Acquisto di proprie quote di una s.r.l. PMI e work for equity

Matteo Lorenzo Manfredi
Chiara Fanton
29 Agosto 2022

L'art. 26, comma 6, d.l. n. 179/2012 (e successive modifiche) introduce una deroga, per le s.r.l. PMI, al divieto generale di eseguire operazioni sulle proprie quote, prevedendo la facoltà di acquistare quote nell'ambito di piani di incentivazione. Il Quesito fornisce chiarimenti sull'applicabilità della disciplina al work for equity.

Una s.r.l. che rientra nei parametri dimensionali delle PMI e può, pertanto, usufruire della disciplina speciale ad esse riservata in tema di operazioni sulle proprie quote (art. 26, comma 6, d.l. n. 179/2012) intende acquistare proprie quote nell'ambito di un piano di work for equity in fase di sviluppo, prevedendo a tal fine la costituzione di un apposito fondo quote in attesa che gli amministratori definiscano le modalità di assegnazione e gli specifici soggetti qualificati beneficiari. Può considerarsi lecita tale operazione?

L'art. 26, comma 6, del D.L. n. 179/2012, come modificato dall'art. 57, comma 1, del D.L. n. 50/2017, conv., con mod., dalla L. n. 96/2017 ha introdotto una deroga per le s.r.l.-PMI al divieto generale imposto dal legislatore all'art. 2474 c.c., che vieta alle società a responsabilità limitata “in nessun caso” di eseguire operazioni sulle proprie quote.

Detta disposizione prevede che tali operazioni possono ritenersi legittime solo se eseguite in attuazione di piani di incentivazione, che prevedano l'assegnazione di quote di partecipazione a dipendenti, collaboratori o componenti dell'organo amministrativo, prestatori di opera e servizi anche professionali. Dalla semplice lettura del testo normativo risulta, dunque, pacifico che rimane tuttora esclusa la possibilità per le società a responsabilità limitata (benché PMI) di acquistare quote proprie al di fuori di tale ambito operativo.

È stata così estesa anche alle s.r.l.-PMI (non innovative) la normativa di remunerazione ed incentivazione del personale e dei consulenti inizialmente prevista per le sole start-up innovative ed incubatori certificati, con la conseguenza che si è ampliato considerevolmente il novero delle realtà d'impresa che ne possono in concreto beneficiare.

Poiché la norma correla indissolubilmente la legittimità delle operazioni eseguite in deroga al divieto di cui all'art. 2474 c.c. all'attuazione da parte della società a responsabilità limitata di piani di incentivazione, occorre verificare i presupposti in base ai quali i piani di incentivazione possono derogare alla disposizione del codice civile e se gli stessi occorrono anche nei c.d. work for equity.

Si definiscono piani di incentivazione i programmi che prevedono la corresponsione di compensi agevolati in favore degli amministratori, dei dipendenti e dei collaboratori continuativi, per quanto di interesse in questa sede, tramite attribuzione di quote della società e stock option. È controversa la questione relativa alla possibilità da parte delle s.r.l.-PMI di emettere strumenti finanziari partecipativi, nel caso in cui lo statuto lo preveda: in senso negativo si è espresso A. Busani, Massime notarili e orientamenti professionali. Strumenti finanziari partecipativi (Sfp)., in Le Società, 10/2019, 1158, riprendendo gli studi del Consiglio Nazionale del Notariato, Studio n. 101-2018/I, La nuova disciplina delle (PMI) società a responsabilità limitata, in CNN Notizie del 18 maggio 2018, sulla scorta del contenuto letterale della norma di cui all'art. 26, comma 7, D.L. n. 179/2012, che fa riferimento alle sole start-up innovative. Alla conclusione opposta sono giunti in tempi più recenti G. Condò e G. Tonini, Srl, start up e PMI innovative, gli orientamenti notarili in tema di strumenti finanziari partecipativi. in ilsole24ore.com.

