Fallimento del condomino

Adriana Nicoletti
09 Gennaio 2019

L'istituto del fallimento acquista rilievo anche in àmbito condominiale e sotto diverse connotazioni. Il condominio non può fallire, mentre questo destino può toccare al condomino, così come lo status di fallito può essere acquisito anche dall'amministratore, con tutte le conseguenze pratiche tipiche di ciascuna fattispecie. In tutti i casi, comunque, l'attenzione deve essere rivolta all'interesse dei condomini, il cui diritto al recupero dal fallimento delle somme poste a carico del debitore e da questi non...
Inquadramento

La nostra legislazione non conosceva norme specifiche in materia fallimentare che avessero diretto destinatario il condominio, tanto è vero che è stato inserito nella l.n. 220/2012 l'art. 30, a norma del quale i contributi per le spese ordinarie, per quelle straordinarie e per quelle concernenti le innovazioni, sono prededucibili, ai sensi dell'art. 111 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 e successive modificazioni, se divenute esigibili ai sensi dell'art. 63 disp.att.c.c.Là dove il termine “esigibilità” si riferisce al comma 1 del richiamato articolo, secondo il quale l'amministratore, ai fini della riscossione dei contributi condominiali per ottenere un decreto ingiuntivo, immediatamente esecutivo, deve essere in possesso dello stato di ripartizione approvato dall'assemblea. Si può parlare, in questo senso, da parte del legislatore di una estensibilità della nozione di credito prededucibile agli oneri condominiali in relazione alla loro possibilità di riscossione.

Quanto alla casa di proprietà del fallito, l'art. 47 l.fall. attribuisce al medesimo un diritto soggettivo all'uso dell'immobile nei limiti delle esigenze abitative di lui e della propria famiglia e fino al momento in cui il bene non sia venduto.

Presupposti per la dichiarazione di fallimento e soggetti fallibili

La definizione di condominio quale ente di gestione privo di personalità giuridica esclude che esso possa fallire, considerato che ai sensi dell'art. 1 della l. n. 267/1942 «sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano una attività commerciale, esclusi gli enti pubblici. Il condominio, invece, opera in rappresentanza, per conto e nell'interesse dei partecipanti e limitatamente all'amministrazione e al buon uso della cosa comune (Cass.civ., sez. II, 9 novembre 2017, n. 26557; Cass.civ., sez. III, 31 ottobre 2017, n. 25855; Cass.civ., sez. II, 4 ottobre 2016, n.19796), essendo portatore di un interesse collettivo, diverso dalla somma degli interessi individuali (Cass. civ., sez. II, 15 novembre 2017, n. 27101).

Detto questo non è soggetto al fallimento il condomino imprenditore che dimostriil possesso congiunto dei requisiti previsti nell'art. 1, comma 2, del r.d. n. 267/1942.

In evidenza

L'individuazione dell'attuale soglia di fallibilità dell'imprenditore è stata preceduta da numerose modifiche legislative, attraverso le quali si è pervenuti ad una qualificazione dell'imprenditore non fallibile da un punto di vista quantitativo dell'attività dal medesimo svolta, che non deve superare il limite previsto dal legislatore.

Per effetto dell'art. 71-bis disp.att.c.c., l'incarico di amministratore può essere svolto anche dalle società disciplinate dal titolo V del codice civile che, naturalmente, possono incorrere nelle procedure fallimentari. L'art. 71-bis, tra l'altro, ha determinato i requisiti soggettivi, di carattere etico e di onorabilità (oltre che professionale) di cui, nello specifico, devono essere dotati non solo i soci illimitatamente responsabili, ma anche gli amministratori della società e i dipendenti incaricati di svolgere le funzioni di amministrazione dei condomini a favore dei quali la società presta i servizi (comma 3).

La determinazione del legislatore, che è risultata essere in linea con il concorde orientamento giurisprudenziale, ha superato la nota resistenza ad aprire la gestione condominiale alle società, spesso determinata dalla volontà di negare alla relazione condominio/amministratore persona giuridica la sussistenza del pacifico intuitus personae che, invece, caratterizza la classica figura dell'amministratore, inteso come persona fisica.

L'amministratore che perde determinati requisiti - art. 71-bis, lett. a), b), c) ed e), disp.att. c.c. - cessa automaticamente dall'incarico e ciascun condomino può convocare senza formalità l'assemblea per la nomina del nuovo amministratore.

Il fallimento del condomino in generale

Il condomino può fallire solo se è imprenditore, essendo tale colui che esercita professionalmente un'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi (art. 2082 c.c.).

