Illegittimo il licenziamento del dipendente sorpreso dall’agenzia investigativa in palestre e supermercati durante l’orario di lavoro

La Redazione
25 Agosto 2022

Il datore di lavoro può rivolgersi a soggetti terzi per lo svolgimento di attività di controllo sui lavoratori dipendenti ma solo nei limiti relativi all'accertamento di eventuali illeciti. Il controllo esterno non può riguardare l'adempimento della prestazione lavorativa da parte del dipendente, soggetto all'esclusivo potere di sorveglianza diretta del datore di lavoro.

La Corte d'appello di Roma confermava il rigetto dell'impugnazione del licenziamento intimato da un istituto bancario ad un proprio dipendente per motivi disciplinari.

Secondo gli accertamenti di fatto il lavoratore si era allontanato dal luogo di lavoro durante l'orario lavorativo per svolgere attività estranea al suo inquadramento lavorativo, fatti documentati mediante registrazioni effettuate da un'agenzia investigativa che documentavano la sua presenza in palestre e supermercati anche molto lontani dalla sede di lavoro.

Secondo i giudici di merito erano legittimi i controlli effettuati tramite agenzia investigativa in quanto la posizione lavorativa del dipendente di banca esige un più rigoroso rispetto dell'obbligo di fedeltà e dei correlati doveri di diligenza e corretta.

Inoltre le investigazioni erano in realtà state svolte nell'ambito delle indagini relative ad una collega sospettata di violazione dei permessi ex l. n. 104/1992. Il lavoratore ha proposto ricorso in Cassazione.

Gli artt. 2 e 3 l. n. 300/1970 delimitano, a tutela della libertà e della dignità del lavoratore, la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei propri interessi, ovvero per scopi di tutela del patrimonio aziendale e di vigilanza dell'attività lavorativa.

Tali limiti non precludono al datore di lavoro di ricorrere appunto a soggetti terzi, come nel nostro caso l'agenzia investigativa, ma il controllo svolto non può riguardare l'adempimento – o meno – della prestazione lavorativa. Il controllo esterno deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento della propria prestazione contrattuale di lavoro.

La giurisprudenza è ferma nel sostenere tale principio, con la conseguenza che le agenzie possono operare lecitamente laddove non varchino i confini del potere di sorveglianza del datore di lavoro.

In altre parole «ai controlli al di fuori dei confini indicati ostano sia il principio di buona fede sia il divieto, di cui all'art. 4 dello Statuto dei lavoratori, nella formulazione applicabile ratione temporis, vigendo il divieto di controllo occulto sull'attività lavorativa anche nel caso di prestazioni lavorative svolte al di fuori dei locali aziendali, ferma restando l'eccezione rappresentata dai casi in cui il ricorso ad investigatori privati sia finalizzato a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti».

Nel caso di specie dunque risulta erronea la decisione dalla Corte territoriale, poiché l'attività investigativa mediante controllo esterno, anche se occasionata da analogo e legittimo controllo nei confronti di un altro dipendente, esplicandosi nell'orario di lavoro del ricorrente, cioè durante l'espletamento dell'attività lavorativa, finisce con l'incidere direttamente sull'attività stessa, andando quindi al di fuori dei limiti consentiti.

Per questi motivi il ricorso viene accolto e la sentenza impugnata annullata con rinvio.

Fonte: Diritto&Giustizia

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