I piani di incentivazione si distinguono dal work for equity per la diversità di soggetti che ne possono beneficiare. Il work for equity si rivolge infatti a collaboratori e consulenti privi di vincolo di subordinazione, che prestano a favore della società opere o servizi. Rientrano, dunque, in questa seconda categoria i consulenti, i professionisti, i fornitori di opere e servizi diversi dai lavoratori dipendenti e dai collaboratori continuativi, che possono in tal modo essere remunerati per il lavoro svolto nell'interesse della società (in maniera fiscalmente conveniente mediante l'assegnazione di quote sociali). Si evidenzia che, differentemente da quanto avviene nei piani di incentivazione, nel work for equity non sono agevolate le assegnazioni di diritti per l'acquisto o per la sottoscrizione delle partecipazioni, quali i diritti di opzione.

L'obiettivo che la società si prefigge con l'attuazione del work for equity è principalmente duplice e tende da un lato a consentire anche nel caso in cui la stessa abbia ridotte disponibilità di accedere a prestazioni professionali qualificate altrimenti difficilmente finanziabili da parte di una PMI, dall'altro ad ottenere una fidelizzazione delle varie professionalità operanti per l'impresa, che in tal modo vengono direttamente coinvolte nell'andamento della società. In cambio il beneficiario ottiene parte della propria retribuzione con un regime fiscale e contributivo di favore.

In generale, il work for equity può essere attuato mediante l'utilizzo di tre principali schemi (si vedano i documenti del MISE, Guida all'uso dei piani azionari e del work for equity – strumenti di incentivazione e remunerazione di personale e consulenti di startup innovative e incubatori certificati”, 24 marzo 2014 e Modello commentato di piano di incentivazione in equity per la startup innovativa e incubatore certificato, 10 marzo 2015):

a) la cessione di quote o azioni ai soggetti beneficiari;

b) l'aumento di capitale a titolo gratuito con assegnazione di azioni o quote di nuova emissione ai soggetti beneficiari;

c) l'aumento di capitale a pagamento con assegnazione di azioni o quote di nuova emissione ai soggetti beneficiari.

In questa sede ci si limita all'analisi della sola prima ipotesi rappresentata dalla cessione di quote di una s.r.l.-PMI in favore di soggetti beneficiari, che presuppone il precedente acquisto delle quote proprie da parte della società dai suoi soci, in quanto rimane tuttora vietata sia per le società per azioni che per le società a responsabilità limitata – siano esse start-up o meno – la sottoscrizione a titolo originario delle proprie azioni o quote.

Come visto, l'art. 26 del D.L. 176/2012 è estremamente lacunoso e non consente di comprendere le modalità di attuazione dell'acquisto della propria partecipazione da parte delle s.r.l.-PMI, ragione per cui gli interpreti si sono interrogati sull'esistenza di ulteriori limiti legali all'esecuzione di tali operazioni sul capitale rispetto a quelli espressamente previsti dalla disposizione normativa in esame.

Sul tema si è di recente pronunciato Consiglio Notarile di Milano con la Massima n. 179 del 27 novembre 2018, di estrema utilità teorica e pratica.

Secondo l'autorevole Consiglio Notarile meneghino, l'acquisto di quote proprie da parte di una s.r.l.-PMI deve ritenersi condizionato al limite degli utili distribuibili e delle riserve disponibili come risultanti dall'ultimo bilancio approvato, in applicazione analogica della disciplina prevista in materia di società per azioni all'art. 2357 c.c. E sempre in analogia alla normativa della società per azioni, anche tale operazione, come nel caso di acquisto di azioni proprie, deve essere rilevato contabilmente mediante iscrizione di una riserva negativa ai sensi dell'art. 2424 c.c., ritenuto applicabile in forza del dispositivo di cui all'art. 2478-bis c.c., nonché anche l'art. 2357-ter, comma 3, c.c.

Tale interpretazione prudenziale della norma è volta ad evitare che l'acquisto di capitale da parte della società comporti un pericoloso annacquamento del capitale sociale, venendosi in concreto a realizzare un rimborso di quote a danno dei creditori della società, dei soci e della stessa società.

In aggiunta a quanto sopra, secondo l'autorevole parere del Consiglio Notarile del Triveneto, Massima I.N.13 (Limiti all'acquisto di proprie partecipazioni, 1° pubbl. 9/18), le partecipazioni acquistate dalla società devono altresì essere integralmente liberate come disposto dall'art. 2357 c.c.