Il fallimento del condomino presenta particolari connotazioni rispetto alle abituali morosità che caratterizzano la vita condominiale e che possono essere recuperate, anche in tempi brevi, tramite la richiesta di decreto ingiuntivo (art. 63 disp.att.c.c.). Una strada che, spesso, può anche costituire un deterrente per gli altri condomini che volessero sottrarsi al pagamento degli oneri condominiali. Una distinzione fondamentale concerne i debiti maturati prima e quelli sorti durante la procedura.

Fino all'entrata in vigore della riforma del condominio, che - come visto - ha espressamente classificato i secondi come “prededucibili”, l'Ente era soggetto evidentemente penalizzato in quanto, mancando per il medesimo una qualche forma di privilegio, poteva sperare di rientrare nel riparto del passivo solo dopo che erano stati soddisfatti i crediti prededucibili e quelli privilegiati. Con la novella del 2012, quindi, anche considerando che dopo la sentenza dichiarativa di fallimento la disponibilità dell'immobile passa dal debitore al fallimento, si è data maggiore tutela alla situazione del condominio/creditore.

In evidenza

Premesso che sono considerati crediti prededucibili quelli così qualificati da una specifica disposizione di legge e quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali di cui alla legge fallimentare, le somme ricavate dalla liquidazione dell'attivo sono erogate secondo un preciso ordine: prima il pagamento dei crediti prededucibili, poi quelli ammessi con prelazione sui beni venduti secondo l'ordine assegnato dalla legge e a seguire quelli concernenti i creditori chirografari, in proporzione dell'ammontare del credito per cui ciascuno è stato ammesso. Rientrano in tale ultima categoria i creditori con prelazione, qualora non sia stata ancora realizzata la garanzia, ovvero per la parte per cui sono rimasti non soddisfatti da questa (art. 111r.d.n. 267/1942).

Al di là della modifica introdotta dal legislatore resta, comunque, il fatto che verosimilmente l'ipotesi che il credito condominiale chirografario non sia mai soddisfatto, ovvero lo sia ma in tempi lontani, potrebbe non corrispondere all'immediato interesse del condominio. Sorgerà allora la necessità che gli altri condomini, al fine di evitare più gravi conseguenze, intervengano di tasca propria per sopperire alla mancanza di fondi, nella speranza che tali anticipazioni saranno poi recuperate in sede di liquidazione dell'attivo.

Con la dichiarazione di fallimento l'interlocutore diretto del condominio diventa il curatore del fallimento. A tale soggetto l'amministratore si deve rivolgere per avviare la corretta procedura da seguire per il recupero delle spese condominiali e per tutti gli ulteriori incombenti che cadenzano la vita del condominio (come ad esempio nel caso di convocazione delle assemblee condominiali, i cui avvisi dovranno essere recapitati non più al condomino fallito ma al curatore). Ed ancora al curatore è riservato il diritto di impugnare le delibere assembleari, così come è a suo carico il dovere di provvedere al pagamento degli oneri condominiali concernenti la fase successiva alla dichiarazione di fallimento. Il condominio, da parte sua, nel caso di morosità dovrà richiedere decreto ingiuntivo nei confronti del fallimento in persona del suo curatore.

Credito maturato prima della dichiarazione di fallimento del condomino

Per il recupero delle spese precedenti alla procedura il legale il rappresentante del condominio, ovvero l'amministratore, deve presentare istanza di ammissione al passivo del fallimento almeno trenta giorni prima dell'udienza fissata per l'esame del passivo (art. 93 r.d. cit.). L'operato dell'amministratore, finalizzato al recupero del credito condominiale, è assimilabile alla richiesta di decreto ingiuntivo e, quindi, rientra a pieno titolo nell'ambito delle sue attribuzioni (art. 1130, n. 3 c.c.): ciò renderebbe superflua la richiesta di delibera autorizzativa. Si ritiene, tuttavia, opportuno che questo avvenga. Mentre gli effetti dell'azione ingiuntiva, infatti, sono immediati e con costi relativamente contenuti, nel caso che ci occupa l'assemblea, dopo avere esaminato la situazione complessiva e valutato i pro e i contro, potrebbe anche determinarsi a non intervenire, rinunciando definitivamente al proprio credito.

