Inibitoria della sentenza di primo grado

Franco Petrolati
24 Agosto 2022

La sospensione della provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado che il giudice d'appello può disporre in presenza di "gravi e fondati motivi" è rimessa ad una valutazione globale d'opportunità, in ragione della natura latamente cautelare della misura.
Ambito di applicazione

La provvisoria esecutività è prevista ex lege (art. 282 c.p.c.), a prescindere quindi da uno specifico riconoscimento in sede giudiziale, per le sentenze di primo grado depositate dopo il 19 aprile 1995 o relative a giudizi instaurati dopo il 1° gennaio 1993.

Nonostante la disposizione faccia riferimento alla “sentenza di primo grado”, senza alcuna limitazione tipologica o di contenuto, la giurisprudenza tiene fermo l'assunto che la norma riguardi le sole sentenze di condanna, in quanto le uniche idonee per loro natura a costituire titolo esecutivo e, quindi, ad implicare l'esecuzione forzata ai fini dell'adeguamento della realtà al decisum. Nella pronuncia di condanna, infatti, l'accertamento del diritto non esaurisce la tutela e deve, quindi, essere accompagnato da un titolo volto a consentire la successiva esecuzione coattiva (in forma diretta od indiretta) ai fini della soddisfazione della pretesa, mentre la tutela di mero accertamento o costitutiva è di per sé idonea a fornire essenzialmente, già in sede di cognizione, la protezione richiesta, attraverso la rimozione dell'incertezza sulla posizione soggettiva azionata o la costituzione della postulata modificazione nei rapporti sostanziali (tutela, quindi, in tal senso autosufficiente).

Se ne trae conferma esplicita, altresì, nei settori del lavoro subordinato e delle locazioni urbane, pur orientati univocamente alla tutela della parte contrattualmente più debole, laddove la provvisoria esecutività è stata espressamente riferita alle sole sentenze di condanna (artt. 431; 447-bis c.p.c.).

Non è però necessario che si tratti di una sentenza di pura condanna in quanto la provvisoria esecutività è propria, di regola, di ogni capo di condanna che siaaccessorio e conseguente ad altro capo della medesima sentenza di natura costitutiva o dichiarativa.

Si afferma così che il capo della sentenza contenente la condanna alle spese è immediatamente esecutivo ex art. 282 c.p.c., senza che rilevi la natura (di accertamento, costitutiva, di condanna) od il contenuto (se di accoglimento, di rigetto o di altro tenore) della decisione principale cui la statuizione sulle spese acceda (Cass. n. 10826/2020; Cass. n. 1283/2010; Cass. n. 16262/2005).

In tema di azione revocatoria si ritiene, altresì, che la condanna alla restituzione delle somme ricevute con atti solutori dichiarati inefficaci ex art. 2901 c.c., essendo dipendente dall'effetto costitutivo proprio della revocatoria, sia immediatamente dotata di provvisoria esecutività sin dalla pronuncia di primo grado, nonostante la sopravvenuta inefficacia della solutio maturi solo con il giudicato (Cass. n. 16737/2011); ulteriori esempi di condanna meramente consequenziale all'effetto costitutivo – e, quindi, anticipatamente esecutiva – sono quelle relative al rilascio dell'immobile in forza della risoluzione giudiziale del contratto di locazione così come alla restituzione di un immobile pronunciata contestualmente alla declaratoria di nullità del relativo contratto traslativo (Cass. n. 27416/2021).

Le Sezioni Unite della Cassazione hanno, tuttavia, configurato una significativa eccezione alla autonoma esecutività provvisoria di ogni capo di condanna nei casi in cui si riscontri un nesso non già di mera dipendenza bensì di sinallagmaticità con altro capo costitutivo di un nuovo rapporto sostanziale. In Cass. Sez. Un. n. 4059/2010 era, infatti, in questione una pronuncia che aveva accolto la domanda costitutiva della compravendita immobiliare ex art. 2932 c.c., con le conseguenti condanne del promissario acquirente al pagamento del prezzo e del promittente venditore al rilascio dell'immobile; al riguardo si è, quindi, affermato che tali condanne non possono ritenersi provvisoriamente esecutive dopo il primo grado, essendo legate da un nesso di corrispettività con il capo relativo al trasferimento della proprietà, il quale realizza l'effetto suo proprio solo alla maturazione del giudicato (in senso conforme, Cass. n. 8693/2016).

