolti dagli investigatori, alla ricostruzione del volto, alle segnalazioni ricevute.

Lo step finale del percorso di identificazione prevede il confronto fra i dati raccolti dal cadavere e quelli raccolti dal sospetto di identità compatibile, isolato fra le migliaia di persone scomparse o le segnalazioni ricevute. Tale comparazione può essere basata sul confronto puntuale delle schede dentali a cura dell'odontologo forense o su altri dettagli di carattere anatomico/antropologico. Queste informazioni hanno lo stesso grado di attendibilità del DNA, i cui laboratori sono spesso intasati di arretrato e con costi nettamente inferiori e tempi molto ridotti. Il responso infatti si ottiene in pochissimi minuti.

Queste tecniche possono accertare un'identità o, dato altrettanto importante, escluderla. Ed è proprio per l'intervento in casi di questo tipo che l'Interpol ha da tempo stilato dei protocolli e prodotto appositi moduli finalizzati ad una dettagliata raccolta dati.

Uno di questi è l'Inventario Scheletrico che permette di elencare rapidamente, in modo visivo, e con precisione gli elementi ossei interi o frammentati repertati. È da eseguirsi in primis in sopralluogo per la certezza di effettuare un recupero completo dei resti e proseguire la ricerca fino al livello più completo possibile per evitare di perdere elementi, talvolta anche di piccole dimensioni (es. ossa delle mani, denti) con un elevato potere probatorio per le lesioni eventualmente presenti o per il loro potere identificativo. Una ricognizione dell'inventario e l'analisi approfondita di ogni elemento osseo proseguirà poi in laboratorio.

Analogo discorso vale per la scheda dentale: l'odontologo forense è in grado di riconoscere e recuperare denti, manufatti protesici interi o parziali, parti di otturazioni anche distaccatesi dal elemento dentale poiché possono rivelarsi di estrema importanza per l'identità del soggetto. Si ricorda che le Istituzioni internazionali, ivi compresa l' Interpol che da sempre si occupa di protocolli per la gestione del Disaster Victim Identification (DVI), riconoscono l'identificazione su base dento-scheletrica una delle tre forme identificative – assieme a impronte digitali e DNA – scientificamente affidabili per l'identificazione personale.

La ricerca del sospetto di identità: indagine multidisciplinare

La disposizione anatomica dei singoli elementi ossei permette di confermare e/o affinare l'inventario scheletrico già preliminarmente effettuato in fase di sopralluogo.

Oltre alla presenza/assenza di elementi ossei, ogni lesione traumatica o patologica fornisce elementi utili alle indagini. A fini identificativi, in particolare, le patologie forniscono un grande contributo.

Disposizione anatomica per inventario scheletrico. Si osservi la disposizione anatomica dei resti ossei, la fusione sacro-iliaca, quella di alcune vertebre, indice di patologia (es. spondilite anchilosante). Si osservi inoltre la frattura in vita, ormai saldata e guarita, del perone sinistro (gamba).

A questo punto, al termine dell'autopsia scheletrica (a cura dell'antropologo forense) e dentale (a cura dell'odontologo forense) sarà da ricercare fra le persone scomparse una persona con un preciso profilo antropologico: es. caucasico, maschio, età fra i 60 e i 70 anni, statura fra i 168 e i 175 cm e con una patologia specifica che può generare una deformità fisica, quindi visibile (ciò può sollecitare la segnalazione da parte di testimoni) oppure che può trovare riscontro in banche dati sanitarie.

In presenza di patologie, alcuni parametri devono essere interpretati con una certa elasticità dal momento che la malattia può alterare la struttura ossea, pertanto l'età anagrafica non necessariamente corrisponde a quella biologica e alcune deformità possono alterare la statura, spesso registrata sui documenti di identità quando la patologia non si era ancora manifestata. Per questo motivo, la ricerca del ‘sospetto di identità' nelle banche dati delle persone scomparse è a tutti gli effetti un lavoro di indagine che non può essere demandato solo agli investigatori delle FFOO, ma deve prevedere necessariamente l'affiancamento dell'antropologo forense, vista la peculiarità e la specificità dei dati, non sempre facilmente interpretabili.