Tenendo presenti i precedenti limiti, ci si domanda a questo punto se gli amministratori possano procedere all'acquisto di proprie quote nell'ambito di un piano di work for equity in fase di sviluppo, che non abbia ancora definito le modalità di assegnazione e gli specifici soggetti beneficiari, mediante la costituzione di un apposito fondo quote.

Come visto, l'acquisto delle proprie partecipazioni rappresenta il primo passaggio necessario per addivenire alla cessione delle quote stesse in favore dei soggetti identificati come beneficiari del work for equity.

La migliore dottrina ritiene che, nonostante il silenzio della norma, l'acquisto e la successiva disposizione delle quote proprie debbano essere preventivamente autorizzati dai soci (anche la già citata “Guida” del MISE, op. cit., 12, con riferimento alle startup innovative e incubatori certificati, ha previsto che “la competenza a deliberare l'acquisto di azioni o quote e la loro successiva cessione spetta all'assemblea ordinaria del soggetto abilitato; il consiglio di amministrazione solitamente esegue l'acquisto costituendo una riserva indisponibile di importo pari al valore delle stesse nel bilancio di esercizio nel quale avviene l'acquisto), anche se lo statuto della società può legittimamente prevedere una apposita clausola che statuisca una tantum l'autorizzazione permanente dei soci all'attuazione di piani di incentivazione e di work for equity: ragione per cui la disciplina di cui in parola si ritiene inapplicabile alle s.r.l. semplificate di cui all'art. 2463-bis c.c., visto il contenuto “blindato” di matrice ministeriale dei loro statuti (si veda L. Di Lorenzo, “Work for equity: tecnica redazionale”, in Notariato, 2/2017, 198 ss.).In tal modo viene meno la necessità di ricorrere per ogni piano all'approvazione dell'assemblea con una notevole semplificazione dell'iter di attuazione rispetto alla società per azioni.

A ciò si aggiunga che comunque gli interpreti non ritengono applicabile il limite temporale di diciotto mesi in riferimento all'autorizzazione all'acquisto e disposizione di quote proprie per il quale è accordata l'autorizzazione stessa stabilito all'art. 2357, comma 2, c.c.

Orbene, sebbene le imponenti ricostruzioni dottrinali abbiano consentito di colmare alcune delle numerose lacune normative, non bisogna perdere di vista la finalità ultima e l'unica condizione di legittimità imposta dalla norma per cui sono state introdotte le deroghe al diritto societario in favore delle s.r.l.-PMI, ovvero rendere possibile anche a tali società l'attuazione di piani di incentivazione e work for equity, che per operare devono essere formalizzati in uno specifico accordo che preveda nel dettaglio i termini, le condizioni e le modalità di realizzazione (tra cui i soggetti beneficiari, il tipo di opera o servizio da rendere per poterne usufruire e la valorizzazione economica degli apporti resi): così, F. Migliorini, “Work for equity: come funziona e quali vantaggi? – Work for equity, strumenti di incentivazione e remunerazione di consulenti di startup innovative.”, in Fiscomania.com, 14 dicembre 2021.

È pacifico, dunque, che qualunque operazione – tra cui l'acquisto delle proprie partecipazioni – venga messa in atto dalla società sul capitale proprio senza raggiungere l'obiettivo ultimo di attuare un piano di incentivazione o work for equity è da considerarsi del tutto illegittima.

Alla luce di quanto sopra si potrebbe, pertanto, concludere che la società potrebbe legittimamente acquistare partecipazioni proprie come primo passaggio volto alla loro successiva assegnazione nell'ambito di un work for equity in corso di definizione, sempre che rispetti le limitazioni preventivamente richiamate e che preveda l'apposizione in bilancio, non tanto di un fondo, ma più correttamente di una riserva negativa.

L'organo amministrativo sarà poi necessariamente tenuto a perfezionare il contenuto del work for equity per poter passare alla fase conclusiva dell'operazione, rappresentata dalla cessione delle proprie quote a favore dei soggetti beneficiari nel rispetto dei criteri prestabiliti dal piano, facendo così rientrare il procedimento nell'alveo dell'art. 26, comma 6, del D.L. n. 179/2012.