Analogamente si è escluso che possa ritenersi provvisoriamente esecutivo il capo di condanna al pagamento di un conguaglio, a carico dell'assegnatario, nell'ambito di una sentenza di scioglimento della comunione mediante assegnazione ex art. 720 c.c., venendo in questione una condanna legata da un nesso di corrispettività, ancorché non di stretta sinallagmaticità, con l'assegnazione del relativo bene, destinata a realizzarsi solo al passaggio in giudicato della sentenza (Cass., n. 2537/2019).

Nella pronuncia volta a reintegrare l'erede legittimario nella quota riservata di legittima, a fronte della domanda di riduzione ex art. 553 c.c., si devono distinguere due eventualità : se la reintegra richiede la previa divisione di beni ereditari, con conseguente condanna di uno dei condividenti al pagamento del conguaglio, si configura un rapporto di "corrispettività" tra i due capi della sentenza e, quindi, l'esecuzione di quello di condanna è differito al passaggio in giudicato di quello di scioglimento della comunione; se, invece, la reintegra implica unicamente il versamento da parte del donatario del controvalore della quota, ai sensi dell'art. 560 c.c, integrandosi un rapporto di mera "dipendenza" tra capo costitutivo e capo condannatorio, quest'ultimo è immediatamente eseguibile, ex art. 282 c.p.c., indipendentemente dal passaggio in giudicato del primo (Cass. n. 12872/2021).

Presupposti

La sospensione della provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado che il giudice d'appello, ai sensi dell'art. 283 c.p.c. , può disporre in presenza di "gravi e fondati motivi" è rimessa ad una valutazione globale d'opportunità, in ragione della natura latamente cautelare della misura, poichè tali motivi consistono per un verso nella delibazione sommaria della fondatezza dell'impugnazione (c.d. fumus boni iuris) e per altro verso nella valutazione del pregiudizio patrimoniale che il soccombente può subire (anche in relazione alla difficoltà di ottenere eventualmente la restituzione di quanto pagato) dall'esecuzione della sentenza (c.d. periculum in mora): valutazione che può condurre anche a giustificare una inibitoria parziale o limitata a taluni capi della sentenza.

L'ambito di discrezionalità rimesso al giudice d'appello dagli artt. 283 e 351 c.p.c. è, quindi, considerato più ampio di quello riconosciuto al medesimo giudice con riferimento alla sentenza impugnata con ricorso per Cassazione - esigendo l'art. 373 c.p.c. un “grave ed irreparabile pregiudizio” - ovvero alla sentenza di primo grado favorevole al lavoratore o a quella di condanna relativa a rapporti di locazione, comodato e affitto d'immobili, per la sospensione dell'esecutività della quale è richiesta dall'art. 447-bis, comma 4, c.p.c. la sussistenza di un "gravissimo danno” (Cass. n. 4060/2005).

Procedimento

Ai sensi dell'art. 283, comma 1, c.p.c. l'istanza di inibitoria della sentenza è “proposta con l'impugnazione o con quella incidentale”. Tale contestualità non è, invece, espressamente richiesta nell'impugnazione per nullità del lodo, in quanto l'art. 830, comma 4, c.p.c. consente che l'istanza sia “anche successiva alla proposizionedell'impugnazione”.

Sull'istanza di sospensione della provvisoria esecutività della sentenza di primo grado il giudice di appello deve pronunciare alla prima udienza ai sensi dell'art. 351, comma 1, c.p.c. o, al più tardi, prima della precisazione delle conclusioni; l'eventuale provvedimento emesso con la sentenza che definisce il giudizio di appello è, infatti, da considerarsi inutile in quanto tale sentenza, per il suo carattere sostitutivo ed assorbente, rimuove la sentenza di primo grado, prendendone il posto (Cass. n. 5829/2007).