Case report

Un corpo venne ritrovato in un bosco, occultato sotto l'immondizia. Si presentava in avanzato stato di decomposizione, con alcuni distretti corporei parzialmente scheletrizzati; né documenti, né altri oggetti fornivano indizi utili a stabilirne l'identità.
Dopo sopralluogo e completo repertamento, anche degli elementi dentali dispersi nel terreno perché caduti dai mascellari parzialmente scheletrizzati, il corpo fu sottoposto a scansione Tac.
L'autopsia medico legale fu complicata dal deterioramento degli organi interni e dalla parziale scheletrizzazione. Lo stato dei resti e la necessità di identificazione hanno reso necessaria un'attività multidisciplinare che ha visto coinvolti medico legale, antropologo e odontologo forense e artista forense.

L'analisi della Tac aveva escluso la presenza di lesioni recenti, pertanto la causa della morte andava ricercata fra quelle che non ledono tessuti duri e molli (almeno nei distretti che ancora li conservavano), tenendo anche in considerazione alcuni strappi nell'abbigliamento suggestivi del trasporto del corpo da parte di terzi.
Il profilo antropologico del corpo corrispondeva ad un soggetto di sesso maschile, caucasico, fra i 45 e i 50 anni di 170-175 cm. Un cerchiaggio ortopedico rivelava una vecchia frattura di una clavicola, ormai guarita da tempo.
Le cure dentali, la presenza di alcuni ponti e l'analisi dei materiali utilizzati suggerivano una pratica clinica non più utilizzata in Italia. L'insieme degli elementi antropologici, unitamente a resti di capelli di colore chiaro portavano a propendere per una provenienza del soggetto dai territori dell'Est europeo.
L'artista forense, guidato dal profilo antropologico, effettuò la ricostruzione tridimensionale del volto con il metodo Manchester che, diffuso attraverso i media, portò alla segnalazione di una persona scomparsa corrispondete al profilo antropologico.
I famigliari confermarono la pregressa frattura sulla clavicola e misero l'odontologo forense in contatto con il dentista straniero che aveva avuto in cura la persona scomparsa e che fornì gli elementi per stilare le schede dentali ante mortem. Il profilo antropologico e le lesioni erano corrispondenti a quelle della persona scomparsa. Le schede dentali ante mortem e post mortem effettuate dall'odontologo forense permisero di confermare l'identità, ulteriormente supportata, successivamente, anche dal DNA.

Criticità dell'indagine

Oggi le scienze forensi, ivi compresa la medicina legale, hanno raggiunto un livello di specializzazione tale che un singola persona non può raggiungere una competenza così specifica ed approfondita in ogni settore da poter fornire risposte adeguate a standard elevati e ormai necessari.

Nel particolare contesto dell'antropologia forense vi è la necessità di professionisti, di estrazione scientifica (non umanistico-archeologica) e preferibilmente medico-scientifica, con comprovata formazione ed esperienza nel settore tipicamente forense.

È fondamentale quindi che nel procedimento penale, vista la specificità di ogni argomento, subentrino consulenti con una formazione pertinente al quesito. Se non si rispetta questo assunto tutta la prova scientifica perde credibilità agli occhi sia dei tribunali sia di un pubblico più vasto.

Seppur nel rispetto dei limiti delle diverse tecniche e dei range statistici a cui deve assolutamente sottostare, non è la prova scientifica ad essere fallace, ma il professionista chiamato a produrla e/o interpretarla.

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Affiliation

Chantal Milani, Antropologo e Odontologo Forense - DMD, MS. Studio di Antropologia e Odontologia Forense, Torino.

Paola A. Magni, Entomologo forense - Ph.D. Lecturer in Forensic Science, Murdoch University

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