Anche se la legge non prevede che il ricorrente debba essere necessariamente assistito da un legale (art. 93 l. n. 267/1942) vi sono, tuttavia, dei casi in cui questo diventa implicitamente obbligatorio. Non va dimenticato, infatti, che tutte le comunicazioni con l'ufficio del curatore del fallimento devono avvenire a mezzo posta certificata per cui è evidente che l'amministratore privo di un proprio indirizzo PEC non potrà mai agire in prima persona e nella qualità di mandatario del condominio, talché dovrà necessariamente rivolgersi ad un avvocato.

In evidenza

L'obbligo di dotarsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, introdotto dal d.l. n. 185/2008 e dal d.l. n. 179/2012 e rispettive leggi di conversione, non vale per gli amministratori che non esercitano la propria attività in forma d'impresa. Inoltre, non essendo stato ancora istituito un albo degli amministratori, detto obbligo non può essere esteso ai rappresentanti del condominio che, pur esercitando un'attività professionale, non sono considerati professionisti a norma di legge.

In ogni caso, anche qualora il rappresentante del condominio fosse provvisto di tale strumento di comunicazione ma non fosse dotato di particolari conoscenze nella materia delle procedure concorsuali (come ad esempio ragioniere, commercialista, fiscalista) è il caso che egli non si esponga al rischio di commettere errori e/o omissioni che potrebbero compromettere l'esito finale dell'operazione.

La procedura da seguire è la stessa prevista per un qualsiasi ricorso per l'ammissione al passivo (art. 93 l. fall.) con la sola peculiarità che in ambito condominiale, in aggiunta alla succinta esposizione dei fatti e degli elementi di diritto posti a fondamento dell'istanza, la documentazione da depositare consiste, in primo luogo, nella copia (meglio se autentica) della delibera di conferimento di incarico all'amministratore (e ciò libererà il campo da qualsivoglia contestazione in relazione alla sua legittimazione attiva); nella copia del/dei verbali di approvazione di bilancio consuntivo e preventivo e relativa ripartizione; nella copia conforme all'originale di eventuale decreto ingiuntivo ottenuto dal condominio verso il fallito, accompagnato - ove vi sia - dalla dichiarazione di esecutività rilasciata dall'ufficio competente.

La domanda tardiva di ammissione al passivo del credito condominiale può essere trasmessa al curatore oltre il termine di trenta giorni prima dell'udienza fissata per la verifica del passivo e non oltre quello di dodici mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo (art. 101, comma 1, r.d. cit.).

La data della conoscenza della dichiarazione di fallimento, invece, rileva per un diverso profilo. Infatti, se l'amministratore dimostra di non avere saputo del fallimento per causa a lui non imputabile può presentare l'istanza di insinuazione al passivo fino a che non sono state esaurite tutte le ripartizioni dell'attivo fallimentare (art. 101, ultimo comma, r.d. cit.).

Oneri condominiali esigibili dopo il fallimento

Come già accennato con la novella del 2012 gli oneri condominiali sorti durante la procedura sono stati espressamente previsti come crediti prededucibili da trattare secondo il disposto dell'art. 111, comma 1, r.d. n. 267/1942. La natura di tale rango riguarda tutte le spese concernenti la manutenzione e conservazione dell'immobile, in considerazione del fatto che questo, indipendentemente dallo status di bene entrato nel compendio di un fallimento, è sempre soggetto alle obbligazioni concernenti la conservazione e manutenzione dell'edificio.

A questo proposito si rileva che l'utilizzo del termine “esigibilità” del credito e non quello di “maturazione” del credito (prima o dopo il fallimento) potrebbe comportare un ampliamento della tutela del credito condominiale. Un esempio pratico: in sede di conguaglio l'assemblea approva, in una seduta successiva al fallimento, spese di riscaldamento che concernono anche un periodo anteriore al fallimento. In tal caso, secondo il disposto dell'art. 30 della l.n. 220/2012, anche tale importo dovrebbe essere prededucibile. E a questo proposito va ricordato che i contributi condominiali scaduti al momento del fallimento erano considerati credito chirografario, mentre secondo alcuni autori sarebbero crediti privilegiati, in quanto crediti per atti conservativi dell'immobile.

Vi è da considerare, poi, l'ipotesi dell'immobile in comproprietà di due o più condomini e solo uno di essi fallisca: quid iuris? Vigendo il principio della solidarietà tra i comproprietari (ad esempio i due coniugi), sancito dall'art. 1292 c.c., l'amministratore potrà sia rivolgersi ad uno degli altri comproprietari, sia trovare più conveniente, in forza del principio della prededucibilità delle spese, insinuarsi nel passivo del fallimento, per l'intero credito (ai sensi dell'art. 61 r.d. n. 267) presumendo una liquidazione più rapida del proprio credito. Si è anche prospettato che, visto che la prededucibilità non garantisce che si riesca ad ottenere il dovuto, nulla vieta la contestualità delle due azioni.