L'appellante può altresì chiedere, con autonomo ricorso al presidente del collegio, che l'inibitoria sia trattata anteriormente alla prima udienza, laddove incombano ragioni di urgenza, tenuto conto del tempo occorrente per l'instaurazione del contraddittorio nel rito ordinario; si attiva così un procedimento camerale (art. 351, commi 2 e 3, c.p.c.), nel quale il presidente fissa con decreto la comparizione delle parti e, contestualmente, ove l'urgenza da fronteggiare lo richieda, può sospendere immediatamente l'efficacia esecutiva della sentenza.

La misura adottata inaudita altera parte deve, poi, all'esito dell'adunanza camerale, essere confermata, modificata o revocata con ordinanza.

Il procedimento camerale ex art. 351 c.p.c. mantiene la sua autonomia rispetto al giudizio di merito: si afferma, pertanto, che la costituzione nella fase camerale sulla inibitoria non implica l'automatica costituzione della stessa parte nella fase di merito, anche per evitare che l'appellato sia costretto a proporre appello incidentale in un termine più breve rispetto a quello fissato ex lege (artt. 166 e 343 c.p.c.) (Cass. n. 8150/2014; Cass. n. 21596/2017; Cass., n. 7020/2020).

L'istanza di inibitoria dà luogo, comunque, ad un subprocedimento incidentale, privo di autonomia rispetto al giudizio di merito, sicché la regolamentazione delle spese ad esso relative deve essere disposta, al pari di quella concernente le spese del procedimento principale, con il provvedimento che chiude quest'ultimo, tenendo conto del suo esito complessivo. Qualora, quindi, la sentenza impugnata sia riformata "in toto" dal giudice d'appello, la liquidazione delle spese relative a tale subprocedimento non può essere esclusa sul presupposto che l'istanza di sospensione fosse stata, "medio tempore", rigettata (Cass. 2671/2013).

I provvedimenti resi dal giudice d'appello sulla provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado sono espressamente qualificati non impugnabili dall' art.351, comma 1, c.p.c. (così come riformulato dalla l. 183/2011) e, quindi, da ritenersi di regola non modificabili né revocabili ai sensi dell'art. 177, comma 3, n. 2, c.p.c. ; non sono parimenti ricorribili per cassazione, neppure a norma dell'art. 111 Cost., trattandosi di provvedimenti di natura processuale con contenuto non decisorio, che producono effetti temporanei, destinati ad esaurirsi con la sentenza definitiva del giudizio d'impugnazione (Cass. n. 13774/2015; Cass. n. 19247/2019; Cass. n. 11887/2020).

Effetti

La sospensione della efficacia esecutiva della sentenza appellata ha efficacia ex nunc e non comporta, quindi, la sopravvenuta illegittimità degli atti esecutivi nel frattempo compiuti, ma impone la sospensione, ai sensi dell'art. 623 c.p.c., del processo esecutivo iniziato sulla base di detto titolo (Cass., n. 14048/2013).

La disposta inibitoria produce, tuttavia, effetti – se non diversamente statuito - sin dalle ore 00.00 del giorno di deposito dell'ordinanza (Cass. n. 24637/2014).

Gli effetti si esauriscono in ogni caso, come anticipato, con la sentenza che definisce il giudizio di impugnazione (Cass. n. 13774/2015; Cass. n. 19247/2019).

Sanzione pecuniaria

La l. 183/2011 ha aggiunto un secondo comma all'art. 283 c.p.c. che prevede il potere del giudice di applicare una sanzione pecuniaria (da 250 a 10.000 euro) a chi abbia proposto una istanza di inibitoria inammissibile o manifestamente infondata.

Si configura un potere di carattere discrezionale anche nell' an(il giudice “può condannare”)che non èsindacabile durante il corso ulteriore del giudizio: l'ordinanza che irroga la sanzione pecuniaria, infatti, è espressamente qualificata come non impugnabile ed è revocabile solo in sede di definizione del giudizio con sentenza.

Non è da considerarsi, altresì, ricorribile per cassazione, nemmeno ai sensi dell'art. 111 Cost., trattandosi di provvedimento che non riveste simultaneamente i caratteri della decisorietà e della definitività e, pertanto, non idoneo ad acquistare autorità di giudicato, essendo appunto revocabile con la sentenza che definisce il giudizio d'impugnazione (Cass. n. 19247/2019).

La sanzione ha una finalità punitiva e non risarcitoria: va, infatti, corrisposta alla Cassa delle ammende e non alla controparte, anche se la ratio sembra implicare che l'abuso dell'istanza di inibitoria generi un danno al funzionamento della giurisdizione.

Legge di riforma del processo civile

La l. 206/2021, che ha delegato ex art. 76 Cost. il Governo alla adozione di una vasta riforma del processo civile entro un anno dalla sua entrata in vigore e, quindi, entro il 24.12.2022, ha previsto tra i criteri direttivi significative novità anche in tema di inibitoria della sentenza di primo grado (art.1, comma 8, lett. f, i).

Sono, in particolare, circoscritti ed aggravati i presupposti per l'inibitoria in quanto individuati, “alternativamente”, o in un giudizio prognostico di manifesta fondatezza dell'impugnazione o nella imminenza di un grave e irreparabile pregiudizio, derivante dall'esecuzione della sentenza, tenendo conto anche della possibilità di insolvenza di una delle parti qualora sia in questione una condanna al pagamento di una somma di denaro.

In tal senso il c.d. fumus boni iuris deve raggiungere la soglia della manifesta fondatezza mentre il periculum in mora deve minacciare un danno grave ed irreparabile: la ratio appare quella di salvaguardare l'immediata esecutività della sentenza di primo grado, persino a fronte di appelli solo eventualmente (ma non probabilmente) fondati o nella imminenza di danni suscettibili di essere compiutamente compensati a posteriori (e, quindi, riparabili).

Sintonica con tale ratio è, altresì, la piena conferma della sanzione pecuniaria, in caso di istanza inammissibile o manifestamente infondata, così come già congegnata anche nel quantum nel vigente secondo comma dell'art. 283 c.p.c..

Quanto al procedimento, invece, se ne amplia l'ambito di applicazione prevedendo che l'istanza di inibitoria possa essere proposta o riproposta anche nel corso del giudizio di appello previa indicazione, a pena di inammissibilità, degli specifici elementi sopravvenuti che ne giustifichino la proposizione non contestualmente all'impugnazione.

Di regola, quindi, l'istanza dovrebbe continuare ad essere formulata unitamente al gravame (a differenza di quanto previsto dall'art. 830, comma 4, c.p.c.) ma se ne consente la proposizione anche successivamente laddove siano rappresentate – oltre che riscontrate - le circostanze sopravvenute che ne abbiano giustificato il tardivo esperimento; si pensi, ad esempio, al peggioramento della situazione patrimoniale debitore per ragioni non attinenti all'esecuzione della stessa sentenza appellata.

Quanto al giudicante, si prevede che nel procedimento camerale ex art. 351, comma 3, c.p.c., fermo restando il potere presidenziale di sospensione immediata inaudita altera parte, il contraddittorio debba svolgersi avanti al solo consigliere istruttore, il quale, sentite le parti, provvede a riferire al collegio per la decisione sull'inibitoria.

In tal senso si è inteso adeguare il ruolo del consigliere istruttore a quello che la riforma al medesimo assegna anche nel nuovo rito ordinario del processo di appello, essendo previsto (art.1, comma 8, lett. l, l. cit.) che la trattazione si svolga, di regola, integralmente avanti al consigliere designato, il quale procede, all'esito, a fissare l'udienza di discussione avanti al Collegio.

E' infine stabilito (art. 1, comma 8, lett. m) che debba essere introdotta la possibilità che, una volta definito il procedimento camerale attivato dall'istanza di inibitoria, il Collegio possa procedere alla definizione dello stesso giudizio di merito secondo il modulo decisorio della discussione orale e lettura contestuale della sentenza ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c.: si tratta in realtà di un conferma di quanto già previsto dal quarto comma del vigente art. 351 c.p.c. ( così come aggiunto dalla l. 183/2011).

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