CREDITI PREDEDUCIBILI IN FAVORE DEL CONDOMINIO: ORIENTAMENTI A CONFRONTO

Applicabilità dell'art. 111 legge fallimentare

- Quando si versi in ipotesi di debiti maturati successivamente alla dichiarazione di fallimento del condomino asseritamente tenuto, trova applicazione la disciplina di cui all'art. 111 legge fallimentare; essa individua i debiti di massa in modo indiretto, laddove fissa i criteri per la predisposizione dei riparti e ricomprende nella categoria “…i debiti contratti per l'amministrazione del fallimento…” (Trib. Nola 27 novembre 2008).

- Le spese inerenti al godimento di un immobile da parte del fallito, compresi gli oneri relativi alla gestione ordinaria per il periodo successivo al fallimento, non rientrano tra i debiti contratti per l'amministrazione del fallimento, da soddisfarsi in prededuzione, ma rimangono ad esclusivo carico del fallito medesimo sino a quando l'immobile è da lui effettivamente abitato. Viceversa gli oneri relativi alle spese di gestione straordinaria di tale immobile sono a carico della massa e vanno soddisfatti in prededuzione ai sensi dell'art. 111 l.fall. (Trib. Roma 11 gennaio 1999).

- Poiché l'immobile facente parte di un condominio, ancorchè compreso nella procedura fallimentare, rimane partecipe dell'ente di gestione e si avvale dunque delle spese necessarie per la conservazione e per la manutenzione della struttura condominiale (art. 1123 c.c.), non può essere negato a tali spese, per la parte inerente a quell'immobile, il carattere prededucibile ai sensi dell'art. 111, comma 1, n. 1), l.fall., in quanto esse si traducono in somme erogate per l'amministrazione del fallimento, nell'interesse del quale, e segnatamente del creditore munito della garanzia speciale, vengono sostenute (Cass. civ., sez. I, 20 agosto 1997, n. 7756).

- I crediti per spese condominiali maturati prima della dichiarazione di fallimento sono di natura concorsuale e vanno soddisfatti nelle forme e modi previsti dalla procedura; viceversa, sono di natura prededucibile le spese condominiali maturate nel corso del fallimento del soggetto obbligato (Trib. Milano 10 ottobre 1991; Trib. Varese 9 luglio 1991).

Acquisto di immobile in sede fallimentare: chi paga le spese condominiali

L'ultima questione da affrontare concerne l'individuazione del soggetto tenuto al pagamentodegli oneri condominiali insoluti quando l'immobile sia stato acquistato in sede di asta fallimentare.

In sede di aggiudicazione del bene il giudice delegato, con l'ordinanza di vendita, stabilisce tutte le modalità e può benissimo stabilire che i debiti ancora in sospeso per le spese condominiali vengano poste a carico dell'acquirente (ciò non toglie che per i crediti divenuti esecutivi dopo il fallimento il condominio creditore potrà rivolgersi al curatore e chiedere la prededuzione per le spese dell'anno in corso e dell'anno precedente).

Fallimento dell'amministratore

Per la questione occorre fare riferimento all'art. 71-bis disp.att.c.c., per cui il fallimento dell'amministratore determina la sua cessazione dall'incarico (comma 4) con la conseguente piena applicazione dell'art. 44 l. fall., concernente gli effetti degli atti compiuti dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento. Sarà, quindi, necessario che l'assemblea, anche convocata senza formalità da ciascun condomino, provveda alla nomina di un nuovo amministratore rispettando il quorum deliberativo previsto dall'art. 1136, comma 4, c.c.

Guida all'approfondimento

Tosatti - Cusmai, Il fallimento del condomino: recupero del credito e gestione della fase concorsuale condominiale, in Ventiquattrore avvocato, 2012, fasc. 9, 33;

Redivo, Le conseguenze del fallimento nel condominio e nella locazione, in Immob. & diritto, 2008, fasc. 10,112;

Damian, Condominio e fallimento, in Arch. loc. e cond., 2007, 141;

Landolfi, Fallimento del condomino e pagamento delle spese, in Immob. & proprietà, 2004, 127;

Montevecchi, Spese condominiali e fallimento del condomino, in Immob. & proprietà, 2003, 30;

Massaro, Spese di condominio del comproprietario fallito, in Fallimento, 1996, 382.

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